QUANDO GIANNI RIVERA PARTi’ COME RISERVA AGLI ESORDI NEL MILAN

2 GENNAIO 1960 MUORE FAUSTO COPPI

Un ricordo dal nostro blog, nella memoria di un momento di grande tristezza e di un vuoto che mai sarà colmato nella nostra identità di sportivi.

Coppi è stato ed è il solo vero mito dello sport italiano: accomunato con il grande Torino dall’antico motto del “muore giovane chi è caro agli Dei”.

Non si tratta però soltanto di questo e neppure della sfilza di vittorie che si trovano più avanti elencate. Il ciclismo rappresentava, in quel tempo, lo sport del riscatto delle classi umili. Usavano la bicicletta operaie e operai per recarsi in fabbrica, contadine e contadini per arrivare sui campi. Rappresentava, in quel tempo, almeno nella prima metà del ‘900, lo sport delle grandi fatiche e delle grandi epopee e i Campioni, quelli veri con la “C” maiuscola, erano vicini alla gente comune che li aspettava, li poteva vedere, osservare e incitare passando così per la strada.

In Liguria, poi, si concentravano nei mesi invernali le squadre in allenamento, favorite dal clima mite e anche per preparare la “Classicissima di primavera”, quella Milano – Sanremo i cui momenti decisivi sono da sempre vissuti sulle nostre strade.

La memoria allora ritorna alla “Sanremo” del 1946. Una pagina memorabile della storia del ciclismo con la fuga di Fausto solitario dal Turchino alla Città dei Fiori. La storia racconta addirittura che, giunto ad Imperia, Coppi, informato del distacco che aveva sul gruppo, si fermò e scese dalla bicicletta per concedersi un caffè presso il famoso Bar Piccardo per poi ripartire e ricominciare ad accumulare vantaggio. A Sanremo, dopo 293 km di corsa, il tempo di corsa sfora le 8 ore, ma ormai la “Classicissima” è sua: Fausto passa trionfante sotto lo striscione d’arrivo. E ai microfoni della radio Nicolò Carosio, informato del ritardo enorme degli altri concorrenti, pronuncerà la celebre frase: Primo Fausto Coppi, in attesa di altri concorrenti trasmettiamo musica da ballo“. Una radiocronaca che attraversò tutta l’Italia come un fiume in piena in un crescendo di emozioni e ricreando passioni sportive, e non solo.

Ebbene: in quel giorno si comprese che la guerra era finita davvero, che si poteva pensare ad altro che non a lutti e distruzioni, insomma si delineava un futuro possibile.

A ciò servono i grandi miti dello sport e Fausto Coppi rimane il più grande di tutti.

Coppi è stato ed è il solo vero mito dello sport italiano: accomunato con il grande Torino dall’antico motto del “muore giovane chi è caro agli Dei”.

Non si tratta però soltanto di questo e neppure della sfilza di vittorie che si trovano più avanti elencate. Il ciclismo rappresentava, in quel tempo, lo sport del riscatto delle classi umili. Usavano la bicicletta operaie e operai per recarsi in fabbrica, contadine e contadini per arrivare sui campi. Rappresentava, in quel tempo, almeno nella prima metà del ‘900, lo sport delle grandi fatiche e delle grandi epopee e i Campioni, quelli veri con la “C” maiuscola, erano vicini alla gente comune che li aspettava, li poteva vedere, osservare e incitare passando così per la strada.

In Liguria, poi, si concentravano nei mesi invernali le squadre in allenamento, favorite dal clima mite e anche per preparare la “Classicissima di primavera”, quella Milano – Sanremo i cui momenti decisivi sono da sempre vissuti sulle nostre strade.

12

COPPI, Fausto (Angelo Fausto), nacque a Castellania (Alessandria) il 15 settembre 1919, quartogenito (il quinto, Serse, nascerà nel 1923) di Domenico e di Angiolina Boveri, proprietari di un modesto fondo coltivato a granturco e vite, a mala pena sufficiente al sostentamento della famiglia. Fausto, frequentate con scarso profitto le elementari, non volle scontare la condanna. a resistere sulla zolla”come i suoi compaesani, che “mangiavano pane e sputo per comprare altra terra, allargare il proprio mappale, riparare alle troppe nascite” (Brera, 1981, p. 27). Preferendo imparare un mestiere, a tredici anni si trasferì nella vicina Novi Ligure come garzone presso una salumeria, ove contava dì apprendere la lavorazione delle carni suine. In bicicletta faceva la spola tra Novi e Castellania e pedalata dopo pedalata sentiva crescere la passione per il ciclismo, già nata quando sull’aia della casa paterna udiva gli adulti narrare le imprese di Costante Girardengo, il “campionissimo” di Novi.

Proprio a Novi fu segnalato a Biagio Cavanna, faccia sgherra, fra il gangster e il capitano di ventura” che “del ciclismo sa tutto, anche i delitti” , il quale teneva una scuola di ciclismo a Pozzolo Formigaro. Il Cavanna, che nel 1938 divenne cieco, intuite subito le enormi possibilità di Fausto ne rimase per molti anni massaggiatore esperto e consigliere abile e influente.

Vinta nel 1937 una prima corsa a Boffalora come “non tesserato”, nel 1938, tesserato come dilettante, vinse il circuito di Castelletto d’Orba. L’anno seguente passò nella categoria degli indipendenti e, dopo aver vinto il Giro del Penice e la Coppa Città di Pavia, si confrontò con i professionisti nel Giro dei Piemonte, in cui – nonostante una caduta e noie al cambio – giunse terzo alle spalle del grande Gino Bartali, presto suo eterno rivale fino a spaccare gli italiani in “coppiani” e “bartaliani”, e Del Cancia. Fu questo l’esame di maturità per Coppi attentamente osservato da Eberardo Pavesi, direttore sportivo della “Legnano”.

Nel 1940, ingaggiato dalla “Legnano” (che aveva come capitanoproprioBartali) e chiamato in primavera sotto le armi, poté continuare a gareggiare grazie a licenze e permessi straordinari. Dopo risultati modesti, al Giro d’Italia, vinse sorprendentemente la corsa (successo di tappa a Modena dopo una grande fuga sull’Abetone) con 2’40” di vantaggio su Mollo.

Coppi vinse nel 1941 i Giri della Toscana, dell’Emilia, del Veneto e la Tre Valli Varesine; nel 1942 soltanto il campionato italiano disputato a Roma. Pochi giorni dopo questo successo, cadde sulla pista del Vigorelli, riportando la frattura di una clavicola (29 giugno).

Sperando dì evitare una probabile partenza per il fronte. con l’acquisto di eccezionali meriti sportivi, Coppi seguì allora il consiglio del fido  Cavanna che lo spinse a tentare la conquista del record mondiale sull’ora.

Il 7 novembre 1942, sulla pista del Vigorelli, con una bicicletta speciale da pista del peso (allora esiguo) di 7,5 kg., fornita di pedivelle di 171 millimetri e di pneumatici da 120 grammi, spingendo un rapporto di 52 x 15 che sviluppava 7,37 metri per pedalata, Fausto percorse in un’ora km 45,871 (record omologato nel 1947 e rettificato in km 45,798). La Gazzetta dello sport (8 nov. 1942), accanto al bollettino di guerra n. 895 che esaltava i contrattacchi delle truppe dell’Asse … nella. regione ad oriente di Marsa Matruh”, celebrava l’”impresa luminosa” di Coppi. come prova della forza e volontà della razza italiana

II record, che durerà fino al 29 giugno 1956 (battuto da Jacques Anquetil con km 46,159), gli fruttò un premio di 25.000 lire ma non gli evitò la partenza per il fronte. Passato dal 38° al 36° Reggimento di fanteria, nel marzo 1943 fu inviato in Tunisia, dove il 13 aprile fu fatto prigioniero nella piana tra Mateur e Medjez-el-Bab.

Rientrò in Italia nel febbraio del ’45 sofferente per lievi forme di malaria e di ulcera gastrica. Riprese lentamente l’attività ciclistica vincendo la Coppa Salvioni, la Coppa Candelotti, i circuiti degli Assi a Milano e di Ospedaletti, il Criterium dì Lugano. Nel novembre sposò Bruna Ciampolini (da cui avrà una figlia), andando ad abitare a Sestri Ponente.

Nel 1946, ingaggiato dalla “Bianchi”, esordì vincendo la Milano-Sanremo, in quella che può ben essere ritenuta come la più grande impresa compiuta da un ciclista italiano assieme a quella realizzata dallo stesso Coppi nella tappa Cuneo – Pinerolo nel giro d’Italia del 1949.

 Nel 1946 Coppi vinse anche il Giro di Romagna, il Grand Prix des Nations a cronometro, i Criterium del Trocadéro e di Lugano, il Giro di Lombardia. Nel Giro d’Italia fu battuto da Bartali per soli 47″, dopo aver vinto le tappe di Bologna, Auronzo, Bassano del Grappa e Milano, nonostante una caduta che gli aveva provocato l’incrinatura di una costola.

Nel 1947 bissò il successo nel Giro di Romagna (2° Bartali, vincitore della Milano-Sanremo); vinse il Giro d’Italia (con le tre tappe di Prato, Trento e Napoli), precedendo Bartali, il titolo italiano dell’inseguimento, i giri del Veneto, dell’Emilia e della Lombardia, il Grand Prix des Nations, il circuito “à travers Lausanne”. Conquistò anche il titolo nazionale su strada e il campionato mondiale dell’inseguimento, in cui superò Lanz, Rioland, Schulte e Bevilacqua

Il ’48 fu per Coppi un anno deludente. Dopo aver vinto la Milano-Sanremo, fu sconfitto da Bartali nel Giro di Toscana; al Giro d’Italia, in forte ritardo dopo le prime tappe, non riuscì a recuperare tutto lo svantaggio accumulato nei confronti di Fiorenzo Magni nonostante due vittorie di tappa sulle Dolomiti: a Trento si ritirò per protestare contro la mancata squalifica di Magni, accusato di aver fruito di spinte organizzate dai suoi sostenitori sul Passo Pordoi.

Mentre Bartali vinceva quell’anno il suo secondo Tour de France, Coppi dovette contentarsi dei successi nelle Tre Valli Varesine, e nei Giri dell’Emilia e di Lombardia. Deludente fu anche la sua partecipazione ai campionati mondiali: in quello su strada si ritirò dopo un reciproco marcamento passivo messo in atto tra lui e Bartali, che costò ad entrambi due mesi di squalifica; in quello ad inseguimento fu battuto in finale da Schulte per soli due metri: era l’unica sconfitta subita quell’anno in tale specialità su 24 gare disputate.

Il successivo 1949 decretò invece l’assoluta supremazia di Fausto Coppi sull’intero ciclismo mondiale.

Vinse la Milano-Sanremo, i giri di Romagna, del Veneto e di Lombardia, il campionato italiano su strada e quello mondiale dell’inseguimento; ma soprattutto – impresa mai riuscita ad alcuno prima di lui – trionfò a distanza di poche settimane nei Giri d’Italia (vittorie di tappa a Salerno, Bolzano e Pinerolo) e di Francia (vittorie a La Rochelle, Aosta e Nancy), precedendo Bartali in entrambe le occasioni.

Nel corso di quella memorabile stagione Fausto fu definito il campionissimo” per antonomasia, era un corridore soprannaturale”sublime”, dalla pedalata aerea”, “perfetta”, a volta a volta paragonato a un airone, a un’aquila, a un gabbiano.

34

Ciò che si tardò invece a comprendere e a spiegare era il fatto che Coppi aveva rivoluzionato il sistema di preparazione al ciclismo agonistico.

Coppi aveva un fisico particolarmente adatto allo sport da lui scelto: una capacità respiratoria di sette litri in condizioni normali, un sistema circolatorio quasi insensibile allo sforzo, un sistema endocrino molto efficiente, masse muscolari modeste ma equilibrate con prevalenza dei muscoli lunghi adatti agli sforzi prolungati. Le gambe lunghe e sottili, il torace ampio dotato di uno sterno sporgente che sembrava carenato come quello degli uccelli, la testa lievemente affondata nelle spalle, la figura di Coppi dava l’impressione di “una invenzione della natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta” (Gianni  Brera, Gazzetta dello sport del 27 luglio 1949). Ma le eccezionali prestazioni sportive di Coppi non sono spiegabili come il risultato di doti naturali. Egli seppe sfruttarle al massimo valendosi con intelligenza dei progressi della medicina, frequentando il Centro di medicina sportiva di Milano.

Seguì sistemi razionali di allenamento per raggiungere livelli più elevati di resistenza e di velocità, accoppiandoli con un regime di vita di eccezionale morigeratezza. Studiò innovazioni per adattare il mezzo meccanico e gli accessori (dal telaio della bicicletta al sellino, ai fermapiedi, alle scarpe, agli occhiali, alle maglie, ecc.) alle esigenze fisiologiche e alle caratteristiche di ogni corsa. Furono accorgimenti necessari per poter passare, parallelamente al miglioramento delle strade, da medie orarie di 32 a 40-42 km. Formidabile passista (dominatore quasi incontrastato nelle prove a cronometro a differenza del suo rivale Bartali), eguagliò e spesso superò quest’ultimo anche come scalatore.

Nella primavera del 1950 Coppi mostrava una schiacciante superiorità, vincendo il Giro della provincia di Reggio Calabria, la Parigi-Roubaix e la Freccia Vallone. Ma nel Giro d’Italia, in seguito a una caduta a Primolano (2 giugno), riportò una complessa frattura del bacino, che compromise l’intera annata.

Egualmente sfortunato fu l’anno seguente. L’11 marzo cadde nella Milano – Torino, fratturandosi la clavicola. Appena ripresa l’attività vinse due tappe al Giro d’Italia piazzandosi quarto nella classifica finale. Il 29 giugno, all’arrivo del Giro del Piemonte, il fratello, Serse, suo gregario nella “Bianchi”, cadde sui binari del tram battendo violentemente la testa e morì poche ore dopo per emorragia cerebrale. Coppi risenti fortemente di questa perdita, meditando dapprima di abbandonare il ciclismo; ma già il 4 luglio – benché in condizioni fisiche e psicologiche precarie – era alla partenza del Tour, in cui arrivò soltanto decimo vincendo la tappa di Briancon. Nei finale di stagione riportò la vittoria nel Grand Prix des Nations a cronometro.

Nel 1952, dopo un secondo posto nella Parigi-Roubaix, ripeté l’impresa del ’49 vincendo nello stesso anno il Giro d’Italia (vittorie di tappa a Rocca di Papa, Bolzano e Como) e il Tour (vinse a Nancy, Alpe d’Huez, Sestriere, Pau, Puy-deDóme). Il 7 agosto, però, cadde sulla pista di Perpignano, fratturandosi la scapola e la clavicola sinistre. Guarito, vinse il Gran Premio del Mediterraneo (vittorie a Foggia, Bari e Siracusa), il Gran Premio di Lugano e alcuni circuiti in Francia.

Nel 1953 vinse per la quinta e ultima volta il Giro d’Italia. (successi di tappa a Roccaraso, Modena, Bolzano e Bormio), rovesciando con una spettacolare ascesa dello Stelvio una situazione che sembrava decisa in favore di Hugo Koblet, il forte corridore svizzero che alla fine di ogni gara estraeva un pettine per sistemarsi i capelli. Quindi si preparò puntigliosamente per il campionato mondiale su strada in programma a Lugano. Lo vinse (l’ultimo successo italiano risaliva al 1932), al termine di un’esaltante galoppata iniziata sulla salita della Crespera, con 6’16” di vantaggio sul belga Germain Derijke. A fianco a lui in tribuna, al momento di vestire la maglia iridata, la prima apparizione di Ilaria Occhini, la “Dama bianca” per gli appassionati lettori dei rotocalchi dell’epoca, Una relazione che suscitò scandalo e dalla quale nacque Faustino.

Nel 1954 vinse una tappa della Parigi – Nizza e il Giro della Campania. Poi al Giro d’Italia (successi di tappa a Palermo e Bolzano) una forte crisi nella seconda tappa e un comportamento stranamente passivo compromisero il risultato finale.

Al termine del Giro, Coppi lasciò la moglie e andò a vivere con Ilaria Occhini (ormai nota al pubblico come la “dama bianca”, dal colore di un soprabito con cui era stata fotografata a Lugano ) in una villa presso Novi. Fu un grosso scandalo per l’Italia di quegli anni provinciale e bigotta, appena scossa dall’”affaire Montesi”: le denunce per adulterio, abbandono del tetto coniugale e mancata assistenza familiare, l’irruzione dei carabinieri nella villa di Novi, nella ricerca della flagranza di adulterio, l’arresto e la breve detenzione nel carcere di Alessandria della Occhini, poi rilasciata a condizione di un suo allontanamento da Novi (domicilio coatto nelle Marche), l’ammonizione delle autorità ecclesiastiche di Loreto ai pellegrini perché si guardassero dal frequentare un albergo ove soggiornavano i due amanti, divisero l’opinione pubblica: parteggiando per lei e Fausto si ha la curiosa impressione di combattere l’oscurantismo secolare del nostro paese torpido e sciocco” (Brera, 1981, p. 146). Sembrò così passare in secondo piano l’attività agonistica.

Mentre partecipava al Giro d’Italia (vittoria di tappa a San Pellegrino; secondo nella classifica finale), da Buenos Aires, ove la Occhini si era trasferita per poi poterlo denunciare allo stato civile con il cognome Coppi, gli giunse la notizia della nascita del figlio Angelo Fausto. Nel ’55 vinse ancora il Giro dell’Appennino, la Tre Valli Varesine e il Trofeo Baracchi sempre in coppia con Filippi e il titolo italiano assoluto.

All’inizio del ’56 soffrì lungamente per febbri tifoidee; poi al Giro d’Italia una caduta, l’ennesima della carriera, gli procurò una distorsione a una caviglia e lo spostamento di una vertebra.

L’ultima vittoria individuale di rilievo fu quella nel Gran Premio di Lugano a cronometro nell’ottobre 1956, cui seguì, soltanto, nel novembre 1957, quella nel Trofeo Baracchi in coppia con Ercole Baldini.

Al Giro d’Italia del 1958 si piazzò 32° a quasi 59′ dal vincitore Baldini e anche l’anno successivo disputò senza successo moltissime gare, tra cui un faticosissimo Giro di Spagna. Il 15 novembre 1959, ormai ultraquarantenne, annunciò il suo ingaggio per l’anno successivo da parte della “San Pellegrino”, diretta dal suo ex rivale Bartali.

Il 10 dicembre Fausto partì per Ougadougou nell’Alto Volta, ove partecipò a un criterium insieme con alcuni corridori francesi (Anquetil, Rivière, Geminiani) e ad alcune partite di caccia. Rientrato in Italia, il 27 dicembre si manifestarono i sintomi di una malattia malarica, diagnosticata come una forma influenzale. Il 31 dicembre, peggiorando le sue condizioni, fu ricoverato all’ospedale di Tortona, ove morì il 2 gennaio 1960, prima che i medici, tra cui illustri luminari dell’Università di Genova, capissero la natura del male, e nonostante dalla Francia, dove era stato curato Geminiani, fossero giunte indicazioni precise sulla natura della malattia e sulla terapia (il semplice chinino) che sarebbe risultate necessarie per affrontarla positivamente.

Ai funerali, celebrati a Castellania il 4 gennaio, partecipò una folla imponente, incredula per quella morte banale tanto poco in sintonia con l’immagine di eroe popolare creata dai mezzi di comunicazione e profondamente radicata nelle masse. Di questa fine immatura e sotto molti aspetti incredibile, poté così nascere una intensa suggestiva interpretazione: Troppo intensamente aveva vissuto per poter reggere alla vita. In quarant’anni ha letteralmente bruciato se stesso. Ha sofferto l’esistenza dei poveri e le si è ribellato con sacrifici di epica imponenza. Ha inventato il ciclismo moderno e al suo stesso epos si è immolato con la precisa coscienza di immolarsi … Quando ha capito che sopravvivere a se stesso non era impossibile ma certo sconveniente, per uno come lui, con infinita tristezza ha deciso di abdicare e di lasciarci”

67

IL PRIMO PALLONE D’ORO: QUANDO SIR MATTHEWS BATTE’ DI STEFANO E KOPA

di FRANCO ASTENGO

Nel suo numero del 14 gennaio 1957 “Il Campione”, magnifica rivista sportiva dell’epoca, annunciava l’assegnazione del primo “Pallone d’Oro”, premio riservato ai giocatori militanti in squadre europee che poi sarebbe diventato un “classico” nelle classifiche di merito per i singoli.

Un gruppo di giornalisti francesi che lavoravano a “France Football” aveva raccolto l’opinione dei commissari tecnici delle principali Nazionali europee e stilato la graduatoria di merito. La stessa rivista, contemporaneamente, aveva compilato la graduatoria delle migliori nazionali europee dell’epoca cui lo stesso “Il Campione“ aveva contrapposto una propria classifica riguardante però l’intero panorama internazionale.

Riferiamo allora di quelle lontane classifiche: per quel che riguarda le Nazionali si potrà notare quanto si sia conservato ai vertici del calcio mondiale e quanto sia mutato nell’emergere di nuove e scuole e nel tramonto di quelle “storiche”, prima fra tutte quella danubiana.

Inoltre sono ancora presenti URSS, Jugoslavia, Cecoslovacchia che spariranno con gli avvenimenti seguiti alla caduta del Muro di Berlino nel 1989.

Andando per ordine.

Il primo “Pallone d’Oro” fu assegnato dalla giuria dei ct al baronetto inglese Stanley Matthews, ala destra protagonista di una carriera leggendaria protrattasi ben oltre i 40 anni a livello internazionale fino a toccare i 50 nella Prima Divisione inglese (oggi Premier League).

1.jpg

Sir Stanley Matthews

Un giocatore di classe enorme, dal dribbling entusiasmante, micidiale nei calci da fermo e in particolare dalla bandierina del corner.

Al secondo posto nientemeno che Alfredo Di Stefano, al terzo Raymond Kopa in procinto di trasferirsi dallo Stade Reims al Real Madrid, al quarto Ferenc Puskas che proprio in quel momento con i suoi compagni ungheresi stava vivendo la fase del dopo invasione sovietica: Puskas sarebbe poi approdato al Real Madrid, mentre Kocsis e Csibor avrebbero indossato  l’azulgrana del Barcellona; si era così decretata la fine della straordinaria “arancisypat” (squadra d’oro ungherese).

Questa la graduatoria completa:

1)   Stan Matthews  (Inghilterra); 2 Alfredo Di Stefano  (Spagna, ma argentino d’origine); 3 Raymond Kopa (Francia); 4 Ferenc Puskas (Ungheria); 5 Lev Jashin (URSS); 6 Josezf Bozsik (Ungheria); 7 Ernst Ockwirk (Austria in forza alla Sampdoria); 8 Sandor Kocsis (Ungheria), 9 Ivan Kolev (Bulgaria); 10 Billy Wright (Inghilterra); 11 Raymond Glowacki (Francia); 12 Giulio Botelho “Julinho” (Brasile in forza alla Fiorentina); 13 Miguel Angel Montuori (argentino in forza alla Fiorentina); 14 Josè Pepillo (Spagna), 15 Vujadin Boskov (Jugoslavia); 16 Hans Hanappi (Austria); 17 Raymond Jonquet (Francia); 18 Billy Edwards (Inghilterra: poi caduto nel disastro aereo che coinvolse il Manchester United all’aeroporto di Monaco nel 1958); 19  Edward Strelztov (URSS); 20 Juan “Pepe” Alberto Schiaffino (uruguayano in forza al Milan); 21 Just Fontaine (Francia); 22 Michel Piantoni (Francia) ; 23 Alvaro Campanal (Spagna); 24 Faas Aase Wilkes (Olanda, in quel momento in Spagna ma che in Italia aveva già giocato con l’Inter e il Torino).

2.jpg

Ernst Ocwirk giudicato, in quel 1957, il miglior giocatore del campionato italiano

Come si è potuto notare nessun italiano incluso nella graduatoria  (si trattava di un momento molto difficile per la nostra Nazionale in procinto di essere esclusa dalla fase finale dei Mondiali 1958 che si sarebbe poi svolta in Svezia segnando il primo trionfo del Brasile e l’esordio di Pelè). Lo stesso ct azzurro Alfredo Foni aveva indicato nella sua “cinquina”: Puskas, Di Stefano, Julinho, Kopa e Jachin. Nella lista si trovano soltanto quattro stranieri militanti nelle squadre italiane: l’austriaco Ockwirk nella Sampdoria, i due “fiorentini” Julinho e Montuori (la squadra viola aveva vinto lo scudetto 1955 – 56) e il milanista Schiaffino oltre a Wilkes che aveva già terminato l’esperienza nel nostro campionato.

La squadra europea ideale per France Football si sarebbe dovuta schierare così (modulo WM “puro”): Jashin, Hanappi, Campanal, Bozsik, Wright, Ocwirk, Matthews, Di Stefano, Kopa, Puskas, Kolev.

Passiamo adesso alla graduatoria delle Nazionali secondo “Il Campione”.

1)   Ungheria. I magiari ancora al primo posto prima della dissoluzione della loro magnifica “esemble” la cui formazione è tuttora da recitare a memoria: Grocsis, Buzansky, Lantos, Lorant, Bozsik, Zakarias, Budai, Kocsis, Hidegkuti, Puskas, Csibor (Sebes schierava la squadra a zona con una sorta di 4-1-3-2 con Kocsis e Puskas di punta).

3.jpg

La “disegnata” della nazionale ungherese anni ’50: una squadra quasi invincibile

2)  Argentina. L’albiceleste guidata da Guillermo Stabile (l’ex filtrador del Genoa) stava vivendo un momento magico grazie al trio Maschio -. Angelillo – Sivori “los angeles de la cara sucia” capaci di vincere la Coppa America. Poi la “rapina” perpetrata sul trio dalle squadre italiane (Bologna, Inter, Juventus) avrebbe privato l’Argentina della possibilità di competere per il titolo mondiale in Svezia.

Rosa della Coppa America 1957. Portieri, Domínguez, Roma; difensori: De Bourgoing, Dellacha, Giménez, Mantegari, Schandlein,Vairo; centrocampisti: Benegas, Guidi, Iñigo, Maschio, Pizarro, Rossi; attaccanti: Angelillo, Brookes, Castro, Corbatta, Cruz, Juárez, Sanfilippo, Sívori; ct: Stábile.

3)  Brasile. Il Brasile stava costruendo la squadra che poi avrebbe vinto il mondiale 1958. Pelè avrebbe esordito in Nazionale il 12 maggio 1957 in un Brasile – Argentina 1-2.  La squadra del 1958,  schierata da Feola con un rigoroso 4-2-4 allineò nella finale con la Svezia vinta 5-2: Gilmar, Djalma Santos, Nilton Santos, Zito, Bellini, Orlando, Garrincha, Didì, Vava, Pelè, Zagalo nel corso del torneo erano stati schierati anche Dida, Dino Sani, Altafini, Joel e De Sordi.

 

4.jpg

O’ fabuloso Brasil. Da sinistra in piedi: Djalma Santos, Zito, Bellini, Nilton Santos. Orlando, Gilmar. Accosciati: Garrincha, Didì, Pelè, Vavà, Zagalo, il massaggiatore Americo

4)   Cecoslovacchia. Una squadra possente, molto ben registrata a centro campo con  una fortissima mediana: Pluskal – Popuhlar – Masopust. Formazione del 1957: Stacho, Mrz, Novak, Pluskal, Populhar, Masopust, Brunoswsky, Oberl, Bubernik, Kacani, Molnar CT Vliacili

5)  Inghilterra: la nazionale inglese sembrava in forte ripresa dopo aver attraversato un periodo di declino e aver perso l’imbattibilità casalinga per opera dell’Ungheria (3-6 a Wembley nel novembre 1953). Il fato però appariva avverso ai “maestri” poiché nel già citato incidente aereo di Monaco di Baviera che coinvolse la squadra del Manchester United persero la vita due veri e propri pilastri della Nazionale come Edwards e Taylor.

6)     Al sesto posto i redattori del “Il Campione” avevano sistemato l’Italia che in realtà in quel  momento risultava del tutto sopravvalutata in una posizione di quel livello. Si pensi che nei primi mesi di quel 1957 che si andava a cominciare dopo aver battuto a fatica l’Irlanda del Nord a Roma per 1-0, gli azzurri avrebbero subito due tremende sconfitte: la prima Lisbona per 3-0 in una gara di qualificazione ai   mondiali e poi a Zagabria per 6-1 in una partita valida per la Coppa Internazionale.

Questa comunque la classifica completa per le Nazionali:

1)   Ungheria; 2) Argentina; 3) Brasile; 4 Cecoslovacchia; 5) Inghilterra; 6) Italia; 7) Francia; 8) URSS 9) Uruguay; 10) Jugoslavia; 11) Austria; 12) Paraguay; 13) Galles; 14) Scozia; 15) Svezia; 16) Bulgaria; 17) Germania (in quel momento campione del mondo in carica, evidentemente giudicata al ribasso); 18) Svizzera; 19) Spagna; 20) Turchia.

PORTIERI: DA MONSIDER A TAFFAREL C’ERA UNA VOLTA LA SCUOLA ITALIANA

I DIECI MIGLIORI ITALIANI NELLA STORIA DEL GIRONE UNICO

La Gazzetta dello Sport ha dedicato in questi giorni un bel volume ai novant’anni del girone unico di Serie A, avviatosi con la stagione 1929 -30, scudetto conquistato dall’Ambrosiana Inter.

Un testo di racconti più che di statistiche ordinato sia in senso cronologico sia per argomenti.

Nelle foto di copertina e di retrocopertina sfugge un’assenza importante: quella di Gianni Rivera e in verità degli assi del periodo ’60 – 70 mi pare sia presente il solo Gigi Riva.

Rivera è trascurato anche nelle diverse parti del libro e questa mancanza ha suggerito una riflessione su quali siano stati i 10 migliori giocatori italiani nel corso di questi 90 anni. Rivera, infatti, ci sta sicuramente.

Così abbiamo tentato di ricostruire una graduatoria certamente molto opinabile coltivando anche l’intento di far discutere quegli appassionati che seguono il nostro blog:

1)      Paolo Maldini

Il figlio del grande Cesare e padre del pare un’altrettanto grande Daniele è stato il giocatore di maggior classe prodotto dal calcio italiano nel dopo guerra. Paolo poteva giocare in qualsiasi ruolo e lo dimostrò passando con apparente indifferenza dal ruolo più difficile, quello di terzino sinistro, a quello di difensore centrale. Avremmo però voluto vederlo a centro campo  magari come metronomo (figurate volo all’ala)

1.jpg

2)      Francesco Totti

Giocatore di grande generosità quasi pari alla sua classe immensa. Lo ricordiamo in certe partite sospingere quasi da solo la sua Roma per poi coronare l’azione andando a rete. Giocatore completo vero ispiratore per tutta la squadra.

2.jpg

3)      Gianni Rivera

Brera lo definì “abatino” dopo la sconfitta con la Corea ma in  realtà rivisto oggi in certi spezzoni televisivi era notevole anche la sua capacità di contrasto. Visione di gioco immensa, al livello dei grandissimi fuori classe internazionali. Bruciano ancora i 6’ dell’Azteca.

3.jpg

4)      Gigi Riva

Lui sì che stava nella manica del “Gioanbrerafucarlo” che lo ribattezzò “Rombo di Tuono”. Gol impossibili, quasi da non rendersi conto della sua potenza e precisione. Massima dedizione in campo e carriera sacrificata al “suo” Cagliari.

4

5)      Gaetano Scirea

Un mito reso immortale dalla tragica fine, ma giocatore di livello tecnico straordinario, vero esegeta e non semplice interprete del ruolo di ultimo difensore. L’uomo dal cui piede partiva la manovra vincente.

5.jpg

6)      Giuseppe Meazza

Il Balilla è l’unico epigono degli anni’30 che citiamo in questa graduatoria anche se altri lo meriterebbero. Nel citato libro della Gazzetta poco o niente spazio per i vincitori di due mondiali.

6.jpg

7)      Giampiero Boniperti

Tanti scudetti con la Juve al fianco di celebrati campioni stranieri (John e Karl Hansen, Sivori e Charles) poche gioie con la Nazionale orfana dal grande Torino. Classe eccelsa e capacità di adattamento: da goleador assoluto a finissimo tessitore del centrocampo

7.jpg

8)      Valentino Mazzola

La morte giovane come mito eterno ma Valentino Mazzola rappresentava il riferimento assoluto del “quarto d’ora granata”. La guerra impedì a quella squadra di tentare l’assalto al terzo titolo mondiale consecutivo.

8

9)      Roberto Baggio

Uomo dalle imprese impossibili, capace di dare il meglio di sé anche in squadre di non primissima fascia: Vicenza, Fiorentina, Bologna, Brescia. Campione mondiale mancato per colpa sua ( e di Baresi): mancato dagli 11 metri il colpo del k.o al Brasile (1994 Pasadena)

9

10)   Franco Baresi

Pallone d’oro da difensore: questa la migliore testimonianza dell’assoluta qualità del suo gioco. Pilastro del grande Milan di Sacchi pesa anche su di lui l’errore dal dischetto davanti a Taffarel, in quel di Pasadena.

10.jpg

STAGIONE 2019-2020: 47 CALCIATORI LIGURI TRA SERIE A, B E C

DUE IMMAGINI SIMBOLO: PELE’ E CR7 I PIU’ GRANDI TRA I COLPITORI DI TESTA

10 GENNAIO ’60: IN ONDA “TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO”

10 GENNAIO ’60: IN ONDA “TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO”

 

di LUCIANO ANGELINI e FRANCO ASTENGO

Per ricordare i sessant’anni della trasmissione calcistica più popolare nella storia della RAI pubblichiamo nuovamente  un nostro ricordocon qualche integrazione.

Anni ’60, quelli delle domeniche con le radioline all’orecchio, senza distinzione d’età: a passeggio con la moglie o la fidanzatina, con i bambini al parco giochi, al bar con gli amici, in montagna o al mare, per i più appassionati anche al cinema con tanto di auricolare. Era il tempo scandito da “Tutto il calcio minuto per minuto”, la trasmissione di grandissimo successo nata, durante la stagione 1959-60, da un’idea di Guglielmo Moretti, e che prese spunto da una trasmissione radiofonica francese (“Sports et Musique”), nella quale cronisti-inviati commentavano in diretta dai campi di gioco le partite del campionato locale di rugby a 15. Le trasmissioni iniziarono in via sperimentale nel 1959, mentre il debutto ufficiale avvenne domenica 10 gennaio 1960.

La novità delle radioline a transistors portate allo stadio non consentì soltanto ai tifosi di conoscere in diretta gli altri risultati.

Gli spettatori dei campionati minori, infatti, ascoltando tutto il calcio informavano anche i giocatori in campo dell’andamento delle loro squadre predilette.

Domenica 7 giugno 1964, per esempio, era in programma un doppio spareggio in Serie A: A Roma Bologna e Inter si giocavano lo scudetto in 90’ (vinse il Bologna 2-0) mentre a Milano Sampdoria e Modena si disputarono in partita secca la permanenza in Serie A.

Questo il tabellino:

 

SAMPDORIA   2 0   MODENA
Paolo BARISON 61′        
Giancarlo SALVI 72′        
TITOLARI TITOLARI
  Franco SATTOLO 1         1 Giuseppe GASPARI  
  Guido VINCENZI 2         2 Giuseppe BARUCCO  
  Glauco TOMASIN 3         3 Giuseppe LONGONI  
  Giovanni DELFINO 4         4 Costanzo BALLERI  
  Gaudenzio BERNASCONI 5         5 Dino PANZANATO  
  Francesco MORINI 6         6 Gianni GOLDONI  
  Giancarlo SALVI 7         7 Oliviero CONTI  
  Giuseppe TAMBORINI 8         8 Rubens MERIGHI  
  Paolo BARISON 9         9 Sergio BRIGHENTI  
  José DA SILVA 10         10 Giorgio TINAZZI  
  Mario FRUSTALUPI 11         11 Giuseppe GALLO  
ALLENATORE ALLENATORE
Ernest OCWIRK         Mario GENTA

Per alcuni appassionati tifosi sampdoriani la trasferta a Milano fu purtroppo vietata dal calendario del campionato di Seconda Categoria: Aulo Zuanni, Detto Storti e Franco Astengo (uno degli estensori di questo articolo) militavano infatti nella squadra fornacina dei Bagni Italia impegnata in quella domenica al campo Valletta, ore 15, nel derby contro la Villetta.

Con la Villetta in vantaggio per 1-0 (risultato poi finale) l’annuncio di qualcuno dagli spalti provvisto di radiolina incollata all’orecchio: ha segnato la Samp.

I tre allora, tra lo stupore generale e in particolare dell’arbitro, si misero ad abbracciarsi nonostante stessero perdendo la partita (se guardiamo alla classifica finale del torneo si capirà che perdere era una vera e propria consuetudine per la squadra in casacca bianco blu a quarti presieduta dal “patron” Beppe Muda, operatore al Cinema Eldorado) e allenata da Testa vecchia gloria del Savona anni’30- ’40).

Potenza della comunicazione che consentiva una impropria esultanza in diretta.

Tabellino: Bagni Italia –Villetta 0-1

Procopio II nel primo tempo

Villetta: Turco, Monti, Nasi, Trucco, Isetta, Procopio I, Corsari, Piscopo II, Bisio, Procopio II, Capraro all.Pacini

Bagni Italia: Fusero, Bottelli, Diana, Cervi, Falco, Storti, Astengo Rovere, Sobrero, Zuanni, Calcagno all. Testa

Arbitro Tessitore di Savona

Classifica finale campionato 1963 –  64:

Spotornese 52, Garessio 41, Don Bosco Varazze 41, Villetta 38, Nolese 38, Millesimo 36, Libertà e Lavoro Speranza 25, Croce Bianca d’Albenga 25, Cadibona 24, Altarese 24, Don Bosco di Savona 23, Maremola Pietra Ligure 19, Priamar 11, Bagni Italia 10, Ferrania 9. ( Certo che 10 punti in un campionato di 28 partite erano proprio pochi: 2 vittorie, 6 pareggi, 20 sconfitte).

Torniamo però a raccontare dellesordio di Tutto il calcio minuto per minuto

La trasmissione era già nata in realtà come sperimentazione per la trasmissione multipla a microfono aperto di diversi eventi in contemporanea, in preparazione dei Giochi della XVII Olimpiade di Roma del 1960, evento globale trasmesso televisivamente e radiofonicamente dalla Rai.

Il programma inizialmente proponeva solo le radiocronache dei secondi tempi: a partire dalla stagione 1987-88 fu introdotta la copertura dell’intera partita. La struttura di base, rimasta inalterata nel corso dei decenni, prevede collegamenti a turno dai vari stadi con segnalazioni immediate per eventi di particolare rilievo (variazioni del punteggio e altro) da ogni campo. In precedenza la copertura radiofonica della giornata calcistica era assicurata, fin dal 1927, dalla radiocronaca del secondo tempo durante la quale, ogni tanto, Nicolò Carosio forniva i “parziali” delle altre partite di Serie A.

1.jpg

Il grande Nicolò Carosio

Al termine poi, dopo un’attesa condita dalla pubblicità della Stock (“Se la squadra del vostro cuore ha vinto, brindate con…) e snervanti musichette si leggevano i risultati finali delle altre partite: per la Serie B e la Serie C occorreva aspettare il giornale radio della sera.

La TV, dopo la sperimentazione dell’anticipo al sabato di una partita alternativamente di Serie A, B, C, trasmessa in diretta (eccezionale il pomeriggio del 31 dicembre 1955, di seguito dalle 14 in avanti doppio appuntamento dall’Olimpico con Roma-Atalanta e Napoli-Fiorentina, che si giocava a Roma per via della squalifica del Vomero, terreno di casa dei partenopei) aveva ripiegato con la trasmissione, alle 19, del secondo tempo in differita di una partita di Serie A: scelta di palinsesto che restò immutata per alcuni decenni .

Capitò anche al Savona l’onore di essere teletrasmesso in quel contesto, nel settembre 1966, telecronista Nando Martellini, inviato per Savona-Juventus Coppa Italia con successo finale dei bianconeri per 1-0 goal di Depaoli nei supplementari. La Rai irradiò in differita i tempi supplementari cui gli striscioni avevano costretto i futuri campioni d’Italia in quel momento allenato da teorico del “movimiento” il ginnasiarca paraguayano Heriberto Herrera.

2.jpg

Sandro Ciotti e Enrico Ameri, due autentici miti delle radiocranache

La prima puntata ufficiale di “Tutto il calcio minuto per minuto” vide collegati da Milano Nicolò Carosio per Milan–Juventus, da Bologna Enrico Ameri (celebre per le interruzioni che subiva e mal sopportava da Sandro Ciotti: “Scusa Ameri…”) per Bologna–Napoli, da Alessandria Andrea Boscione per Alessandria–Padova.

Lo studio centrale del programma si trovava originariamente nella sede Rai di Milano, in corso Sempione 27; la conduzione fu affidata a Roberto Bortoluzzi, che rimase in carica per ben ventotto anni, fino al suo pensionamento, avvenuto nel 1987.

3.jpg

Roberto Bortoluzzi, storico coordinatore di “Tutto il calcio”

I radiocronisti furono esclusivamente di sesso maschile fino al 1988, quando debuttò Nicoletta Grifoni. Dopo Bortoluzzi il programma fu condotto dapprima da Massimo De Luca (dalla stagione 1987-88 fino al suo passaggio a Mediaset), quindi dal genovese Alfredo Provenzali e infine da Filippo Corsini (inizialmente solo per le partite di Serie B, dopo che esse furono spostate al sabato nella stagione 2005-06, rendendo necessaria una trasmissione ad hoc). Alla morte di Provenzali, Corsini assunse anche la conduzione per la Serie A, a partire dalla stagione 2012-2013. Nella stagione 2000-01 la trasmissione fu trasferita negli studi del Centro Rai di Saxa Rubra, a Roma.

Questo il dettaglio dell’intera giornata  di Serie A giocata in quel fatidico 10 gennaio 1960.

Quattordicesima giornata

Alessandria – Padova 0-0

Alessandria: Arbizzani, Nardi, Giacomazzi, Forin, Boniardi, Girardo, Oldani, Migliavacca, Filini, Rivera, Tacchi.

Padova: Pin, Cervato II, Secco, Pison, Blason, Gasperi. Perani, Rosa, Brighenti, Mari, Tortul.

Arbitro: Roversi.

Nelle file dei grigi c’è un giovanissimo Rivera, in procinto di passare al Milan e diventarne il leader assoluto. Tra i patavini, la difesa-bunker con Pin, Secco e Blason; il regista Rosa, l’ala Perani, poi al Bologna, e un futuro sampdoriano, il centravanti Brighenti indimenticato goleador, e un ex blucerchiato come Tortul.

4.jpg

Alessandria 1959-’60: in piedi, da sinistra, Migliavacca, Girardo, Stefani, Boniardi, Filini, Nardi; accosciati: Maccacaro, Rivera, Tacchi, Forin, Giacomazzi.

Atalanta – Udinese 0-0

Atalanta: Boccardi, Cattozzo, Roncoli, Bodi, Gustavsson, Marchesi, Zavaglio, Maschio, Nova, Ronzon, Longoni.

Udinese: Santi, Del Bene, Menegotti, Sassi, Pinardi, Manente, Pentrelli, Milan, Bettini,Giacomini, Fontanesi.

Arbitro: Orlandini.

Bari – Lazio 0-0

Bari: Mezzi, Baccari, Mupo, Mazzoni, Seghedoni, Macchi, De Robertis, Tagnin, Erba, Conti, Cicogna.

Lazio: Cei, Molino, Eufemi, Carradori, Janich, Prini, Mariani, Tozzi, Rozzoni, Franzini, Bizzarri.

Arbitro: Angelini.

5.jpg

Bologna – Napoli 4-1

Reti: Pascutti (2), Campana, Di Giacomo, autorete Beltrandi.

Bologna: Santarelli, Tumburus, Pavinato, Mialich, Greco I, Bulgarelli, Cervellati, Demarco, Campana, Fascetti, Pascutti.

Napoli: Bugatti, Comaschi, Mistone, Beltrandi, Greco II, Posio, Di Giacomo, Bertucco, Vinicio, Del Vecchio, Gasparini.

Arbitro: Liverani.

Nel Bologna, oltre a prim’attori della Serie A e della nazionale come Bulgarelli e Paxcutti, troviamo Eugenio Fascetti, protagonista sei anni dopo con il Savona della sventurata stagione in Serie B.

Fiorentina – Sampdoria 4-0

Reti: Petris, Hamrin (2), Lojacono.

Fiorentina: Sarti, Robotti, Castelletti, Malatrasi, Orzan, Chiappella, Hamrin, Lojacono, Montuori, Azzali, Petris.

Sampdoria: Bardelli, Vincenzi, Tomasin, Bergamaschi, Marocchi, Delfino, Morfa, Grabesu, Ockwirk, Skoglund, Cucchiaroni.

Arbitro: De Marchi.

I gigliati schierano una tra le più belle formazioni della loro storia dal trio difensivo Sarti, Robotti, Castelletti, alla mediana formata da Malatrasi, Orzan e Chiappella, all’imprendibile Kurt Hamrin sulla fascia destra, al genio di Montuori a centrocampo e alle bordate di Lojacono. Nella Samp, i mitici Vincenzi, il grande Ockwirk, lo sregolato ma incantevole Skoglund e il guizzante Tito Cucchiaroni, idolo della tifoseria blucerchiata.

Genoa – Spal 0-1

Rete: Massei.

Genoa: Buffon, Corradi, Beraldo, Piquè, Carlini, Pistorello, Leoni, Abbadie, Bresolin, Pantaleoni, Barison.

Spal: Nobili, Picchi, Bozzao, Micheli, Catalani, Balleri, Novelli, Massei, Rossi, Ganzer, Morbello.

Arbitro: Marchese.

Milan – Juventus 0-2

Reti: Stacchini, Cervato.

Milan: Ghezzi, Fontana, Trebbi, Liedholm, Maldini, De Angelis, Bean, Schiaffino, Altafini, Grillo, Danova.

Juventus: Mattrel, Castano, Sarti, Leoncini, Cervato, Colombo, Nicolè, Boniperti, Charles, Sivori, Stacchini.

Arbitro: Adani.

Match ad alto livello. “Kamikaze” Ghezzi tra i pali del Milan con Cesare Maldini a dominare l’area di rigore, Pepe Schiaffino a disegnare traiettorie preziose in mezzo al campo, Altafini goleador di razza brasiliana. La Juve è tutta rappresentata dal trio Boniperti-Charles-Sivori, magìe e forza d’urto.

6.jpg

Milan 1959 – 60: Maldini, Occhetta, Liedholm, Altafini, De Angelis, Schiaffino; accosciati, Trebbi, Danova, Alfieri, Zagatti, Bean

Palermo – Inter 1-1

Reti: Angelillo, Sacchella.

Palermo: Anzolin, De Bellis, Valadè, Benedetti, Grevi, Carpanesi, Sacchella, Vernazza, Arce, Malavasi, Greatti.

Inter: Matteucci, Fongaro, Guarneri, Invernizzi, Cardarelli, Bolchi, Bicicli, Masiero, Angelillo, Lindskog, Corso.

Arbitro: Babini.

Il Palermo mette in campo il futuro in grandi squadre: il portiere Anzolin, Carpanesi, Arce, Malavasi, Greatti. L’Inter, in attesa di Picchi e del duo Burgnich-Facchetti, ha la sua forza in Invernizzi, Bicicli detto “Bicicletta” per i chilometri percorsi, il grande Anton Valentin Angelillo e Mariolino Corso, mago delle punizioni “foglia morta”.

Roma – Lanerossi Vicenza 3-1

Reti: autorete di Panzanato, autorete di Losi, Selmonsson (2).

Roma: Panetti, Griffith, Losi, David, Bernardin, Guarnacci, Da Costa, Pestrin, Manfredini, Selmonsson, Castellazzi.

Lanerossi Vicenza: Battara, Burelli, Savoini, Zoppelletto, Panzanato, Traverso, Conti, Menti, Cappellaro, Leopardi, Fusato.

I giallorossi mettono in mostra Panetti, portiere di assoluta sicurezza, l’acrobatico terzino Losi, “Piedone” Manfredini idolo della tifoseria, “raggio di luna” Selmonsson e Da Costa. Dei biancorossi vicentini da ricordare Battara, futuro numero uno della Samp, ma soprattutto, per la tifoseria savonese, lo sventurato Zoppelletto, protagonista negativo, con il portiere Ferrero, della retrocessione del Savona dalla Serie B.

IV SERIE E SERIE D: SAVONA E IMPERIA LE LIGURI VINCENTI

NICOLE’ E VIRGILI: LE PROMESSE MANCATE DEL CALCIO ITALIANO