La Cairese ammaina una tra le sue bandiere più amate: se n’è andato Ermanno Monaci. Aveva 84 anni. Grande la sua passione per il calcio, dagli inizi, nel settore giovanile dell’Olimpia e poi della Villetta, gli esordi giovanissimo nel Val Bormida in Prima categoria, fino al momento di appendere le scarpette al chiodo con la maglia della Pallarese, quando aveva 46 anni. Un record. Nel mezzo del lungo viaggio le imprese con Carcarese, Cairese, Cengio e, non ultime per importanza, le due presenze, orgoglio gialloblu, nella Nazionale dilettanti contro Inghilterra e Germania, andando anche in gol contro gli inglesi e autore del 2 a 3 contro i tedeschi proprio al “Rizzo”, davanti al suo pubblico. Con lui c’erano altri 4 moschettieri della “Cairese dei miracoli”: Papes, Altobelli, Pierucci e Angelini.
Cairesi in Nazionale: Angelini, Papes, Monaci, Altobelli, Tullio Pierucci
Aver giocato con lui, nella Cairese del presidente Negro e del tecnico Natale Zamboni, è stato un piacere e una responsabilità. Piacere, per i tanti successi di una squadra eccezionale, che mi preme ricordare in tutti gli effettivi: Angelini, Altobelli, Montaldo; Amello, Pierucci, Papes; Pasio, Veglio, Monaci, Bonello, Minuto, organico completato da Cigolini, Reschia, e dai giovani e talentuosi fratelli Lucchesi. Responsabilità, perché dovevo difendere i gol realizzati dal duo Monaci-Minuto. Una stagione, quella 1963-64, chiusa con 36 reti fatte e 15 subìte, compreso uno 0-2 per un errore di tesseramento.
Monaci, al contrario di Pepè Minuto, il suo gemello del gol, una faina in area di rigore, incarnava il classico centravanti di sfondamento: lottava su ogni pallone, non temeva i contrasti, affrontava a bulloni spianati le marcature più violente con grinta e indomita forza fisica. Un gladiatore, insomma. Buon tiro, forte e preciso, capace anche della finezza del tocco sotto, come nel gol contro l’Inghilterra. Fortissimo nel colpo di testa, una delle sue specialità. Per lui nessuna traiettoria andava perduta. Sempre generoso nel mettersi al servizio della squadra e dei compagni.
Monaci ha indossato altre maglie nella sua lunga carriera, ma quella gialloblu gli è rimasta impressa indelebile sulla pelle. Perché, come tanti di noi, chi è stato nella Cairese, lo è per sempre.
Nel corso degli anni ’60 la Cairese, trascinata anche dai goal di Monaci, giocò per due volte le finali per accedere alla Serie D. Di seguito classifiche e formazioni delle stagioni 1962-63 e 1963-64 senz’altro tra le più importanti del nostro calcio regionale.
Campionato 1962-63
Classifica: Cairese 48, Vado 46, Sestrese 44, Gruppo “C” 44, Loanesi 39, Edera Prà 34, Varazze 34, Argentina 33, Cengio 29, Albisola 27, Ventimigliese 25, Auxilium Alassio 22, Elah Pegli 20, Carcarese 17, Dianese 16, Altarese 1
Il Santos di Pelè: l’unica squadra di club nella quale ha giocato “o Rey” (salvo la parentesi in chiusura di carriera con i Cosmos di New York con Beckenbauer e Chinaglia), vincendo due volte la Coppa Intercontinentale superando Benfica (1962) e Milan (1963) . Da sinistra in piedi: Lima, Zito, Dalma, Calvet, Gilmar, Mauro. accosciati: Dorval, Mengalvio, Coutinho, Pelè e Pepe.
Addio Pelé. Se n’è andato il più grande, il più completo, il più vincente calciatore di tutti i tempi. Ora si può giocare al calcio anche in Paradiso. Chi se non lui: O Rey, O Rei do Futebol, la Perla Nera, il Calciatore del Secolo per la Fifa, per il Cio e per l’International Federation of Football History & Statistics, nonché Pallone d’oro Fifa del secolo, votato dai precedenti vincitori del Pallone d’oro. I suoi gol, le sue giocate, i suoi slalom in mezzo agli avversari, mai teneri con lui, le sue rovesciate (mitica quella nel film “Fuga per la vittoria”, con Silvester Stallone), i suoi colpi di testa (memorabile il gol segnato all’Atzeca nella finale mondiale con gli azzurri del 1970, quando rimase come sospeso in aria per dominare Burgnich e mettere alle spalle di Albertosi il primo dei quattro gol brasiliani), la sua visione del gioco fanno parte di un florilegio calcistico inimitabile, impareggiabile. “È stato il più grande di tutti – scrisse Fulvio Bernardini, ex commissario tecnico della nazionale, Roma, Fiorentina e Sampdoria -. Come lui non ho mai visto altri giocatori. Ho vissuto sessant’anni nel calcio, ma nessuno ha mai mostrato l’abilità di Pelé. Aveva tutte le doti per essere inimitabile: piedi, testa, finta, velocità, visione di gioco, intelligenza altruismo e un modo sapiente di mettere i compagni nella posizione di dovere fare gol per forza. L’unico”. Enzo Bearzot, il c.t. dell’Italia campione del mondo in Spagna, non aveva dubbi nel definirlo “campione inarrivabile per stile, eleganza, morbidezza del tocco, fondo atletico”. Da calciatore ha legato la sua carriera principalmente al Santos, vincendo tutto: dieci volte il campionato Paulista, quattro il Torneo Rio-San Paolo, sei il Campeonato brasileiro di Serie A, cinque Taca del Brasil, oltre a due edizioni della Copa Libertadores, altrettante della Coppa intercontinentale e la prima edizione della Coppa dei campioni intercontinentale. Trasferitosi negli Stati Uniti nella parte finale della carriera, ha conquistato un Campionato Nasl con i New York Cosmos. È l’unico calciatore al mondo ad aver vinto tre edizioni del Campionato mondiale con i verde-oro del Brasile nel 1958, non ancora diciottenne, 1962 e 1970. Gli e mancata soltanto, nonostante la sua grandezza, la riprova europea alla quale, invece, Di Stefano, altro grandissimo del calcio sudamericano, e Maradona in tempi diversi si sottoposero con successo, alimentando l’irrisolvibile dibattito di chi sia stato il migliore. Ma c’è chi sostiene che nel calcio mondiale ci siano state tre epoche: prima di Pelé, durante Pelé e dopo Pelé. Fortunato chi ha potuto vederle tutte.
HANNO SCRITTO DI PELE’
NIELS LIEDHOLM nazionale svedese
Ho conosciuto Pelé a Stoccolma, il 29 giugno 1958, giorno della finale tra Brasile e Svezia. Aveva quasi diciotto anni, ma possedeva già enorme talento. Aveva estro e soprattutto già grande goleador (nella finale, conclusa 5-2, segnò due reti come Vavà, il quinto gol lo realizzò Zagalo, ndc), ma certo non pensavo che sarebbe diventato il grandissimo giocatore che sappiamo. Eccezionale abilità tecnica e straordinaria forza fisica: questo è stato Pelé, secondo me il più bravo di tutti.
JOSE’ ALTAFINI, campione del mondo 1958 con il Brasile, poi 6 volte in maglia azzurra
Pelé cominciò a essere mio amico quando ancora era un ragazzo. Durante il ritiro premondiale del 1958 (poi vinto dal Brasile sulla Svezia di Liedholm, ndc), dividevamo la stessa stanza al Palace Hotel di Pocos de Caldas. Lui non aveva ancora diciotto anni, io venti. Pur essendo giovanissimo, aveva già le qualità dii un uomo: serio, riservato, umile. La stampa brasiliana stava già scoprendolo e lanciandolo. Era un predestinato. La popolarità non lo ha mai trasformato. Era fatto d’acciaio. Si allenava come tutti noi, impegnandosi sempre al massimo. I suoi calci di punizione anche in allenamento erano autentiche bombe. Si allenava come attaccante e anche come portiere, rivelando doti inaspettate. In caso di incidente al nostro numero uno (in quegli anni il mitico Gilmar, ndc) avrebbe dovuto rimpiazzarlo proprio lui. Era quasi perfetto: dico quasi perché per me non esiste il calciatore perfetto. Ma è stato senza dubbio più grande del grande Di Stefano.
Gianni Brera, grande firma del giornalismo sportivo
(direttore della Gazzetta dello Sport poi prima firma di Giorno, Guerin Sportivo, Il Giornale, Repubblica), saggista e romanziere.
Pelé ha pure il genio della misura: arretra se si sente di arretrare, si smarca per of rirsi ai disimpegni, rielabora da par suo ciabattando alacre; le ginocchia stranamente piegate quasi da canterina o ballerina negra (sic!, sperando che i crociati del politicamente corretto non lo mandino al rogo come è accaduto per Indro Montanelli, ndc). Pochi scatti vedo di lui in questi campionati (il mondiale 1970, quello della finale vinta 4-1 con l’Italia), ma uno, fintato, corica Burgnich come neanche un dilettante agli esordi. E Burgnich è il più grande terzino che sia sia mai visto ai mondiali. La posizione è gof a ma insincera, appunto perché voluta. Le ginocchia piegate consentono distensioni improvvise di un’ef icacia arrembante. Pelé fa da regista e allenatore sul campo. P.s:. Gianni Brera non ha mai nascosto di preferire Di Stefano a Pelé.
Lamberto Artioli, giornalista e scrittore
“E’ stato un perfetto profisional (O Rey era ed è ancora una straordinaria macchina da soldi: ha un patrimonio netto stimato di 185 milioni di dollari accumulato attraverso investimenti azionari, proprietà immobiliari, operazioni finanziarie, utilizzo del nome e dell’immagine per accordi di sponsorizzazione, contratti cinematografici e televisivi, ndc). Giocò spesse volte in condizioni fisiche disastrose pur di tener fede agli impegni del Santos, la squadra che si identificava in lui e che pretendeva 30 milioni a partita, ovviamente con Pelé in campo, ma che scendevano a dieci senza Pelé (ammesso e non concesso che non ci fossero reazioni anche violente da parte del pubblico con invasioni di campo e richiesta di rimborso dei biglietti, ndc). Disputò anche due partite in un solo giorno, tre in due giorni. Giocava in media cento incontri all’anno.
Alain Fontan, autore del libro “Le Roi Pelé”
“Pelé aveva il senso strategico di Pedernera, il dono del comando di Di Stefano, il gioco in souplesse di Gomez, lo scatto di Erico, il tocco di palla e la potenza di tiro di Didi, l’astuzia di Sivori, il gioco di testa di Moreno, la semplicità di Schiaf ino, segnava quando voleva”.
Enzo Bearzot, c.t. dell’Italia campione del mondo nel 1982
“E’ stato il football fatto uomo. Campione inarrivabile per stile, eleganza, morbidezza di tocco, completezza tecnica, fondo atletico: un giocatore al quale non faceva difetto assolutamente nulla”.
Bolo Fulvio Bernardini, ex c.t. dell’Italia e allenatore di Fiorentina, Bologna e Sampdoria
“Il più grande di tutti. Come lui non ho mai visto altri giocatori. Ho vissuto 60 anni nel calcio, ma nessuno ha mai mostrato l’abilità di Pelé. In lui ho trovato tutte le doti per essere inimitabile: piedi, testa, finta, velocità, improvvisazione, visione di gioco, intelligenza, altruismo e un modo sapiente di mettere i compagni nella posizione di dover fare il gol per forza. L’unico”.
Solinge Bibas, scrittore e giornalista de “A Gazeta Sportiva” di San Paolo Brasile
“Ci sono tre epoche nel football mondiale: prima di Pelé, durante Pelé e dopo Pelé. Sono felice di averle vissute tutte”.
Gianni Rivera, 60 volte azzurro
E’ il calciatore che più mi ha esaltato, impressionato e sorpreso nonostante ne abbia visti migliaia. Aveva tutto quello che può desiderare un calciatore, faceva cose, col pallone, che altri non riuscivano nemmeno a pensare. Trovargli un difetto è impresa impossibile: perché possedeva scatto, elevazione (Burgnich lo sperimentò nella finale del Mondiale 1970, ndc), posizione, felinità, disciplina, pericolosità, acrobazia, autorità, personalità, visione del gioco, prestigio. Secondo il mio parere, Pelé è stato più grande di Di Stefano.
Giorgio Tosatti ex direttore del “Corriere dello Sport e Stadio”
“Il calcio ha prodotto tanti campioni, nessuno così completo e ricco di doti: fisico raccolto, poderoso ma armonico; agilità animalesca; riflessi di gatto; ritmo da ballerino; elevazione straordinaria in rapporto alla struttura; controllo del pallone da giocoliere; tiro forte, morbido, dritto, tagliato, al volo, da fermo, in corsa, in acrobazia con entrambi i piedi; colpo di testa secco e preciso; stop al millimetro; dribbling tagliente; passaggio immediato, dolce e invitante come un appuntamento d’amore; scatto da centista; resistenza alla fatica; istintiva visione del gioco e della porta; forte personalità agonistica e suprema eleganza atletica. Come i grandi artisti, non appartiene a una scuola, a un’epoca, a un paese. Non impara e non insegna nulla, non ha maestri, né eredi; non consente imitazioni, non viene toccato dall’evoluzione del calcio: era Pelé, lo sarebbe oggi e domani”.
Sandro Mazzola, 70 volte nazionale azzurro
Qui siamo davanti al numero uno al mondo. Secondo me, avrebbe potuto e saputo giocare come portiere con la stessa abilità. Aveva tutto, non saprei trovare un solo difetto in Pelé. Scatto, colpo di testa, velocità, intelligenza, uno dei più furbi giocatori da me conosciuti: sapeva come cadere, come provocare un rigore che non c’era, capace di incantare anche l’arbitro più smaliziato. Un demonio calcistico sotto ogni punto di vista.
Mario Sconcerti già direttore del Secolo XIX,del Corriere dello Sport poi opinionista del Corriere della Sera,
Il numero dieci è il numero della magia, della dif erenza. E’ stato Pelé a inventarlo nel lontano 1958 ai mondiali in Svezia (vinti dal Brasile 5 a 2 sui padroni di casa, ndc). Pelé portava il numero dieci semplicemente perché era il primo attaccante e nel Brasile si usava appunto la numerazione per reparti (l’attacco era composto da Didì, Garrincha, Vavà, Pelé, Zagalo, ndc). Fu talmente grande la sua diversità, talmente forte l’impressione che la sua classe ebbe sui pochi privilegiati italiani che poterono vederlo davanti a un televisore, che il suo numero divenne da allora il numero dei campioni. Meglio ancora dei funamboli, dei giocolieri, di chi sapeva con un pallone sorprendere di più
Giovanni Trapattoni, implacabile marcatore poi CT della nazionale italiana
L’ho incontrato quattro volte. E ogni volta, a fine partita, mi auguravo sempre di non incontrarlo più. Era impegnativo giocare contro di lui perché ogni movimento era imprevedibile. Tra Pelé e Di Stefano (icona dell’Argentina e del Real Madrid, detto Saeta Rubia o Don Alfredo, ritenuto uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, ndc) problematica è la scelta. Per me Pelé aveva più inventiva, più fantasia, più estro. Di Stefano era invece il prototipo del calciatore eclettico, il precursore del calcio totale, il primo uomo-squadra. Due calciatori diversi: però se dovessi indicare il più grande di tutti, direi Pelé perché più completo.
LE DUE FINALI MONDIALI DI PELE’
Edson Arantes do Nascimento detto Pelè ha vinto tre titoli mondiali con la nazionale Brasiliana (Svezia 58, Cile 62, Messico 70) ma ha partecipato soltanto a due finali, nell’occasione della vittoria in Cile sulla Cecoslovacchia (3-1) “O Rey” si era infortunato nella fase a gironi ed era stato sostituito da Tavares de Silveira detto Amarildo.
Questi i tabellini delle due finali mondiali vinte da Pelè e dai suoi compagni.
O fabuloso Brasil campeao do mundo (1958): da sinistra in piedi il CT Vicente Feola; Djalma Santos, Zito, Bellini, Nilton Santos, Orlando, Gilmar accosciati: Garrincha, Didì, Pelè, Vavà, Zagalo
Salire direttamente dalla Serie C alla Serie A vincendo due campionati consecutivi è un’impresa sportiva capitata raramente. Tra il campionato 1962-63 e 1963-43 toccò al Varese fare il “miracolo”. Per la città lombarda si trattava, sportivamente (ed anche economicamente) di un “momento magico”. Il tutto all’insegna dell’Ignis, fabbrica egemone in Italia per i frigoriferi , le cucine a gas, le lavatrici: l’industria degli elettrodomestici nell’Italia del miracolo economico era in fortissima espansione e il “patron” della fabbrica varesina, il sel-made-man Giovanni Borghi investì tantissimo nello sport costruendo una vera e propria polisportiva di altissimo livello.
Per riassumere: due squadre ciclistiche professionistiche, Ignis (maglia gialla) e Fides (maglia rossonera) con Miguel Poblet, velocista spagnolo capace di vincere due Milano – Sanremo, Ercole Baldini vincitore del giro d’Italia 1958 e campione del mondo nella stessa stagione dopo aver conquistato la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Melbourne nel 1956 e aver strappato a Jacques Anquetil il primato dell’ora, Arnaldo Pambianco vincitore del giro d’Italia 1961.
Una scuderia di pugilato gestita dal grande Steve Klaus con due campioni del mondo: Duilio Loi e Sandro Mazzinghi.
Una squadra di pallacanestro con grandi campioni come Meneghin, Raga, Morse capace di competere per scudetto e Coppe dei Campioni con le grandi rivali del Simmenthal Milano e della Virtus Bologna.
Infine, ma non per ultima opzione, in senso di valore, la presidenza del Varese calcio portato in Serie A.
Da citare il direttore sportivo di lungo corso Toni Busini, il direttore tecnico Bruno Arcari e l’allenatore Hector Puricelli, l’ex-testina d’oro di Bologna e MIlan.
Vinto di stretta misura il girone A di Serie C 1962-63, dopo una strenua lotta con Novara e Savona, la favola del Varese la neopromossa sbaraglia il campo e vince il torneo cadetto, raggiungendo la massima serie per la prima volta, dopo oltre cinquant’anni di storia. Partenza di slancio rimanendo a lungo in vetta, superato dal Foggia al termine del girone di andata, poi nelle battute finali del torneo il ritorno in testa ottenendo la promozione con tre turni di anticipo, ed il primo posto solitario. Dal mercato erano arrivati a rinforzare la squadra che aveva ottenuto la promozione in Serie B, i difensori Giancarlo Beltrami dal Livorno, Pietro Maroso dall’Ivrea, Carlo Soldo dal Novara, il centrocampista Piero Cucchi (un importante capitolo, anche familiare, della storia biancoblu) dal Savona e gli attaccanti Alberto Spelta dal Fanfulla, Ivo Vetrano dal Modena e Vincenzo Traspedini dal Simmenthal Monza, quest’ultimo con 13 reti è stato il miglior marcatore di stagione.
La Serie D ha vissuto e scritto pagine importanti per risultati, potenzialità delle squadre e delle società, qualità dei giocatori, professionalità dei tecnici. Un livello inimmaginabile se si fanno confronti, spesso impietosi, con annunci, ambizioni e vendita di illusioni oggi sempre più frequenti nella categoria e, purtroppo, anche tra i sottostanti dilettanti.
Ritorniamo dunque sulla storia della Serie D girone A con classifiche e formazioni dal campionato 1972-73 al campionato 1977-78 quando, per la stagione successiva, fu istituita la Serie C2.
Anche in questo periodo il girone presenta un mix di squadre nobili decadute oppure espressione di piccoli centri cui arrivare in Serie D era paragonabile arrivare in Serie A. Tra i giocatori (per tutti citiamo Ventura, futuro c.t. della nazionale eliminata dal mondiale in Russia, all’epoca nella Sanremese) si troveranno personaggi che hanno frequentato le alte sfere e adesso spendono gli ultimi spiccioli di carriera oppure giovani virgulti capaci di mantenere grandi speranze oppure di deludere strada facendo.
Tra gli allenatori molti nomi “di grido” già militanti come calciatori ai massimi livelli: Michelotti (terzino Como e Catania), Piquè (mediano Udinese e Genoa), Tagnin (mediano dell’Inter di Herrera), Ferretti (centrocampista del Torino), Gigi Bodi (mediano Napoli, Bologna, Torino), Puia (mediano Lanerossi Vicenza, Torino, nazionale), Tarabbia (mediano Torino, Bari, Mantova), Padulazzi (terzino, Inter), Tortul (mezz’ala Sampdoria, Padova), Pierino Cucchi (centrocampista multi promozioni dal Savona al Varese, Lazio, Ternana), Baveni (centrocampista Genoa e Milan), Genta (difensore Genoa, nazionale), Pasinato (centro mediano Lecco), Bonizzoni (terzino Milan), Giraudo (mediano Torino, Novara), Bello (terzino Milan), Perotti (ala Genoa), Rivara (mediano Genoa), Corradi (terzino Juventus, Mantova, nazionale), Sassi (mediano Udinese), Danova (“pantera” ala Milan, Torino, Catania), Zanetti (terzino Novara, Lazio), Turconi (centrocampista Como, Pro Patria), Nocentini (difensore Genoa, Como), Tognon (centromediano Milan, nazionale), Becattini (primatista di presenze nel Genoa, nazionale), Valentino Persenda (primatista di presenze nella storia del Savona FBC).
Ecco piazzamenti e formazioni:
ACQUI (73-74 12° posto): Vacchino, Di Carlo, Baldacci, Dezio, Perazzi, Capocchiano, Abbate, Furini, Nobili, Vanzoni, D’Arpa, all. Solari
Non c’è mai stato un dopoguerra: dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi gli eventi bellici si sono succeduti con una cadenza impressionante, all’epoca della logica dei blocchi e – dopo – quando caduto il muro di Berlino qualcuno aveva scritto di “fine della storia”.
Salgono alla mente ricordi di immani tragedie: Corea, Indocina poi Vietnam, Congo e l’Africa Nera Angola e Mozambico, Kippur, Medio Oriente, i Balcani e in tempi più recenti Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, tanto per citare qualche passaggio dimenticandone la maggior parte, dalle Falkland a Timor Est alle “pulizie etniche” per lo sterminio di interi popoli.
Sta per terminare questo 2022 che ha segnato però un passaggio d’epoca: quello che gli analisti hanno definito il “ritorno della guerra nel cuore dell’Europa”, là nell’Ucraina dove, nel corso della seconda guerra mondiale, fu forse il luogo nel quale si realizzò la maggiore efferatezza nazista.
Di fronte al proditorio attacco russo non si è fin qui sviluppata alcuna iniziativa di pace, anzi si è messa in moto da tutte le parti una gigantesca macchina bellica mentre ci si sta avviando verso un’altra fase di profonda divisione nel mondo.
L’unica voce inascoltata che cerca di levarsi contro “l’inutile strage” è quella del Papa Francesco: ma come si diceva un tempo: “quante divisioni ha il papa?”.
Lo svolgimento dei campionati mondiali di calcio in Qatar ha rappresentato, anche da questo punto di vista, l’illustrazione del decadimento di un valore storico: quello dello sport come espressione di un’idea di pace universale: anzi nel bailamme affaristico e nella violazione dei diritti umani che ha contrassegnato l’avventura della FIFA in Qatar il tema della pace è stato completamente abbandonato e nessuna voce si è levata tradendo anche lo stesso ideale olimpico.
Così abbiamo pensato di riprendere la storia più bella di quando lo sport, il calcio in particolare, era considerato valore, veicolo, segno di pace.
Una storia che ci riporta al Natale 1914, nel primo anno di quella che poi sarebbe stata definita la “Grande Guerra”.
Torniamo al 1914: la guerra era iniziata da pochi mesi e molti speravano ancora che sarebbe stata di breve durata, senza sapere che erano lì in attesa lunghi 4 anni di durissimo conflitto.
All’avvicinarsi delle festività natalizie di quel 1914 furono molti gli appelli alle nazioni in guerra per sospendere, almeno momentaneamente, quel logorante conflitto armato. Un gruppo di 101 suffragette britanniche sottoscrisse la “Open Maschista Letter” indirizzata alle donne di Germania e Austria, in cui si manifestava la loro volontà di sospendere la guerra, ci fu anche il celebre appello di Papa Benedetto XV, poi respinto dalle nazioni combattenti, in cui supplicava di sospendere il conflitto evidenziando come “i cannoni possono tacere almeno nella notte in cui gli angeli cantano”.
La mattina del 25 dicembre nei pressi di Ypres al centro del fronte francese, accade quanto di più impronosticabile possibile. La temperatura era molto bassa e il terreno fangoso “di mezzo” era interamente gelato.
Non si sa chi, nemmeno di quale schieramento, ebbe una pazza e folle idea: prendere diversi stracci, unirli con una corda affinché sembrasse un pallone e semplicemente lanciarlo in quella terra desolata e ghiacciata. Fischio d’inizio. Un centinaio di soldati scende in campo, le squadre si distinguono semplicemente dal colore della divisa, nessuna regola, nessun tempo, nessun arbitro.
Nacque così il più spontaneo, il più vero e il più umano Inghilterra-Germania della storia. La partita durò ad oltranza, i soldati calciavano quell’ammasso di stracci sfogandosi e respirando quell’aria che sapeva di una libertà nuova e che molti, ancora giovanissimi, avevano dimenticato.
Diverse fonti, tra cui il 133esimo reggimento tedesco e Robert Graves (poeta britannico), sostengono che il risultato della partita fu 3-2 per i tedeschi. Le “dichiarazioni dal campo” quel giorno non vennero registrate ma è lecito credere come nessun francese fu triste per la sconfitta, di fronte a tale magia il risultato non aveva alcun valore.
La stampa riportò solo dopo alcuni giorni gli strani avvenimenti di quel magico Natale. Il primo a scrivere qualcosa riguardo fu il New York Times, all’epoca gli Stati Uniti non erano ancora in guerra e il giornale descrisse ciò che avvenne durante la tregua non prima del 31 dicembre.
È oggi commovente apprendere come sotto le uniformi quei soldati non erano nient’altro che ragazzini mossi dagli stessi istinti di chiunque altro: l’amore per il calcio, la voglia di libertà e il calore del Natale.
Un triste Natale per gli aappassionati del “vero” ciclismo.
Ci ha lasciato Vittorio Adorni, uno dei talenti più cristallini dell’Italia della bici negli ann’60.
Esordì fra i professionisti nel 1961. Adorni corse negli anni in cui esplose la rivalità Gimondi–Merckx (quest’ultimo in seguito suo compagno di squadra alla Faema),ma nonostante ciò nel corso della sua carriera, durata dieci anni, raccolse numerosi successi.
Nel suo palmarès figura tra gli altri il Giro d’Italia del 1965, quando batté di 11’26” Italo Zilioli e di 12’57” proprio Gimondi; da allora simili vantaggi nella corsa rosa non si sono più ripetuti.
Tre anni più tardi, nel 1968, arrivò la sua vittoria più prestigiosa, il campionato mondiale su strada di Imola, dove, pur non presentandosi nel lotto dei favoriti,riuscì a trionfare con un tentativo da lontano a novanta chilometri dal traguardo, che lo portò al successo con un vantaggio di 9’50” su Herman Van Springel e 10’18” su Michele Dancelli. Una delle vittorie per più largo distacco in un campionato del mondo. Una vera e propria cavalcata solitaria come quella di Coppi a Lugano 1953 e di Baldini a Reims, dieci anni prima.
In totale in carriera ha vinto 60 corse professionistiche e vestito complessivamente per 19 giorni la maglia rosa di leader del Giro.
Al Giro d’Italia il successo gli arrise nell’edizionel del 1965 durante il quale si aggiudicò anche la tappa alpina da Faas See a Madesimo oltre alla tappa di Potenza e alla cronometro da Catania a Taormina.
Fu in giro d’Italia dominato dagli italiani, piazzatisi ai primi 10 posti: alle spalle di Adorni si classificò Zilioli a 11’26”, poi l’esordiente Gimondi che nel mese di luglio si sarebbe imposto a sorpresa nel Tour de France, quindi in fila Mugnaini, Balmamion, Taccone, Bitossi, Poggiali, Massignan, De Rosso.
Adorni si era piazzato al 5° posto nel giro ’62, al 2° posto alle spalle di Franco Balmamion nel giro 1963, al 4° posto nel giro 1964 vinto da Anquetil e dopo il successo nel 1965, 7° nel 1966 nel giro vinto da Motta, 4° nel 1967 nel primo giro vinto da Felice Gimondi, al secondo posto nel 1968 primo successo di Edddy Merckx, 10° posto nel 1970 ancora vittoria del “cannibale” belga.
ORDINE D’ARRIVO DEL MONDIALE 1968
Imola 1 settembre 1968
Adorni (Italia) 2. Van Springel (Belgio) a 9’50” 3. Dancelli (Italia) a 10’18” 4. Bitossi (Italia) 5. Taccone (Italia) 6. Gimondi (Italia) 7.Poulidor (Francia) 8. Merckx (Belgio) 9. Jourden (Francia) 10. Aimar (Francia)
Adorni vinse anche il campionato italiano nel 1969 superando Taccone e Zilioli
C’è un quarto di nobiltà calcistica nel campionato di Serie D negli anni sessanta. E la Liguria è ben rappresentata da Sanremese, Imperia, Alassio, Albenga, Finale, Ligorna, Sestrese, Entella, Sestri Levante, Gruppo C, Lavagnese, Rapallo, Sammargheritese, Spezia, Sarzanese. Di seguito si troveranno tutte le formazioni delle squadre che hanno partecipato al girone A della Serie D dalla stagione 1960-61 a quella 1969-70. Si troveranno squadre che poi compiranno lunghi cammini in ascesa arrivando, come l’Empoli e lo Spezia, in Serie A, e nobili decadute: giocatori già avanti con gli anni che in questo campionato hanno speso gli ultimi spiccioli di carriera o giovani promesse, poi mantenute o deluse.
La composizione del girone ha via via coinvolto squadre liguri, piemontesi, lombarde e toscane: insomma un bello e indimenticabile spaccato di un periodo davvero importante per l’intero movimento calcistico italiano.
ENTELLA (61-62 2° posto) : Di Vincenzo, Delle Piane, Nadalin, Sanguineti, Piazza II, Barbarossa, Mantelli, Piazza I, Visani, Derossi, Basilio Parodi all. Ballico
(62-63 4° posto): Franci, Delle Piana Morana, Barbarossa, Nadalin, Piazza, Bazzurro, Cesarini, Pellizzari, Derossi, Basilio Parodi all. Narducci
(63-64 1° posto) Scabini, Delle Piane, Forno, Gittone, Nadalin, Piazza, Buzzurro, De Rossi, Dossena, Gonella, Basilio Parodi all. Pastorino
FINALE LIGURE (60-61 12° posto): Toso, Luciano, Girotti, Negro, Bagnasco, Ottonello, Merighetto, Bergallo, Bertoni, Etrusco, Negri all. Carapellese
61-62 (8° posto): Giacomelli, Luciano, Vianello, Ottonello, Negro, Etrusco, Gandolfo, Merighetto, Bergallo, Pedemonte, Ferrari all. Bossi
Gli allenatori nella storia ultra centenaria del calcio italiano: un elenco lunghissimo, in parte sconosciuto ai più, anche agli amanti della statistiche, e che andava ricostruito alla (ri)scoperta di personaggi con schede personali, piccoli aneddoti e curiosità. Da qui la decisione di pubblicare l’elenco degli allenatori di Serie A nel primo decennio del girone unico tra il campionato 1929-30 e quello 1939-40. Una fase di grande espansione per il calcio italiano: sotto la guida di Vittorio Pozzo la nazionale vince due titoli mondiali e un oro olimpico; la Juve infila cinque scudetti consecutivi, tre titoli vanno all’Ambrosiana – Inter e due scudetti di fila al Bologna che vince anche per due volte la Coppa Europa.
A guidare le nostre squadre però sono ancora prevalentemente maestri ungheresi: Weisz, Molnar, Toth, Orth, Ging, Kertesz, qualche inglese, primo fra tutti l’antico mister Garbutt mentre cominciano ad affacciarsi gli italiani, sia ex-giocatori degli anni ’20, sia i campioni del mondo del ’34 che lasciano il campo da gioco.
Ci sono già innovatori che seguono il sistema inglese o addirittura lo modificano in senso difensivo come Barbieri, storica bandiera rossoblu tra campo e panchina.
Ecco di seguito l’elenco completo:
AITKEN
Juventus 29-30
ALIBERTI
Torino 31-32
ALLEMANDI Ancora un mondiale ’34 che intraprende la strada dell’allenatore
Lazio 38-39
ALT
Lazio 34-35, 35-36
ARA grande protagonista degli scudetti vercellesi. Primo giocatore a segnare un goal direttamente su punizione nella storia della nazionale italiana (1913: Italia – Belgio 1-0. In campo 9 vercellesi con il genoano De Vecchi e il doriano Fresia)
Pro Vercelli 32-33, 33-34, Fiorentina 34-35, 35-36, 36-37, Roma 37-38, 38-39, 39-40
BAAR
Roma 31-32, Bari 32-33, Roma 32-33
BACCANI
Roma 29-30, Fiorentina 37-38
BACCMAN
Alessandria 32-33
BALONCIERI il grande “Balon” alessandrino poi al Toro, uno dei primi “cervelli” del centrocampo nella storia del calcio italiano.
Milan 34-35, 35-36, 36-37.Novara 36-37, Liguria (nuova denominazione della Sampierdarenese) 37-38, 38-39, Napoli 39-40
BALZARETTI
Pro Vercelli 34-35
BANAS
Milan 31-32, 32-33, 38-39, 39-40
BANCHERO sulla panchina dell’Alessandria un altro protagonista della storia dei “grigi”
Alessandria 36-37
BARBESINO ufficiale d’aviazione durante la grande guerra, da giocatore aveva vinto con il Casale lo scudetto 1913-14
Legnano 30-31, Roma 33-34, 34-35, 35-36, 36-37
BARBIERI il mediano del Genoa degli ultimi scudetti, allena l’Atalanta alla prima esperienza in Serie A. In seguito Barbieri, al Liguria e poi al Genoa sarà il precursore di Viani e Rocco adottando il “mezzosistema” con il terzino volante. Nel campionato di guerra 43-44 Barbieri sarà l’allenatore di quello Spezia (truccato da Vigili del Fuoco) capace di vincere il torneo superando il grande Torino. Nell’immediato dopoguerra colpito da un male incurabile Barbieri morirà mentre era in attività allenando la Lucchese.
Atalanta 37-38
BARBUY un brasiliano costretto anche a scendere in campo pur avendo già compiuto 38 anni (un record per l’epoca)
Lazio 1931-32
BECHEY
Pro Patria 29-30, 31-32
BELLINI
Sampierdarenese 35-36
BENINCASA
Palermo 35-36
BIGATTO
Juventus 34-35
BONINO
Lucchese 38-39
BURGESS
Padova 29-30; Roma 29-30, 30-31, 31-32
BURLANDO già centromediano nel Genoa vincitore degli ultimi scudetti della sua storia
Genoa 31-32
CALIGARIS Con il ritiro di Combi dopo la vittoria nel mondiale ’34 il celebre trio difensivo si è ormai sciolto. Caligaris lascia la Juve e sbarca a Brescia come giocatore – allenatore (27 presenze in campionato) ma un destino sfortunato lo colpirà troppo presto.
Torino 29-30, 34-35, 35-36, Bari 36-37, 37-38, Ambrosiana – Inter 38-39, 39-40
CASTELLAZZI un altro dei campioni del mondo del 1934 tenta l’avventura da allenatore e comincia con la squadra che lo ha visto protagonista in campo
Ambrosiana – Inter 36-37, 37-38
CHRAPPAN
Alessandria 34-35
LEOPOLDO CONTI
Pro Patria 31-32, 32-33
COSTANTINO
Faele “la stella del Sud” prova ad allenare la sua squadra ma l’esperienza non è fortunata
Bari 39-40
COLOMBATI Un caso raro di passaggio dalla scrivania alla panchina. Il ragionier Colombati infatti fino a quel momento aveva ricoperto l’incarico di segretario della società
Liguria 39-40
CSAPAY
Triestina 32-33, 33-34, Palermo 34-35, Napoli 35-36
CZALAY
Pro Patria 32-33
CZEIZLER Prima puntata italiana dell’ungaro – svedese che diventerà “Zio Lajos” trainer del Milan del Gre-No-Li e Commissario Tecnico della Nazionale nella sfortunata spedizione di Svizzera ’54 (prima edizione dei mondiali trasmessa dalla TV italiana)
Casale 32-33
DELLA VALLE
Bologna 32-33
DE VECCHI
Genoa 29-30
ELSNER
Fiorentina 31-32
ERBSTEIN Una vita da romanzo, in fuga per le leggi razziali tornato in Italia il d.t. del grande Torino ha concluso la sua esistenza nel rogo di Superga
Bari 32-33, Lucchese 36-37, 37-38 Torino 38-39
FAGIOLI
Padova 29-30
FELDMANN
Palermo 32-33, 33-34, Ambrosiana – Inter 34-35, 35-36, Torino 36-37, 37-38
FELSNER Considerato un “mago” tra la stagione 35-36 e quella 36-37 passò direttamente dalla Sampdierdarenese al Genoa
Bologna 29-30, 30-31, Fiorentina 32-33, Sampierdarenese 34-35, 35-36, Genoa 36-37, Milan 37-38, Bologna 38-39, Milan 38-39, Bologna 39-40
FERRERO
Bari 39-40
FORLIVESI
Modena 30-31, 31-32
GALLUZZI
Fiorentina 39-40
GARBUTT il primo (e unico) vero “mister” nella storia del calcio italiano, inglese ingaggiato dal Genoa fin dagli anni ’10
Modena 29-30, Fiorentina 33-34, Bari 38-39, Modena 39-40
GIRANI
Venezia 39-40
GOLA
Juventus 34-35
GRASSI
Triestina 31-32
HANSEL
Torino 32-33, Alessandria 33-34, Livorno 34-35
HLAVAY
Brescia 33-34, 34-35
IODICE
Napoli 38-39
KERTESZ Un nome importante per la nostra storia. Kertesz sarà fucilato dai nazisti durante la Resistenza di Budapest. Il figlio Geza nel dopoguerra si stabilirà a Savona insegnando all’ITIS e collaborando per le cronache sportive al “Lavoro”. Di lui conserviamo intatto il ricordo della sua competenza e dell’innata gentilezza.
Lazio 39-40
KOENIG
Milan 29-30, 30-31
KONRAD
Triestina 36-37, 37-38, 38-39
KOVACS
Roma 32-33, Bologna 33-34, 34-35, Triestina 36-37, 38-39
LEONE un altro dei protagonisti degli scudetti vercellesi
Pro Vercelli 34-35
LOMBARDO
Alessandria 35-36
LOSCHI dopo un giro di allenatori ungheresi (alcuni dei quali lasciano l’Italia per timore della guerra) la Triestina si affida a un giocatore -allenatore, il terzino Loschi che gioca 26 partite di campionato
Triestina 38-39
LUDWIG
Cremonese 29-30
MAGNOZZI Il giocatore più rappresentativo nella storia del calcio livornese (assieme a Pitto e poi ad Armando Picchi) prova ad allenare, senza fortuna, la squadra della sua città.
Livorno 37-38
MATYZER
Sampdierdarenese 36-37
MATTEA
Casale 30-31, 31-32, 32-33, Napoli 36-37, 37-38, Novara 38-39, Torino 39-40
MESZAROS
Sampierdarenese 36-37
MOLNAR
Lazio 30-31, Alessandria 32-33, Fiorentina 37-38, Torino 38-39
MORELLI DI POPOLO uno dei nobili fondatori del Torino con la fusione tra International e Ginnastica
Torino 30-31
MONTI il grande Luis, campione del mondo 1934 con l’Italia, cinque scudetti con la Juve (già vice campione del mondo con l’Argentina nel 1930) esordisce così come allenatore in Serie A
Triestina 39-40
NAGY
Pro Vercelli 29-30, 30-31, 31-32, Bologna 32-33, Genoa 33-34
NEKADOMA
Triestina 38-39
NOTTI
Modena 39-40
ORTH Gyorgy Orth, grande attaccante della nazionale ungherese negli anni’20, passerà alla storia come l’allenatore che ha saputo portare il Savona sulla soglia della Serie A. Poi la fuga in Sud-America per sottrarre la moglie alla furia nazista e altre alterne vicende.
Genoa 35-36
PAPA
Alessandria 31-32, 32-33
PAYER negli anni’20 allenatore del Savona
Torino 33-34, Napoli 37-38, 38-39
PARODI
Pro Vercelli 32-33
PISELLI
Lazio 29-30; Livorno 38-39
RADY
Livorno 29-30, 30-31, Fiorentina 32-33. 33-34
RANGONE commissario tecnico della nazionale in precedenza a Pozzo. Suo il bronzo olimpico conquistato ad Amsterdam nel 1928
Pro Patria 30-31, Torino 32-33, 33-34
RAVESZ
Alessandria 30-31, Triestina 31-32, 32-33
RIGOTTI
Novara 39-40
ROSETTA Rosetta lascia il calcio giocato (ancora 22 presenze nel campionato 34-35) e come capiterà a tante altre glorie bianconere si siede sulla panchina di quella già all’epoca era la “fidanzata d’Italia”)
Juventus 35-36, 36-37, 37-38, 38-39
RUMBOLD
Genoa 31-32, 32-33
SAVOJARDO da giocatore autore del goal dell’Alessandria nella partita inaugurale giocata a Savona per l’inaugurazione del nuovo campo di via Frugoni (1-1).
Alessandria 31-32, Casale 32-33
SCHAEFFER l’allenatore tedesco che nella stagione 1941-42 porterà la Roma al primo scudetto della sua storia
SPERONE Protagonista degli scudetti granata (uno revocato) alla fine degli anni’20 avrà una lunga carriera da allenatore, anticipando il ruolo del “ginnasiarca” prediligendo, infatti, la forza fisica e l’attitudine alla corsa piuttosto della tattica.
Torino 37-38
STABILE “El filtrador” cannoniere rossoblu, in seguito a lungo CT dell’Argentina scopritore del trio Maschi-Angelillo – Sivori
L’avvento del savonese Michele Marcolini alla guida della nazionale maltese ha suscitato interesse per la storia del calcio nell’isola governata per molti anni dasi cavalieri dell’Ordine di San Giovanni, poi colonia inglese come punto strategico delle rotte mediterranee verso Sud-Est e oggi repubblica indipendente.
Il Calcio Maltese è suddiviso in quattro categorie, c’è la Premier League, che sarebbe la Serie A, la prima divisione che corrisponde ad una serie B, la seconda e la terza che sarebbero la serie C ed i dilettanti. C’è poi la Lega di Gozo che sono si e no 10 squadre in tutto.
Per quanto riguarda la Premier League, la prima squadra che vince il campionato va a fare i preliminari di Champions League, mentre la seconda, la terza e chi vince il FA Trophy va a fare i preliminari di Europa League.
Quast’anno il campionato di Premier League è stato vinto dagli Hibernians di Paola, hanno fatto infatti un ottimo campionato, si usa dire che ha “stracciato” il campionato, secondo è arrivato il Valletta, terzo il Birkirkara.
Il settore giovanile a Malta è molto sviluppato, ogni società sportiva calcistica ha il suo vivaio che va dall’Under 15 all’Under 19, poi c’è la Nursery che sono i ragazzini più giovani, ogni associazione ne ha circa 300 tra gli uni e gli altri, le più quotate sono Birkirkara, Hibernians, Luxol e Pietà, sono le scuole calcio più conosciute ed apprezzate. A Malta è molto diffuso anche il calcio femminile, ogni società ha anche una o due squadre femminili.
Nel classifica mondiale della FIFA, introdotta nel 1993, il migliore posizionamento di Malta è il 66º posto, raggiunto nel settembre 1994 e nel settembre 1995, mentre il peggiore posizionamento è il 191º posto, occupato per la prima volta nel luglio 2017. All’ottobre 2022 la squadra occupa il 168º posto della graduatoria.