Il Maracanà, tempio del calcio brasiliano, fu deturpato in Maracanazo dopo l’onta della sconfitta contro l’Uruguay nella finale del Mondiale del 1950 (gol di Schiaffino e Ghiggia, un futuro al Milan e alla Roma). Impossibile lavare quell’umiliazione. Per l’Italia, eliminata dalla Macedonia del Nord, viene fin troppo facile ribattezzare “Barberazo” il fatiscente stadio “Barbera”, pessimo palcoscenico della peggiore rappresentazione degli azzurri di Mancini. Da lì si deve comunque ripartire dopo il diluvio di commenti, analisi, polemiche, accuse, critiche, e anche rimpianti.
Ricostruzione è il mantra del momento dopo l’affollarsi di voci dal profondo dello sconforto: apocalisse, disastro, tragedia, vergogna. Macerie da rimuovere (verso l’addio, anche se in tempi diversi, capitan Chiellini, Florenzi, Emerson, Bonucci, Immobile, Belotti, Insigne) e ripartire con occhio all’anagrafe in prospettiva 2026. E come da copione post catastrofe mondiale la parola d’ordine è “ringiovanire”. Ma il chi, il come e il quando sta nelle nuvole delle buone intenzioni.
Solo l’eliminazione dal mondiale, seconda consecutiva, sembra risvegliare dai sogni di imbattibilità il pur bravo Mancini (“Andremo in Qatar per vincere”, aveva provato ad esorcizzare le tensioni della sfida-spareggio; “Resto per vincere il mondiale 2026”, l’azzardo partendo per il Bosforo) e scuotere l’albero della cuccagna di una Federcalcio ingessata e miope nei confronti del calcio che cambia, anzi è già cambiato. A cominciare dalla gestione dei settori giovanili, laddove dovrebbero crescere e maturare i nuovi talenti, che, una volta sbocciati, finiscono con l’appassire nelle illusorie squadre Primavera: mai, nome fu più fallace.
“C’è una domanda semplice – afferma Mario Sconcerti, opinionista del Corriere della sera – a cui nessuno sa rispondere: perché da trent’anni non nascono più grandi giocatori in Italia? Da due generazioni si è fermato tutto. È la prima volta che capita. Negli anni Sessanta abbiamo avuto Rivera, Mazzola, De Sisti, Riva, Prati, Burgnich, Facchetti. Dopo di loro Rossi, Antognoni, Tardelli, Conti, Scirea, Zoff. Poi Del Piero, Totti, Zola, Buffon, Cannavaro. Oggi più nessuno”.
La conferma è facile trovarla. Ed è un taccuino fitto fitto di nomi che hanno firmato la storia del nostro calcio. Vediamoli in ordine sparso.
Giancarlo Antognoni, classe ’54, bandiera della Fiorentina (341 presenze, 61 gol dal 1972 al 1987), una stagione nell’Asti MacoBi, ha esordito a 18 anni in Serie A contro il Verona (2-1 per i gigliati). Gianni Rivera, classe ’43, vicecampione del mondo a Messico ’70, a 16 anni fa il suo esordio in Serie A con la maglia dell’Alessandria, prima di passare al Milan e diventare il “golden boy” o l’Abatino secondo Gianni Brera. Sandro Mazzola, classe ’42, figlio del grandissimo Valentino caduto a Superga, vicecampione del mondo a Messico ’70, icona nerazzurra, esordisce a 18 anni (10 giugno 1961) con un gol su rigore in Juve-Inter 9-1. Francesco Totti, classe ’76, icona giallorossa, campione del mondo 2006, esordisce in maglia giallorossa a 16 anni, lanciato da Carletto Mazzone, 28 marzo 1993, Brescia-Roma 0-2; Giancarlo De Sisti, classe 1943, vicecampione del mondo a Messico ’70, a 17 anni, 12 febbraio 1961, fa il suo esordio in Serie A, Udinese-Roma 2-1; Gigi Buffon, classe ’78, pluriscudettato bianconero, campione del mondo 2006 a Berlino, fa il suo esordio a 17 anni con il Parma di Nevio Scala contro il Milan di Capello fermato sullo 0-0 dalle sue straordinarie parate. Giacinto Facchetti, classe ’42, vicecampione del mondo a Messico ’70, bandiera dell’Inter, (634 partite, 75 reti, un record per un difensore) esordisce in Serie A a 19 anni (21 maggio 1961), Roma-Inter 0-2. Alex Del Piero, classe 1974, campione del mondo 2006 con l’Italia di Marcello Lippi, l’esordio a 17 anni (15 marzo 1992) in Padova-Messina di Serie B, quello in Serie A in maglia bianconera è datato 12 settembre 1993 in Foggia-Juventus 1-1. Gigi Riva, classe ’44, già protagonista in Serie C con il Legnano, goleador di razza, “Rombo di tuono” copyright Gianni Brera, esordisce in Serie A il 13 settembre 1964 a 19 anni in Cagliari-Roma 1-1; in Nazionale realizza 35 gol in 42 presenze, un record. Beppe Bergomi, classe ’63, esordio, mentore Eugenio Bersellini, a 16 anni e un mese in Coppa Italia (30 gennaio 1980); a 17 anni e due mesi (22 febbraio 1981, Como-Inter 1-2), assapora la Serie A, senza lasciarla più; nel 1982, 19 anni ancora da compiere, diventa campione del mondo con l’Italia di Bearzot. Roberto Baggio, classe 1967, vicecampione del mondo con l’Italia di Sacchi (Usa ’94), debutta in prima squadra a 16 anni, il 5 giugno 1983, con la maglia del Lanerossi Vicenza contro il Piacenza, Serie C1; un grave infortunio lo blocca per oltre un anno, ma la Fiorentina conferma l’accordo e se lo assicura per 2,7 miliardi di lire; l’allenatore Bersellini lo fa esordire in Serie A il 21 settembre 1986, a 19 anni. Fabio Cannavaro, classe 1973, campione del mondo e Pallone d’oro 2006, esordisce in maglia azzurra partenopea il 7 marzo 1993, a 19 anni, in Juventus-Napoli 4-3. Paolo Maldini, classe 1968, figlio di Cesare, bandiera del Milan e allenatore della nazionale, è un simbolo della politica dei giovani: il 20 gennaio 1985, all’età di 16 anni, viene convocato da Nils Liedholm per la trasferta di Udine ed esordisce al posto dell’infortunato Battistini, titolare inamovibile dalla stagione successiva fino al termine della carriera. Una bandiera, come il papà. Alessandro “Spillo” Altobelli, classe ’55, campione del mondo a Madrid 1982, a 18 anni debutta in Serie C con il Latina, passa al Brescia, segna 26 gol e passa all’Inter, a 22 anni l’esordio in Serie A (11 settembre 1977). Claudio Marchisio, classe 1986, tutta trafila nelle giovanili della Juventus, debutta a 20 anni, il 19 agosto 2006, in Coppa Italia contro il Martina Franca, totalizza 294 presenze in maglia bianconera (23 gol) salvo una stagione ad Empoli.
Ora, come nel gioco dell’oca, si riparte dal via: i settori giovanili. Facile a dirsi ma difficile da praticare. Un tempo i ragazzi giocavano a pallone ovunque: nei cortili, nei vicoli, nei campetti dell’Oratorio, nei piazzali, nelle sfide di quartiere dove i più scarsi stavano in porta e gli altri scelti dai due capitani. E si divertivano. Oggi non è più così. Non c’è più un luogo adatto. Sono cresciute come i funghi le Scuole calcio, nobilitate come Academy, dove più ragazzi si iscrivono e più quote entrano, le più basse 300 euro all’anno. Con un problema sempre nascosto sotto il tappeto: gli istruttori, quelli che si fanno chiamare mister, sono circa ventimila, fanno un corso di tre giorni. Con un interrogativo: chi addestra gli istruttori?
Giancarlo Bossolino, già docente di educazione fisica da anni deus ex machina del settore giovanile del Vado Fbc, forse il più attivo e prolifico in termini di numeri della provincia di Savona, ha un punto di osservazione privilegiato per esperienza e frequentazioni. “Tanti progetti – afferma – sono da rivedere. Il problema è che ormai il calcio è diventato talmente un business a livelli elevati che nessuna società rinuncerebbe più agli stranieri, perché così come siamo già facciamo fatica anche nelle coppe europee, figuriamoci rinunciando agli stranieri. Il problema è che ce ne sono talmente tanti, peraltro senza essere nemmeno dei fenomeni, che tolgono spazio ai nostri giovani. Il discorso della formazione è determinante. I problemi sono molteplici, primo fra tutti: i ragazzi che si avvicinano al calcio sono sempre meno e hanno sempre meno voglia di impegnarsi a imparare. Ci sono poi quelli, e non sono pochi, che non ci chiedono giorni e orari degli allenamenti ma quanto si guadagna al mese”.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo una mentalità da cambiare, una programmazione mai cercata e realizzata davvero. “Nei nostri settori giovanili professionistici – aggiunge Sconcerti – i tecnici pretendono di giocare solo e soltanto per il risultato perché da quello dipende gran parte della loro carriera. Fanno diventare vecchi giocatori di 17-18 anni, li riempiono di schemi, costruiscono monumenti a sé stessi, quasi nulla ai ragazzi”. Con il risultato che molti finiscono per lasciare, richiamati da altre sirene, quasi mai provenienti dai rettangoli di gioco.
Ma è inutile parlare di politica dei giovani e di talenti da scoprire e lanciare quando il calcio italiano è malato di stranierite: squadre di Serie A mandano in campo due-tre italiani al massimo, di giovani solo rare apparizioni. Due generazioni perdute senza aver aperto la gabbia che impedisce l’ingresso in prima squadra ad una promessa di 16-17 anni dalle indiscusse qualità tecniche. Oggi talentuosi si nasce e talentuosi si resta.
Roberto Mancini, il citì col ciuffo, ha deciso di restare in plancia, spalleggiato dal presidente Gravina (Ventura, lapidato dopo il disastro con la Svezia, non l’ha presa bene: “Io sono rimasto solo, unico colpevole, lui ha sempre avuto il presidente seduto a fianco”). A Konya, in Anatolia, i resti del dopo Macedonia hanno spezzato le reni alla Turchia: segnali di nuovo corso? Piccoli passi tra quasi esordienti e chi, tra le molte convocazioni-fiume, la maglia azzurra l’ha vestita poche volte. Due esempi. È riaffiorato NicolòZaniolo, classe 1999, ma è rimasto solo un tempo a quota periscopio, non ha convinto Mancini, una mezza bocciatura, l’opposto del tanto invocato “largo ai giovani”. Un dejà vu per il talentuoso ragazzo in cerca di consacrazione: a 17 anni l’esordito in Serie B con l’Entella, era l’11 marzo 2017, ma è rimasto un episodio; 7 presenze la stagione successiva, poi all’Inter, solo una panchina con Spalletti, quasi regalato alla Roma per avere Nainggolan, esordisce con i giallorossi il 19 settembre 2018 in Champions contro il Real Madrid, la domenica successiva assapora per la prima volta la Serie A contro il Frosinone negli ultimi 23 minuti al posto di Pastore; esordio in Nazionale il 23 marzo 2019, a 19 anni e 8 mesi, ma da allora solo 8 presenze in maglia azzurra, compresi i 45’ in Turchia. Il futuro dovrebbe essere suo. Lo saprà solo giocando. Nel 2026 avrà 27 anni. Ora o mai più.
In Turchia ha dato due squilli Giacomo Raspadori, classe 2000, uno dei tre gioielli del Sassuolo: Berardi e Scamacca gli altri due. Nelle giovanili è una bellezza, tanta qualità e gol (agile e veloce si muove su tutto il fronte dell’attacco, attacca la profondità, come si dice adesso, è rapido negli inserimenti e nelle conclusioni partendo dalla trequarti). L’allenatore De Zerbi lo prende sotto l’ala, a 19 anni e tre mesi (26 maggio 2019) lo fa esordire in Serie A contro l’Atalanta (3-1 per i nerazzurri di Gasperini). Mancini lo convoca in Nazionale il 20 maggio 2021 con vista Europei, esordio il 4 giugno contro la Repubblica Ceca (4-0) subentrando a Immobile. Una soluzione, insieme a Scamacca, per un grande problema: trovare chi faccia gol. Nove le presenze in azzurro, Turchia compresa. Il talento c’è, ma dovrà trovare continuità nel rendimento, leggasi gol, come nelle scelte (leggasi fiducia) di Mancini. Il resto dovrà produrlo chi governerà il centrocampo: Tonali, Barella, Pezzella, Pellegrini, Locatelli, Cristante se ci sarete battete un colpo. Da qui al 2026 ci sarà molto da arare prima di seminare, sperando in un buon raccolto. Il campo sembra da rizollare: Chiellini e Bonucci, tanto per restare nell’ovvio, non gemmano in tutte le stagioni. E là dietro ci mancheranno.
“L’Italie perdue dans le desert”, ha titolato L’Equipe con maligna sagacia. Comincia la traversata. Buon viaggio. E attenti ai colpi di sole.