LE 10 PARTITE PIU’ IMPORTANTI (DERBY COL GENOA IN TESTA)   NELLA STORIA DEL SAVONA FBC

CALCIO LIGURE ANNI ’70: OLTRE GENOA E SAMP C’E’ IL CAMPIONATISSIMO

 a cura di LUCIANO ANGELINI e FRANCO ASTENGO

Una rievocazione degli anni’70, a partire dal campionatissimo di Serie C con cinque squadre liguri per concludere con l’istituzione della C2, per non dimenticare quelle pagine del nostro calcio scritte dalle squadre capaci di misurarsi in campionati oltre la cerchia regionale: in questo caso Serie C. poi C/1 e C/2 e Serie D.

 IL CAMPONATISSIMO: Il Genoa in Serie C con altre quattro squadre liguri

La stagione 69-70 si aprì all’insegna di una importante novità: le 3 squadre liguri partecipanti alla Serie C, furono tutte raggruppate nel girone “B”, quello comprendente le compagini dell’Italia centrale.

Per Spezia ed Entella non si trattava di una novità assoluta, mentre per il Savona quella scelta aprì il campo alla possibilità di scontri per la gran parte inediti.

Quella del Campionatissimo fu una stagione unica e irripetibile, gonfia di interesse e passione, coinvolgendo e mobilitando tifosi e sportivi per i numerosi derby, alcuni dei quali, come Savona-Genoa, all’insegna di una rivalità mai sopita. I giornali, e cos’altro se no (l’irrompere della tv e dei suoi onnivori palinsesti era di là da venire), dedicarono al campionato servizi, inchieste e iniziative promozionali. In particolare, grande successo ottennero i progetti editoriali de Il Secolo XIX in occasione dei derby con presentazione delle partite, corsi e ricorsi storici, aneddoti, personaggi, schede dei giocatori, interviste ad allenatori e presidenti. 

1.jpg

Un esempio degli inserti promozionali redatti dal “Secolo XIX” in occasione dei derbies del “campionatissimo”

In verità il comportamento delle nostre rappresentanti risultò poco più che mediocre: in un campionato vinto dalla Massese di Meucci, vittoriosa allo sprint per soli due punti di vantaggio sulla Spal, il Savona risultò alla fine decimo nonostante gli innesti di uomini di vaglia quali Vivarelli, Zucchini, Rumignani e di una giovane speranza rispondete al nome e cognome di Marcello Lippi futuro c.t. della nazionale campione del mondo 2006; lo Spezia, allestito dal vulcanico “Ringo” Malavasi, che lanciò in quella occasione il portiere Marconcini ed il forte difensore Callioni, terminò undicesimo, mentre l’Entella pur evidenziando a centrocampo il dinamismo di Elvio Fontana e in attacco la capacità realizzativa di Balestrieri, colse soltanto la quindicesima piazza.

Altra musica nel girone “A” di Serie D: finalmente l’Imperia colse quel successo pieno, più volte sfiorato nel corso degli anni’60. “Gigi” Bodi, arrivato sulla panchina nero-azzurra proveniente dalla Sestrese, mise assieme una squadra di grande spessore tecnico e agonistico, fondata sull’esperienza di Natta, Marchiandi, Giordano, la classe di Bosca e Cicognini, il dinamismo di Marietto Dubourgel e la grinta di “Tore” Sassu.

In quel girone “A” della Serie D 69-70 si classificarono inoltre: settimo il Rapallo che mise in mostra il goleador ex-atalantino e fiorentino Rozzoni (13 bersagli all’attivo), undicesima l’Albenga, la cui panchina venne affidata a Luciano Testa, il giocatore più rappresentativo di tutta la storia calcistica ingauna, quattordicesima la Sestrese, mentre retrocedettero la Sanremese (che ormai aveva chiuso il grande ciclo aperto negli anni’50 con la partecipazione al girone unico di Serie C) e l’Alassio (alle £vespe” non fu sufficiente l’abnegazione del super-fedelissimo Lunetta, che in quel campionato giocò addirittura una partita in porta).

C’era un po’ di Liguria anche nel girone “E” di Serie D; la Sarzanese, infatti, giunse nona, mentre il successo finale arrise ai toscani dell’Aquila Montevarchi.

La stagione 1970-71 rappresentò un momento di grande importanza per l’intera storia del calcio ligure.

2.gif

Il Genoa vittorioso nella Serie C delle cinque liguri: Lonardi; Corradi, Turone,  Ferrari; Derlin, Benini, Agnetti; il massaggiatore Pelizza (suo padre fu il mitico “masseur” di Fausto Coppi) Perotti, Maselli, Cini, Bittolo, Capogna

Per un caso davvero fortuito, infatti, ben cinque squadre della nostra regione si trovarono iscritte al girone “B” della Serie C: una vera e propria “sagra dei derby”.

Era capitato, infatti, che, giunto al culmine di una lunga crisi, era sceso in terza serie nientepopodimenoche il gloriosissimo Genoa.

Nell’estate del 1970 si temette, ad un certo punto, che la società pioniera del calcio italiano dovesse essere definitivamente cancellata.

Il salvatore arrivò da Massa, nella figura dell’imprenditore Tongiani.

Tongiani chiamò sulla panchina rosso-blu il “duro” Sandokan Silvestri che, negli anni’60 era stato protagonista del “miracolo Cagliari” dei Riva, Rizzo, Greatti, Cera, passato dalla Serie C allo scudetto.

Venne così costruito un Genoa di nuovo vincente (anche se con qualche contraddizione: molti ricorderanno una davvero “storica” sconfitta casalinga subita ad opera dall’Aquila Montevarchi).

Alla fine, però, i vari Lonardi, Bittolo, Maselli, Perotti, Turone, riuscirono a staccare la Spal di due punti e a riconquistare il posto perduto in Serie B.

Modesto, invece, il comportamento delle altre liguri: nono lo Spezia, sulla cui panchina sedette per l’occasione l’ex-portiere Feliciano Orazi che recuperò positivamente l’ex-sampdoriano Dordoni; undicesima l’Entella, dell’allenatore- scultore Todeschini che poggiò le maggiori chances dei bianco-celesti sulla veloce ala Barbana; dodicesima l’Imperia guidata con mano ferma verso la salvezza da Bodi che, dopo aver confermato l’organico vittorioso in Serie D aveva innestato in squadra il forte difensore nolese “Titti” Brignole; soltanto quindicesimo il Savona: il gruppo Dapelo, allora proprietario del club bianco-blu, tentò di dare una scossa all’ambiente che andava, via, via, sempre più deprimendosi ingaggiando l’allenatore ex-spezzino Malavasi. “Ringo” si rivelò elemento assai dinamico in panchina, ma assai modesto sotto l’aspetto della preparazione tecnico-tattica. Unica nota positiva, in casa savonese per l’annata 70-71, il lancio definitivo del portiere Merciai e dell’attaccante Marcolini, poi destinati al Bari.

In Serie D il girone “A” 70-71 visse una stagione illuminata dal duello per il primato, ingaggiato tra Pro Vercelli e Biellese: dopo due spareggi senza esito le bianche casacche salirono in Serie “C” grazie al sorteggio.

La migliore delle liguri risultò, in quel frangente, la Sarzanese giunta terza; l’Albenga pervenne all’ottavo posto evidenziando la pura classe dell’ala Nico Vasconi, ex-velociano; dodicesime a pari merito Sestrese e Rapallo.

PER IL SAVONA ULTIMA SCALATA ALLA SERIE B: SI CHIUDE IL CICLO AVVIATO NEGLI ANNI’60

Con la stagione 71-72 le liguri di Serie C furono nuovamente separate: Savona ed Imperia furono incluse nel girone settentrionale; Spezia ed Entella in quello centrale.

Il Savona iniziò molto male quel campionato: la svolta venne all’indomani di una pesante sconfitta interna (1-4) subita da una Pro Vercelli, nelle cui fila eccellevano Tonelli e l’ex-sampdoriano Bissacco.

In seguito a quella “debacle” fu esonerato Malavasi e chiamato alla guida della prima squadra bianco-blu il trainer delle giovanili Ezio Volpi.

L’ex-terzino (oltre che nel Savona aveva giocato anche con Fanfulla, Brescia e Albenga) inaugurò così una carriera da tecnico, che gli avrebbe riservato grandi soddisfazioni: la sua immatura scomparsa lasciò successivamente, un vero e proprio vuoto in tutta la famiglia calcistica savonese, e non solo.

Tornando a quel campionato 71-72 Volpi, avvalendosi anche degli acquisti novembrini di Balestrieri, Ballotta, Catuzzi e dell’ottimo rendimento del prestito sampdoriano Arnuzzo riuscì a pilotare il Savona in salvo, conseguendo il dodicesimo posto.

Inevitabile la retrocessione dell’Imperia, terminata al diciannovesimo  posto: non servirono granchè l’assunzione di un allenatore di nome come il milanista “Cina” Bonizzoni ed i goal del “flglio d’arte” Pierluigi Gabetto.

Nel girone “B” (in cui risultò vittorioso l’Ascoli di Carletto Mazzone, che iniziò così la rincorsa verso una fulminea ascesa in Serie “A”) lo Spezia di Corelli terminò all’undicesimo posto, mentre l’Entella giunse buon’ultima nonostante la sostituzione di Todeschini con il mai dimenticato Manlio Bacigalupo.

3.jpg

Albenga primi anni’70, per diverse stagioni in lotta per la Serie C senza riuscire a raggiungere l’obiettivo:da sin., in piedi, Celiberti, Zanardini, Ramella, Costanzo, Sobrero, Testa, Zenari; accosciati: Zunino, Bruzzone, Vasconi, Spruzzola, Ameri, Pioppo

Nel girone “A” della Serie D l’Albenga si trovò, invece, impegnata fino alla fine nella lotta per la promozione.

I bianco-neri ingauni arrivarono al quarto posto, preceduti oltre che dalla Cossatese dello spumeggiante duo Poirè- Sollier anche da Asti e Biellese.

Sono da ricordare, di quella brillante stagione in riva al Centa, il nuovo allenatore “Chico” Hanset (che abbiamo già incontrato come terzino di gran classe nel Rapallo), l’estrosa mezz’ala “Miro” Zunino e la dinamica ala Spruzzola.

Da rimarcare ancora, per quel girone A di Serie D 71-72 l’undicesimo posto del Sestri Levante, di cui va comunque ricordata la figura del tecnico Natale Zamboni, anch’egli scomparso prematuramente. Zamboni diresse molte società in Liguria e in Piemonte (Cuneo, Cairese, ecc.) con grande competenza e con un tratto di inestinguibile signorilità.

Anche la Sarzanese militò, nel corso di quell’intensa annata 71-72 in Serie D: la squadra rosso-nera, allenata dall’ex-torinista  Gualtieri, che poteva contare sui “voli pindarici” dell’anziano Mencacci, sulla classe del futuro laziale Franzon e sui goal di Buoso, giunse sesta in un girone dominato dall’Aquila Montevarchi, che potè contare sull’apporto, dalla panchina, di Antonio Valentin Angelillo.

Quello compiuto dal Savona nel corso del campionato di Serie C, girone “A” 72-73 si può forse considerare come il vero e proprio ultimo grande acuto nella storia ultra-centenaria del sodalizio bianco-blu, prima della stagione 2013/2014, quella dei play – off disputati in Serie C fino alla semifinale con la Pro Vercelli.

4.jpg

La squadra, ottimamente registrata da Volpi, lottò fino alla fine per la promozione in Serie B, poi toccata al Parma vittorioso dopo spareggio sull’Udinese (2-0 in quel di Vicenza).

In quel Savona si affermò definitivamente il centroavanti Panucci, tornato alla casa-madre dopo una esaltante esperienza in quel di Asti dove, al fianco di Giancarlo Antognoni, aveva vinto la classifica marcatori segnando ben 21 reti; notevoli, in quel Savona 72-73, le prove di classe fornite dal duo ex-casertano Corbellini e Gottardo.

Da rilevare, inoltre, un episodio importante avvenuto nella vita societaria del Savona FBC, con il passaggio della proprietà dal gruppo Dapelo (che l’aveva mantenuta in varie forme fin dal campionato di Serie B 66-67) all’impreditore locale Mario Briano (che negli anni’50 era stato anch’esso giocatore del Savona).

Lo Spezia, sempre  guidato da Corelli, giunse quattordicesimo nel girone “B”: si posero in evidenza, tra gli aquilotti, il portiere Brustenga e i due attaccanti Asnicar e Biloni.

Le liguri partecipanti alla Serie D furono divise in due tronconi: Imperia ed Albenga terminarono rispettivamente quarta ed ottava nel girone “A” vinto dalla Gaviese di Mario Robbiano che allineò, tra gli altri, l’ex-sampdoriano “Martello” Delfino e l’ex-genoano Rivara (la “tigre di Ronco); Entella, Sestri Levante, Lerici (una novità appena salita dalla Promozione) e Sarzanese terminarono nell’ordine decima, tredicesima, tredicesima, quindicesima, diciassettesima, assistendo da lontano al successo del Grosseto, allenato dall’ex-genoano Genta e orchestrato in campo dall’esperienza dell’ex-.fiorentino Carpenetti.

CADE IL SAVONA, LO  SPEZIA RIMANE SOLO  IN SERIE C

La stagione 73-74 registrò per il Savona un crollo davvero non preventivato dopo la brillantissima stagione precedente.

I biancoblu fecero, infatti, registrare una inopinata retrocessione.

Partito Volpi alla volta di Venezia, Briano aveva affidato la direzione tecnica all’ex-interista Carlo Tagnin, che non riuscì a trovare il bandolo della matassa, anche per via del modesto rendimento di Tuttino e Pavoni, e l’incipiente declino di Nello Governato: subentrato in panchina Giacomino Persenda non bastarono i tanti goal di Panucci a salvare un Savona condannato a lasciare la Serie C dopo 16 anni (intervallati anche da una stagione in Serie B).

Per la cronaca il girone “A” di quel campionato 73-74 venne vinto dall’Alessandria.

Lo Spezia, guidato questa volta dall’ex-juventino Corradi, terminò undicesimo nell’ambito dei girone “B”: da ricordare le prestazioni dell’attaccante Agostino e del  centrocampista Seghezza, in seguito a lungo dalle nostre parti come direttore sportivo della Cairese e del Vado.

La nostra rappresentanza regionale nel girone “A” della Serie D 73-74 risultò particolarmente folta: l’Imperia giunse terza, fallendo di poco la rincorsa al Casale. Nelle file dei neroazzurri si mise in luce l’ex-bolognese Ghetti e risultò positivo il ritorno in panchina di Gigi Bodi, subentrato a Duzioni. Quarto posto per il Sestri Levante, di cui va ricordata la direzione tecnica di Fosco Becatttini, nona l’Entella, quattordicesima la neo-promossa Levante, che allineò illustri personaggi del mondo calcistico genovese, dall’ex-savonese Tosello, agli ex-genoani Locatelli e Morelli (si pensi che nelle fila del vittorioso campionato di Promozione 72-73, aveva giocato tra i “blu” assicurativi perfino Paolone Barison). Retrocessero Lerici (penalizzato di otto punti per un illecito) e Albenga.

La Serie C 74-75 vide così, per la prima volta dai tempi della Sanremese anni’50, una sola squadra ligure inserita in organico: si trattava dello Spezia, che sempre diretto da Corradi non riuscì ad oltrepassare il dodicesimo posto nel girone “B”, vinto dal Modena.

Molto nutrita per contro la nostra rappresentanza regionale presente nel girone “A” della Serie D.

La migliore del lotto, dominato dall’Albese di De Gasperi e Strumia, risultò l’Imperia allenata da Turra che, ricostituita la coppia degli eterni “cognati terribili” Natta e Gittone  giunse al quarto posto, subito dietro si piazzò l’Entella, mentre il Savona, partito male e poi ripresosi grazie all’avvento nella direzione tecnica della coppia Cucchi-Pelizzari finì con l’assestarsi sulla settima posizione.

5.jpg

Il Savona tornato in Serie D nella stagione 1974 – 75. da sinistra: lo storico segretario Gaetano Chiarenza, Orcino, Perlo, Rota, Canepa, Nacinovich, Borri; In ginocchio: Favalli, Cucchi, Corbelli, Corbellini, Brignole

Nono posto per la Sarzanese diretta da Castellazzi ed illuminata dalla classe di Dido, mentre si rivelò inevitabile la retrocessione per la Levante, in un campionato risultato inaccessibile per le possibilità tecniche della compagine genovese che pure, oltre a Locatelli, poteva contare su fior di atleti come Macelloni, Blondet, Onori.

IL SAVONA RIMANE IN SERIE D

Riprendiamo il nostro racconto relativo alla storia del calcio ligure “oltre il Genoa e la Samp” avviato nelle scorse stagioni raccontando le vicende torneo 1975-76: lo Spezia, spinto dai goals di Luteriani e Agostini, raggiunse la salvezza con il tredicesimo posto ottenuto nel difficilissimo girone B della Serie C; anche in quella stagione si verificò il classico cambio dell’allenatore con Corradi sostituito dal fedelissimo Bumbaca (già terzino della grande squadra di fine anni’50).

Nella Serie D, girone “A”, si può ben affermare che il Savona perse una grande occasione: il nervosismo del “patron” Robbiano capace di licenziare, per due volte nella stessa stagione, Bodi (sostituito alla fine da Nino Parodi, ex-centravanti di Vado, Alessandria, Vigevano e dello stesso Savona) finì con il frenare il rendimento della compagini che, pur disponendo di due “bocche da fuoco” come Panucci e Beppe Corbellini, giunse soltanto terza alle spalle della non irresistibile coppia Biellese – Omegna (la partita persa in casa dagli striscioni, ad opera dei “lanieri” grida ancora adesso vendetta).

6.jpg

La Sanremese del ritorno in Serie D: da sin. in piedi, Porzio (dirigente), Cavalleri (oggi agente di Borriello e altri), Foglia, Ventura, Chiari, Grammatica, Zitta, Gatti, Scaburri, Duce, Brenna (all.); acc.: Conchioni, Rigato, Ferlito, De Maria, Masia, Tonoli, Guindani (mass.)

In quel campionato si registrò anche il gradito ritorno della Sanremese giunta sesta nella classifica finale: tra i biancoazzurri, allenati da Brenna, si posero in evidenza tutta una serie di assi del calcio ligure, dal “libero” Gatti, ad Alberto Tonoli ed ancora Zitta, Scaburri, Bruno Perlo, Giampiero Ventura (attuale allenatore del Torino in Serie A, dopo una lunga carriera trascorsa sulle panchine di Entella, Cagliari, Sampdoria, Bari, senza citarle tutte).

Questi i piazzamenti conseguiti dalle altre liguri presenti in quel torneo: decima l’Imperia, undicesimo il Sestri Levante (in evidenza il centravanti di scuola savonese Tonino Sacco) dodicesima l’Entella, che aveva rilanciato in panchina un grosso nome come quello di “Nano” Bassetto.

Nella stagione 76-77 si segnalò il ritorno dello Spezia a livelli più adeguati alla grande tradizione del sodalizio bianconero: terzo posto nel girone “B” della Serie C.

7.jpg

Spezia 76 – 77 : Da sin in piedi : Agostini, De Fraia, Ferraris, Motto, Moscatelli, Bonanni Accosciati Seghezza, Francheschi, Speggiorin, Giulietti, Sellitri

Si rivelò, in quella memorabile annata, un grande allenatore come Nedo Sonetti, mentre risultarono determinanti le parate di Moscatelli e si dimostrò buon attaccante il vicentino Speggiorin II, ottima spalla di Agostini.

Quel torneo di Serie C venne vinto dalla Pistoiese: era l’epoca d’oro della squadra arancione che allineava giocatori di spicco, quali il futuro juventino Sergio Brio, ed il portiere ex-interista Lido Vieri, oltre al mediano Borgo di cui avremo occasione di riparlare.

In Serie D, girone A 76-77, successo finale di un Omegna targato “Liguria”; nelle fila rossonere alla regia di Piero Pittofrati corrisposero, infatti, puntualissimi i goal s di Victor Panucci, come era già avvenuta nelle juniores del Savona dei primi anni’60.

Ancora turbolenta la vita del Savona in quel periodo: dopo poche giornate di campionato Robbiano cacciò “mister” Omero Tognon, sostituendolo con l’inadatto Agosti; tra i biancoblu non bastarono così, per avvicinarsi al primato, le meraviglie delle mezze ali Pupo e Pandolfi e la regolarità realizzatrice di Geremia.

Il Savona fu soltanto quarto, mentre sorprese al quinto posto il Sestri Levante del presidente Pezzi e dell’allenatore Becattini, che allineò il micidiale tandem tandem d’attacco formato da Cuccu e Melillo.

Sesta arrivò l’Entella allenata da Baveni che disponeva di un grande attacco imperniato su “lampadina” Chiarotto, Comini, Favara e sull’ancor validissimo Ermanno Cristin.

Ottavo posto per l’Imperia e nona posizione per la neo-promossa Rivarolese, diretta da un Nocentini in grado di mixare al meglio la giovanile esuberanza di Bocchinu con l’esperienza di Tiziano Stevan e Pucci Gittone; quest’ultimo ormai in chiusura di carriera, prima di dedicarsi completamente alla famiglia ed al distributore di Pegli.

Un po’ in ombra, invece, la Sanremese soltanto tredicesima, nonostante l’avvento di Bodi in panchina e l’innesto di giocatori di classe come Budicin e Corbellini, mentre retrocesse la Sarzanese diretta da Piquè.

NASCE LA C2

La grande novità, alla vigilia dei campionati 77-78, era rappresentata, al nostro livello, dalla prospettiva di una nuova strutturazione prevista dalla FIGC attraverso lo sdoppiamento della Serie C, in serie C1 e serie C2.

L’obiettivo generale diventò quello della qualificazione ai nuovi campionati: lo Spezia centrò la permanenza in C/1, con un settimo posto (girone vinto dalla Spal) conseguito da una squadra che Sonetti aveva imperniato sul portiere Masoni, lo stopper Batistoni (passato successivamente a Roma e Verona) e i centrocampisti Sellitri e Zunino.

C/2 assicurata, invece, per Imperia (vincitrice del girone “A” di Serie D) Savona (seconda) e Sanremese (quinta).

Le notazioni più importanti riguardanti queste squadre furono: nei neroazzurri imperiesi, mentore Bruno Baveni, l’esplosione degli attaccanti Sacco e Manitto; nel Savona l’avvento in panchina di Valentino Persenda, uno degli uomini-simbolo di tutta la storia bianco-blu; nella Sanremese l’affermarsi di un giocatore di valore come Graglia.

8.jpg

Imperia anni’70: Manetti, Sobrero, Sassu , Natta, Ronco, Papini, l’allenatore Hanset accosciati: il massaggiatore, Sabbatucci, Catroppa, Raimondo, Pacciani, Buscaglia.

Restarono escluse dalla nuova C/2: Sestri Levante, Entella (non erano bastati i goal di Cristin e il ritorno in panchina di “Budda” Campanelli), Albenga (dove aveva esordito in panchina Paolo Tonelli) e Rivarolese (retrocessa direttamente nei Dilettanti).

La nuova C1 (78-79) risultò fatale, alla sua istituzione, per lo Spezia: i bianconeri, infatti, giunsero al diciassettesimo posto e retrocessero inopinatamente assieme a Padova, Trento e Modena.

Bumbaca sostituì Sonetti in panchina a campionato inoltrato e giovani come Bongiorni e Sassarini misero in evidenza buoni numeri; ma tutto alla fine risultò inutile.

In C2 (Girone “A”) compì, invece, una grande impresa la Sanremese di Caboni che, imperniata sui vari Melillo, Rolfo, Trevisani, Vella (attesa da Sampdoria, Lazio, Atalanta, Catania) riuscì a vincere un difficilissimo torneo.

Ma nella lotta per la promozione c’era stata, fino in fondo, anche l’Imperia eliminata in un tesissimo spareggio a quattro che qualificò l’Aquila Montevarchi, capace di mettere in fila (in piena canicola!) Carrarese, Cerretese, Sangiovannese e -appunto – i neroazzurri imperiesi.

Per contro risultò drammatico il campionato del Savona, salvatosi all’ultima giornata grazie ad un successo esterno (2-0) ottenuto in quel di Tortona.

Il sodalizio biancoblu iniziò quel torneo in piena crisi societaria, allineando la squadra ragazzi: soltanto a Novembre, subentrato Michele Viano alla presidenza e richiamato Persenda in panchina la compagine venne completamente rifondata, portando in biancoblu un nucleo di giocatori esperti, tra i quali Pierino Prati e Antonio Marcolini, capaci di dimostrare ancora tutto il loro valore espresso in tanti campionati di Serie A e B.

La Serie D, ormai diventata la quinta serie nazionale, vide l’affermazione nel girone “A” dell’Arona, con questi piazzamenti conseguiti dalle liguri: quinta Albenga, settimo Pontedecimo, dodicesimo Sestri Levante, quindicesima Entella, retrocessa.

SANREMESE IN GRAN SPOLVERO

La Sanremese corrispose alle aspettative, accese con la promozione nel primo campionato di Serie C/2, mantenendo alto il vessillo della Liguria nel girone “A” del campionato di C/1 79-80.

I bianco-azzurri matuziani, sempre allenati da Caboni che poteva contare sul portiere di scuola juventina Carraro, sui forti difensori Cichero (poi affermatosi come vera e propria “istituzione” della società sanremese) e Maggioni e sul centravanti Pietropaolo (già rivelatosi buon elemento nella Pro Patria e nel Savona) conseguirono un lusinghiero quarto posto al termine di un torneo che vide l’affermazione finale del Varese.

Un Varese in cui agivano, nelle vesti di giovane allenatore “Nano” Fascetti fine-dicitore dell’ultimo Savona di Serie B e Giancarlo Salvi, da Dego, che stava spendendo in campo gli ultimi sprazzi di gloria accumulati con le maglie di Sampdoria e Vicenza, laddove in quest’ultima società si era laureato vice-campione d’Italia a fianco di Paolo Rossi.

Nella C/2 girone “A” colpo gobbo dello Spezia: terzo in classifica, sospinto dai 23 goal messi a segno da un incontenibile Barbuti.

Ma la fortuna era in agguato: penalizzata la Rondinella Firenze di 6 punti, per lo Spezia arrivò la sospirata promozione in C/1.

Senza infamia e senza lode il cammino del Savona: l’immatura scomparsa del presidente Viano aveva riportato in primo piano, a livello dirigenziale, la famiglia Del Buono, questa volta nella figura di Marino figlio minore del grande Stefano, affiancato dall’ex-giocatore Marietto Vagnola (autore poi come dirigente, di una folgorante carriera: dalla Federazione alla Juventus, poi scomparso del tutto prematuramente lasciando un vuoto incolmabile nell’economia e nello sport savonese).

Sul campo quel Savona ottenne l’undicesimo posto presentando tra i pali il portiere Walter Zenga, successivamente passato all’Inter e alla Sampdoria e in grado di collezionare ben 58 presenze in maglia azzurra.

Retrocessione senza riscatto, invece, per l’Imperia, dove risultò del tutto pleonastico il cambio dell’allenatore da Brenna a Ferrari.

In Serie D il passaggio di categoria premiò Asti e Omegna, mentre risultò sorprendente il quarto posto realizzato dal Pontedecimo, neo – promosso e diretto dall’ex genoano Luciano Delfino, con in organico un goleador come Sodini capace di realizzare 19 reti.

Il Sestri Levante finì undicesimo, l’Albenga dodicesima mentre durò soltanto dodici mesi il sogno di gloria della Sestrese, appena risalita dalla Promozione e terminata diciottesima, nonostante il buon lavoro del “mister” Edilio Solari.

Anche il campionato di Serie C/1, girone “A” 80-81 confermò il buon momento della Sanremese: ottavo posto conseguito utilizzando in panchina l’ex-ala destra del Milan “Pantera” Danova, e in campo lo juventino Alessandrelli, l’atalantino Vertova e il sampdoriano Paolini.

Brutto tonfo, invece, per lo Spezia: diciassettesimo e retrocesso.

Barbuti si confermò con 17 reti, mentre deluse Sodini che a Pontedecimo aveva pur fatto grandi cose.

Ma agli spezzini risultò esiziale il valzer della panchina passata da Mazzanti a Curletto e (ancora!) a Enzo Robotti.

In C/2 era rimasto il solo Savona: una buona squadra affermatasi al quinto posto dopo il cambio dell’allenatore (Canali subentrò a Locatelli, dopo una disastrosa sconfitta casalinga subita dalla Rhodense, alla fine vincitrice del campionato).

Nell’organico di quel Savona si segnalarono Barozzi e Bongiorni, negli anni a venire protagonisti nelle serie maggiori, e – soprattutto – il portiere Beppe Ridolfi, modesto quanto prezioso giocatore che ha compiuto, sicuramente, una carriera inferiore alle possibilità che gli derivavano dalle sue eccezionali caratteristiche tecniche.

9.jpg

La rosa del Vado capace di recuperare dopo tante stagioni il posto in serie D.

Nella Serie D, girone “A” si verificò il pronto riscatto dell’Imperia, dopo la delusione della precedente stagione.

I nero-azzurri trovarono subito la via di una nuova promozione, avvalendosi dell’apporto del tecnico di scuola juventina Giovannino Sacco, mentre la squadra poggiò essenzialmente su Schiesaro, Sacco, Lombardi e Atragene.

Al sesto posto si classificò il Rapallo, capace di recuperare il posto in Serie D dopo un’eclissi più che decennale, grazie alla fusione con la squadra genovese del San Desiderio (che nella stagione precedente aveva vinto lo spareggio – promozione: 4-2 al Vado, sul terreno dello stadio di Marassi), undicesimo il Pontedecimo, quattordicesima l’Albenga, diciassettesimo il Sestri Levante.

CALCIO BY NIGHT ANNI 60-70: LE QUATTRO SQUADRE PER UN’IDEALE FINAL – FOUR

SECONDA META’ DEGLI ANNI ’70: ECCELLENZA, PROMOZIONE PRIMA E SECONDA CATEGORIA

1995, SENTENZA BOSMAN: L’INVASIONE DEGLI STRANIERI NEL CALCIO ITALIANO

 “Cose da Zena” (Le scelte dei perdenti)

di Bruno Marengo

Franco Astengo, che ha spesso il merito di “destarmi dal mio ozio meditativo” con delle sollecitazioni interessanti di vario tipo, questa volta, sulla scia di un raccontino che gli feci tempo fa, mi ha invitato a scrivere qualcosa sul tema “Le scelte dei perdenti” in riferimento alle origini del nostro tifo calcistico, che pratichiamo in “campi avversi”. Io “tengo” per il Genoa, lui per la Sampdoria.

Il primo ricordo che ho del mondo del calcio e del tifo è legato al mio debutto a Marassi in gradinata Nord, nel gennaio del 1947, in occasione della partita Genoa-Torino. Parliamo del Genoa del grande Verdeal, di Garbutt e del Torino del grande Mazzola. Partita persa per un soffio dal Genoa che giocò ad armi pari con lo scudettato Torino; partita giocata due anni prima della tragedia di Superga.

Ero molto piccolo ed ho conservato solo ricordi frammentari: il viaggio in treno con mio padre ed il suo inseparabile amico genoano Pino Papalini: “Bezêugna vinse… a zûgâ ben u ghe sempre tempu!!!”. L’indimenticabile impatto con la “Nord”, tra cori e sventolio di bandiere, stando nella “Fossa” sulle spalle un po’ di mio padre e un po’ di Pino.

Di quel pomeriggio allo stadio, ricordo le urla dei tifosi, la confusione, la voce proveniente da un altoparlante. Ho più nitido, invece, il ricordo di un viaggio, qualche anno dopo, in compagnia di mio padre, genoano di fede, di suo cugino Giuanin Cerutti, sampdoriano (già corridore ciclista e poi dirigente calcistico), del loro amico Beppe “u Testun” (nomen omen-genoano di ultra fede) e di mio cugino Marino (genoano, nipote di Giuanin). Giuanin, aveva un camioncino su cui salimmo seguendo le indicazioni di mia madre che aveva portato un cuscino in modo che io e Marino stessimo più comodi. Giuanin e mio padre davanti, io, Beppe e Marino dietro, tra la ruota di scorta e un bidoncino d’olio da portare a dei parenti di Valleggia. Ho ancora in mente le raccomandazioni di mia madre a mio padre: “Tegnili pe man! Me raccomandu! Che ti quando u se tratta du Zena ti ve in confuxiun!!!”. Raccomandazioni che avrebbe ripetuto a mio padre per anni. Anni in cui si andava spesso a Genova per la partita con Giuanin (che era passato all’Ardea), con tappa nell’antica Osteria del Toro a Sampierdarena. Trattoria sampdoriana, ma dove però mio padre andava volentieri perché cucinavano un delizioso minestrone, una magica trippa e uno stoccafisso sopraffino.

Quando Giuanin non poteva venire, partivamo in treno “all’alba” (insieme a tutto il “ghota del genoanismo” spotornese) con tappa, prima della partita, sotto la casa di Paganini in Passo di Gatta Mora (quartiere di via “Madre di Dio”) e poi, altra tappa, in un’osteria nei pressi di Marassi dove Beppe “u Testun” aveva depositato in custodia l’asta di legno della bandiera del Genoa, troppo scomoda da portare in treno ogni volta. Avevamo con noi il pranzo al sacco e nell’osteria loro si bevevano un quartino di vino e io la gassosa. Grande fu il dolore di mio padre quando non trovammo più la casa di Paganini, demolita per lasciare spazio ai “giardini di plastica”: “Ignuranti! Demulì a cà de Paganini!!! E a sutteralu i g’han duvüu pensà quelli de Parma!!! Eh… sti zeneixi… i n’han interróu u portu, distrütu a Cattedrale in sciou Priamar… de bun i han fundou u Zena… che poi i sun stèti i ingleixi… u Spensley…”. Mio padre, violinista, che per anni aveva suonato nelle sale da ballo della Riviera, nelle feste e nei matrimoni in chiesa, esprimeva a voce alta la sua amarezza. Gli venivano i lacrimoni come quando parlava della tragedia di grande Torino, di Valerio Bacigalupo (vadese che veniva a fare i bagni a Spotorno) e di Fausto Coppi.

Era un uomo mite, di grande buon senso, un “metalmeccanico di quelli di una volta”. Quando iniziammo a recarci a Genova per la partita con la mia cinquecento rossa nuova di zecca, il ponte Morandi non era ancora stato inaugurato; poi venne il giorno della “prima attraversata del nuovo ponte” presentato come un “simbolo di progresso”. Lui osservò tutto attentamente poi mi fece: “Va ben u prugressu… ma quelli chi stan lì de sutta?”. Parole che mi sono tornate alle mente subito dopo aver appreso della tragedia del crollo del ponte.

Ma per tornate alle “scelte dei perdenti”, credo sia importante ricordare quanto ha raccontato Fabrizio De Andrè a proposito del suo tifo per il Genoa e della sua predilezione per i più deboli e i “non vincenti”. Il padre, fervente tifoso torinista, lo portò con il fratello a vedere proprio la partita Genoa Torino di cui ho scritto all’inizio. Il Genoa era più debole ma non meritò di perdere, lottò a viso aperto, sfiorando il pareggio. E così lui, che era entrato nello stadio di Marassi da torinista, ne uscì da genoano. Posso dire che a me è successa la stesa cosa anche se in un tempo un po’ più “diluito”. Cominciammo presto a fare i conti, non accettandola, con “l’ingiusta legge del più forte”, come diceva mio padre. Non solo nel calcio, anche nella vita.

5 gennaio 1947

Genoa – Torino 2-3

Reti: 12’ Ossola, 53’ Grezar, 72’ Ferraris II, 85’ Verdeal , 87’ Trevisan (rigore)

Genoa: Cardani, Cappellini, Becattini, Cattani, Sardelli, Bergamo, Verderi, Trevisan, Gaddoni, Verdeal, Dalla Torre

Torino: Piani, Ballarin, Maroso, Loich, Rigamonti, Grezar, Ossola, Martelli, Gabetto, Mazzola, Ferraris II

Arbitro Pizziolo di Firenze

A questo punto devo aprire un altro capitolo che ha al centro la partita Juventus-Genoa 3-2 giocata a Torino, nello Stadio Comunale, il 22 settembre 1957.

Fu mio padre a parlarmi per primo della Juventus degli anni trenta del famoso trio Combi Rosetta Caligaris, dei cinque scudetti; della venuta a Spotorno, grazie al Commendator Zambelli dirigente juventino, di Cesarini, Orsi, Vecchina. Suonava in orchestra nella sala da ballo del Premuda e gli capitò di prestare il suo violino a Mumo Orsi che eseguiva languidi tanghi argentini.

1.jpg

Spotorno 24/8/1930, Mumo Orsi sulla spiaggia del Premuda con Luigi Rolando, uno sportivo spotornese.

Durante le mie frequentazioni del negozio di barbiere del padre del mio amico Ino “Turbine” (che “teneva” per il Torino), dove andavo a leggere “Lo Sport Illustrato”, scoprii Carletto Parola grande centromediano della Juventus che nelle figurine veniva sempre rappresentato mentre eseguiva la classica rovesciata. Io ero il centromediano della squadretta parrocchiale allestita dal buon Don Quaglia, Vice Parroco, e allenata da Gino Maglio, anche lui centromediano, juventino di ferro. Ricordo con quanto orgoglio portavo la maglia numero cinque, come quella del mitico centromediano juventino! Poi, la grande notizia riferitami da Gino: Parola era venuto a trascorrere le vacanze estive a Spotorno presso l’Albergo Vallega, a pochi passi da casa mia!!!

Dopo vari appostamenti, mi feci coraggio e gli chiesi l’autografo che mi fece su una sua foto tipo cartolina. Che emozione!

Dopo questa premessa, appare evidente quanto grande sia stato il mio interesse per la Juve, nonostante le pressioni del mio amico spagnolo Patrizio Balbontin (il padre del comico Enrique) detto il “Duca”, genoano sfegatato, che per convincermi confrontava i giocatori del Genoa con quelli della Juve concludendo sempre che “U Zena” era più forte. Quante partite abbiamo visto insieme!

Mio padre, in quegli anni, suonava ancora nella sala da ballo del Premuda dove aveva conosciuto un grande ballerino torinese, in vacanza a Spotorno, soprannominato Gino-dancing. Diventarono grandi amici e Gino-dancing a volte veniva a pranzo a casa mia portando sempre dei fiori a mia madre che preparava le trenette al pesto e grandi fritture di pesce. Spesso alzava un po’ il gomito (vermentino, pigato) e, dopo il caffè, iniziava a raccontare delle sue conquiste amorose (era uno scapolone impenitente) che avvenivano sempre nelle mitiche sale da ballo torinesi come la “Hollywood Danze” o la “Serenella” o “La Rotonda Moda” del Valentino. Non mancavano i riferimenti a Fred Buscaglione (che lui diceva essere un suo grande amico), a Fatima Robin’s e agli Asternovas. Mio padre andava in estasi ascoltando i racconti di quel mondo delle sale da ballo che erano anche un po’ parte della sua vita. Poi, ampie divagazioni sul cinema ed in particolare sui film musicali di Gene Kelly (“Un giorno a New York” con Frank Sinatra, “Un americano a Parigi”, musica di Gershwin con la splendida ballerina Leslie Caron, “Cantando sotto la pioggia” con una radiosa Debbie Reynolds). Infine il calcio: Gino-dancing (“gobbo”-juventino) quell’anno ne aveva da dire: la Juve si era presentata nel campionato con John Charles e Omar Sivori, due autentici fuori classe che avevano cominciato subito a fare faville, trasformando una squadra di media classifica in una favorita per lo scudetto. Approssimandosi la partita Juventus Genoa, iniziarono i preparativi per la “trasferta”. Gino-dancing aveva un negozietto in una viuzza nei pressi di Piazza Vittorio a Torino; vendeva e aggiustava orologi, commerciava in macchine fotografiche e radio anche usate. Viveva in un “appartamentino da scapolo” posto nel retro del negozio. Partimmo, il sabato mattina, per Torino sulla sua “topolino” (non era “amaranto” ma giallina) e lo scopo del viaggio non era solamente la partita: mio padre aveva deciso di acquistare due orologi da polso Omega e una macchina fotografica dall’amico. Un vero avvenimento, dopo l’acquisto della radio, naturalmente usata, che ci consentiva di ascoltare la radiocronaca del secondo tempo di una partita di serie A e l’aggiornamento in diretta dei risultati parziali di tutte le altre (allora si giocava solo la domenica pomeriggio). Che bello quel viaggio in auto! Allora non c’era l’autostrada e si attraversavano tanti bei paesi con le loro chiese, le loro piazze. Tappa a Mondovì per pranzare nella trattoria di un conoscente del Gino-dancing, dove si serviva il famoso “bollito di carni alla piemontese”. E poi, finalmente Torino! Il Po, la Gran Madre, i Cappuccini, quella piazza immensa. Nel pomeriggio, Gino-dancing aprì il negozio e arrivarono subito dei clienti. Mio padre mi regalò un Omega facendo aggiungere un buco nel cinghino, l’altro lo tenne per sé. Poi, l’acquisto (un vero affare) della macchina fotografica usata: una “Agfa super silette” made in Germany che conservo ancora. Gino-dancing ci tenne una vera e propria lezione: come inserire il rotolo della pellicola, come estrarlo, la messa a fuoco dell’immagine col telemetro, la regolazione della luce: “sole, ombra, mezzo sole, nuvolo”.

Dopo un cappuccino in un bar, tutti a nanna. Io e mio padre dormimmo in un lettino sistemati “all’opposto” l’uno dall’altro, come si ci aggiustava allora quando si affittava ai bagnanti.

La domenica, dopo una colazione-pranzo in una latteria (deliziose meringhe con la panna, bicerin) finalmente allo Stadio Comunale. Finimmo nella curva juventina (causa Gino-dancing) con grande disagio. Poi, due miracoli: gol di Corso (Antonio, non Mariolino che venne al Genoa anni dopo), gol di Becattini con un rinvio alla “viva il parroco” che buggerò il portiere Mattrel uscito alla “carlona” (infatti si chiamava Carlo). Mio padre era raggiante anche se si tratteneva nelle esternazioni, essendo noi circondati dalla tifoseria juventina. Poi, l’incubo: Boniperti, Sivori, Charles in rete, Genoa sconfitto. Gino-dancing ci accompagnò in auto alla Stazione FS di Porta Nuova e ci salutò a modo suo: “Dai! Che la prossima vince il Genoa! Andiamo tutti a Marassi!!! E alla Juve lo scudetto!!!”. Non ho mai dimenticato quel viaggio in treno, le frasi smozzicate di mio padre sull’ingiusta legge del più forte, la sua delusione per un sogno svanito. Cominciai a sentirmi della rabbia dentro per “quell’ingiustizia della legge del più forte”. A casa, mi madre ci aspettò ancora alzata: “Cumme a l’è andeta?”. “A pureiva anda ben ma e l’è andeta mâ… cose da Zena…”, mio padre sospirava e forse cominciava a pensare quello che in tempi successivi mi avrebbe detto come un insegnamento: “Eh… tegnî pe u Zena u l’è in psicudramma…”, frase che gli ripeteva sempre l’amico Pino Papalini.

2.JPG

E fu così che cominciai ad appassionarmi al Genoa, tenendo ancora, per un po’, un occhio di attenzione sulla Juve come “seconda squadra”, poi la persi completamente.

Mio padre comprese il mutamento in corso e “consacrò” la mia “genoanità in prossimo arrivo” a seguito della “soffiata” di un suo amico che gli aveva riferito di avermi visto ad una “manifestazione di comunisti”. C’era stato uno sciopero operaio ed io avevo aderito con la mia classe (allora ero studente) senza neppure conoscerne bene le motivazioni. Ci trovavamo sotto al palco degli oratori e venimmo invitati a salire per manifestare l’adesione. Fui sospinto sopra dai miei compagni e tutto emozionato (era la prima volta che parlavo ad un pubblico numeroso) riuscii appena a dire: “Porto l’adesione degli studenti”. Mio padre, avuta la conferma che il suo amico gli aveva riferito in modo corretto, mi disse sorridendo: “A semmu xa genoani e oua ti fe u cumunista??? Ti nu n’è mai a basta???”.

Da allora, fu un susseguirsi di andate a Marassi con mio padre ed i suoi amici, in treno e poi con il pulman organizzato dal Genoa Club di Spotorno, che nel frattempo era stato fondato.

3.jpg

Il pullman del Genoa Club Spotorno in partenza per la partita Genoa Palermo (3-0 – 26/3/1972). Foto “archivio Papalini” (scattata dal figlio Elviano).

Il secondo da sinistra è mio padre, Gerolamo Marengo detto Giêumo o Giömin (con la cravatta d’obbligo, la domenica), il terzo è Pin Vincenti di Noli, poi si intravede seminascosto Carlo Centi (sampdoriano aggregato), a seguire Claudio Rosa con la barba (interista aggregato, con lui ho tirato calci al pallone), Beppe (“u Testun”), Marietto Saccone (“u Carappa”), Giamello, “U Ce Baglietto”-accosciato con la bandiera, Aldo Magnone, Emilio Scarone, i Chiarlone junior e senior, Pierino Prato, Bruno Marengo, Piccardo, Alvaro giovane tifoso genoano, Pino Papalini il “capo spedizione”.

Tanti gli aneddoti, gli episodi sempre in chiave “psicodramma”. Voglio ricordare gli spareggi del Genoa per evitare la retrocessione dalla serie B alla C nell’estate del 1968 vissuti con grande apprensione dalla comunità genoana spotornese. Il Genoa si salvò ma la strizza fu tanta. Il 20 agosto 1968 la truppe del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia, invasione che il PCI di Longo condannò. Fu organizzata un’assemblea dalla Sezione del PCI di Spotorno ed io fui invitato. La discussione fu molto vivace (gli americani stavano facendo la guerra in Vietnam) ma poi il documento della Direzione nazionale del PCI venne approvato. All’uscita, Pino Papalini, il grande amico di mio padre dal cuore genoano, mi disse: “A semmu appena sciurtii da i spareggi pe nu andà in C e oua u ghe mancava a Cecoslovacchia!!!”.

Negli anni novanta ero iscritto al Genoa Club Regione Liguria. Durante una festa nel periodo natalizio venne sorteggiato con una lotteria un enorme panettone che fu vinto dall’unico sampdoriano che aveva preso un unico biglietto!!! Commento “bilingue” di un genoano presente: “Eh… sti sampdoriani che cû… mëgio da Loren… non si doveva vendere quel biglietto… l’acquirente era noto… e stèmughe attenti a proscima votta!!!”. A proposito di sampdoriani: in quegli anni mi trovavo sempre con Franco Astengo a pranzare in un self service di Genova. Politica, cultura e… naturalmente calcio!!! Tra me e lui la differenza più marcata probabilmente è “per chi teniamo”, calcisticamente parlando.

4.jpg

Questa è la Nord! Genoa Bari 1-0      Stadio Marassi 27/5/1973 (foto Papalini con dedica)

5.jpg

Bruno Marengo con Fosco Becattini “Palla di gomma”, bandiera genoana, in un incontro del Genoa Club Regione Liguria negli anni novanta.

Un bel ricordo è la partita Genoa Barletta, ultima del campionato di Serie B (18 giugno 1989), giocata nello stadio di Pisa (Marassi era in rifacimento per i mondiali). Campionato vinto dal Genoa di Scoglio, “u Schêuggio””, che ritornava in Serie A dopo cinque anni (nel campionato precedente di B si era salvato dalla C per un pelo). Andai a vederla con Carlo, l’amico Gianni Ferrando e suo figlio Davide. Partita vinta e grande festa per la promozione. Stadio pieno all’inverosimile: tutti a cantare “Ma se ghe penso alôa mi veddo u mâ…”. “U “sciô” Aldo, “u Prescidente” Spinelli, che sfila tra gli applausi con l’allenatore Scoglio, “u prufessû”. Non mancò però, anche in quella occasione di festa, una “nota di colore” in stile genoano: ad un tratto, apparve il Ministro della Marina Mercantile Prandini, amico di Spinelli. Tra i tifosi c’era un nutrito gruppo di portuali che, riconosciutolo – con lui avevano un “conto aperto” -, cominciarono a fischiare ed a lanciare urla non propriamente da galateo. Frettolosa “ritirata” del duo negli spogliatoi. “Cose da Zena”.

Invece, un ricordo tristissimo è la partita Genoa Milan, giocata il 29 gennaio 1995. Un ultrà milanista uccise Vincenzo Spagnolo “Spagna”, un giovane tifoso genoano. Avevo accompagnato i miei figli Carlo e Mario con il loro amico Davide alla stadio e poi avevo proseguito per la Val Polcevera dove ero atteso per una iniziativa politica (allora ero Consigliere Regionale) con i compagni Giordano Bruschi e Paride Batini. Eravamo in una Società di Mutuo Soccorso e arrivò la tragica notizia dell’uccisione e dei disordini in corso, proprio alla fine della riunione. Telefonai a mia moglie (allora non avevamo cellulari) che mi riferì che Carlo l’aveva chiamata dicendo che erano arrivati alla Stazione FS di Brignole per prendere il treno. Un sollievo, con il groppo in gola per quella giovane vita spezzata.

Dopo quella domenica così drammatica, altri campionati, altri momenti.

E veniamo a uno dei tanti “psicodrammi genoani”: l’11 giugno 2005 era in programma l’ultima giornata del campionato cadetto, a Genova, i rossoblu (primi in classifica) ospitavano il Venezia (già matematicamente retrocesso).

L’incontro terminò per 3-2 in favore del Genoa: la vittoria consentì di mantenere il primo posto, vincere il campionato facendo così ritorno in A dopo 10 anni, in cui se ne erano viste delle belle (persino un Presidente “Nuvola che corre”). Da una nota di stampa: “… la partita fu spettacolare perché il Venezia, seppur fosse già retrocesso e seppur giocasse in trasferta, sciorinò una performance grintosa, agonistica e combattiva oltre ogni aspettativa e ben oltre le sue ultime prestazioni dimesse, ma grazie ai gol di Marco Rossi e soprattutto di Diego Milito che con due autentiche prodezze siglò una doppietta d’autore, il Genoa vinse l’incontro in uno stadio gremito e festeggiante la promozione dopo un campionato condotto sempre al primo posto sin dalle prime giornate”. Ero andato a vedere quella partita con mio figlio Carlo e l’amico poeta Giuliano Meirana. Tutta Genova era imbandierata di rossoblu. Festeggiammo la promozione in A, prima in Piazza De Ferrari e poi nel centro storico dove ci aveva raggiunto l’amico Patrizio, il “Duca”. Un gruppo di musicanti di strada suonava “Amapola”. Che notte!!! Che festa!!! Gente che rideva, gente che piangeva, che si abbracciava. Sventolio di bandiere nei caruggi. Dopo pochi giorni il Genoa veniva retrocesso in serie C con punti di penalità per illecito sportivo!!! Se ci fosse stato mio padre: “Cose da Zena… psicudramma…”.

6.jpg

Forza Zena!!!

Con mio figlio Carlo, che ha ereditato la “patente genoana del nonno”, parliamo spesso del Genoa che fu, come facevo con mio padre: lo scudetto da Far West di Arpinati e dei suoi sgherri neri (le stella ingiustamente perduta del decimo scudetto), i boati della Nord, “el filtrador” Stabile, De Vecchi “il figlio di Dio”, Levratto sfondatore di reti, la fuga “dell’atomico” Boyè, la vittoria per 3-1, nel 1956-ultima giornata di campionato, sull’invitta Fiorentina di Montuori, Virgili, Julinho, che quell’anno vinse lo scudetto. I due gol di Di Pietro detto Marinho (uno di tacco) in un derby (con Giuanin Cerutti furibondo, Di Pietro poi non segnò più), quello su punizione di Branco sempre in un derby, Abbadie “El pardo”, “Carappa”, la “farfalla” Meroni, Pruzzo “o rei de Crocefieschi”, la sconfitta con il Montevarchi, le “avventure” dei due Presidenti: u sciô Renzo e u sciô Aldo (che volevano costituire un “triunvirato di cinque esperti” nella trattativa per il passaggio di proprietà del Genoa). Quelle fantasmagoriche de “O Presidente” Preziosi, le sue “marachelle” (illecito sportivo, il “regalo” alla Sampdoria dell’Europa League nel 2015, ecc.), le sue “proditorie” cessioni di tanti assi. L’inno di Campodonico e Reverberi, Il “capitano” Signorini, Ramòn Turone, il professor Scoglio, il Genoa di Bagnoli, del Pato, di Skuhravy, di Marco Rossi (in serie A, B e C), di Milito (l’arte del tango applicata al calcio), di Gasperson, la vittoria sul Liverpool ad Anfield, Frank Sinatra genoano e forse anche Gilberto Govi, Edoardo Sanguineti che dedica delle poesie al Genoa, Gianni Brera, Enzo Tortora genoano della Domenica Sportiva, Pippo Spagnolo il “patriarca”, don Andrea Gallo (un caro amico genoanissimo), Fulvio Cerofolini (“u scindicu”, un altro caro amico genoano) e via evocando.

Indelebile il ricordo di una nostra andata a Firenze, con un gruppo di amici genoani spotornesi, per lo spareggio del Genoa col Padova, per rimanere in serie A. Migliaia e migliaia i tifosi del Genoa, poche centinaia quelli del Padova. Di seguito è descritto il nostro ennesimo “psicodramma”:

10/06/1995

Firenze, Stadio A. Franchi

SPAREGGIO PER LA PERMANENZA IN SERIE A

PADOVA-GENOA 5-4 dcr (1-1 nei tempi regolamentari)

Reti: 19° Vlaovic, 29° Skuhravy

Sequenza rigori: Van’t Schip (G) gol, Fontana G. (P) parato, Ruotolo (G) gol, Cuicchi (P) gol, Marcolin (G) parato, Perrone (P) gol, Bortolazzi (G) gol, Vlaovic (P) gol, Skuhravy (G) gol, Balleri (P) gol, Galante (G) fuori, Kreek (P) gol

PADOVA: Bonaiuti, Balleri, Coppola, Franceschetti, Cuicchi, Lalas, Kreek, Nunziata, Galderisi (100° Perrone), Longhi (107° Fontana), Vlaovic. Allenatore: Sandreani-Stacchini. A disposizione: Dal Bianco, Rosa, Zoratto.

GENOA: Spagnulo, Torrente, Marcolin, Caricola (97° Francesconi), Galante, Signorini, Ruotolo, Bortolazzi, Van’t Schip, Skuhravy, Onorati (70° Manicone). Allenatore: Maselli. A disposizione: Speranza, Delli Carri, Ciocci.

Arbitro: Ceccarini di Livorno

L’uscita dei tifosi genoani dallo stadio sembrava la ritirata napoleonica della Beresina: rabbia, sconforto, imprecazioni, gente che si sentiva male. “Cose da Zena”.

Durante il viaggio di ritorno, in auto non volava una mosca, io e Carlo stavamo pensando a mio padre: “U Zena u nu l’è sulu ‘na pasciun… u l’è in psicudramma… da l’ùa che o sò…”. Con noi viaggiavano Davide Ferrando e mio cugino Marino, che forse pensava anche lui a mio padre.

Quanti i ricordi che riaffiorano. Ne scelgo ancora uno, questa volta bello (col Genoa capita anche questo): la partita (ultima di campionato di serie B, cui presenziai con Carlo e Giuliano il poeta) Genoa Napoli 0 0, con il ritorno in serie A:

Stadio Marassi 10 giugno 2007

GENOA: Rubinho, Bega, De Rosa (1′ st Galeoto), Masiello, Rossi, Milanetto (32′ st Adailton), Coppola (31′ pt Juric), Fabiano, Leon, Greco, Di Vaio [All. Gasperini, Scarpi, Di Maio, Carobbio, Botta]

NAPOLI: Iezzo, Grava, Cannavaro, Domizzi , Garics  (49′ st Giubilato), Montervino, Gatti (20′ st Dalla Bona), Bogliacino, Savini, Sosa, Calaiò (15′ st Pià ) [All. Reja, Gianello, Rullo, De Zerbi, Bucchi]

ARBITRO: Rocchi di Firenze

AMMONITI: Bega, Coppola (G); Cannavaro, Domizzi, Garics, Montervino, Gatti, Pià (N)

Dopo la partita, grande festa a De Ferrari, “toccando ferro” perché con il Genoa non si sa mai. Carlo era entusiasta di Gasperini “Gasperson” (poi, in una successiva stagione, inopinatamente “non confermato” da “O Presidente”).

Carlo vive da molti anni a Torino e il mio nipotino Manrico (quest’anno quinta elementare) spesso mi dice: “A Torino sono circondato! Tutti torinisti e juventini! Ma io resisto! Forza Zena!”. Ha “convertito” al Genoa il suo cuginetto Alessandro “Nardi”, che ha un padre di sicura fede juventina. Fanno la raccolta delle figurine di calciatori della Panini “Adrenalyn”. Il mio nipotino più piccolo, Ettorino, che frequenta la scuola materna, segue le orme del fratello in terra sabauda. Quest’estate siamo andati tutti al Genoa Store nel Porto Antico, a Genova, a comprare magliette, sciarpe e bandiere. Quando, guardando la partita alla tv, gridiamo “Forza Zena”, Ettorino, che è dispettoso e gli piace prenderci in giro, grida “Forza Juve!”. Ma, quando saltiamo tutti insieme gridando “chi non salta juventino è!”, se la ride e salta con noi: “Forza Gena!!! Come dice lui).

Manrico ha “debuttato” a Marassi a otto anni per la partita Genoa Cagliari 3-1 (21 maggio 2016) con me e suo padre Carlo. Con noi sulle tribune Michele Sbravati, Enrique Balbontin e Sidio Corradi (giocatore del Genoa negli anni settanta dalla C alla A). Ettorino per ora è venuto con noi allo Store e al Museo del Genoa nel Porto Antico, ma ci sarà anche per lui il “debutto”: “Forza Gena!!!”.

Il “debutto” di mio figlio Carlo a Marassi non fu fortunato: settembre del 1982, seconda giornata del girone di andata, Genoa Fiorentina 0-3. Era il Genoa di Gigi Simoni.

Con noi c’erano Patrizio (il mio amico spagnolo) e suo figlio Enrique.

Più fortunato fu mio figlio Mario al suo debutto a Marassi il 9 gennaio 1983 (sempre con tutto il “gruppo” con l’aggiunta di Marino Santiglia): Genoa-Juventus 1-0 – rete di Antonelli su punizione deviata dall’indimenticabile Scirea. Ed era la Juventus di Platini e Boniek!

7.jpg

Al Genoa Store con Manrico e Ettorino, agosto 2018, visita al Museo del Genoa.

Mio figlio Mario ebbe giovanili pulsioni per il Milan cominciando da quello “proletario” in serie B (del Presidente Farina), anche quella una scelta verso i perdenti. Ricordo quando citava Hateley, Wilkins, lo “squalo” Jordan, Damiani e tutti gli emergenti “rampolli” milanisti. Aveva una grande ammirazione per Agostino Di Bartolomei.

Poi è approdato al Genoa nel ricordo del nonno. Fa il tifo per i rossoblu in modo ragionato e ironico. Mia moglie Ornella e mia nuora Lorenza seguono la corrente. E così ce la raccontiamo, spesso presi dallo “psicodramma”. Quest’anno, che potremmo goderci in santa pace il Genoa del “Balla” (“el salvador”), i gol di Piatek, le volate e gli assist di Kouamè, c’è il tormentone delle notizie di possibili cessioni. E con “O Presidente de marachelle”… come stare tranquilli? E’ pur vero che ci ha portato dodici stagioni di fila in serie A, il Museo e lo Store, la sede a Villa Rostan (che ho visitato in compagnia di Michele Sbravati, il mago delle giovanili). Chi in serie A può vantare una sede sotto la protezione della Soprintendenza delle Belle Arti? Ma come la mettiamo con le “proditorie” cessioni di tanti assi sempre incombenti??? “Cose da Zena… n’emmu viste de pezu…”, direbbe mio padre.

8.jpg

Mario, Manrico, Carlo, Ettore, prima di una partita del Genoa in TV

Concludo riproponendo questa poesia di Giuliano Meirana, amico genoano e poeta spotornese, scritta una sera in casa mia, nel 2002, per scacciare “u psicudramma zeneixe”:

Genoa

“Tra u russu e u bleu da maggia/bandéa de ‘na pasciùn,/a Nord a canta e a sbraggia/e tuttu u l’è u Grifun./A vuxe seculare/di puè di nostri puè,/affettu familiare, caressa de ‘na muè./Scûdetti, derby, miti,/scunforti, delûxiun,/a forsa de sta driti/ûn gol, l’esaltasiun./’Na fede sensa etè/da gente ciù diversa./”A Genoanitè”/ e a nù l’andià mai persa.”.

Ultima ora: domenica 7 ottobre 2018 ore 12,30, “cose da Zena”.

Tutti in casa mia: Carlo, Mario, Manrico, Ettorino, Ornella, Lorenza

Genoa Parma 1-3, partita ascoltata in radiocronaca (è di quelle che Sky non trasmette)

Gol di Piatek, entusiamo!!! (commenti: “O Presidente” lo vende, speriamo che almeno finisca il campionato).

Papera di Radu (eh… se ci fosse stato Perin!) e gol di Rigoni (ah!!!), quasi gol e palo di Piatek. Gol di Siligardi e di Ceravolo per il Parma. Poi solo nebbia genoana. Ballardini in affanno??? Che pranzo rovinato. Che domenica!

Riaffiorano i dubbi: che starà tramando “O Presidente”???

(Chiuso il 7 ottobre 2018 ore 21,30)

L’11 DEI SOGNI

La “Lettura” del Corriere della Sera ospita, nel sui numero del 27 maggio, un sontuoso intervento di Mario Sconcerti che prova a disegnare la sua squadra ideale di tutti i tempi.

Operazioni sempre coraggiose questa di scelte all’interno della storia del calcio che danno luogo a discussioni interessanti e proficue, ponendo a confronto diversità di opinioni.

Non ci sottraiamo al dibattito e avanziamo così , con tutti i limiti del caso ( e ponendoci anche dei confini ben precisi), una nostra ipotesi.

Partiamo allora dagli “11” di Navarro

La squadra è schierata con una sorta di schema 4-2-1-2-1 con la seguente formazione:

tra i pali Buffon; i quattro difensori: Burgnich, Beckenbauer, Krol, Paolo Maldini; due laterali davanti alla diesa: Tardelli e Bobby Charlton, un trequartista avanzato: Maradona (centrale nel rombo), 2 giocatori dietro la punta: Cruijff e Pelè, punta Platini.

Naturalmente Sconcerti giustifica due scelte anomale: quella di Krol centrale (comunque l’olandese giocò in quel ruolo nel Napoli) e Platini “punta” con esigenze tattica. Allenatore. Helenio Herrera, a suo giudizio l’inventore del ruolo di tranier.

Quale ipotesi contrapporre ad una visione così suggestiva della storia del calcio mondiale?

Prima di tutto ponendoci un limite: quello di restringere il campo agli anni dai ’40 ai ’60 del XX secolo. Questo per ragioni di oggettiva conoscenza dei giocatori da citare, in virtù dell’assiduità e l’intensità nel seguirne le gesta (in anni successivi sinceramente gli elementi di distrazione sono cresciuti, anche se si è ingigantita la possibilità di assistere alle partite tramite lo schermo televisivo) e, in secondo luogo, per una ipotetica migliore adattabilità ad un unico schema.

In prestito tra questa formazione e quella di Sconcerti un solo giocatore: Pelè.

Arriviamo al dunque: lo schema indicato è quello di una variazione tra quello della grande Ungheria 50 – 56, schierata a “zona” in difesa e il 4-2-4 presentato (giocando a zona) dal Brasile ai Mondiali del 1958.

Allora andando per ordine:

tra i pali: Jascin;quattro difensori schierati:Djalma Santos, Santamaria, Moore, Schnellinger; due mediani davanti alla difesa: Liedholm e Bozsik; quattro attaccanti così dislocati: Garrincha tornante sulla destra, Di Stefano arretrato (tipica posizione del n.9 nell’Ungheria che anche lui teneva nel Real Madrid), davanti Puskas e Pelè.

Più o meno così:

1.jpg

Jascin

2.jpg

Djalma Santos,

3.jpg

Santamaria

4.jpg

Moore

5.jpg

Schnnellinger con Gianni Rivera

6.jpg

Liedholm

7.jpg

Bozsik

8.jpg

Garrincha

9.jpg

Di Stefano

10.jpg

Puskas

11.jpg

Pelè

UN SAVONESE IN CAMPO NELLA PRIMA EDIZIONE DEI MONDIALI DI CALCIO

IL GENOANO DE VECCHI PRIMO PROFESSIONISTA NEL CALCIO ITALIANO

  di FRANCO ASTENGO

Nell’estate-boom del calciomercato con l’ingaggio super milionario di Cristiano Ronaldo può essere interessante ripercorrere la storia della nascita del professionismo in Italia con relativa compravendita dei calciatori. E contrariamente a quanto scrivono molte storie, il primo atto nella direzione dell’uso del denaro per costruire le squadre acquisendo giocatori non è avvenuto nel 1923, allorquando assunta la presidenza della Juve da parte di Edoardo Agnelli, Rosetta terzino della nazionale e della Pro Vercelli passò (tra furibonde polemiche) ai bianco neri per la modica (sic!) cifra di 50.000 lire.

Occorre invece tornare indietro di circa un decennio: ci troviamo a Genova, vero punto di snodo della genealogia del calcio italiano. Sotto la Lanterna era stata fondata la prima società (1893), era stato vinto il primo scudetto (1898), giocava il primo capitano della nazionale italiana (1910): in questo caso però il barone Franz Calì da Riposto, terzino sinistro, non militava con la squadra degli inglesi, appunto il Genoa, ma con quella della buona borghesia genovese filiazione della Società Ginnastica Andrea Doria, dai colori bianco blu.

Torniamo però alla nostra storia.

Sino alla stagione 1912 – 13 il calcio si era giocato in Italia all’insegna del più puro dilettantismo. A Genova i giocatori si pagavano persino il tram, per raggiungere da Piazza De Ferrari il campo di Ponte Carrega o quello di san Gottardo.

1.jpg

Il campo di Ponte Carrega

Qualche ragazzo vi andava addirittura a piedi perché non aveva in tasca i venti centesimi per l’andata e ritorno. I meno abbienti compivano il percorso, andata e ritorno, a piedi nudi. Le scarpe se le toglievano prima di partire, allacciandosele al collo, per non consumare le suole.

Queste storie sono raccontate in un bellissimo libro uscito per gli 80 anni del Genoa (1973) scritto da un grande giornalista come Renzo Bidone, testimone diretto di quei fatti.

Fu il Genoa, dunque, ad instaurare nascostamente il professionismo nel calcio italiano ma, naturalmente, cercando di tenere il segreto in quanto il professionismo era vietato nel modo più assoluto dalle leggi calcistiche di quei tempi.

Si erano già avuti piccoli “casi” qua e là: le squadre di Milano e Torino avevano ingaggiato qualche giocatore inglese o svizzero trovando loro un impiego che in pratica era soltanto nominale; c’era già in atto il caso di Fresia, un modenese autentico fuoriclasse che vagò in parecchie squadre italiane e andò pure a fare il professionista in Inghilterra. La figura di Fresia ispirò anche un celebre romanzo per ragazzi “Giorgio Picchia calciatore” scritto da F.P. Trigona, edizioni Salani.

2.jpg

La copertina di” Giorgio Picchia calciatore”

I primi grossi colpi furono però portati dal Genoa con gli ingaggi di Renzo De Vecchi prima e di Sardi e Santamaria poi. Il Genoa di quei tempi era presieduto da Geo Davidson, inglese trapiantato a Genova per i suoi commerci, uno dei più grandi presidenti che la società rossoblu abbia avuto (Davidson, soprannominato “papà Geo” fu anche presidente dell’UVI, la federazione ciclistica). Davidson era un uomo di larghe  vedute, un generoso che incominciò a spendere di tasca sua per rinforzare la squadra quando il mecenatismo era ancora sconosciuto e tanto meno il professionismo. Era pure un uomo pratico, che andava diritto allo scopo.

A quei tempi i giocatori non erano ancora vincolati da liste di trasferimento. Finito il campionato, ciascuno era libero di cambiare società. Così Davidson, allorché seppe che Renzo De Vecchi, appena diciannovenne e già “figlio di Dio”, si trovava in disaccordo con il Milan, mandò di corsa un suo collaboratore a Milano e con poche migliaia di lire (ma erano quattrini grossi a quei tempi) ne ottenne la firma. De Vecchi era impiegato alla Banca Commerciale Italiana e tornava a Genova soltanto la domenica, ma intanto aveva trovato modo di triplicare lo stipendio.

3.jpg

Geo Davidson ritratto nel 1886 quando vinse il primo campionato di ciclismo su strada. Si correva ancora in “Biciclo”

Abbiamo citato Fresia e De Vecchi al cui nome va collegato un altro fatto di grande importanza nella storia del calcio italiano: la prima occasione nella quale la Nazionale Italiana (la cui formazione era varata da litigiosissime commissioni tecniche) usò quasi interamente il “blocco” di una sola squadra di club.

Il 1 Maggio 1913, infatti, l’Italia sconfisse a Torino il Belgio per 1-0. In campo c’erano 9 giocatori della Pro Vercelli e a completare la squadra appunto i già citati De Vecchi e Fresia.

4.jpg

L’Italia schierata a Torino per Italia-Belgio: il portiere Innocenti, Valle, Ara, il capitano Milano I, Leone, Milano II, Berardo, Rampini I, Corna. Unici «intrusi» il milanista De Vecchi – il famoso «figlio di Dio» – e Fresia dell’Andrea Doria accosciati. Il primo a sinistra in piedi è mister Garbutt, l’inglese allenatore del Genoa. In quella partita per la prima volta nella sua storia la nazionale azzurra segnò un goal direttamente su calcio di punizione. Autore della prodezza il mediano Ara

Torniamo però al calcio mercato del Genoa. Al “colpo” di De Vecchi, Davidson ne fece seguire un secondo, non meno clamoroso: quello di portar via le grandi promesse Sardi e Santamaria proprio all’Andrea Doria, la grande rivale cittadina.

5.jpg

Genoa: da sinistra, in piedi, mister Garbutt, Bellini, De Prà, De Vecchi, l’arbitro Alfieri di Bologna; al centro: Barbieri, Burlando (anche lui passato dalla Doria a Genoa), Leale; seduti: Neri, Sardi, Catto, Santamaria, Bergamino

Fu un episodio che provocò clamore e dispute a non finire, soprattutto perché il Genoa aveva “soffiato” all’avversaria le sue punte di diamante. E si sapeva che Sardi e Santamaria non avevano varcato il Rubicone a puro titolo di simpatia per i colori rivali. Ma come fare a dimostrarlo?

Il passaggio dei due biancoblu nelle file rossoblu fece parlare di scandalo. Per molti era una vergogna farsi pagare per tirare calci ad un pallone di cuoio: i tempi erano quelli deol dilettantismo più puro e l’idea del professionismo calcistico era ancora lontanissima, assolutamente inimmaginabile in Italia, anche se già praticata in Gran Bretagna, dove esistevano stadi capaci di contenere 70.000 spettatori.

A far dilagare lo scandalo però ci pensò lo stesso Davidson. Forse il presidente del Genoa quel giorno era distratto.

Descrive Renzo Bidone: “Aveva davanti a sé, nel suo ufficio di via San Sebastiano due giovani che vi si erano recati quasi di soppiatto, timorosi di farsi notare. Uno era lungo e glabro, i capelli ricciuti.; l’altro un po’ meno alto ma più robusto. Erano la celebre coppia doriana: Sardi e Santamaria.

Il colloquio non fu lungo. Davidson era soprattutto un uomo pratico, di molti fatti e di poche parole, e generoso per di più. Aveva fatto sondare nascostamente i due bianco blu : “voi passate al Genoa e io vi faccio queste condizioni”. Ai due giovanotti brillarono gli occhi. Un paio di biglietti da mille di quei tempi valevano certo più di due milioni di oggi (Bidone scrive nel 1973 n.d.r.): una somma enorme soprattutto per un giuocatore di calcio che non era uso ricevere neppure un centesimo per le sue prestazioni”.

Era un nuovo mondo che si schiudeva ai due giovani calciatori.

Trovato l’accordo il presidente compilò due assegni bancari e li consegnò ai ragazzi tremanti per l’emozione ma anche felici. Tanto felici che Sardi si precipitò in un banca di via San Lorenzo per tramutare l’assegno in moneta sonante.

Millecinquecento lire costituivano una somma enorme per quei tempi in cui a Genova si acquistava un appartamento per sette-otto mila lire. Senonché il cassiere al quale fu presentato l’assegno rimase senza fiato quando lesse il nome del traente: Geo Davidson, il presidente del Genoa, l’odiata rivale dell’Andrea Doria. E lui, il cassiere, era un tifoso doriano. Pensò: “ Allora risponde al vero la voce che il Genoa vuol portar via alla Doria i suoi migliori giocatori”.

Uno di essi gli aveva messo tra le mani la prova schiacciante del tradimento, e il professionismo era severamente vietato. Il nostro uomo pensò un attimo e poi disse: “Questo assegno non è pagabile fino a domani, Ripassi”. E il giorno dopo l’assegno fu onorato ma prima il cassiere ne aveva fatto copia fotografica. Il giorno dopo dalla Società Ginnastica Andrea Doria Sezione Calcio, partiva per Torino, diretta alla Federazione, una raccomandata contenente la fotografia dell’assegno incriminato, dimostrazione inoppugnabile dello “scandalo” genoano.

6.jpg

L’Andrea Doria all’epoca dei fatti, schierata sul campo della Cajenna che sorgeva dove adesso si trova la gradinata Nord dello stadio Marassi. Formazione: Lanata, Snitzer, Calì, Ansaldo, Fava, Macaggi, Sardi, Coggins (un irlandese che lavorava a Genova: fu lui a consigliare a Davidson l’ingaggio di Garbutt come allenatore), Santamaria, Galletti, Giordano

La purezza del dilettantismo calcistico italiano era contaminata. Sardi e Santamaria si erano fatti pagare per passare ad altra società. Si fece un processo al Genoa che alla fine terminò con due anni di squalifica ai giocatori e sei mesi  di squalifica del campo alla società. Tutto sommato uno scandalo pagato a buon mercato.

Sardi e Santamaria fecero in tempo a rientrare in squadra per vincere lo scudetto 1914 – 15. In quel campionato il Genoa stabilì un primato tuttora imbattuto: nel corso del girone eliminatorio ligure . piemontese i rossoblu vinsero ad Acqui per 16 – 0 . Nel frattempo Davidson aveva provveduto ad ingaggiare un allenatore professionista, anche in questo caso il primo in Italia. Si trattò di mister William Garbutt, classe 1883, più volte nazionale inglese, già ala destra del Balckburn.

Garbutt rimase in Italia molti anni, allenando anche il Napoli e la Roma: costretto a tornare in Patria durante la seconda guerra mondiale tornò nel secondo dopoguerra allenando ancora i rosso blu fino al 1948. Da Garbutt discende l’appellativo “mister” rivolto agli allenatori: un appellativo oggi, in verità, molto abusato.

Insomma: il dado era tratto e i soldi avevano cominciato a circolare nel mondo del pallone. Altro che recarsi a giocare a piedi scalzi per non rovinare le suole delle scarpe!

ANNI ’50 E ’60: PROMOZIONE E SECONDA CATEGORIA IN PROVINCIA DI SAVONA