DA JOHN CHARLES A GIGI RIVA I MIGLIORI COLPITORI DI TESTA NELLA STORIA DEL CAMPIONATO

a cura di FRANCO ASTENGO

Il colpo di testa ha sempre rappresentato uno dei momenti più spettacolari nella dinamica del gioco del calcio. Nel corso della lunga storia del campionato italiano abbiamo avuto veri specialisti, sia dal punto di vista dell’attacco, cioè dei giocatori capaci di tramutare in goal i precisi traversoni scagliati in area di rigore (o più frequentemente i cross provenienti da calcio d’angolo, situazione nella quale sono riusciti a segnare addirittura dei portieri capaci di proiettarsi temerariamente all’avventura nell’area avversaria), sia dal punto di vista della difesa. In questo senso apparivano esaltanti le respinte eseguite in anticipo sull’attacco avversario, a volte veri e propri capolavori di elevazione e acrobazia. Nei tempi pionieristici poi il colpo di testa presentava un’ulteriore difficoltà, quella rappresentata dai palloni cuciti con la stringa, un vero e proprio pericolo per la fronte del coraggioso giocatore che si misurava in aria con quel tipo di pallone. All’epoca i giocatori che per il ruolo ricoperto si trovavano più frequentemente a dover colpire di testa si fasciavano proprio la fronte con una benda per attutire il colpo. Abbiamo così selezionato, con classifiche sicuramente stilate in maniera del tutto opinabile, i migliori specialisti del colpo di testa che hanno frequentato il campionato italiano, distinguendoli com’è giusto tra attaccanti e difensori.

Ecco il frutto di questa “selezione della memoria”.

Attaccanti

1)John Charles

William John Charles(Swansea27 dicembre 1931 – Wakefield21 febbraio 2004) è stato un allenatore di calcio e calciatore gallese, di ruolo attaccante.

Charles nacque a Swansea e si unì al Leeds United all’età di 17 anni. Per questa squadra segnò 150 gol in otto anni, compresi 42 nella stagione 1953-54. Nel 1957, Gigi Peronace, curò l’acquisto ed il passaggio alla Juventus per l’allora cifra record di 65.000 sterline. Nei suoi cinque anni alla Juventus mise a segno 105 gol in 182 partite, vincendo tre scudetti e due Coppe italia. Si guadagnò il soprannome di Gigante Buono e di King John sia per la sua statura, sia perché non venne mai ammonito o espulso.

Dopo il periodo alla Juventus, ritornò al Leeds United, e giocò anche per la Roma; concluse la sua prestigiosa carriera da giocatore al Cardiff City. In seguito, divenne allenatore dell’Hereford e del Merthyr Tydfil, e direttore tecnico della squadra canadese, Hamilton Steelers.

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John Charles con la maglia del Galles nel 1954, al Ninian Park, prima di una sfida contro la Scozia. “King John” esordì nella nazionale gallese poco dopo aver compiuto i diciotto anni, e contribuì all’unica apparizione della squadra in un Mondiale, quello del ‘58: in tale occasione, il Galles approdò ai quarti di finale (gara che Charles non giocò), venendo sconfitto per 1-0 dal Brasile – poi vincitore del Mondiale – con un gol dell’emergente Pelé.

2)Gigi Riva

Luigi Riva, dettoGigi(Leggiuno7 novembre 1944), è un dirigente sportivo ed ex calciatore italianocampione italiano nel 1970 con la maglia del Cagliari di Manlio Scopigno (con Albertosi tra i pali, il mastino Martiradonna, Cera a dirigere difesa e centrocampo, Domenghini, Nenè e Gori in attacco), campione europeo nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970con la nazionale italiana di cui detiene il record di marcature con 35 gol.

Unanimemente considerato uno dei migliori giocatori italiani di ogni epoca, occupa la 74ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo stilata dalla rivista World Soccer.

Dopo essere stato brevemente presidente del Cagliari nella stagione 1986-1987, ha ricoperto il ruolo di team manager della nazionale italiana dal 1990 al 2013.

Nel 2011 entra a far parte della Hall of Fame del calcio italiano tra i veterani.

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Gigi Riva “Rombo di Tuono” con la maglia azzurra

3)Roberto Boninsegna

Roberto Boninsegna (Mantova13 novembre 1943) è un dirigente sportivoallenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo attaccanteÈ stato vice-campione mondiale nel 1970 con la nazionale italiana, protagonista con Rivera e Riva dello storico 4-3 contro la Germania in semifinale. Era un attaccante di sfondamento, a tratti egoista in campo. Molto dotato in acrobazia e nel gioco aereo, rimangono nella memoria i suoi duelli col difensore Francesco Morini, dapprima rivale e poi compagno di squadra nella Juventus. Secondo un parere diGianni Brera, Boninsegna è stato, nei primi anni 1970, il più forte centravanti del mondo insieme al connazionale Gigi Riva. Ottimo rigorista, in Serie A riuscì a mettere a segno 19 penaltyconsecutivi, la striscia più lunga mai realizzata nel massimo campionato italiano.

È noto col soprannome di Bonimba, termine coniato dallo stesso Brera durante i trascorsi dell’attaccante a Cagliari; il particolare nomigliolo nacque dalla crasi tra Boninsegna e Bagonghi – quest’ultimo, un desueto pseudonimo riferito ai nani da circo – e, secondo Brera, esprimeva al meglio il fatto che, pur non vantando una grande statura fisica, Boninsegna riusciva agilmente a saltare più in alto dei suoi marcatori.

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Morini e Boninsegna a duello

4)Silvio Piola

Silvio Piola (Robbio29 settembre 1913 – Gattinara4 ottobre 1996) è stato un calciatore e allenatore di calcio italiano, di ruolo attaccante.

Annoverato tra i più grandi centravanti della storia del calcio, detiene diversi primati nei massimi campionati nazionali: pur avendo perso alcuni anni a causa della Seconda guerra mondiale, ne è il massimo marcatore con 290 reti (274 in Serie A e 16 in Divisione Nazionale 1945-1946) ed è il miglior cannoniere in categoria di tre diverse squadre (Pro VercelliLazio e Novara). Detiene dal 1933 il record di marcature in una singola gara, 6, eguagliato da Omar Sívori contro l’Inter nel 1961.

Ottenne inoltre risultati di prestigio con la nazionale italiana, essendo stato tra i protagonisti della vittoria al Mondiale di Francia 1938; è tuttora il terzo miglior marcatore degli azzurri, dopo Gigi Riva e Giuseppe Meazza, con 30 reti.

Nel 2011 ha ottenuto un riconoscimento alla memoria nella Hall of Fame del calcio italiano

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Piola (a destra) con Vicpalek nel periodo juventino

5)Carlo Galli

Carlo Galli (Montecatini Terme6 marzo 1931) è un dirigente sportivo ed ex calciatore italiano, di ruolo attaccante.

Dopo essersi formato calcisticamente nel Montecatini, la carriera agonistica di Carlo Galli rimane legata a filo doppio a quella del tecnico Giuseppe Gipo Viani. Incontra il futuro ct della Nazionale a Lucca nel 1949 e nell’estate dello stesso anno con il passaggio di Viani alla panchina del Palermo, Galli viene ingaggiato dai rosanero dal Cascina. Malgrado la sua statura è però negato nel gioco aereo e qui l’apporto di Viani è stato determinante. Riesce a farne un centravanti che sfrutta al meglio le sue caratteristiche, tanto da essere soprannominato testina d’oro e l’8 dicembre 1949 arriva l’esordio in Serie A. Il 18 dicembre (Palermo Lazio 2-1) realizza i suoi primi goal in Serie A. Chiude la sua prima stagione in massima serie con 8 goal. Il 5 novembre 1950 (Palermo Pro Patria 8-0) realizza quattro goal. Dopo due stagioni, la coppia Viani-Galli si trasferisce alla Roma che, retrocessa in serie B, cerca l’immediata risalita, puntando sui giovani e con l’altro acquisto Lorenzo Bettini forma un nuovo reparto offensivo. La Roma vince il campionato di serie B del 1951-1952 e Galli è il miglior realizzatore giallorosso con 13 reti. La stagione successiva, mentre Viani ritorna in A accettando la panchina del Bologna che si è salvato soltanto per un punto, Galli decide di risalire nella massima serie restando a Roma. Veste il giallorosso fino al 1956 quando uno scambio con Gunnar Nordahl lo porta a vestire la maglia rossonera, dove ritrova Viani. A Milano resta un quinquennio, collezionando in serie A 112 presenze, segnando 47 reti e conquistando due scudetti (1956-1957 e 1958-1959). In fase realizzativa da ricordare le 5 reti segnate nel Milan-Lazio del 13 aprile 1958 (sfiorando il record assoluto).

Seguì una breve esperienza nell’Udinese con cui gioca 8 partite fino al mese di novembre del 1961, quando passa al Genoa squadra con cui ottiene la vittoria del campionato di Serie B 1961-1962 e la Coppa delle Alpi 1964. Chiude l’esperienza in massima serie a Roma, stavolta sponda Lazio, rimanendoci fino al novembre 1965.

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 Carletto Galli

6)Ettore Puricelli

Héctor Puricelli Señameglio noto comeEttore Puricelli(Montevideo15 settembre 1916 – Roma14 maggio 2001), è stato un calciatore e allenatore di calcio uruguaiano naturalizzato italiano.Arrivato al Bologna negli anni trenta, fu presto soprannominato “testina d’oro” per le sue ottime doti di colpitore di testa, che valsero ai felsinei lo scudetto del 1939 e del 1941, nonché la classifica cannonieri negli stessi due anni. Singolare il fatto che quando giocava in Uruguay non aveva mai segnato di testa, in quanto non aveva compagni di squadra che facessero dei cross. Ma quando approdò al Bologna scoprì questa specialità, complice il fatto di avere come ala Amedeo Biavati, in grado di calciare dei cross perfetti. Passato al Milan, giocò vari anni per i rossoneri, chiudendo la carriera al Legnano, dove giocò in Serie B per due stagioni, nelle quali si mise in luce segnando molte reti. Disputò anche una partita con la nazionale azzurra. Con il Bologna in cinque campionati ha segnato 80 reti in 133 partite, mentre con il Milan in quattro stagioni ha segnato 55 reti in 157 partite. Nelle due stagioni trascorse al Legnano ha segnato 25 reti in 38 partite.

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Puricelli allenatore del Foggia (1976)

Chiusa la carriera di giocatore, intraprese quella di allenatore, guidando molte squadre italiane. Iniziò come direttore tecnico del Legnano nel vittorioso campionato di Serie B 1950-1951, ultimo suo anno da calciatore, e nel successivo campionato di Serie A 1951-1952.

Fra i suoi successi si ricorda lo scudetto del 1955 con il Milan, quando subentrò a Béla Guttman, la doppia promozione dalla C alla A ottenuta col Varese in soli tre anni negli anni sessanta e le varie salvezze ottenute nel Cagliari e nel Vicenza, che guidò in tre riprese fra il 1968 e il 1975.

Ha allenato anche il Foggia, in serie B nel 1971-1972, poi in serie A nel 1976-1977 e 1977-1978 ed in Serie C nel 1979-1980, ottenendo il ritorno in Serie B della squadra dauna.

7)Gabriel Omar Batistuta

Gabriel Omar Batistuta (Avellaneda1º febbraio 1969) è un allenatore di calcio ed ex calciatore argentino, di ruolo attaccanteSoprannominato Batigol e Re Leone, è considerato uno dei più forti attaccanti di tutti i tempi. È stato inserito nella FIFA 100, la lista dei 125 migliori giocatori viventi redatta dalla FIFA in occasione del centenario della federazione; occupa inoltre la 23ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata da World Soccer.

Cresciuto nelle giovanili del Newell’s Old Boys, ha giocato in patria anche per River Plate e Boca Juniors, ottenendo il titolo argentino nel 1991. Giunto in Italia, ha vestito per nove anni la maglia della Fiorentina, con cui ha vinto una Coppa Italia e una Supercoppa italiana: nel corso degli anni 1990 è stato il capitano della squadra viola, diventando con 152 gol il miglior marcatore della storia della squadra gigliata in Serie A. Passato alla Roma, ha conquistato lo scudetto 2000-2001 e una Supercoppa italiana, trasferendosi poi all’Inter. Nel 2005 ha terminato la sua carriera in Qatar nelle file dell’Al-Arabi. Dopo il ritiro, ha fatto parte dello staff tecnico della Nazionale argentina e ha svolto il ruolo di segretario tecnico al Colón de Santa Fe.

Con 54 gol è il secondo miglior realizzatore nella storia della Nazionale argentina; con 151 gol è il miglior marcatore della Fiorentina in Serie A, squadra di cui è stato anche capitano. Inoltre, con 184 reti, è al 12º posto nella classifica dei marcatori della Serie A. Nel 1994 ha stabilito il record di gol in giornate consecutive nel campionato italiano (11), in precedenza appartenente ad Ezio Pascutti.Nel luglio 2015 viene inserito nella hall of fame della Roma

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Gabriel Batistuta detto “Re Leone” o “Batigol”

8)Paolo Barison

Paolo Barison (Vittorio Veneto23 giugno 1936 – Andora17 aprile 1979) è stato un allenatore di calcio e calciatore italiano di ruolo ala sinistra. Lo stadio Comunale di Vittorio Veneto è intitolato alla sua memoria.

Diede i suoi primi calci nel Vittorio Veneto e poi nel Venezia, appena diciottenne, segnando 9 reti in Serie C (contribuendo alla promozione in B) e 11 l’anno successivo nella serie cadetta. Passò al Genoa nel 1957 mettendosi subito in luce e realizzando ben 30 reti nei 3 campionati disputati in Serie A. Alla fine del suo terzo anno a Genova, il club rossoblu retrocesse fra i cadetti in virtù di una sentenza della Caf per uno scandalo riguardante un tentativo di “aggiustare” una partita. Barison allora passò al Milan col quale, pur giocando in modo discontinuo, vinse lo scudetto del 1961-62 (insieme ai compagni di squadra Luigi RadiceGiovanni TrapattoniJosé Altafini e Gianni Rivera) e la successiva Coppa dei Campioni (in 3 campionati segnò 14 reti).

Trasferitosi alla Sampdoria, nel 1963-1964 giocò 23 partite segnando 13 gol, oltre ad 1 partita e 1 gol in Coppa delle Fiere (coppa che anticipò la successiva Coppa UEFA, ma riservata alle sole squadre di città che ospitavano Fiere internazionali). L’anno successivo giocò 33 partite segnando 6 reti; quindi, dopo due buone stagioni in maglia blucerchiata, si trasferì per due anni alla Roma, indossando la maglia numero 11 e segnando 13 reti. Per le successive tre stagioni giocò a Napoli, dov’era approdato nel 1967 (55 gare e 6 reti). Fu poi in Serie B nelle file della Ternana nel 1970-1971 segnando 10 gol in 31 partite, per passare al Bellaria del suo vecchio compagno di squadra Gastone Bean l’anno successivo, dove realizza 17 reti in 31 incontri, e chiudere la carriera agonistica, dopo una breve esperienza oltreoceano, militando nella NASL con la formazione canadese dei Toronto Metros, nel Levante Genova, in Serie D.

Un dato di cronaca. Barison è morto in un drammatico incidente stradale avvenuto la mattina di martedì 17 aprile 1979 sull’Autofiori, nei pressi di Andora. La Fiat 130 coupè su cui viaggiava con Gigi Radice diretto a Torino prese fuoco dopo essersi scontrata con un autoarticolato che aveva sfondato il guardrail finendo sulla carreggiata opposta. Radice riportò gravi ferite e ustioni ma si salvò, Per Barison non ci fu nulla da fare.

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Barison

9)Ezio Pascutti

Ezio Pascutti (Mortegliano1º giugno 1937 – Bologna4 gennaio 2017) è stato un calciatore e allenatore di calcio italiano, di ruolo attaccante. Giocava come ala. Il suo nome è legato a doppio filo con quello del Bologna, squadra nella quale approdò nel 1954-1955 a 17 anni. Esordì diciottenne in Serie A e a partire dal 1958-1959 formò una coppia d’ali con Marino Perani. Rimase al Bologna fino al 1969, per un totale di 296 presenze in serie A con 130 reti. Con la propria squadra, conquistò anche il celebre scudetto del 1964, guadagnato nello spareggio con l’Inter, e una Coppa Mitropa. Era il Bologna di Fuffo Bernardini con Negri in porta, Janich, Tumburus e Furlanis pilastri difensivi, Fogli e Bulgarelli perni del centrocampo, Haller e Nielsen gioielli dell’attacco.Tra i tanti meriti sportivi, Pascutti ha detenuto per moltissimo tempo il record di reti consecutive in campionato (10), infranto nel 1994 da Gabriel Batistuta. Conta 17 presenze in Nazionale, con la quale segnò anche 8 reti (oltre a 2 presenze e una rete con la Nazionale B). Ha inoltre partecipato a due campionati del mondo: nel 1962 e nel 1966. Nonostante le sue indubbie qualità sportive, Pascutti è ricordato anche per un episodio avvenuto in un incontro della nazionale contro l’URSS il 13 ottobre 1963: reagì al duro trattamento riservatogli dal terzino Dubinsky guadagnandosi un’espulsione al 23′; la Nazionale fu sconfitta ed eliminata dagli Europei.

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Il colpo di testa “in tuffo” era la vera specialità di Pascutti che, nella foto, “brucia” sul tempo Burgnich

10)John Hansen

John Hansen (Copenaghen27 luglio 1924 – Copenaghen12 gennaio 1990) è stato un allenatore di calcio e calciatore danese, di ruolo attaccante.Inizia la sua carriera agonistica nel Frem di Copenaghen, dove nella difficile stagione 1943-1944, segnata dal secondo conflitto mondiale, conquista il titolo di campione nazionale, cui segue sul piano personale quello di capocannoniere nel campionato 1947-1948. Dopo i Giochi olimpici del 1948 c’è subito un contatto con i dirigenti del Torino per portare Hansen in maglia granata, ma il 18 novembre 1948 il giocatore passa ai rivali cittadini della Juventus. Tre giorni dopo esordisce in maglia bianconera nella sfida casalinga contro il Bari. Rimane a Torino per sei stagioni, fino al 1954, giocando 189 partite (187 in Serie A e 2 in Coppa Latina), segnando 124 reti e vincendo 2 scudetti, di cui uno come capocannoniere. Considerato uno dei migliori giocatori ad aver vestito la maglia juventina, nel 2011 è stato omaggiato di una stella celebrativa nella Walk of Fame bianconera allo Stadium di Torino Gioca poi una stagione nella Lazio, per poi ritornare in Danimarca nelle file del Frem come giocatore-allenatore, e dove chiude la sua carriera agonistica nel 1960. Il 5 agosto 1948, in occasione dell’incontro del torneo olimpico di Londra 1948 tra l’Italia di Vittorio Pozzo e la Danimarca, Hansen firma 4 dei 5 gol (ai minuti 31′, 55′, 75′ e 81′) con cui gli scandinavi (che poi arriveranno a vincere la medaglia di bronzo) batterono gli azzurri per il 5-3 finale. Con 7 reti è capocannoniere di quel torneo, a pari merito con lo svedese Gunnar Nordahl. Nel 1969 diventerà anche commissario tecnico della nazionale danese.

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John Hansen in maglia bianconera

Difensori

1)Carlo Parola

Carlo Parola (Torino20 settembre 1921 – Torino22 marzo 2000) è stato un allenatore di calcio e calciatore italiano, di ruolo difensore; da allenatore fu tecnico di varie squadre, tra cui la Juventus, nella quale crebbe e in cui trascorse gran parte della sua carriera di calciatore, affermandosi tra i più grandi difensori del XX secolo. Emerso come centravanti, negli anni allaJuventus l’allenatore Felice Borel, grande seguace del sistema inglese, lo dirottò a centromediano con compiti a metà tra quelli di uno stopper e un libero – marcatura dell’attaccante avversario e, una volta riconquistato il pallone, impostazione della ripartenza –, facendone di fatto l’erede in maglia bianconera di Luis Monti. Nonostante l’iniziale ritrosia di Parola verso questo cambiamento, la nuova posizione in campo e le conseguenti prestazioni gli daranno risalto a livello internazionale.

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La celebre rovesciata di Parola. La sua notorietà è dovuta soprattutto a un caratteristico gesto tecnico, la rovesciata, che il giocatore fu il primo a utilizzare con frequenza nel calcio italiano. La più famosa “rovesciata di Parola” nacque il 15 gennaio 1950, all’80’ di Fiorentina-Juventus così rappresentata dalle parole di Corrado Banchi, giornalista freelance, autore di una memorabile fotografia. Ci sono voluti 68 anni (3 aprile 2018) per portare nella storia un’altra rovesciata-simbolo, protagonista Cristiano Ronaldo che ha siglato il gol del 2-0 del Real Madrid contro la Juve nei quarti di finale della Champions

« […] Parte un lancio di Magli verso Pandolfini. Egisto scatta, tra lui ed il portiere c’è solo Carlo Parola; l’attaccante sente di potercela fare ma il difensore non gli dà il tempo di agire. Uno stacco imperioso, un volo in cielo, una respinta in uno stile unico. Un’ovazione accompagna la prodezza di Parola».

Quella rovesciata è stata pubblicata in oltre 200 milioni di copie con didascalie in greco e cirillicoarabo e giapponese, ed è puntualmente riproposta ogni anno sugli album Calciatori delle figurine Panini.

2) Luis Monti

Luis Montiall’anagrafeLuis Felipe Monti(Buenos Aires15 maggio 1901 – Escobar9 settembre 1983, è stato un calciatore e allenatore di calcio argentino naturalizzato italiano, di ruolocentromediano. Vicecampione del mondo nel 1930 con l’Argentina e campione del mondo nel 1934 con l’Italia. È stato l’unico calciatore ad avere disputato due finali di Coppa del mondo con due nazionali diverse. Ritenuto uno dei massimi esponenti della disciplina a livello mondiale durante il periodo interbellico, era soprannominato doble ancho, cioè “armadio a due ante” per via della sua robustezza e forza fisica. Fu uno dei tanti giocatori oriundi che nel primo dopoguerra vestirono la maglia della nazionale italiana. Dopo aver svolto numerosi mestieri, tra cui il pastaio a Tigre, iniziò a giocare al General Mitre. Nel 1921, sollecitato dallo zio Juan, si trasferì all’Huracán, dove rimase per una sola stagione. L’anno dopo passò al CA Palermo e poi al San Lorenzo. Nel club di Almagro visse il periodo più florido della sua carriera in Argentina, segnando 40 gol in 202 partite di campionato nel corso di nove stagioni. Continuò però a giocare, parallelamente, anche in altre squadre, giacché la presenza di due federazioni, AAF e AAm, permetteva ai giocatori di partecipare a due campionati contemporaneamente.Si trasferì in Italia nel luglio 1931, voluto alla Juventus da Raimundo Orsi, grazie alla mediazione del procuratore Rava; si fece pagare cinquemila dollari americani al mese, più una casa nei pressi di Torino. In maglia bianconera vinse ben quattro scudetti consecutivi, divenendo uno dei maggiori artefici del cosiddetto Quinquennio d’oro vissuto dalla squadra piemontese nella prima metà degli anni 1930. Collezionò con la Vecchia Signora 263 presenze realizzando 22 gol, 19 dei quali in Serie A. La carriera italiana non era cominciata però bene: dopo aver debuttato con una rete nella gara contro la Pro Patria, a causa della sua mancanza di forma che lo portava a essere in sovrappeso di 15 chili decise autonomamente di restare fuori squadra per mettersi a dieta con esercizi fisici. Ogni giorno infatti correva con addosso tre maglioni di lana lungo il viale Stupinigi, seguendo una dieta sotto la guida del massaggiatore Angeli. Conservò quest’abitudine anche dopo il dimagrimento, alzandosi presto e correndo sei giri di campo con il maglione allo stadio..

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Monti nella prima parte degli anni 1930, con la maglia della Juventus

Dopo la fine del recupero, durato due settimane, divenne titolare sino alla fine del campionato, nel quale giocò 29 partite segnando due gol.Monti non volle aumenti del contratto nonostante le proposte della dirigenza, affermando che «Il contratto è quello e voglio rispettarlo».

Si ritirò dal calcio professionistico nel 1938, a trentasette anni, dopo un grave infortunio.In seguito, tra il 1938 e il 1947 giocò come amatore in alcuni club francesispagnolisvizzeritedeschiaustriaci e jugoslavi. Centrosostegno massiccio ed efficace, esordì con la nazionale argentina nell’agosto 1924, disputando i Giochi olimpici del 1928 e conquistando il secondo posto al mondiali del 1930. Grazie ai suoi avi emiliani poté giocare, fin dal dicembre 1932, con la nazionale azzurra, con cui totalizzò diciotto presenze e un gol, conquistando il titolo mondiale del 1934agli ordini di Vittorio Pozzo. Un’altra indiscrezione afferma che Monti fu ancora una volta minacciato di morte: si dice infatti che avesse ricevuto da Mussolini una lettera che diceva: “[…] siete gli artefici del vostro destino. Se vincete bene, se perdete, che Dio vi aiuti!”. Monti divenne così il primo e, sinora, unico giocatore ad aver disputato due finali mondiali con due casacche differenti. Patì un pesante infortunio di gioco nella gara contro l’Inghilterra disputata il 14 novembre 1934 e passata alla storia come Battaglia di Highbury. Subì un duro pestone che gli fratturò l’alluce dal centravanti inglese Drake. Nonostante ciò Monti non volle abbandonare il campo, restando inutilizzabile all’ala. Nell’intervallo fu convinto da un medico ad andare all’ospedale, rimanendo a lontano dai campi da gioco per quasi un anno. Nonostante questo la sua carriera continuò in nazionale sino al 1936.

 3) Fulvio Collovati

Fulvio Collovati (Teor9 maggio 1957) è un dirigente sportivo ed ex calciatore italiano, di ruolo difensorecampione del mondo nel 1982, ora commentatore televisivo. Scoperto da Giovanni Trapattoni mentre a 13 anni giocava nell’oratorio di Limbiate, crebbe nelle giovanili del Milan con le quali perse due finali del Torneo di Viareggio, nel 1976 e 1977, venendo premiato anche come miglior giocatore. Esordì in Serie A con i rossoneri nella stagione 1976-1977, sotto la guida di Pippo Marchioro il quale lo impiegò come riserva di Angelo Anquilletti e Giuseppe Sabadini, scendendo in campo 11 volte e conquistando la Coppa Italia. Nella stagione seguente, con Nils Liedholm in panchina, giocò con più regolarità (25 presenze e 1 gol), ma la consacrazione definitiva avvenne nell’annata 1978-1979 dove disputò 27 partite contribuendo, come uno dei punti di forza della difesa rossonera, allo scudetto della stella. Al termine della successiva stagione il Milan venne condannato alla retrocessione in Serie B per illecito sportivo, e a differenza di altri giocatori Collovati seguì la squadra rossonera fra i cadetti, giocando 36 partite con due reti e riconquistando la massima serie.

Nell’estate 1981 venne nominato nuovo capitano milanista, in sostituzione di Aldo Maldera; tuttavia al termine dell’annata 1981-1982 il Milan retrocedette nuovamente in serie cadetta, questa volta sul campo, subendo una dura contestazione che non risparmiò Collovati, il quale tra le altre cose venne colpito da un sasso lanciato dagli spalti da un tifoso rossonero durante una partita a Como. La fallimentare stagione segnò la fine dell’esperienza in rossonero del difensore. Collovati, nel frattempo diventato campione del mondo con la nazionale, durante l’estate 1982 preferì lasciare il turbolento ambiente del Milan per accasarsi ai rivali cittadini dell’Inter .In  nerazzurro disputò quattro stagioni da titolare, le prime due in comproprietà con il Milan, e quindi acquistato definitivamente dalla società interista; qui raggiunse per due anni di fila le semifinali di Coppa UEFA, nel 1984-1985 e 1985-1986, tuttavia sul piano personale perse parte della freschezza atletica delle stagioni precedenti, venendo anche impiegato come libero dall’allenatore Mario Corso. Nel 1987 il suo ex tecnico Liedholm lo portò alla Roma, dove disputò due stagioni. Richiesto da Franco Scoglio,chiuse la carriera nel Genoa con cui giocò per quattro anni, dal 1989 al 1993, tutti disputati in Serie A; con la formazione rossoblù, in seguito passata nelle mani di Osvaldo Bagnoli, raggiunse il quarto posto nel campionato di Serie A 1990-1991 e le semifinali della Coppa UEFA 1991-1992, migliori risultati del grifone dal secondo dopoguerra. Collovati esordì in nazionale il 24 febbraio 1979, a 21 anni, nella partita amichevole Italia-Paesi Bassi (3-0) disputata a Milano. Realizzò la sua prima rete in azzurro il 16 febbraio 1980, in Italia-Romania (2-1) giocata a Napoli. Nonostante fosse sceso in serie cadetta, convinse il commissario tecnico Enzo Bearzot a convocarlo per il campionato d’Europa 1980 dove l’Italia, paese ospitante, si classificò quarta.

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Collovati (in piedi, secondo da destra) nell’Italia campione del mondo a Spagna 1982

Due anni dopo fu tra i protagonisti della vittoriosa spedizione azzurra al campionato del mondo 1982, dove disputò, da titolare e con ottimo rendimento,tutte le gare della manifestazione fino alla finale dell’11 luglio 1982, vinta 3-1 contro la Germania Ovest. Dopo il Mondiale di Spagna perse tuttavia il posto da titolare partecipò comunque anche al campionato del mondo 1986 in Messico dove fu impiegato unicamente nella terza gara del girone, la partita del 10 giugno vinta 3-2 contro la Corea del Sud, che rimane la sua ultima presenza in maglia azzurra. Con la nazionale ha totalizzato 50 presenze e realizzato 3 gol.

 4) Fabio Cannavaro

Fabio Cannavaro (Napoli13 settembre 1973) è un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo difensore, tecnico del Guangzhou Evergrande. Considerato uno dei migliori difensori nella storia del calcio italiano,nel 2006 è stato campione del mondo con la Nazionale italiana, della quale ha detenuto il record di presenze dal 2009 fino al 2013 (136, superato poi da Gianluigi Buffon), e della quale è stato il capitano dal 2002 al 2010; è inoltre il secondo giocatore con più presenze da capitano in Nazionale (79, ancora dietro Buffon). Ha vinto l’edizione 2006 del Pallone d’oro (quinto italiano vincitore del premio, dopo l’oriundo Omar SívoriGianni RiveraPaolo Rossi e Roberto Baggio), riconoscimento istituito dalla rivista francese France Football e attribuito al miglior calciatore militante in una squadra iscritta all’UEFA, in seguito ai voti di una giuria composta da giornalisti specializzati. Nel dicembre dello stesso anno è stato eletto FIFA World Player come miglior calciatore dell’anno in assoluto, scelto in base ai voti dei Commissari Tecnici e dei Capitani delle Nazionali di calcio.

Inserito nella squadra ideale del decennio dal Sun nel 2009, nel 2014 entrò a far parte della Hall of Fame del calcio italiano tra i calciatori.

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Fabio Cannavaro in maglia azzurra

 5) Michele Andreolo

Miguel Ángel Andriolo Frodella, italianizzato inMichele Andreolo(Carmelo, 6 settembre 1912 – Potenza, 14 maggio 1981, è stato un allenatore di calcio e calciatore uruguaiano naturalizzato italiano, di ruolo centromediano, fu campione del Mondo nel 1938 con la Nazionale italiana.

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Michele Andreolo con la maglia del Bologna

Cresciuto a Dolores, nato a Carmelo ma originario di Valle dell’Angelo in provincia di Salerno, Miguel Andreolo – poi italianizzato in Michele – conosciuto in Uruguay anche come Miguel Andriolo, come lui stesso si firmava nei documenti ufficiali, esordì come calciatore nella squadra locale del Libertad F.C., nel 1931. Nel 1932, “el Chivo” – così era soprannominato in Uruguay – venne ingaggiato dal Nacional Montevideo, il celebre club tricolor della capitale Oriental. Con il Nacional vinse due titoli nazionali, nel 1933 e nel 1934, diventando in breve tempo un punto fermo della squadra e uno dei beniamini della tifoseria. Il 25 agosto del 1934, faceva parte dell’undici titolare che affrontò nella finale di campionato il Peñarol. L’incontro – uno degli episodi più significativi della storia del Nacional Montevideo – fece epoca, e passò alla storia come “el clásico de los 9 contra 11”. Le sue qualità non passarono inosservate, e venne convocato nella “Celeste” per il Campeonato Sudamericano de Football 1935. L’Uruguay vinse il torneo, ma Andreolo non fu schierato, essendo il suo ruolo occupato da Lorenzo Fernández, campione olimpico ad Amsterdam 1928 e campione del mondo 1930.

Arrivò ventitreenne alla Serie A, e centrò in quel primo anno in Italia, il 1935-1936, la vittoria dello scudetto con la maglia del Bologna. Durante il periodo bolognese sbagliò l’unico rigore tirato nella sua carriera italiana in un Bologna-Fiorentina. Con il Bologna si distinse anche a livello internazionale, nella Coppa Mitropa, dove i suoi duelli contro Matthias Sindelar e György Sárosi fecero epoca. Bissato il titolo tricolore nella stagione 1936-37, nel mese di giugno del 1937 fu protagonista della vittoria nel Torneo Internazionale dell’Expo Universale di Parigi, in cui il Bologna sconfisse in finale gli inglesi del Chelsea per 4 a 1. Con la maglia rossoblù del Bologna vinse altri due scudetti (1938-1939 e 1940-1941) portando a 4 il suo palmarès personale.

Durante il periodo bellico disputò e vinse il Campionato romano di guerra 1943-1944 con la maglia della Lazio. Nel dopoguerra giocò con il Napoli in Serie A e con Catania e Forlì in Serie C. Con l’Uruguay partecipò alla vittoria del Campeonato Sudamericano del 1935 – l’attuale Coppa America -, senza essere mai schierato. Arrivato in Italia fu convocato in Nazionale italiana da Vittorio Pozzo ed esordì il 17 maggio 1936 a Roma, in una gara amichevole contro l’Austria. Diventò Campione del Mondo nel 1938 in Francia e chiuse in seguito, nel 1942, la carriera in Nazionale con 26 presenze e un gol.

 6) Francesco Morini

Francesco Morini (San Giuliano Terme12 agosto 1944) è un dirigente sportivo ed ex calciatore italiano, di ruolo stopper. Esordì in Serie A il 2 febbraio 1964 con la maglia della Sampdoria, militando nelle file del club genovese sino al termine del decennio. Con i blucerchiati si mise in luce calcando pressoché stabilmente i campi della massima serie italiana, eccetto per il vittorioso campionato di Serie B 1966-1967. Nell’estate del 1969 passò alla Juventus, chiamato a raccogliere l’eredità di Giancarlo Bercellino. Vestì la divisa bianconera per undici stagioni, emergendo tra i maggiori protagonisti della plurivittoriosa squadra degli anni ’70 che vinse cinque scudetti, la Coppa Italia 1978-79 e, soprattutto, la Coppa Uefa 1976-1977, il primo importante trofeo internazionale del club piemontese. Rimase stabilmente titolare nella retroguardia della Vecchia Signora fino alla stagione 1979-1980 quando, ormai trentacinquenne, cedette il posto al promettente Sergio Brio. Lasciata la Juventus dopo 255 partite di campionato, chiuse la carriera in Canada, vivendo una breve esperienza nel 1980 con i Toronto Blizzard nella North American Soccer League. In diciassette stagioni da professionista collezionò 386 presenze in Serie A[2] e 30 in Serie B. Vestì la divisa dell’Italia per 11 volte, debuttando il 25 febbraio 1973 a Istanbulcontro la Turchia, in una gara valevole per le qualificazioni al campionato del mondo 1974, e partecipando l’anno dopo alla suddetta rassegna iridata in Germania Ovest, scendendo in campo da titolare in tutti e tre gli incontri della fugace avventura italiana. Indossò per l’ultima volta la maglia azzurra l’8 giugno 1975, in occasione di un’amichevole a Mosca contro l’URSS.

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Morini in maglia azzurra, alle prese con il polacco Szarmach ai Mondiali 1974

Ebbe in generale un rapporto difficile con la Nazionale, non riuscendo mai a imporsi stabilmente come nelle squadre di club. Tra i fattori che andarono a suo sfavore ci fu il ritrovarsi, a metà degli anni 1970, in mezzo a un corposo ricambio generazionale, nonché la concorrenza nel ruolo del più giovane Mauro Bellugi, spesso a lui preferito dai commissari tecnici del decennio, ValcareggiBernardini e Bearzot.

7) Pietro Vierchwood

Pietro Vierchowod (Calcinate6 aprile 1959) è un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo difensore, campione del mondo nel 1982 con la nazionale italiana guidata da Enzo Bearzot. Ritenuto uno dei migliori difensori italiani di sempre, è stato uno dei massimi interpreti del ruolo negli anni 1980 e 1990. Nel corso della sua carriera ha conquistato due campionati di Serie A (1982-1983 e 1990-1991), quattro Coppe Italia (1984-19851987-19881988-1989 e 1993-1994), due Supercoppe italiane (1991 e 1995), una Coppa delle Coppe (1989-1990) e una Champions League (1995-1996), oltre ad un campionato di Serie C1 (1978-1979) e uno di Serie B (1979-1980). Tra il 1981 e il 1993 ha fatto parte della nazionale, con cui ha totalizzato 45 presenze (segnando 2 reti) e disputato tre edizioni del campionato del mondo (1982 – senza scendere in campo –, 1986 e 1990). Dopo le giovanili nello Spirano e un provino al Milan dove fu scartato,esordì nella Romanese, squadra bergamasca di Serie D, ma crebbe calcisticamente nel Como con cui disputò cinque campionati ottenendo una doppia promozione dalla Serie C1 alla Serie A. Esordì nella massima serie nella stagione 1980-1981, nella sconfitta interna contro la Roma (0-1), e contribuì alla salvezza della formazione lariana. Acquistato nel 1981 dalla Sampdoriadel presidente Paolo Mantovani, che al tempo militava in Serie B, il 15 luglio venne prestato alla Fiorentina (con cui giunge secondo in campionato dietro alla Juventus). Il 14 luglio 1982 fu nuovamente ceduto in prestito, stavolta alla Roma,e proprio coi giallorossi vinse il suo primo scudetto, nella stagione 1982-1983: in un reparto difensivo che aveva in Di BartolomeiNela e Maldera tre interpreti fortemente votati al gioco d’attacco, Vierchowod svolse un importante ruolo equilibratore, rivelandosi uno dei protagonisti dello scudetto giallorosso l’ottimo rendimento gli valse inoltre la vittoria del Guerin d’oro.

Dalla Roma tornò alla Sampdoria, nel frattempo salita in Serie A: confermandosi fin dal primo anno come uno dei difensori più affidabili in circolazione (una giuria di esperti lo elesse miglior centrale della stagione 1983-1984), restò per dodici stagioni consecutive nella formazione più vincente della storia blucerchiata: a Genova vinse quattro Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, uno scudetto e una Supercoppa italiana, mentre gli sfuggì la Coppa dei Campioni, persa in finale a Wembley contro gli spagnoli del Barcellona. Vierchowod diventò uno dei leader e bandieradella formazione blucerchiata, rifiutando più volte il trasferimento ad altre squadre.

Il 16 giugno 1995, a 36 anni, si trasferì alla Juventus per 500 milioni di lire, insieme ai compagni di squadra Attilio Lombardo e Vladimir Jugovic. Approdato a Torino con l’obiettivo dichiarato di vincere la Champions League, contribuì con ottime prestazioni alla conquista del trofeo, ottenuto sconfiggendo in finale gli olandesi dell’Ajax. A fine stagione, lasciato libero dal club piemontese, si accordò inizialmente col neopromosso Perugia. Il 5 settembre 1997 si accasò al Piacenza, disputandovi tre annate e contribuendo a due salvezze; segnò il gol-salvezza nella sfida all’ultima giornata contro la Salernitana, nel campionato del 1998-1999, all’età di oltre quarant’anni, rete che sancì la retrocessione della squadra campana. Si ritirò dall’attività agonistica nel 2000, a quarantuno anni, dopo la retrocessione dei piacentini in Serie B.

In tutto ha giocato in Serie A 562 partite, settimo assoluto dietro Paolo MaldiniGianluigi BuffonFrancesco TottiJavier ZanettiGianluca Pagliuca e Dino Zoff. Esordisce in nazionale il 6 gennaio 1981 nell’incontro Paesi Bassi-Italia 1-1 a Montevideo (Uruguay) durante il Mundialito Fa parte dei 22 convocati da Enzo Bearzot per il vittorioso campionato del mondo 1982 in Spagnain cui, tuttavia, non viene mai impiegato, anche a causa di un infortunio alla caviglia. Entra quindi in pianta stabile tra gli Azzurri e disputa da titolare il campionato del mondo 1986 in Messico, dopo il quale il nuovo CT Azeglio Vicini lo esclude dalle convocazioni. Reduce da un periodo di ottima forma, ritorna in nazionale dopo quattro anni, il 21 febbraio 1990 per un’amichevole, e viene convocato per il campionato del mondo 1990 organizzato dall’Italia, dove disputa 3 partite. Rimane nel gruppo anche con il ct Arrigo Sacchi,che tuttavia tende a preferirgli Alessandro Costacurta, più avvezzo ai movimenti difensivi richiesti dal tecnico. Vierchowod ottiene la sua ultima presenza il 14 aprile 1993, in una partita contro l’Estonia valida per le qualificazioni al Mondiale 1994, al quale preferirà non prendere parte viste le limitate possibilità di impiego.

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Vierchowod (in basso, a sinistra) in maglia azzurra, sul terzo gradino del podio al campionato del mondo 1990

Con l’Italia conta 45 presenze e 2 reti, l’ultima delle quali, realizzata a 33 anni, 11 mesi e 18 giorni (il 24 marzo 1993 in Italia-Malta), lo ha reso per diversi anni il marcatore più anziano nella storia della nazionale.

8) Francesco Janich

Francesco Janich (all’anagrafeIanich), dettoFranco(Udine27 marzo 1937) è un dirigente sportivo ed ex calciatore italiano, di ruolo libero. Cresciuto nell’Atalanta, con cui aveva esordito inSerie A il 16 settembre 1956 nell’incontro vinto dai bergamaschi sul Napoli per 2-0, fu acquistato dalla Lazio nel 1958, quando conquistò subito la prima Coppa Italia del dopoguerra. Rimase in biancoceleste per tre stagioni, totalizzando 105 presenze (93 in campionato, 10 in Coppa Italia e 2 in Coppa delle Alpi).

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Janich (a destra), capitano della Lazio, prima di un derby di Roma dei primi anni 1960

Passò nel 1962 al Bologna, dove diventò titolare inamovibile e raggiunse il traguardo più alto della sua carriera con lo storico scudetto del 1964, vinto allo spareggio contro l’Inter di Herrera. Nella speciale classifica dei rossoblù di tutti i tempi, Janich si piazza all’ottava posizione per numero di presenze, avendone totalizzato 376 con la maglia dei felsinei. Janich è il calciatore di movimento col maggior numero di gare in Serie A (425) fra quelli che non sono mai andati a segno. Nella sua lunga carriera di difensore non fu mai espulso. Nel periodo bolognese Janich collezionò anche 6 presenze in Nazionale,

9) Luigi Burlando

Luigi Burlando (Genova23 gennaio 1899 – Genova12 dicembre 1967) è stato un allenatore di calciocalciatore e pallanuotista italiano. Storica bandiera del Genoa e della Nazionale degli anni ’20, la sua carriera sportiva andava dal calcio alla pallanuoto alla scherma col bastone fino alla savate. Il genovese “Luigin” (così veniva generalmente chiamato) fu un caso praticamente unico di campione sportivo: infatti fece parte contemporaneamente sia della nazionale di calcio sia di quella di pallanuoto, dove partecipò alle Olimpiadi di Anversa nel 1920. Cultore di ginnastica pura, fu anche campione di savate, la boxe francese molto in voga in quel periodo. Burlando indossò anche la maglia azzurra. L’unica sua rete in nazionale è datata 21 maggio 1922, nella partita amichevole tra Italia e Belgio giocata a Milano: al minuto 71 Burlando rinviò palla da metà campo colpendo di piena fronte verso la porta avversaria, senza che difensori e portiere avversario intervenissero, segnando così l’ultima rete dell’incontro, terminato per 4-2 a favore degli italiani, un goal che rimane nella storia come quello segnato di testa dalla più lungdistanza.Le presenze in Nazionale furono 19, a cui si aggiungono altre 7 nella rappresentativa B.

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 Luigi Burlando

10) Rino Ferrario

Rino Ferrario(Albiate7 dicembre 1926 – Torino19 settembre 2012) è stato un calciatore italiano, di ruolo centromediano. Soprannominato il Leone di Belfast per essersi difeso fieramente aBelfast durante un’invasione di campo dei tifosi avversari inferociti, ma detto affettuosamente anche “Mobilia” per la sua stazza. Esordisce nella Pro Lissone. Durante il servizio militare svolto ad Arezzo, viene notato dall’allenatore ungherese Árpád Hajós della squadra locale, che lo convince a giocare per la squadra toscana, allora in serie C. Due anni dopo esordisce in Serie A nella Lucchese, il 9 ottobre 1949, nell’incontro Lucchese-Palermo 2-1. Nella partita Juventus-Lucchese 1-2 è uno dei migliori in campo. L’anno dopo passa alla Juventus dove vi trascorre cinque anni, nei quali vince il suo primo scudetto. Nel 1955 viene ceduto all’Inter quindi va alla Triestina. Nel 1957 ritorna alla Juventus dove vince il campionato e la Coppa Italia l’anno successivo. Termina la carriera facendo due anni nel Torino, il primo vincendo la Serie B. In totale in Serie A ottiene 248 presenze e 14 reti.

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Ferrario (in piedi, sesto da sinistra) in nazionale nel 1952

Ha totalizzato 10 presenze nella nazionale maggiore. Dopo l’esordio nel 1952, è convocato per i Mondiali 1954 in Svizzera ma non viene mai schierato in campo. È invece in campo in due sfide a Belfast contro l’Irlanda del Nord. La prima di esse, il 4 dicembre 1957, fu una sfida in teoria valida per le qualificazioni al Mondiale 1958 ma successivamente venne declassata ad amichevole per colpa del maltempo che impedì all’arbitro di arrivare in tempo allo stadio e che si concluse sul 2-2, mentre nella seconda, disputata il 15 gennaio 1958 e questa volta valida per le qualificazioni al Mondiale, Ferrario è coinvolto nella sconfitta che estromette per la prima volta gli azzurri dalla fase finale del Mondiale.

C’E’ UNA COREA PER TUTTI, UNA VOLTA QUELLA DEL NORD, UN’ALTRA QUELLA DEL SUD

di LUCIANO ANGELINI  e FRANCO ASTENGO

Il 27 giugno 2018 richiama il 19 giugno 1966: sono passati 52 anni e per la seconda volta una Corea, quella del Nord la prima volta e quella del Sud per la seconda, segnano un passaggio “storico” nelle vicende della Coppa del Mondo di Calcio.

Per quella volta fu eliminata l’Italia , coprendosi di ridicolo in tutto il mondo per poi essere accolti a pomodori in faccia dai tifosi al rientro in Patria.

In questa occasione tocca alla Germania, avversari i coreani meridionali, subendo anche il secondo goal a porta vuota in una maniera assurda vero emblema di una partita e di un mondiale davvero disgraziato.

Siccome noi però ci occupiamo di storia del calcio ecco i due tabellini e un poco di storia:

27 Giugno 2018

Germania – Corea del Sud 0-2

MARCATORI: 45’+2 st Kim Young-Gwon, 45’+6 Son (C)

COREA DEL SUD (4-4-2): Hyen Woo 7; Lee Yong 6,5, Yun Youngsun 6,5, Kim Yong Gwon 7, Hong Chul 7; Lee Jae Sung 6,5, Jang Hyunsoo 6,5, Jung Woo-Young 6,5, Moon Seanmin 6,5 (24′ st Ju Se-Jong 6,5); Son Heung Min 6, Koo Jacheol 6 (11′ st Hwang Hee-Chan 6, 34′ st Ju Se-Jong S.v.). CT: Shin Tae-Yong

GERMANIA (4-2-3-1): Neuer 5,5; Kimmich 6, Sule 5, Hummels 4,5, Hector 5 (33′ st Brandt 5); Khedira 5 (13′ st Gomez 5,5), Kroos 5,5; Werner 4,5, Goretzka 5,5 (18′ st Muller 5), Ozil 4,5; Reus 5. CT: Low

ARBITRO: Mark Geiger (USA)

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La gioia coreana

 Dopo 6′ di recupero Germania-Corea del Sud è finita 2-0 e i tedeschi campioni del Mondo in carica escono dai Mondiali di Russia (la Svezia ha battuto il Messico 3-0 e li ha scavalcati al secondo posto nel girone F). Un risultato clamoroso e inaspettato. I coreani del Sud erano infatti a zero punti e non avevano più nulla da chiedere a questa partita. Partita giocata però ‘alla morte’ e chiusa da Yang-Gwon-Kim al terzo minuto di recupero (dopo una verifica al Var) e poi da H.Son al 97′. Corea capace di difendersi ordinatamente e di andare più volte vicino al gol anche nel secondo tempo. Inutile il forcing finale di Mueller e compagni, che alla fine si sono arresi. I campioni del mondo tornano a casa, passano Messico e Svezia.

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La disperazione di Loew

19 Luglio 1966 a Middlesbourgh:

COREA DEL NORD-ITALIA 1-0 (1-0)
MARCATORI
: pt 42′ Pak Doo Ik 42
COREA DEL NORD: Li Chan Myung, Lim Zoong Sun, Sin Yung Kyoo, Ha Jung Won, Oh Yoon Kyung, Im Seung Hwi, Han Bong Zin, Pak Doo Ik, Pak Seung Zin, Kim Bong Hwan, Yang Sung Kook. Allenatore Myung Rye Hyun.
ITALIA: Albertosi, Landini, Facchetti, Guarneri, Janich, Fogli, Perani, Bulgarelli, Mazzola, Rivera, Barison. Allenatore Edmondo.
ARBITRO: Schwinte (Francia)

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Momento topico: Paak Do Ik infila Albertosi

Reduci dal mondiale cileno che aveva avuto, per gli Azzurri, un epilogo pugilistico (Cile-Italia fu una delle partite più violente della storia), la squadra fu affidata alla guida tecnica di Edmondo Fabbri. La scelta sembrò felice e azzeccata per i tempi: il romagnolo aveva portato una ventata di novità con il Mantova, che aveva guidato addirittura dalla Serie D alla Serie A in cinque stagioni. Soprattutto il suo gioco sembrava avere, agli occhi del presidente della Federcalcio Giuseppe Pasquale, il giusto respiro europeo, in contrapposizione con quello catenacciaro, ma vincente, dell’Inter di Helenio Herrera e di un po’ tutto il movimento calcistico italiano. I risultati iniziali dettero ragione al nuovo corso. Solo l’Unione Sovietica diede un dispiacere eliminando gli Azzurri dalla seconda edizione del Campionato Europeo (1964 in Spagna), ma non contava: l’obiettivo erano i Campionati del Mondo in Terra d’Albione.

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Edmondo Fabbri

 Ottenuta la qualificazione, il girone era tra i più abbordabili: per la squadra di Fabbri si presentava subito l’occasione di vendicarsi del Cile; c’era l’Urss di Lev Jašhin, pronosticata per il superamento del turno insieme all’Italia; c’era la sconosciuta e misteriosa Corea del Nord. L’approccio a quel luglio inglese non fu tranquillo, a partire da quell’ «Adesso siamo in guerra!» pronunciato dal CT appena messo piede sul suolo inglese. Molto influirono negativamente pure le polemiche con i sostenitori del gioco “all’italiana” (tra cui anche Gianni Brera), ostracizzato, come detto, da Fabbri. Neanche la sede del ritiro, la Scuola dell’Agricoltura di Durham, con la sua tetraggine e quasi desolazione, aiutò a sciogliere le nubi che si andavano addensando sulle teste degli Azzurri.

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le figurine della squadra coreana

 Nel primo match (Sunderland, 13 luglio) l’Italia doveva vedersela proprio con il Cile, la squadra che l’aveva eliminata nel Mondiale precedente. Stavolta il tutto fu meno traumatico, la scontata vittoria italiana pervenne grazie alle reti di Sandro Mazzola e Paolo Barison, ma più di un dubbio sollevò la prestazione: il gioco espresso fu in realtà un “non gioco”, le già poche certezze di Fabbri si dispersero nella nebbia inglese.

La gara successiva, il 16 luglio, il CT rinnegò un po’ le sue idee: contro la tetragona, monocorde ma potente URSS decise di giocare una partita di attesa invece che di aggressione, con il risultato di perdere per una rete di Igor Čislenko al 57’. Nulla era perduto, tranne le convinzioni di Fabbri, che andò in totale confusione. L’ultimo avversario sulla strada di una “sicura” qualificazione erano gli “improponibili” giocatori della Corea del Nord, dai nomi a filastrocca e dalle fattezze di “Ridolini”, come ebbe a descriverli Ferruccio Valcareggi, allora assistente del CT. Un grave errore di sottovalutazione.

La Corea del Nord rappresentava una nazione che non c’era, un Paese non riconosciuto dall’Occidente, che ancora non si era ripreso dalla guerra civile che lo aveva devastato durante gli anni Cinquanta, lasciando un lungo, triste, elenco di quattro milioni di morti. Proprio questo era un punto di forza di quella squadra, l’orgoglio, lo stesso su cui aveva fatto leva il presidente coreano, Kim Il-sung, richiedendo almeno una vittoria. Soprattutto di questo non tenne conto lo staff azzurro, facendosi fuorviare dalla tecnica approssimativa e dalla tattica elementare degli avversari. Quel 19 luglio, a Middlesborough, “Mondino” cambiò ancora, ma l’errore più grave che fece fu quello di schierare Giacomo Bulgarelli con un ginocchio malandato, in un’epoca in cui non esistevano sostituzioni.

Da notare, non secondariamente, che Riva e Bertini erano stati portati in Inghilterra in soprannumero senza essere inclusi nella lista presentata alla FIFA, da turisti.

Riva sarebbe sicuramente servito, altroché !

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un inutile attacco degli Azzurri

 Pure, la partita non presentava difficoltà apparenti: quando alle 19,30 l’arbitro francese Pierre Schwinte fischiò l’inizio del match, subito Marino Perani ebbe una, due, tre occasioni, sprecandole per bravura del portiere Lee Chan-Myung o per errori di mira. Ogni occasione sembrava scandire l’avvicinamento a quel vantaggio che avrebbe liberato molti cuori oppressi. I minuti, però, passavano, e i coreani, che sembravano in balia degli Azzurri, iniziarono a dispiegare sul prato la loro velocità e una tecnica non certo da analfabeti della pelota. Con il lievitare del livello di prestazione degli asiatici, lentamente, inesorabilmente, l’Ayresome Park si trasformava in un catino di scherno per gli Azzurri, il prato in una palude mortale che ne avvinghiava le gambe, impedendone i movimenti.

Gli avversari, i coreani, i “Ridolini”, ingigantivano sovrastando per velocità, e anche gioco, gli spaesati uomini di Fabbri. Il vero crack avvenne al trentacinquesimo minuto, ed aveva il rumore del ginocchio di Bulgarelli che cedeva nel contrasto con un avversario, lasciando la sua squadra in dieci. Trascorsero altri sette minuti e al 42’, nel tramonto dei mari del Nord, tramontò anche l’Italia: la palla giunse a Pak Doo-Ik, che dal limite dell’area, leggermente decentrato a destra, incrociò un tiro verso la porta azzurra. Enrico Albertosi si protese verso il radente, ma più la sua mano sembrava avvicinarsi al pallone, più questo sembrava allontanarsi, fino a chiudere la sua corsa in fondo alla rete. Incredibile: un dentista (non lo era, fu una leggenda metropolitana a dargli quella qualifica) aveva segnato alla grande Italia!

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l’esultanza dei calciatori coreani

 La partita finì a quel punto e l’impensabile si materializzò, il restante periodo di gara vide solo tanta confusione azzurra e tentativi frustrati da piccoli giocatori che erano diventati giganti.

Da quel 19 luglio inglese, nell’immaginario collettivo “Corea” divenne, ed è ancora, sinonimo di vergogna sportiva. Almeno fino a questo 26 giugno 2018.

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di FRANCO ASTENGO                                

La Federazione Italiana Gioco Calcio ha compiuto il 15 marzo scorso 120 anni. Un compleanno da ricordare che arriva in un momento complicato nella vita dello sport più popolare, con la squadra nazionale eliminata senza alibi né attenuanti dalla modestissima Svezia alla vigilia della fase finale del campionato del mondo che si giocherà in Russia.

Un mondo del calcio completamente cambiato nel corso di questi decenni nel quale il rapporto tra potere economico e attività sportiva  si è assolutamente rovesciato e gli elementi determinanti appaiono essere i diritti televisivi e gli “affari privati” dei procuratori.

Non entriamo però nel merito di queste vicende ma ci limitiamo, in questo caso (come è del resto nel nostro costume e nel nostro compito) ad una sommaria ricostruzione storica da dedicare appunto a questo straordinario appuntamento con i 120 anni, ripensando ai tanti protagonisti che meriterebbero di essere citati, alla nostra grande passione da ragazzi, a chi ci aveva educato con orgoglio e competenza a esercitare quella passione come elemento molto importante (se non decisivo) della nostra crescita morale e civile, oltre che sportiva, quasi si trattasse di una vera e propria “educazione sentimentale”.

Abbiamo così tratteggiato alcuni passaggi nell’origine del gioco in Italia principiando proprio dai “primi calci” e arrestandoci sulla soglia degli anni ’20 quando fattori diversi come l’industria, la politica, il nazionalismo, le novità della tecnologia prime  fra tutte la radio e il cinema (poi, molto tempo dopo, l’irrompere della televisione) entrarono prepotentemente in scena e sollevarono il calcio dalla fase pioneristica fino a farlo diventare punto di riferimento per la vita di milioni e milioni di persone.

Ricostruiamo allora partendo dall’inizio.

Brillava nell’aria la primavera del 1887, quando Edoardo Bosio attraversava, nel primo pomeriggio, i portici di Piazza Vittorio a Torino per recarsi in uno spiazzo a dare quattro calci ad un pallone di cuoio gonfiato ad aria direttamente proveniente dall’Inghilterra.

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Edoardo Bosio, pioniere del calcio in Italia, in una rara immagine

            Edoardo Bosio, commerciante di origine svizzera, aveva vissuto per qualche anno proprio a Londra come rappresentante di un’azienda italiana. Trasferitosi a Torino, aveva poi iniziato una sua attività di articoli ottici e fotografici. Dall’Inghilterra aveva portato con sé la passione per il nuovo gioco che là infiammava ormai le grandi folle.

            Non c’era altro da fare che insegnarne le regole a qualcuno dei suoi dipendenti e portarli in qualche prato per vedere di accendere anche in loro il “sacro fuoco” per la palla rotonda. Ben presto, accanto ai “borghesi” di Bosio, si incuriosirono del nuovo gioco anche signorini dell’aristocrazia piemontese, tipi piuttosto alla mano, desiderosi d’azione ed eredi di quella nobiltà che nei secoli passati era usa mettersi a cavallo tra marzo e novembre al servizio del Re.

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Bosio e gli altri pionieri

            Ci sono dei bei nomi come quello del marchese Ferrero di Ventimiglia (discendente, pensate un po’, del salgariano “Corsaro Nero”) e del duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia, che aveva una quindicina d’anni e sfogava già allora la sua esuberanza ed il suo gusto dell’avventura che l’avrebbe poi spinto a tentare le vette inviolate di Africa, America ed Asia e a spingersi fino al Polo.

       Così, nel 1891, sorgeva a Torino il primo sodalizio calcistico, l’Internazionale Foot-ball Club. Pronta risposta da Genova. Piccolo commercio ed aristocrazia a Torino, a Genova porto di mare, il gran mondo internazionale degli affari. E gli affari in linguaggio internazionale si dicono business e gli uomini del business sono inglesi approdati con i loro traffici, i loro interessi e anche la voglia di divertirsi e di fare dello sport alla loro maniera.

            Il giorno 7 Settembre 1892 un gruppo di gentiluomini britannici residenti a Genova si recarono presso il console inglese, Mr Payton, per chiedergli l’autorizzazione a fondare un club: non si parlava ancora di calcio perché l’attività preminente era quella del cricket. Ma l’arrivo, pochi mesi dopo nel 1893, del dottor James Spensley segnerà il definitivo trionfo del football. Nel frattempo proprio in quel 1893 era accaduto un episodio molto importante riguardante il gruppo dei torinesi e (guarda caso) Savona. Ebbene: nella primavera di quell’anno la stravagante compagnia organizzata da Bosio si cimentò addirittura in una partita internazionale, sfidando una rappresentativa di marinai inglesi imbarcati su piroscafi in quel momento fermi nei porti di Genova e Savona.

            Le cronache scrivono che si giocò nell’entroterra di Vado Ligure, ma successive ricerche hanno individuato il terreno di gioco come quello della piazza d’Armi a Savona, lungo corso Ricci.

            La squadra di Bosio vinse 2-1 allineando questa formazione: Beaton, Kilpin (quel Kilpin che poi, trasferitosi a Milano, avrebbe fondato il Milan), Dobbie, Lubatti, Schoenbrund, Pecco, Beltrami, Weber, Bosio, Savage e Nasi (futuro cognato di Giovanni Agnelli).

            La popolarità del gioco crebbe così a vista d’occhio in quegli anni di fine secolo, nel corso dei quali si sviluppava un impetuoso processo di modernizzazione nell’economia, nella politica, nel costume di vita quotidiano. Il 10 Aprile 1897 l’assemblea dei soci del Genoa Cricket and Foot-ball Club ammetteva nel proprio seno i cittadini italiani.

            Nel giorno dell’Epifania del 1898 si gioca, sul campo di Ponte Carrega a Genova, un triangolare vinto dall’Internazionale di Torino sui padroni di casa e su di una compagine di Alessandria, di cui non abbiamo scovato la denominazione. Disponiamo, però, delle formazioni delle tre compagini.

Internazionale di Torino: Cavalchini, Franz, Dobbil, Weber, Beaton, Stevens, Ferrero di Ventimiglia, Nasi, Montù (futuro deputato al Parlamento), Bosio, Savage.

Genoa: Spensley, Marshall, De Galliani, Pasteur (svizzero, il fondatore dell’Elah e della Dufour), Venturini, Read, Wilkey, Iweedy, Charlmers, Macintosh, Leaver.

Alessandria: Gallina, Pedemonte I, Bobbio, Capuzzo, Pedemonte II, Montù, Brunetti, Carlone, Camera, Bono, Castagneri.

            Il 15 Marzo di quel fatidico 1898 fu così costituita la Federazione Italiana Foot-ball (FIF) con sede a Torino: gli alessandrini non aderirono perché si erano ritenuti danneggiati dall’arbitraggio nel triangolare genovese di gennaio (come si può osservare, nulla di nuovo sotto il sole).

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L’Alessandria non partecipò per protesta alla fondazione della FIF

            Il giorno 8 Maggio 1898 a Torino si disputò così il primo campionato italiano di calcio. Anche in questo caso consiglio la lettura di un romanzo del tutto esplicativo del clima dell’epoca e delle vicende di quella giornata: “ La prima volta” di Franco Bernini, uscito nel 2005 per le edizioni Einaudi. Davvero assolutamente da leggere.

            In quella domenica a Milano si registrarono gli scontri di piazza più gravi nella breve storia del Regno d’Italia: barricate e bandiere rosse prese a cannonate dalle truppe del generale Bava Beccaris per stroncare i germi di una rivolta sociale che, alla fine dopo grandi travagli, costringerà il governo ad avviare il cammino verso una difficile democrazia e a riconoscere almeno alcuni elementari diritti ai lavoratori. Ci furono decine di morti, finirono in galera l’apostolo del socialismo Filippo Turati e Don Albertario: si lottava per il pane, per il diritto di associazione, per le otto ore, per il diritto di voto, per la scuola obbligatoria sino alla seconda elementare.

            In quel clima politico e sociale si giocò il primo campionato italiano di calcio: tutto in un giorno.

            Quattro squadre, tre partite: tre compagini torinesi ed il Genoa. In Piazza d’Armi a Torino alle nove del mattino si svolse la prima eliminatoria tra Internazionale e U.S. Torinese da una parte ed il Genoa e la Ginnastica Torinese dall’altra. Una cinquantina di spettatori circa. Nel pomeriggio incontro tra le finaliste, davanti ad un numero raddoppiato di spettatori e dopo un rinfresco offerto sul posto ai giocatori dalla ditta Carpano (quella del “Punt e Mes”) e dalla premiata pasticceria Diltey. Ci vollero i tempi supplementari ma alla fine vinsero i genoani (in maglia bianca), primi campioni d’Italia:

Spensley, Leaver, Bocciardo, Dapples, Bertolio, La Pelley, Ghiglione, Pastuer, Ghigliotti, De Galleani, Baird (ma sui giornali dell’epoca apparve anche una formazione diversa: Spensley, Leaver, Ghigliotti, Dapples, Pasteur I, Le Pelley, Ghiglione, Pastuer II, Deteindre, De Galleani, Agar).

            Comunque fosse l’epopea del campionato italiano di calcio era cominciata, inarrestabile ed affascinante nel tempo.

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Il Genoa campione d’Italia 1898

Cinque squadre nel 1899, eliminatorie tra le quattro squadre torinesi e finale a Genova contro la detentrice del titolo. Sono nuovamente di fronte Internazionale di Torino e Genoa. Registriamo un’altra vittoria dei liguri (che in questa occasione indossano camicie a strisce bianco-blu) per 2-0. Ma i torinesi si sentono defraudati dai giudici di porta che allora erano incaricati di controllare se il pallone avesse superato la linea bianca (non esistevano ancora le reti introdotte nel 1909).

            Così l’anno successivo, quando quelli dell’Internazionale (che intanto si erano fusi con la squadra del F.C. Torinese assumendone il nome) dovettero recarsi a Genova per la finale, si rifiutarono e furono allora i genovesi che, con ironica cavalleria, si trasferirono a Torino a conquistare il loro terzo titolo. Finiva così il XIX secolo, ma intanto erano nate altre due delle future grandi protagoniste: la Juventus a Torino e il Milan a Milano. Molto presto si sarebbero staccate da loro andando a vivere di vita autonoma altre due squadre, il Torino e l’Inter, e il celebre triangolo industriale Torino – Milano – Genova avrebbe diretto anche lo sviluppo del gioco del calcio.

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Con ogni probabilità questa è la prima immagine che ritrae l’esecuzione di un calcio di rigore, almeno in Italia. Siamo sul campo di Ponte Carrega. Tira Savage, la squadra con la maglia a riche verticali bianche e celesti è il Genoa nella sua seconda divisa, dopo quella bianca, prima di adottare nella stagione successiva la casacca rossoblu.

            Fin dai primissimi anni, quindi, il gioco del calcio è gravato alla vetta dall’ipoteca delle tre metropoli attive e ricche per poi ridursi ben presto a un dialogo raramente interrotto tra milanesi e torinesi.

            Inizio di secolo: proprio nei primissimi giorni di gennaio il Duca degli Abruzzi parla a Roma, reduce dal Polo Nord e qualcuno ricorda nel resoconto dei giornali che era stato lui ad offrire la Coppa per il primo campionato. Di calcio i giornali, però, scrivono poco o nulla e a Milano quasi nessuno si accorge che gli undici giocatori del Milan, la squadra rossonera fondata due anni prima da Piero Pirelli, hanno conquistato il titolo di campioni d’Italia, superando in trasferta i già plurititolati del Genoa.

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Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi: un grande esploratore ma anche uno dei pionieri del calcio in Italia: era sua la coppa assegnata al Genoa vincitore del primo campionato.

            L’eroe della giornata è stato l’inglese Herbert Kilpin, in Italia come esperto dell’industria tessile: nella squadra vittoriosa figuravano cinque italiani, cinque inglesi e uno svizzero.

            I primi anni del nuovo secolo verificano l’irrompere di forze nuove: tra il 1908 ed il 1915 conquistano cinque scudetti la Pro Vercelli, uno l’Inter, gli altri due vanno al Casale e al Genoa.

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 Pro Vercelli campione 1908: da sinistra, in piedi, Romussi, Angelo Binaschi, Guido Ara, Marcello Bertinetti, Giovanni Innocenti, Giuseppe Milano I, Pietro Leone;  accosciati: Felice Milano II, Vincenzo Celoria, Annibale Visconti, Carlo Rampini I

            Nel campionato del 1913 si stabiliscono tre gironi: due nell’Italia settentrionale e uno nell’Italia centro-meridionale con trenta squadre complessivamente. La finalissima vede di fronte la Pro Vercelli contro la Lazio e vincono i piemontesi per 6-0.

            Il divario tra le primogenite del calcio italiano e le squadre di recente formazione è ancora troppo forte.

            Nel 1914 è la volta del Casale, partecipa per la prima volta al campionato il Savona che esordisce perdendo 4-0 proprio in casa dei nerostellati, futuri campioni d’Italia. Il Casale era già salito alla ribalta negli anni precedenti e, nel 1913, era stata l’unica compagine italiana in grado di sconfiggere gli inglesi del Reading, discesi in tournée nella penisola a far messe di vittorie.

            Il giorno successivo all’insperato successo ottenuto nei confronti dei britannici le autorità comunali di Casale concessero vacanza alle scuole per festeggiare l’avvenimento. Era la prima volta che una squadra italiana sconfiggeva i britannici.

             Nel 1914 il Casale vinse il titolo battendo la Lazio nella finalissima una prima volta per 7-1 e una seconda per 2-0. Le squadre erano nel frattempo salite a quarantaquattro.

            Intanto si può stilare un primo bilancio dell’attività della Nazionale che aveva esordito nel maggio del 1910 all’Arena di Milano battendo la Francia per 6-2.

            Alla vigilia della prima guerra mondiale gli azzurri (il colore di casa Savoja fu adottato dalla terza partita disputata a Milano il 6 gennaio 1911 avversaria l’Ungheria: 0-1) avevano giocato 19 partite, vincendone 6, pareggiando 4 e perdendone 9 e partecipando anche all’Olimpiade di Stoccolma, con Vittorio Pozzo già commissario tecnico. Un nome che ritornerà frequentemente nel corso di questo racconto.

            La fase di crescita del calcio italiano si interruppe bruscamente: il 24 maggio 1915 mormorò il Piave e lungo gli anni della prima guerra mondiale il calcio arrancò tra amichevoli, partite di squadre militari, una Coppa Federale svoltasi nel 1916 e appannaggio del Milan.

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Il Savona, ancora denominato Fratellanza, partecipa al suo prima campionato di Divisione Nazionale con la stagione 1913- 14. In questa pagina dello “Sport Illustrato” le immagini delle squadre partecipanti al girone ligure – piemontese. Lo scudetto andrà al Casale.

            Si riprese nel 1919 e si verificò una prima, importante novità: il reclutamento dei calciatori interessava sempre di più gli strati popolari, con le conseguenze che si possono immaginare soprattutto in ordine alle necessità economiche degli atleti.

            Lo slancio verso uno sport nuovo per molte città e per molti gruppi sociali cominciò che non era nemmeno iniziata la smobilitazione bellica: a Milano i facoltosi soci dell’Internazionale si quotarono per la costruzione di un nuovo campo da gioco, sottoscrivendo in pochi giorni la somma, enorme per l’epoca, di 300.000 lire. Parecchie società dovettero ricostituirsi di sana pianta, altre ne sorsero ex novo e il ringiovanimento implicò naturalmente la creazione di nuovi vivai, fuori dal giro tradizionale del quadrilatero piemontese Vercelli-Casale-Alessandria-Novara.

            La Federazione non si lasciò sfuggire le fila di questo movimento e per l’autunno di quel 1919 riuscì ad organizzare un campionato a larghissima base ammettendovi, in luogo delle 49 dell’ultimo torneo pre-bellico, ben 66 squadre di cui 18 centro-meridionali.

            Nel girone finale del Nord riuscì a spuntarla l’Internazionale, dopo una serie di travagliati confronti con Juventus e Genoa e una complicata vicenda di campi neutri e discussi arbitraggi. Nel campionato centromeridionale la spuntò il Livorno e per la verità lo scontro tra i labronici ed i neroazzurri ambrosiani per il titolo risultò molto più incerto del previsto: sul terreno dello “Sterlino” di Bologna l’Inter infatti prevalse 3-2 dopo una entusiasmante altalena di reti. Di quell’Inter facevano parte due tra i più singolari campioni dell’epoca: Leopoldo Conti e “Zizì” Cevenini III, implacabili cannonieri ed orchestratori d’attacco. Veri e propri “divi” ante litteram.

            La nuova generazione stava preparando una svolta decisiva in tutto l’avanzamento del calcio italiano: il progresso tecnico, le migliorie ai terreni da gioco con il loro passaggio graduale alla proprietà municipale, il reclutamento dei calciatori in ambiti proletari, le esigenze di allenamenti più assidui e lo stesso travolgente dilagare della passione calcistica con conseguente incremento degli incassi fino a cifre stupefacenti (100.000 lire dell’epoca per un incontro di cartello) erano tutti elementi favorevoli, come si comprende, al professionismo.

            Cominciava perciò, anche se con grande gradualità, l’era delle società cittadine cui avrebbe fatto seguito il lento declino della provincia e una sequenza di “casi” di professionismo (il primo quello legato alla cessione di Rosetta dalla Pro Vercelli alla Juventus) prima accolti con il clamore dello scandalo, poi tacitamente accettati.

            Vedremo più avanti come l’intervento autoritario delle gerarchie fasciste sull’ordinamento calcistico non sarà finalizzato a riportare l’ordine e a garantire unità organizzativa ma, come in altri campi della vita sociale e culturale del Paese, a favorire semplicemente gli interessi dei grandi club. Proprio come stava accadendo sul piano ben più drammatico dei contrasti politici e di classe.

            Il campionato 1920-’21 fu appannaggio della Pro Vercelli.

            Il torneo fu elefantiaco comprendendo 60 squadre del Nord e 24 del Centro-Sud, e la sua lunghezza scoraggiò molti sodalizi tra i quali Torino e Legnano che rinunciarono a disputare la finale interregionale. Alessandria e Bologna contesero così il primato nel gruppo settentrionale alla Pro Vercelli e nella finalissima, disputata a Torino, toccò al Pisa contendere (con esito negativo 2-1) il titolo alle bianche casacche. La partita si giocò il 24 luglio.

            Nei mesi estivi la Federazione fu colpita con violenza da uno scisma che la spezzò in due tronconi. Ed ecco come si venne alla scissione. Le società maggiori chiesero alla Federazione una restrizione del numero delle squadre ammesse alla massima competizione, con il proposito dichiarato di “migliorare il livello del gioco”; da parte delle cosiddette “piccole” si invocarono, invece, le ragioni della propaganda del gioco stesso e dell’equità sportiva per esigere che non si procedesse a una selezione troppo severa.

            Le società maggiori, in vista dell’Assemblea annuale federale, si organizzarono attorno al cosiddetto “progetto Pozzo” affidando proprio a Vittorio Pozzo, futuro commissario tecnico della nazionale, l’incarico di elaborare una riforma del campionato.

            Pozzo, all’epoca dirigente del Torino, aveva avuto modo di osservare da vicino l’organizzazione calcistica in Inghilterra e in Svizzera, cioè nelle due patrie del football moderno, ed elaborò un progetto fondato su quattro divisioni in base alla forza delle squadre, con un meccanismo di promozioni e retrocessioni. La “Divisione Nazionale” sarebbe stata composta da 24 squadre, divise in 2 gironi con finale tra le prime classificate.

            Le società minori accolsero la proposta come una immeritata umiliazione, e vollero restare fedeli alla formula delle gare eliminatorie per regione, prevedendo anche la disputa di una Coppa Italia per le squadre escluse dalle semifinali.

            La scissione si consumò nel corso dell’assemblea tenuta il 23 e 24 luglio 1921 presso la Camera di Commercio di Torino: il progetto Pozzo fu respinto con 113 voti contro 65, ed i rappresentanti delle società maggiori abbandonarono i lavori dell’assemblea.

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Vittorio Pozzo, commissario tecnico della nazionale due volte campione del mondo (1934 e 1938), può essere considerato il vero modernizzatore della struttura del calcio italiano. La foto lo ritrae mentre catechizza Eraldo Monzeglio e l’ex-savonese Bertolini (l’uomo con la fascia in testa). Sono finiti i 90’ regolamentari della finale mondiale Italia – Cecoslovacchia e stanno per cominciare i supplementari. Un goal di Schiavio darà all’Italia il promo titolo mondiale.

            In tal modo, finita l’estate, di campionati ne cominciarono due: quello confederale con 24 partecipanti di prima categoria e quello federale (definito ironicamente “decauville”, cioè a scartamento ridotto) nel sistema allargato.

            Tra l’altro, proprio in quell’anno, nel quadro della Lega Sud fu disputato il primo campionato siciliano con la partecipazione di cinque squadre più la calabrese Reggina, vinto dal Palermo. In margine ai due tornei nazionali si svolse pure, come era previsto dal progetto delle società minori, la prima Coppa Italia, vinta dal Vado in finale con l’Udinese. Nel Vado figurava all’ala sinistra un certo Levratto, la cui potenza di tiro sarebbe poi rimasta leggendaria, autore del gol della vittoria.

            Parteciparono, dunque, al campionato confederale di Prima Categoria le seguenti squadre, che possono essere considerate “di diritto” la vera nobiltà del calcio italiano: Pro Vercelli, Novara, Bologna, Juventus, Andrea Doria, Hellas Verona, Mantova, Milan, U.S. Milanese, Livorno, Spezia, Vicenza, Genoa, Alessandria, Pisa, Modena, Casale, Legnano, Padova, Torino, Savona, Brescia, Venezia, Internazionale.

            Vinse il torneo la Pro Vercelli, mentre il campionato federale registrò la vittoria della Novese, rinforzata da assi come Cevenini III e Santamaria: in finale i biancocelesti piemontesi superarono 2-1 nei tempi supplementari la Sampierdarenese sul campo neutro di Cremona.

            Nell’estate del 1922, auspice l’avvocato Bozino, presidente della Pro Vercelli, si raggiunse l’accordo tra confederati e federati ponendo fine a quella che era stata davvero una guerra di secessione. L’accordo prevedeva la disputa di un campionato di Prima Categoria Lega Nord, a 36 squadre suddivise in tre gironi. Tutto questo nel corso di una riunione a Novara, per la precisione a Brusnengo, da cui la cosiddetta “pace di Brusnengo”.

            Anche in questo caso è bene individuare con precisione l’organico.

Girone A: Pro Vercelli, Torino, Sampierdarenese, Pisa, Hellas Verona, Casale, Internazionale, Virtus Bologna, Mantova, U.S. Torinese, Petrarca Padova, Speranza Savona.

Girone B: Genoa, Legnano, Bologna, Milan, Juventus, Cremonese, Modena, Derthona, Spezia, Rivarolese, Esperia Como, Udinese.

Girone C: Padova, Alessandria, Spal, Livorno, Novara, Andrea Doria, Brescia, Novara, Lucchese, U.S. Milanese, Savona, Pastore Torino.

            Fu quella l’unica, irripetibile occasione, nella quale Savona ebbe due squadre ai vertici del calcio italiano: il Savona Fbc, biancoblù espressione della buona borghesia cittadina e dei “cicciolae” del centro, e lo Speranza dai colori verde-rossi, la squadra del popolo e dei quartieri di Fornaci e Zinola, che giocava sul leggendario terreno della Valletta, provvisto di una civettuola tribuna dal tetto di legno, sul quale quarant’anni dopo mi capitò di scendere in campo.

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Lo Speranza Savona  nella stagione 1921 – 22 partecipò al campionato della FIigc per essere ammessa nella stagione successiva, quella della riunificazione, al torneo di Divisione Nazionale.

            Il Genoa vinse il campionato della riunificazione con una serie di 28 partite senza sconfitte. Una formazione da recitare al volo: De Prà, Moruzzi, De Vecchi, Barbieri, Burlando, Leale, Neri, Sardi, Catto, Santamaria, Bergamino.

            Il Genoa in estate partì, a bordo del “Principessa Mafalda”, per una lunga tournée in Argentina. Non si trattava però della “prima volta” di una squadra italiana in America Latina: nel 1914 aveva aperto la via del mare il Torino guidato proprio da Vittorio Pozzo. I granata rientrarono proprio alla vigilia dello scoppio del conflitto mondiale. A Ponte dei Mille a Genova, ad aspettare il rientro del piroscafo c’erano i parenti degli atleti torinisti che, invece dei bianchi fazzoletti di saluto, sventolavano il rosa delle “cartoline precetto”.

            Intanto erano ripresi i contatti con l’estero: l’Inter, scampata la Seconda Divisione dopo uno spareggio con la Libertas Firenze prima squadra classificata nei cadetti, aveva assunto un allenatore inglese, Spottishwood, e due calciatori ungheresi, Schonenfeld e Weisz, quest’ultimo destinato a lasciare il segno come allenatore e a scomparire ad Auschwitz, deportato dai nazisti perché ebreo.

            Il calcio italiano stava, comunque, cambiando decisamente pagina.