a cura di LUCIANO ANGELINI e FRANCO ASTENGO
Il campionato di serie A 2017 – 2018 passerà senza dubbio alla storia come il torneo nel quale è cambiato radicalmente il modo di giudicare le azioni di gioco dal punto di vista arbitrale. E’ stato infatti introdotto il VAR, del quale di seguito forniamo alcune informazioni di massima.
Quando parliamo di Var, facciamo riferimento ad una nuova tecnologia che offre la possibilità agli arbitri di rivedere un’azione o momento di gioco su cui si ha qualche dubbio. L’acronimo Var sta per Video Assistant Referee e rappresenta un vero e proprio assistente per il direttore di gara. In occasione del primo match di tra Juventus e Cagliari l’arbitro Maresca ha accettato di prendere in considerazione una segnalazione lanciata dall’arbitro di cabina del Var riguardante una caduta in area del giocatore sardo Cop, provocata dal bianconero Alex Sandro. Sebbene inizialmente il direttore di gara non avesse considerato il fatto come grave, fischiando semplicemente un calcio d’angolo, dopo la visione del replay dell’azione ha fischiato rigore contro la squadra allenata da Allegri. Farias, però, ha fallito il tiro dagli 11 metri che è stato parato da un Buffon ancora in perfetta forma.
Ecco il VAR all’opera
Come funziona il Var. È bene sottolineare che l’intervento del Var non può essere richiesto dai calciatori o dallo staff, ma è solo ed esclusivamente l’arbitro ad invocarlo ed è sempre e solo lui a decidere sull’esito finale.
1 – Fondamentale: in che situazioni interviene il VAR
- Gol (incluso fuorigioco)
- Assegnazione ed esecuzione del rigore
- Espulsione solo per rosso diretto
- Scambio di identità su ammonizioni o espulsioni
IMPORTANTE: il VAR non può intervenire su altre situazioni, compresi i rossi per seconda ammonizione e i gol che nascono da riprese del gioco (corner concesso per errore, punizione con palla in movimento, fallo laterale battuto in modo irregolare ecc.).
2 – Occhio giocatori e allenatori: chi lo richiede viene ammonito
L’intervento del VAR non può essere richiesto da giocatori, allenatori o tesserati, pena l’ammonizione per proteste. Solo l’arbitro o il VAR possono decidere di rivedere ed eventualmente cambiare una valutazione. La decisione finale resterà comunque dell’arbitro.
3 – Come si capisce quando il VAR è stato richiesto
Quando il VAR interviene, l’arbitro “disegna” il monitor con le mani e il gioco viene interrotto in attesa della valutazione video. Presa la decisione definitiva, il pubblico a casa vedrà l’immagine utilizzata da arbitro e VAR. Al momento, l’IFAB ha scelto di non mostrare l’immagine anche sul monitor allo stadio.
4 – Cosa succede per i rigori
Sull’esecuzione del rigore, il VAR aiuta nei casi di episodi che avvengono all’interno dell’area di rigore. Può essere utile all’arbitro nel decidere se assegnare (o no) un penalty. E si può utilizzare anche su episodi alla Bacca in Sassuolo-Milan (doppio tocco irregolare) o nel caso il giocatore (attaccante o difendente) si sia avvantaggiato del suo ingresso anticipato in area per raccogliere la respinta di palo o portiere.
5 – Il VAR interviene sulle espulsioni, non sulle ammonizioni
Il VAR non sarà mai utilizzato sui cartellini gialli, ma interverrà in caso di potenziali cartellini rossi diretti. Sono escluse da VAR anche le seconde ammonizioni.
QUALCHE ACCENNO STORICO
Eseguita questa doverosa esplicitazione (che ormai dovrebbe essere nota a tutti gli appassionati capaci di distinguere, su un rigore concesso o negato, tra chiacchiere da Bar e chiacchiere da Var…) entriamo nel merito di ciò che, anche dal punto di vista storico, è cambiato radicalmente: il ruolo dell’arbitro. Un ruolo che aveva già avuto una grande evoluzione dal tempo dei pionieri, quando il “referee” era fornito direttamente dalle società e magari era giocatore anche egli stesso o allenatore. I segnalinee continuarono per molti anni ad essere forniti comunque dalle squadre, e questo avviene ancora nelle categorie minori, anche a livello internazionale.
Quando i guardalinee erano ancora forniti dalla due squadre anche in campo internazionale. 13 Maggio 1929, Marassi, si gioca Italia – Olanda 1-1. Guardalinee per la nazionale italiana niente meno che Luigin Burlando che indossa un particolare costume e impugna con fierezza la bandierina. Da sinistra in piedi il barone Franz Calì da Riposto, terzino dell’Andrea Doria, primo capitano nel 1910 della Nazionale Italiana, arbitro, commissario tecnico; Luigin Burlando guardalinee, Rampini II, Baloncieri, Brezzi, Sardi, Forlivesi, l’allenatore Milano I già centro mediano della Pro Vercelli; accosciati: Ara, Meneghetti, Lovati, Bruna, De Vecchi, Giacone.
Poi fu istituita l’apposita figura, resasi indispensabile in particolare quando, modificata la regola del fuorigioco riducendo i giocatori da due a uno oltre al portiere per rendere valida l’azione, cogliere la posizione degli attaccanti in campo rispetto alla palla era diventato fondamentale.
I successivi mutamenti nel regolamento di gioco, assolutamente vorticosi negli ultimi anni per ottemperare alle esigenze di spettacolo imposte dal mezzo televisivo hanno sempre più accentuato il ruolo degli assistenti di linea rispetto all’arbitro centrale e si è cominciato ad invocare la tecnologia: prima arbitro e assistenti sono stati messi in contatto tra loro via radio, poi si è arrivati al segnalatore sulla linea di porta per stabilire il “goal non goal” e, adesso, appunto il VAR del quale abbiamo spiegato il funzionamento.
Verificheremo cosa accadrà in futuro, intanto presentiamo una carellata dei grandi arbitri del passato, quelli ancora precedenti alle generazioni dei Pairetto, Collina e poi Rizzoli: al tempo, cioè, di un calcio diverso per terreni di gioco, pubblico che magari si accoccolava ai bordi del campo, materiali.
A dir la verità però fin dai tempi degli esordi pressioni economiche e politiche non sono mai mancate: pensiamo ad esempio alla vicenda delle 5 finali del campionato 1924 – 25 tra Genoa e Bologna, quando il peso del gerarca fascista Leandro Arpinati, presidente della Federazione , si fece sentire eccome nel favorire i felsinei. In quel frangente fu implicato, come arbitro, l’avv. Giovanni Mauro principe del fischietto italiano per molti anni, poi presidente della Can (Commissione arbitri nazionale) per decenni, arbitro internazionale: il primo vero monumento dell’arbitraggio nel nostro Paese.
I primi arbitri italiano a dirigere una gara di Coppa del Mondo furono però Rinaldo Barlassina, un ragioniere di Novara, che la domenica 27 maggio 1934 allo stadio Ascarelli di Napoli arbitrò la gara degli ottavi di finale (non c’erano gironi: eliminazione diretta) tra Ungheria ed Egitto terminata con il successo dei magiari per 4-2. Come assistenti Barlassina disponeva di due altri arbitri italiani: Generoso Dattilo, rimasto famoso per essere molto restio nel concedere calci di rigore, e Otello Sassi.
Rinaldo Barlassina nel 1937. Quando gli arbitri erano davvero “giacchetta nera”. Il tessuto usato era l’alpaca.
In quella stessa giornata Francesco Mattea diresse a Firenze Germania – Belgio, terminata 5-2 a favore dei tedeschi. Con Mattea fu impegnato anche un guardalinee italiani: Ermenegildo Melandri assieme al francese Baert .
Un guardalinee italiano, Camillo Caironi, assistette assieme ad un belga, che curiosamente si chiamava anche lui Baert, l’olandese Van Moorsel in Austria – Francia 3-2. Ancora Ettore Carminati con l’ungherese Ivancics corse su e giù per le linee laterali dello stadio di Marassi a Genova per coadiuvare il tedesco Birkem direttore di gara di Spagna – Brasile 3-1, prima esibizione in assoluto dei carioca su di un capo europeo.
Due guardalinee italiani, Albino Carraro e Giuseppe Turbiani affiancarono l’austriaco Braun in Svezia – Argentina 3-2, giocata a Bologna e, ancora Ferruccio Bonivento con il famoso austriaco Baranek ad assistere lo svedese Eklind in Svizzera – Olanda 3-2. Eklind avrebbe poi arbitrato la finalissima tra Italia e Cecoslovacchia, con gli azzurri vittoriosi per 2-1 dopo i tempi supplementari.
Infine due famosissimi arbitro italiani come Giuseppe Scarpi e Raffaele Scorzoni affiancarono un altro celeberrimo direttore di gara dell’epoca, il belga Langenus, in Cecoslovacchia – Romania 2-1 giocata a Valmaura, Trieste. Mattea e Barlassina avrebbero poi arbitrato due partite di quarto di finale, rispettivamente, Mattea, Austria – Ungheria 2-1 disputata a Bologna, e Barlassina, Germania – Svezia 2-1, in quel di San Siro. Fu poi Barlassina a dirigere la semifinale che designò la Cecoslovacchia finalista versus l’Italia: Cecoslovacchia – Germania 3-1 a Roma; nella stessa giornata lo svedese Eklind arbitrò l’altra semifinale Italia – Austria 1-0 a Milano.
Rinaldo Barlassina fu poi noto alle cronache come il compilatore della celebre “Agenda”: un ebdomadario dalla copertina argentea che usciva ogni anno contenendo tutti i dati statistici del calcio italiano e internazionale: una preziosa fonte di informazione ma anche uno spaccato importante della vita sociale e culturale dell’epoca. Ne conserviamo gelosamente alcune copie.
Ed è proprio sfogliando le pagine dell’agenda Barlassina che apprendiamo come proprio lo stesso estensore ed il già citato Giuseppe Scarpi furono i primi arbitri italiani ad arbitrare una finale della Coppa Europa, per squadre di club: l’antesignana, negli anni’30, della Coppa dei Campioni, che si disputava d’estate tra le migliori squadre di Italia, Ungheria, Jugoslavia, Svizzera, Austria, Cecoslovacchia.
La finale si disputava in due gare, andata e ritorno. Edizione 1936. Scarpi diresse al Prater (6 settembre) Austria Vienna – Sparta Praga terminata 0-0. Sette giorni dopo replica nella capitale boema, arbitra Barlassina e gli austriaci compiono la grande impresa imponendosi per 1-0 e aggiudicandosi il trofeo.
Il primo arbitro italiano a dirigere una gara in Sud America fu l’ingegner Giovanni Galeati di Bologna che il 25 giugno 1950, allo stadio Sette Settembre di Belo Horizonte, arbitrò una gara di Coppa del Mondo (è l’edizione 1950, quella del famoso “Maracanazo” la beffa del Maracanà con l’Uruguay vittorioso 2-1 sul Brasile, gol di Schiaffino e Ghiggia, poi grandi protagonisti in Italia con Milann e Roma). Galeati, affiancato da due nomi che abbiamo già citato l’italiano Generoso Dattilo e lo svedese Eklind, diresse Jugoslavia – Svizzera 3-0. Generoso Dattilo svolse invece la funzione di arbitro centrale, con Galeati e il francese Delasalle, il 29 giugno sempre in quel di Belo Horizonte nell’occasione di una delle più grandi sorprese mai verificatesi nella storia del calcio, quella del successo degli USA sui maestri inglesi, 1-0 goal dell’haitiano Gaetjens.
L’ing. Galeati, tra i grandi direttori di gara italiani, ai mondiali del ’50. Elegantissimo indossa addirittura una giacca bianca. Si appresta a dirigere Jugoslavia – Svizzera 3-0
Sono tre gli italiani, in seguito, ad aver diretto una finale di coppa del Mondo: Nel 1978, a Buenos Aires, Gonella diresse Argentina – Olanda 3 -1; nel 2002, a Yokhoama, Collina, futuro grande capo degli arbitri a livello internazionale, arbitrò Brasile – Germania 2-0; nel 2014 a Rizzoli, ancora al Maracanà, toccò Germania – Argentina 1-0.
Altri arbitri italiani ai “mondiali”, citando alla rinfusa negli anni ’60: Concetto Lo Bello in Inghilterra nel 1966 (Inghilterra – Messico 2-0 e la semifinale Germania – URSS 2-1, con la famosa espulsione di Cislenko, a conferma della vocazione autoritaria dell’arbitro siracusano che era anche deputato della Dc). Alla spedizione cilena del 1962 (quella in cui l’arbitro inglese Aston ebbe una parte decisiva nell’eliminazione dell’Italia a favore dei padroni di casa con una rissa colossale protagonisti i fratelli Sachez) partecipò Jonni di Macerata, un vero signore del fischietto, che fu impegnato in URSS – Uruguay 2-1, fungendo anche da segnalinee assieme all’austriaco Steiner (che aveva arbitrato anche qualche partita del campionato italiano), coadiuvando l’arbitro centrale Dienst, svizzero, nella semifinale Cecoslovacchia – Jugoslavia 3-1 (in finale poi i cechi dovettere cedere le armi al “magno” Brasile con lo stesso punteggio).
Concetto Lo Bello con Gianni Rivera, non precisamente un idillio. Scoppiò un caso ad una delle prime sperimentazioni della moviola. Lo Bello poi si scusò di non aver concesso un rigore al Milan.
Infine il romano Sbardella (nella stagione ’66- 67 gli era capitato anche di arbitrare il Savona in Serie B) fu l’arbitro designato dalla Federazione a rappresentare l’Italia ai mondiali del Messico. In Messico conoscevano già gli arbitri italiani perché nel contesto di quel campionato aveva operato a lungo il primo arbitro professionista (i signori dei quali abbiamo elencato le partite nelle occasioni indicate erano tutti rigorosamente dilettanti) proveniente dal nostro Paese: quel Diego De Leo, in seguito autore di testi fondamentali sull’arbitraggio. De Leo, per conto della federazione messicana in quel mondiale arbitrò Romania – Cecoslovacchia 2-1
Sbardella diresse Perù – Bulgaria 3-2 e la finale del terzo quarto posto tra Germania Ovest (reduce dal clamoroso 3-4 subito dall’Italia) e Uruguay 1-0 a favore dei tedeschi. Sbardella aveva svolto anche la funzione di guardalinee in Perù – Marocco 3-0, con arbitro centrale il famoso sovietico Tofik Bakhramov che quattro anni prima, bandierina in mano, aveva indicato come segnata una rete dell’inglese Hurst nella finale giocata a Wembley tra Inghilterra e Germania: un episodio dubbio di cui si discute ancora adesso. (non esisteva la goal – line – technology) e in Germania Ovest – Perù 3-1, arbitro centrale lo spagnolo Ortiz de Mandebill.
Questa la copertina del celeberrimo manuale redatto da Diego De Leo
Ci fermiamo a questo punto dopo aver rievocato un bel po’ di peripezie arbitrali.
Il nostro pensiero però è rivolto ai tanti cirenei che negli anni si sono sobbarcati il peso di dirigere le partite dei nostri campionati, nel bene e nel male.
Con il pubblico ai bordi del campo, appena al di là della “griglia” (alle Traversine di Vado una situazione a rischio, con i tifosi vadesi che accendevano il fuoco alle spalle del portiere avversario lanciandogli le palle di carta infuocate) senza segnalinee: o meglio con i segnalinee forniti dalle società corrispondenti a due tipi. Il primo quello dell’eterna riserva (oggi giocherai “linesman” sussurrava Vadone al malcapitato per indorargli la pillola) che si metteva la bandierina sotto il braccio e assisteva impalato (e arrabbiato ) alla partita senza muovere paglia. Il secondo tipo il dirigente entusiasta, Aluffi della Nolese, Ceraolo della Veloce, che si investivano del ruolo e usavano la bandierina come per eseguire segnalazioni nautiche confondendo arbitro e giocatori.
Personalmente ho svolto il compito di guardalinee qualche volta (con gli allievi del Freccero, allenati da mio fratello) e in un’occasione solenne, sempre assieme a Peo. Si giocava, campo Valletta ore 10, una sfida tra i ferrovieri della Savoia e il DLF di Savona, regno incontrastato dal grande “Milio” Pacini, indimenticabile allenatore e uomo di sport.
Al sabato Pacini telefonò a Nanni De Marco chiedendogli di arbitrare la sfida: Nanni mi cercò chiedendomi, assieme a mio fratello, di fare il segnalinee per avere qualcuno di cui fidarsi. Formammo, insomma, una “terna” internazionale: i francesi vinsero 3-1, con grandi parate di un baffuto “guardian de but” che poi risultò giocare in Serie C in Francia, ma anche Pacini aveva mischiato le carte inserendo in squadra diversi postini, Scarcia, Lauretano, il non ancora “don” Lello Paltrinieri e due difensori suoi fedelissimi, un carrozziere Andrè Galindo, poi bandiera del Savona in coppia con Persenda, e un rappresentante di commercio, Dario Ricci.Oltre ai suoi inossidabili colleghi Pippo Baldizzone, Ciatto Bazzano, Ajassa, Roncati. Lui naturalmente indossò il n.9 (in realtà in quel ruolo lo facemmo giocare anche in qualche rappresentativa dei giornalisti). Marachelle che ci stavano in quel clima di fraternità e amicizia. Arbitro centrale e guardalinee risultarono impeccabili.
Ecco un’edizione (anche questa “truccata”) del DLF. Da sinistra, in piedi: Roncati, Pacini I, Ciatto Bazzano, Mazzucco, Cane, Gigi Scarcia.; accosciati: Pacini II (il grande Emilio), Pippo Baldizzone, Ajassa, Palazzo. Il compianto Gigi Scarcia, infatti, lavorava come postino. Simpatia e amicizia per persone come lui e Pacini che hanno lasciato un segno indelebile.