Nella stagione calcistica 2021-2022 la Coppa Italia ha mutato nuovamente formula ammettendo alcune squadre militanti in Serie C e ponendole a confronto con le squadre di categoria superiore A e B. Inoltre fino al sesto turno non si sono giocate più partite di andata e ritorno ma soltanto un match secco con 90′ ( o 120′ o rigori) a disposizione.
Si tratta di un ritorno al passato perché dopo la prima edizione svoltasi nel 1922 e vinta, com’è noto, dal Vado nella finale contro l’Udinese (1-0, goal di Levratto con un tiro fortissimo, specialità della casa, con il pallone che, tra mito e leggenda, sfondò la rete del portiere delle “zebrette” friulane) e un’altra non conclusa nella stagione 1926-27, lo svolgimento della Coppa Italia fu ripreso nell’annata 1935 – 36, nella quale fu anche istituita la Serie C.
In quell’occasione fu adottato lo schema della Coppa d’Inghilterra: ammesse tutte le squadre di Serie C che si affrontarono in gara secca tra di loro per i primi due turni; al terzo turno entrata in scena delle squadre di Serie B e al quarto turno girone finale con la partecipazione delle squadre qualificate di serie B e C con quelle di Serie A.
Pubblichiamo di seguito il tabellone di quella prima giornata del girone finale svoltasi tra il 25 e il 26 dicembre 1935 (il Savona era stato eliminato al primo turno dall’Entella capace di vincere in corso Ricci per 2-1; poi nella “manche” successiva i chiavaresi erano stati superati (1-0) tra le mura amiche dalla Ventimigliese.
Queste le partite del turno che vide per la prima volta impegnate a confronto squadre di Serie A, B e C (ricordando ancora che la Serie C era organizzata su 4 gironi; 2 da 16 squadre, uno da 15 e l’altro da 14. Lo scudetto in quella stagione fu vinto dal Bologna capace di spezzare l’incantesimo del “quinquennio” juventino).
Torino (Serie A) – Reggiana (Serie C) 2-0
Genoa (Serie A) – Pisa (Serie B) 3-2
Ambrosiana Inter (Serie A) – Brescia (Serie A) 4-0
Bologna (Serie A) – Novara (Serie B) 1-0
Catania (Serie B) – Palermo (Serie A) 1-0
Modena (Serie B) – Pro Vercelli (Serie B) 5-0
Livorno (Serie B) – Catanzaro (Serie C) 7-2
Fiorentina (Serie A) – Sestrese (Serie C) 8-0
Triestina (Serie A) – Rovigo (Serie C) 1-1 partita ripetuta a Rovigo: Rovigo 1-Triestina 3
Messina (Serie B) – Sampierdarenese (Serie A) 2-4
Alma Juventus Fano (Serie C) – Milan (Serie A) 2-4
Lazio (Serie A) – Venezia (Serie C) 2-0
Foggia (Serie B) – Roma (Serie A) 0-4
Sanremese (Serie C) – Juventus (Serie A) 1-4
Napoli (Serie A) – Bari (Serie A) 2-1
Cremonese (Serie C) – Alessandria (Serie A) 1-4
Tutte le squadre di Serie C furono eliminate (Reggiana, Catanzaro, Sestrese, Rovigo, Alma Juventus Fano, Venezia, Sanremese e Cremonese) e una sola squadra di Serie B (il Catania) riuscì a superare una squadra di Serie A (il Palermo, nel derby siciliano)
Gli etnei furono poi superati nella seconda giornata del girone finale dal Torino, alla fine vincitore del torneo: in via Filaldelfia finì 8-2 per i granata.
E’ capitato di rivedere, dal’alto, il vecchio Vigorelli e di provare un’intensa emozione nel ricordo di una delle più grandi imprese nella storia sportiva dell’Italia del tempo ormai passato
L’unico record dell’ora in cui l’ambiente storico ha prevalso sugli aspetti tecnici è quello di Fausto Coppi stabilito al Velodromo Vigorelli di Milano il 7 novembre 1942, durante la seconda guerra mondiale. Esattamente ottanta anni fa nei sessanta minuti il fantastico corridore di Castellania in quel momento in forza alla Legnano, poi storicamente alla Bianchi percorse 45,798 chilometri.
Pensate che il 24 e 25 ottobre 1942 sulla città di Milano erano piovute tonnellate di bombe. Per questo motivo il 7 novembre ’42 le tribune del Vigorelli occupate soltanto da qualche operaio dell’Alfa Romeo al Portello che avevano approfittato della pausa pranzo
Il detentore del primato dell’ora era Maurice Archambaud, francese soprannominato “il nano” per la statura tutt’altro che elevata. Proprio al Vigorelli il francese noto per la maglia nera – non da ultimo in classifica generale, bensì del team – aveva percorso 45,767 chilometri in condizioni ideali, ovvero senza il rischio dei bombardamenti.
In precedenza il primato era appartenuto ad un italiano: il cellese Gepin Olmo, poi grande industriale del ciclo.
Nella stagione su strada 1942 Fausto aveva vinto solo il Campionato italiano. Logicamente di gare se ne svolsero poche, quindi nel ’42 Fausto non potè arricchire il palmares e raggiungere elevati standard di rendimento. Inoltre nel giugno di quell’anno si era fratturato una clavicola. Nella fase di ripresa graduale degli allenamenti causa razionamento dei carburanti Fausto non aveva potuto allenarsi dietro auto. Insomma, il ’42 sembrava tutto fuorchè l’anno ideale per cimentarsi nel tentativo di record. Fu soprattutto il massaggiatore Biagio Cavanna ad insistere affinchè Fausto accettasse di mettersi in gioco per il tentativo. Il massaggiatore altresì soprannominato “Il Cieco di Novi” aveva caldeggiato il tentativo ritenendolo buon sistema per allontanare dal Campionissimo il rischio della chiamata alle armi per la guerra.
Fausto Coppi in azione durante il tentativo riuscito di battere il record dell’ora
La mattina del 7 novembre ’42 il Campionissimo raggiunse il Vigorelli in bici, partendo dalla sua Castellania: oltre 100 chilometri, un buon riscaldamento. L’orario del tentativo fu scelto in base alle minori probabilità di rischio. Il Prefetto disse che attorno alle 13,30 il pericolo di bombardamenti era minore, e così di decise di far partire il Campionissimo alle 14. Il sole illuminò il tentativo di Fausto assistito da pochi addetti ai lavori, in prevalenza dello staff Legnano. Coppi si presentò alla linea di partenza con la maglia sociale della Legnano color verde ramarro con bordi rossi. Era una maglia di lana, come i pantaloncini, e il casco aveva fettuccine di pelle imbottita: un aspetto decisamente francescano per semplicità del look e atteggiamenti . La sua bici pesava 7,500 chili e il massimo della tecnologia era rappresentato dai due tubolari, dalla leggerezza record: 110 grammi l’anteriore, 120 il posteriore.
Il Campionissimo soffrì molto nella prima parte, transitando ai 15 chilometri con un ritardo di 5”20 da Archambaud. Dopo 30 minuti Fausto aveva percorso 22 940 chilometri contro i 23, 007 di Maurice. Nella seconda parte venne fuori il Coppi fondista, capace di chiudere con una prestazione di 31 metri migliore rispetto ad Archambaud. Il Campionissimo aveva pedalato col 52 per 15, ovvero 7, 8 metri nell’arco della pedalata.
La pista magica aveva subito già prima del 1937 rattoppi e rifacimenti, e così nel 1948 venne rimisurata. Il record di Archambaud in base ai giri percorsi e all’interpolazione dei tempi nell’ultimo minuto diventò di 45,767 chilometri, e quello di Fausto 45,798.
Nel pomeriggio del 7 novembre ’42 ci fu poco tempo per festeggiare Fausto, la gente era sotto shock per la guerra. Coppi diventò recordman tuttavia in guerra alcuni mesi dopo ci andò comunque destinato in Africa e lo fecero anche prigioniero, contraendo quella malaria che poi gli fu fatale.
Senza gli anni persi per la guerra quante sarebbero state in più le vittorie del Campionissimo ?
Il record di Coppi venne migliorato sempre al Velodromo Vigorelli il 29 giugno 1956 dal francese Jacques Anquetil con 46,159. Anquetil benchè aiutato da miglior tecnologia, dalla preparazione specifica e senza il rischio delle bombe ottenne dunque una prestazione di soli 361 metri migliore rispetto a quella del Campionissimo. Attualmente il record dei 60 minuti lo detiene Filippo Ganna: 56, 792 chilometri. Ma è un’altra storia.
Ore 20 di Venerdì 25 novembre, nello stadio di Al Khor City si gioca Inghilterra – Stati Uniti per la seconda giornata del gruppo eliminatorio B dei Mondiali del Qatar 2022.
Una partita rievocativa della più grande sorpresa mai verificatasi in una fase finale dei mondiali (nonostante non ne siano mancate altre: prima fra tutte quella riservata all’Italia dalla Corea del Nord nel corso dei mondiali inglesi del 1966).
Ricordiamo allora quella giornata nel lontano 1950.
La Nazionale USA ai mondiali brasiliani del 1950.
Mondiali del 1950: girone eliminatorio, a Belo Horizonte, l’improvvisata rappresentativa statunitense batte l’Inghilterra dei “maestri” per 1- 0.
In occasione dei mondiali del 1950, la selezione inglese fece il suo esordio nella massima competizione calcistica per squadre nazionali. La Football Association inglese, entrata a far parte della FIFA nel1906, ne era uscita nel 1928, ritenendo la propria squadra superiore alle altre partecipanti alle varie competizioni internazionali. Gli inglesi si misurarono con il resto del mondo (denominato “The Rest”) soltanto attraverso partite amichevoli e partecipando al torneo interbritannico con Scozia, Galles e Irlanda del Nord (British Home Championship).
L’Inghilterra così non partecipò alle prime tre edizioni dei campionati del mondo organizzati dalla FIFA diretta da Jules Rimet, limitandosi ad incontrare in gara amichevole la nazionale uscita vincente dalle edizioni 1934 e 1938: in entrambi i casi l’Italia.
Il 14 novembre 1934, ad Highbury stadio del Tottenham, nella partita poi passata alla storia proprio come la “Battaglia di Highbury”, gli inglesi superarono gli azzurri per 3-2. Il 13 maggio 1939 a San Siro, invece, la sfida Italia – Inghilterra terminò 2-2 nella partita passata alla storia come quella della “manina” di Piola, antesignana della “mano de dios” di Maradona.
Nel 1946, le quattro federazioni britanniche decisero di rientrare nella FIFA e di partecipare ai mondiali, previsti per il 1950 9 in Brasile. Dal canto suo la nazionale statunitense, invece, con la presenza al torneo del 1950 era già la terza partecipazione alla massima manifestazione calcistica mondiale.
Nonostante la (all’epoca) scarsa popolarità del soccer nel Paese nordamericano, gli statunitensi avevano colto un sorprendente terzo posto nella prima edizione dei mondiali di calcio disputata inUruguay nel 1930: dopo aver vinto il girone eliminatorio contro Belgio e Paraguay, gli Stati Uniti erano stati battuti in semifinale dall’Argentina con un perentorio 6-1. Di tutt’altro tenore era stata, invece, la partecipazione alla successiva edizione disputata in Italia nel 1934. Qui gli statunitensi furono sorteggiati al primo turno, subito ad eliminazione diretta, contro gli azzurri padroni di casa e da questi battuti per 7-1.
Dalla riammissione alla FIFA nel 1946 all’esordio ai mondiali del 1950, la nazionale inglese, allenata dal 1947 da Walter Winterbottom, aveva collezionato ben 22 vittorie su 29 partite disputate.
Autentiche goleade avevano suggellato i successi degli inglesi contro i Paesi Bassi (8-2 il 27 novembre 1946 ad Huddersfield), il Portogallo (10-0 il 18 maggio 1947 a Lisbona), il Belgio (5-2 il 21 settembre 1947 a Bruxelles), l’Italia da due edizioni campione del mondo in carica (4-0 il 16 maggio 1948 a Torino; gli azzurri schieravano una formazione composta per gran parte dai giocatori del Grande Torino) e la Svizzera (6-0 il 2 dicembre 1948 a Londra).
A cavallo tra il 1949 e il 1950, la nazionale inglese partecipò, unitamente alle altre tre selezioni calcistiche del Regno Unito (Scozia, Galles e Irlanda), alla cinquantesima edizione dell’annuale Torneo Interbritannico. Data l’iscrizione di tutte e quattro le nazionali alle qualificazioni al campionato mondiale di calcio 1950, la FIFA, soprattutto al fine di un risparmio dei costi di viaggio in un’Europa ancora prostrata dalle conseguenze della seconda guerra mondiale, fece valere il torneo come girone di qualificazione, con l’assegnazione di due posti alla fase finale alle squadre che si fossero classificate nelle prime due posizioni.
Il 13 luglio 1947, dal canto suo, la nazionale statunitense esordì al Campionato nordamericano organizzato a Cuba dalla NAFC (precursore dell’odierna CONCACAF), tornando in campo dopo ben dieci anni dall’ultima partita disputata.
Nel mese di settembre 1949, si tenne a Città del Messico la seconda edizione del Campionato nordamericano di calcio, che fu fatta valere dalla FIFA quale girone di qualificazione, per la zona NAFC, alla fase finale della Coppa del Mondo 1950. Partecipavano solo tre nazionali: Stati Uniti, Messico e Cuba. Esse, oltre alla vittoria del torneo, si sarebbero contese i due posti disponibili per il mondiale in un doppio girone all’italiana di andata e ritorno. Sconfitti nettamente dal Messico, futuro vincitore del titolo continentale, in entrambe le partite (0-6 e 2-6), gli USA riuscirono a spuntare un pareggio per 1-1 contro Cuba (con marcatura statunitense di Frank Wallace), che fu poi superata nella sfida decisiva del 21 settembre con un brillante 5-2 (per gli statunitensi reti di Bahr, John Souza, Wallace e doppietta di Matevich).
Grazie al successo su Cuba, gli Stati Uniti colsero la terza partecipazione al mondiale di calcio, non disputando altre partite prima dell’esordio alla fase finale in Brasile. Il ben differente ruolino di marcia tenuto dalle due selezioni nazionali prima dei mondiali di calcio fece sì che i pronostici sul loro cammino fossero diametralmente opposti.
Gli statunitensi, guidati per il mondiale di calcio dallo scozzeseWilliam Jeffrey, schieravano, invece, una squadra composta per lo più da calciatori dilettanti. Gran parte dei membri della rosa statunitense svolgevano, nella vita di tutti i giorni, ben altre professioni: il portiere Frank Borghi guidava il carro funebre dell’impresa dello zio; il difensore Walter Bahr era un insegnante e per partecipare al mondiale dovette chiedere un’aspettativa non retribuita sul finire dell’anno scolastico; un altro difensore, Harry Keough, lavorava come postino; l’attaccante Joe Gaetjens era studente allaColumbia University e si pagava gli studi facendo il lavapiatti; altri ancora lavoravano come mugnai meccanici.
Molti giocatori degli Stati Uniti erano figli di immigrati. Addirittura tre di loro, Joe Maca, il capitano Ed McIlvenny e Joe Gaetjens, neppure erano cittadini statunitensi (essendo rispettivamente belga, scozzese ed haitiano). Tuttavia, avevano espresso l’intenzione di diventarlo e ciò bastava, secondo le regole in vigore in quel periodo presso la United States Soccer Federation, per essere convocati in nazionale. Anche in altre occasioni la nazionale statunitense si rafforzò con giocatori di altra nazionalità. Nel torneo indetto per il bicentenario dell’indipendenza americana, nel 1976, cui parteciparono Italia, Brasile e Inghilterra nella rappresentativa USA avrebbero trovato posto addirittura Pelè e Chinaglia in quel momento impegnati con i Cosmos di New York.
Gli allibratori pagavano 500 a 1 la vittoria finale degli statunitensi.
Il sorteggio, tenutosi a Rio de Janeiro il 22 maggio 1950, inserì USA e Inghilterra nel gruppo 2, insieme con le nazionali del Cile e della Spagna. Il 25 giugno, alle ore 15.00, sia gli statunitensi che gli inglesi esordirono nella Coppa del mondo.
Al Maracanã di Rio de Janeiro, inaugurato appositamente per i mondiali, l’Inghilterra affrontò il Cile. Come da pronostico, gli inglesi si imposero per 2-0, con reti di Mortensen e Mannion. In contemporanea, allo Stadio Durival Britto e Silva di Curitiba, gli Stati Uniti si trovarono di fronte la Spagna. A sorpresa, gli statunitensi si portarono in vantaggio al 17′ con Pariani, resistendo per più di un’ora ai tentativi degli spagnoli di pareggiare. Sul finire della partita, però, la resistenza statunitense crollò: la Spagna andò in rete tre volte in meno di dieci minuti, con Igoa (81′), Basora (83′) e Zarra(89′), chiudendo l’incontro con un perentorio 3-1.
In vista dello scontro diretto, gli statunitensi apparivano, sulla carta, battuti in partenza, tanto che lo stesso c.t. Jeffrey dichiarò apertamente alla stampa che la sua nazionale non aveva alcuna chance. Il portiere Borghi si augurava di non incassare più di quattro-cinque goal. Il quotidiano britannicoDaily Express scrisse: “Sarebbe giusto iniziare la partita dando [agli Stati Uniti] tre goal di vantaggio”. IlBelfast Telegraph definì gli statunitensi “una squadra di [uomini] senza speranza”.
La vittoria degli Stati Uniti sull’Inghilterra era pagata 50 a 1 dagli allibratori: puntando una sterlina se ne sarebbero vinte 50.
L’Inghilterra batté il calcio d’inizio e, dopo appena novanta secondi, Mortensen servì Bentley, il cui tiro fu intercettato dal portiere statunitense Borghi. Dopo 12 minuti, l’Inghilterra aveva già tirato in porta sei volte.
Gli statunitensi conclusero per la prima volta a rete al 25′, ma il contrattacco inglese produsse tre palle goal tra il 30′ e il 32′.
Al 37′ gli Stati Uniti tornarono di nuovo in attacco. Bahr calciò un potente tiro diagonale da circa venti metri in direzione della rete avversaria e l’estremo difensore inglese Williams si mosse verso destra per parare il pallone. L’attaccante statunitense Gaetjens si tuffò di testa all’altezza del dischetto del rigore e colpì la palla insaccandola a sinistra del portiere inglese.
Il pubblico brasiliano sugli spalti, che parteggiava per lo più per gli statunitensi (anche perché sperava nell’eliminazione dell’Inghilterra, affinché questa non giocasse nel girone finale contro il Brasile), esplose di gioia.
Nel secondo tempo iniziarono meglio gli Stati Uniti, galvanizzati dall’inatteso vantaggio. Al 59′ l’Inghilterra guadagnò un calcio di punizione, ma il tiro di Mortensen fu parato da Borghi. All’82’, Charlie Colombo atterrò fallosamente Mortensen al limite dell’area statunitense. Gli inglesi reclamarono il rigore, ma Dattilo, confermando la sua fama, assegnò loro un calcio di punizione. Sul conseguente tiro di Ramsey, Jimmy Mullen colpì di testa sotto porta, ma il tiro fu bloccato da Borghi sulla linea. L’Inghilterra invocò il goal, ma per l’arbitro la palla non aveva superato la linea di porta.
L’occasione fallita minò il morale degli inglesi, che, anzi, rischiarono di subire lo 0-2 sul tiro, all’85’, di Frank Wallace, deviato sulla linea di porta da Ramsey. Quando Dattilo fischiò la fine, esplose la gioia degli statunitensi, celebrati dal pubblico di casa, che invase il terreno di gioco e portò in trionfo Gaetjens.
Nella successiva partita, giocata a Recife il 2 luglio, il Cile ridimensionò seccamente gli statunitensi sotto un pesante 5-2, mentre l’Inghilterra fu eliminata dalla Spagna con il punteggio di 1-0 nella gara giocata al Maracanà di Rio de Janeiro. Toccò alla Spagna accedere al girone finale: la più grande sorpresa nella storia del calcio internazionale si era così consumata.
Tabellino
29 giugno 1950
Stadio Minerao di Belo Horizonte
Stati Uniti – Inghilterra 1-0
Rete: Gaetjens al 38’.
Stati Uniti: Borghi, Keough, Maca, McIlvenny, Colombo, Bahr, E. Souza, J. Souza, Gaetjens, Pariani, Wallace; c.t. Jeffrey.
Just Fontaine: 1 solo mondiale con 13 reti all’attivo
Questo l’elenco dei goleador del “mondiale”: reti segnate in rapporto alle presenze:
Miroslav Klose
Germania. 4 mondiali: 2002 – 2006 – 2010- 2013
16 reti in 24 presenze
2. Ronaldo Luiz de Lima
Brasile. 4 mondiali 1994 – 1998- 2002 – 2006
15 reti in 19 presenze
3: Gerd Muller
Germania. 2 mondiali 1970-1974
14 reti in 13 presenze
4: Just Fontaine
Francia. 1 mondiale . 1958
13 reti in 6 presenze
Media 2.17 a partita- record assoluto .- (3 goal al Paraguay,2 goal alla Jugoslavia,1 goal alla Scozia, 2 goal all’Irlanda del Nord, 1 goal al Brasile, 4 goal alla Germania)
Non è l’assenza della Italia a rendere tristi questi mondiali di calcio che inizieranno tra poche ore.
La scelta del Qatar ha significato il definitivo prevalere del denaro e della geo politica sulle logiche sportive ( valore, quello delle logiche sportive,comunque sempre in difficoltà in queste occasioni).
Ci saranno i tifosi a pagamento come sorta di claque per funzionare da scenario di cartone nei vari stadi in un’atmosfera surreale, rarefatta, quasi da “mondo diverso”.
Saranno i mondiali dello psicodramma comunicativo, che rischia di costare uno sforzo logorante più di quelli compiuti sul piano economico e su quello politico per tradurre una competizione globale in un messaggio favorevole per questo piccolo angolo di mondo segnato dallo sfruttamento, dalle diseguaglianze, da un regime che non tollera la libertà di stampa e la diversità di opinioni e di condizione umana.
Verificheremo quanto si riuscirà a rendere reale l’evento sportivo ma il tentativo in atto è quello di tratteggiare una sorta di versione aggiornata del Truman Show.
Una bella narrazione che non consentirà però di capire quale mai potrà essere il destino di questa finzione organizzata.
E chi mai dovrebbe essere fatto convinto che questo mondiale sarà il migliore di sempre, che marcherà un punto di svolta non solo per il mondo arabo ma a livello globale.
Sarà inutile narrare di un mondiale meraviglioso che si gioca in un paese bellissimo: il peso dello sfruttamento esercitato sui più deboli e l’estraneità alla storia e alla vita dello sport veleranno comunque di tristezza questi 2 mesi di foot-ball giocato in condizioni estreme.
Un’irrealtà che una montagna di danaro non riuscirà a rendere improvvisamente concreta, allontanando ancor di più il calcio dalla realtà quotidiana e dall’immaginario collettivo: davvero a questo punto è difficile pensare allo sport.
Nel giorno dell’inaugurazione del discusso mondiale del Qatar con la partita tra i padroni di casa e l’Ecuador appare doveroso un ricordo della prima edizione di quella che un tempo si era chiamata “Coppa Rimet”, poi aggiudicata definitivamente al Brasile dopo la vittoria nell’edizione del 1970 giocata in Messico.
Torniamo allora alla storia di 93 anni fa:
E’ probabile che vi sia un destino scritto in tutte le cose.
E’ sicuro che un destino ci sia nelle cose di calcio.
Altrimenti sarebbe difficile giudstificare alcuni fatti successi nella sua storia.
Come quello legato all’influenza che hanno sul calcio certe città: Torino, ad esempio, è stata la sede prescelta per disputare le gare del primo campionato italiano di calcio, non può essere un caso che proprio lì sia nata, cresciuta, abbia vinto la società più titolata in Italia.
Analogo discorso può essere fatto per Barcellona. A giudicare dalle vittorie della società blugrana, del suo palmares, è sicuro che qualcosa di importante i catalani, a suo tempo, devono aver fatto per meritare tutto ciò.
Fu proprio a Barcellona il 18 maggio 1929 che fu posta la prima pietra del “Mundial” uruguiano dell’anno successivo.
Il consiglio direttivo della FIFA aveva all’ordine del giorno questa importante decisione: assegnare a uno dei paesi che avevano avanzato la loro candidatura (Ungheria, Spagna, Italia, Norvegia, Uruguay e Svezia) il compito di organizzare la “la prima competizione aperta alle squadre nazionali di tutte le federazioni associate”.
Stabilita in quattro anni la cadenza della manifestazione, mai in sovrapposizione con l’appuntamento olimpico ma sempre in perfetta alternanza, viene fatta la scelta storica: Uruguay !
Alla notizia che sarebbe stata l’Uruguay la prima sede mondiale, su mezza Europa calò il gelo.
Arrivare sino a Montevideo (e in quel tempo non si parlava certo di viaggi aerei, l’unica possibilità era la nave) voleva dire sobbarcarsi lunghissimi giorni di bastimento, con gravissime conseguenze sugli allenamenti e sulla forma fisica e con altrettanto gravi problemi con i datori di lavoro dei vari giocatori, assolutamente contrari a permettere un paio di mesi di ferie ai loro dipendenti.
Dalla vecchia Europa in effetti partirono in pochi.
Disse di sì la Francia perché monsieur Rimet, presidente della FIFA, dopo tutto l’impegno che aveva profuso per organizzare la manifestazione, non poteva subire l’affronto di non veder schierati i suoi galletti.
Girò lui stesso per l’Esagono per strappare ai datori di lavoro i permessim subendo comunque due clamorosi “no”: il più forte attaccante francese del tempo, Manuel Anatol del Racing di Parigi e l’allenatore Gaston Barreau, anche professore al Conservatorio, non ricevettero il visto per Montevideo.
Rimet allargò le braccia e partì senza due pedine importanti. Il viaggio fu affrontato sul “Conte Verde”, forti di sedici giocatori, del dirigente Caudron e del massaggiatore Panosetti.
Sullo stesso bastimento viaggiarono anche altre due squadre europee: il Belgio (privo di Raymond Braine, Bastin, Van Bauhuwade) e la Romania< (praticamente al completo grazie ai buoni uffici del suo più entusiasta e influente tifoso, Re Carol).
La quarta squadra europea che prese parte alla rassegna iridata di Montevideo fu la Jugoslavia, partita da Marsiglia a bordo del “Florida”.
Solo quattro europee: l’Uruguay (che aveva vinto i tornei olimpici del 1924 a Parigi e del 1928 ad Amsterdam) se l’ebbe a male e per un po’ di tempo non varcò l’Oceano.
Al via dunque si trovarono 13 squadre.
Cinque teste di serie tutte americane: Argentina, Uruguay, Stati Uniti, Paraguay, Brasile (privo però del fenomeno Arthur Friedenreich, autore di 1.329 reti in carriere).
Non mancava soltanto il fuoriclasse brasiliano. Non erano presenti: Meazza, Baloncieri, Schiavio, Rosetta, Caligaris, Sindelar, Hiden, Smstik, Schall, Hirzer, Kohut, Tiktos, Puc, Planicka, Silny, Pesek, Ableggen, Zamora, James, Dean.
Le squadre partecipanti sono suddivise in 4 gruppi eliminatori:
Francia, Messico, Cile Argentina
Jugoslavia, Brasile, Bolivia
Romania, Perù, Uruguay
Stati Uniti, Belgio, Paraguay
Domenica 13 luglio 1930 si gioca la prima partita allo Stadio Pocitos di Montevideo, ore 14,50 1.000 spettatori
Francia – Messico 4-1
reti: primo tempo al 19′ Laurent (F) primo goal nella storia del mondiale; 40′ Langiller (F) , 42′ Maschinot (F); secondo tempo 23′ Carreno (M) 41′ Maschinot (F, che realizza la prima doppietta)
Nel giorno di inizio dei Mondiali di Qatar 2022, il 20 novembre, Austria e Italia saranno impegnate in una partita amichevole all’Ernst Happel Stadion di Vienna.
Entrambe le nazionali non hanno superato la fase eliminatoria e non parteciperanno così alla massima competizione internazionale: sicuramente la gara in programma nella capitale austriaca non rappresenterà una buona consolazione.
Italia e Austria sono tra le nazionali dalla storia più lunga e gloriosa in campo Europeo: il primo scontro diretto si verificò in occasione delle Olimpiadi di Stoccolma nel 1912 e gli austriaci già diretti da Hugo Meisl si imposero 5-1 all’Italia diretta da Vittorio Pozzo.
Da allora il bilancio comprende 38 partite con 18 vittorie dell’Italia, 8 pareggi, 12 vittorie dell’Austria, 51 reti segnate dagli azzurri e 57 reti segnate dai bianchi.
L’occasione di questo ricordo, proprio alla vigilia di una amichevole tra escluse e programmata, un po’ beffardamente, in coincidenza con l’inizio del Campionato Mondiale , risale al 3 giugno 1934 quando Italia – Austria valeva la semifinale del secondo campionato mondiale di calcio “Coppa Rimet”.
Scenario lo stadio di San Siro a Milano.
L’Italia arriva a questo appuntamento dopo aver eliminato gli Stati Uniti e, in una doppia durissima gara, la Spagna.
Il Wunderteam (così è appellato il team austriaco : “la squadra meravigliosa”) ha eliminato la Francia ai tempi supplementari e dopo un tiratissimo derby l’Ungheria per 2-1.
La semifinale Italia – Austria è considerata la vera finale.
L’attesa è enorme: ma conme spesso accade in queste occasioni la partita risulta troppo tirata e giocata tatticamente per poter corrispondere a uno spettacolo adeguato alla classe dei 22 protagonisti in campo.
Gli austriaci fanno fatica a portare avanti il loro gioco ragionato e fatto di fitte trame di palleggio (“il valzer danubiano”); mentre gli italiani hanno nelle gambe il doppio confronto con la Spagna giocato soprattutto sul piano fisico.
Alla fine la concretezza degli uomini di Pozzo farà pendere l’ago della bilancia dalla parte d’Italia, grazie a un goal di Guaita che spinge in rete un pallone di Meazza dopo un’entrata sul portiere austriaco che fece molto discutere. L’arbitro Eklind convalidò ma al giorno d’oggi si sarebbe certo verificato l’intervento del VAR.
Nella finale l’Italia conquisterà il titolo superando la Cecoslovacchia 2.-1 dopo i tempi supplementari, mentre l’Austria cederà alla Germania per 3-2 nella finale per il 3°-4° posto.
Una giornata grigia da vero autunno: il Savona si presenta all’appuntamento in grande spolvero, la squadra è imbattuta e in testa alla classifica.
Il segnale arriva dopo 2′: l’ala sinistra del Legnano, un ragazzino pelle e ossa si autolancia in avanti e a velocità vertiginosa salta di netto Costantini (mica un pivello, nella sua carriera giocherà per molti anni in Serie A con il Palermo).
La scena si ripete due o tre volte nei primi dieci minuti con la difesa bianco blu (priva di Nadali sostituito dall’esordiente Beverina) in difficoltà: ma in contropiede Albino Cella trova il varco giusto. Al 10′ Savona 1 Legnano 0.
L’ala sinistra del Legnano continua a imperversare e 9′ dopo su di una sua fuga e palla al centro Gerosa sorprende Ballardini e Tonoli: 1-1.
A quel punto la folla (8.000 spettatori) comincia a scandire “Roccia, Roccia”: per fermare quel diavolo di n.11 bisogna invertire i terzini e spedirgli addosso Valentino Persenda con i suoi bulloni roventi (precisazione: non erano possibili sostituzioni neppure per il portiere).
Zeffiro Furiassi (che di gioco in difesa se ne intendeva) abbozza e accontenta il competentissimo pubblico savonese: Persenda va a marcare Riva.
Inizia così un pomeriggio drammatico per il nostro difensore (non ancora capitano della squadra; la fascia in quel momento è appannaggio di Giulio Mariani): l’ala sinistra del Legnano lo salta irrimediabilmente in ogni occasione.
Il momento topico arriva al 34′ quando nel tentativo di frenare comunque l’ala sinistra lilla Persenda tocca disgraziatamente un pallone che stava per finire a lato e infila nella porta di Tonoli il goal della nostra sconfitta.
Al fischio finale dalla tribuna l’osservatore della Sampdoria Comini e quello del Genoa Bonilauri (i due “patriarchi” dei settori giovanili rossoblucerchiati) si infilano negli spogliatoi e si precipitano nello stanzione “ospiti” per chiedere lumi al presidente del Legnano Mocchetti (ex-commissario tecnico della Nazionale).
Mocchetti è categorico: il ragazzo è già stato venduto al Cagliari.
Il ragazzo come si è capito era Gigi Riva, per Gioanbrerafucarlo “Giggirriva Rombo di Tuono”.
Partirà da lì una grande carriera che tutti gli sportivi italiani ricordano: due gravi infortuni con la Nazionale, un clamoroso scudetto con il Cagliari, l’Europeo ’68, il Mondiale del Messico quello di Italia – Germania 4-3 e di Brasile – Italia 4-1.
Quel giorno al Bacigalupo in molti avevamo capito di aver assistito ad un evento eccezionale.
Comandano le big. Europee, certo, ma non solo. Durante il Mondiale in Qatar, decine di calciatori si ritroveranno da avversari dopo aver trascorso la prima parte della stagione giocando per lo stesso club. Alcuni tecnici hanno salutato quasi venti elementi – tutti in partenza con le rispettive nazionali – e pure in Italia c’è chi, durante la sosta, dovrà allenarsi con la rosa praticamente dimezzata. Attenzione, perché l’apparenza inganna: le squadre con il maggior numero di convocati sono quelle che dominano in Champions League ma, dall’altra parte del mondo, qualcuno per poco non si è preso il podio di questa particolare classifica…
Abbiamo provato un confronto con il mondiale del 1966 cercando di fotografare un momento nel quale l’internazionalizzazione del calcio si poteva considerare come in forte espansione:
1966
FRANCIA
Combin (Varese – Italia)
Muller (Barcellona- Spagna)
GERMANIA
Schenellinger (Milan – Italia)
Brulls (Brescia – Italia)
Haller (Bologna – Italia)
SPAGNA
Del Sol (Juventus – Italia)
Suarez (Inter)
Peirò (Inter)
Quindi soltanto 8 convocati (16 squadre per 352 giocatori; adesso 32 squadre per 832 giocatori) dalle diverse nazionali militanti in squadre straniere (7 in quelle italiane).
I grandi club che si trovavano ad avere più convocati li avevano presenti nelle rose delle rispettive nazionali.
Beckenbauer e Maier (in quel momento portiere di riserva)
MANCHESTER UNITED
3 convocati con l’Inghilterra: Stiles, Bobby Charlton, Connelly ( 3 convocati anche per il Liverpool, 1 per il Chelsea: il portiere di riserva Bonetti).
Insomma: i fuoriclasse giocavano a casa propria (nel Brasile il Santos aveva 6 convocati) e non funzionava la logica dei “blocchi”.
Grazie all’avvento del duo Berlusconi – Galliani e con l’allenatore Stroppa il Monza è arrivato per la prima volta della sua storia ultra centenaria (anno di fondazione 1912, per la cronaca cinque anni dopo il Savona Fbc) in Serie A con la stagione 2022-2023 al termine di una drammatico e spettacolare spareggio con il Pisa: 4-3 il risultato della gara di ritorno dopo il 2-1 dell’andata.
In questa occasione però intendiamo ricordare una pagina particolare nella storia del club brianzolo, quella legata alla fusione con la Simmenthal: era il tempo in cui l’industria entrò nel mondo del calcio non soltanto attraverso la figura di presidenti – mecenati, da Agnelli a Moratti a Rizzoli, tanto per fare gli esempi più illustri, ma costruendo anche progetti societari più o meno effimeri o vincenti, a partire da quello disastroso – durato 12 mesi con la retrocessione – del Talmone Torino, oppure l’Ozo capace di portare il Mantova dalla IV Serie alla Serie A e ancora lo Zenit Modena o la Sarom Ravenna.
La storia del Monza – Simmenthal fu ancora più particolare.
Al termine della stagione 1954-55 il Monza si era salvato con grande fatica e la società aveva accumulato debiti per 80 milioni.
Entrò allora in scena Gino Alfonso Sada, fondatore della Soc. Anonima Alfonso Sada che era entrato nel calcio creando nel 1953 il “Gruppo Sportivo Simmenthal” affiliandolo alla F.I.G.C e iscrivendo la squadra al campionato di Seconda Divisione lombarda lasciando che fosse il figlio Claudio a presiedere il club. A fine stagione però la Simmenthal con un misero 4º posto non ottenne la promozione in categoria superiore. La stagione successiva la Sanrocchese (nata nel 1945) che con lei divideva il campo di Via Fiume è promossa in Promozione lombarda e dopo 9 anni di attività ai massimi livelli regionali non ha più le possibilità finanziarie per continuare. Sada coglie l’occasione al volo; ne acquisisce il titolo sportivo attraverso la fusione e schiera la propria squadra in Promozione. Ma ancora una volta non ottiene il salto di categoria (stavolta in IV Serie). Alfonso Sada (Gino era solo un soprannome) contatta il dirigente dell’A.C. Como Edoardo Bertacchi e gli propone di gestire la Segreteria della Simmenthal-Monza. Sarà proprio il “Cavalier Bertacchi” il perno del successo nella fusione della Simmenthal di Sada con il Monza.
All’inizio, l’ingresso di Sada che pone alla presidenza ancora una volta il figlio Claudio, sembra non andare in porto. La triade non è dell’idea di perdere completamente la dirigenza, ma è grazie soprattutto al dottor Aurelio Ferrazzi, che con il dottor A. Bosisio, G. Giovenzana e al ragionier Tarenghi è comproprietario statutario del “pacchetto giocatori”, a convincere gli altri dirigenti ad accettare di andare a comporre la “commissione di reggenza” destinata ad affiancare Claudio Sada. L’apporto dei Sada è stabilito in 30 milioni di lire e la dirigenza uscente è obbligata a ripianare la differenza del deficit 1954-1955, mentre ad accollarsi le spese per la campagna acquisti stagionale avrebbero dovuto essere entrambe le due società.
Lasciato libero l’allenatore della stagione trascorsa Carlo Alberto Quario, arriva sulla panchina biancorossa Pietro Rava ex difensore juventino e della nazionale, a cui è garantito che avrebbe potuto andare in campo e giocare qualora avessero avuto bisogno di sopperire a una importante defezione in difesa.
A molti giocatori, a cui all’inizio della stagione si prospettava l’imminente cessione, fu garantita la riconferma a cui vennero affiancati i nuovi Aurelio Milani (futuro centravanti di Padova, Inter, Sampdoria, Fiorentina) e Severino Lojodice (futura mezz’ala di Roma, Juventus, Sampdoria) che risulteranno la migliore scelta stagionale: i migliori cannonieri del campionato sommando da soli 34 reti sulle 44 realizzate.
Da segnalare anche la presenza di Carlo Tagnin, successivamente al Bari, alla Lazio e all’Inter. Il forte mediano con Aurelio Milani sarà protagonista con i nero-azzurri della prima conquista della Coppa dei Campioni nella finale di Vienna del 1964 vinta dalla squadra allenata da Herrera con il Real Madrid (3-1). Tagnin, in seguito, nella stagione 1974-75 sarà allenatore del Savona in una sfortunata stagione segnata dalla retrocessione dalla Serie C alla Serie D.
L’abbinamento Monza – Simmenthal proseguirà avanti fino alla stagione 1964-65 e sarà sciolto soltanto dalla scomparsa di Alfonso Gino Sada.
Questa la classifica della Serie B nella prima stagione del Simmenthal – Monza e i tabellini delle gare disputate dalla squadra bianco – rossa.