PRIMA E DOPO IL VAR LA LUNGA MARCIA DEGLI ARBITRI DI CALCIO

 

a cura di LUCIANO ANGELINI e FRANCO ASTENGO

Il campionato di serie A 2017 – 2018 passerà senza dubbio alla storia come il torneo nel quale è cambiato radicalmente il modo di giudicare le azioni di gioco dal punto di vista arbitrale. E’ stato infatti introdotto il VAR, del quale di seguito forniamo alcune informazioni di massima.

Quando parliamo di Var, facciamo riferimento ad una nuova tecnologia che offre la possibilità agli arbitri di rivedere un’azione o momento di gioco su cui si ha qualche dubbio. L’acronimo Var sta per Video Assistant Referee e rappresenta un vero e proprio assistente per il direttore di gara. In occasione del primo match di tra Juventus e Cagliari l’arbitro Maresca ha accettato di prendere in considerazione una segnalazione lanciata dall’arbitro di cabina del Var riguardante una caduta in area del giocatore sardo Cop, provocata dal bianconero Alex Sandro. Sebbene inizialmente il direttore di gara non avesse considerato il fatto come grave, fischiando semplicemente un calcio d’angolo, dopo la visione del replay dell’azione ha fischiato rigore contro la squadra allenata da Allegri. Farias, però, ha fallito il tiro dagli 11 metri che è stato parato da un Buffon ancora in perfetta forma.

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Ecco il VAR all’opera

Come funziona il Var. È bene sottolineare che l’intervento del Var non può essere richiesto dai calciatori o dallo staff, ma è solo ed esclusivamente l’arbitro ad invocarlo ed è sempre e solo lui a decidere sull’esito finale.

1 – Fondamentale: in che situazioni interviene il VAR

  • Gol (incluso fuorigioco)
  • Assegnazione ed esecuzione del rigore
  • Espulsione solo per rosso diretto
  • Scambio di identità su ammonizioni o espulsioni

IMPORTANTE: il VAR non può intervenire su altre situazioni, compresi i rossi per seconda ammonizione e i gol che nascono da riprese del gioco (corner concesso per errore, punizione con palla in movimento, fallo laterale battuto in modo irregolare ecc.).

2 – Occhio giocatori e allenatori: chi lo richiede viene ammonito

L’intervento del VAR non può essere richiesto da giocatori, allenatori o tesserati, pena l’ammonizione per proteste. Solo l’arbitro o il VAR possono decidere di rivedere ed eventualmente cambiare una valutazione. La decisione finale resterà comunque dell’arbitro.

3 – Come si capisce quando il VAR è stato richiesto

Quando il VAR interviene, l’arbitro “disegna” il monitor con le mani e il gioco viene interrotto in attesa della valutazione video. Presa la decisione definitiva, il pubblico a casa vedrà l’immagine utilizzata da arbitro e VAR. Al momento, l’IFAB ha scelto di non mostrare l’immagine anche sul monitor allo stadio.

4 – Cosa succede per i rigori

Sull’esecuzione del rigore, il VAR aiuta nei casi di episodi che avvengono all’interno dell’area di rigore. Può essere utile all’arbitro nel decidere se assegnare (o no) un penalty. E si può utilizzare anche su episodi alla Bacca in Sassuolo-Milan (doppio tocco irregolare) o nel caso il giocatore (attaccante o difendente) si sia avvantaggiato del suo ingresso anticipato in area per raccogliere la respinta di palo o portiere.

5 – Il VAR interviene sulle espulsioni, non sulle ammonizioni

Il VAR non sarà mai utilizzato sui cartellini gialli, ma interverrà in caso di potenziali cartellini rossi diretti. Sono escluse da VAR anche le seconde ammonizioni.

QUALCHE ACCENNO STORICO

Eseguita questa doverosa esplicitazione (che ormai dovrebbe essere nota a tutti gli appassionati capaci di distinguere, su un rigore concesso o negato, tra chiacchiere da Bar e chiacchiere da Var…) entriamo nel merito di ciò che, anche dal punto di vista storico, è cambiato radicalmente: il ruolo dell’arbitro. Un ruolo che aveva già avuto una grande evoluzione dal tempo dei pionieri, quando il “referee” era fornito direttamente dalle società e magari era giocatore anche egli stesso o allenatore. I segnalinee continuarono per molti anni ad essere forniti comunque dalle squadre, e questo avviene ancora nelle categorie minori, anche a livello internazionale.

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Quando i guardalinee erano ancora forniti dalla due squadre anche in campo internazionale. 13 Maggio 1929, Marassi, si gioca Italia – Olanda 1-1. Guardalinee per la nazionale italiana niente meno che Luigin Burlando che indossa un particolare costume e impugna con fierezza la bandierina. Da sinistra in piedi il barone Franz Calì da Riposto, terzino dell’Andrea Doria, primo capitano nel 1910 della Nazionale Italiana, arbitro, commissario tecnico;  Luigin Burlando guardalinee, Rampini II, Baloncieri, Brezzi, Sardi, Forlivesi, l’allenatore Milano I già centro mediano della Pro Vercelli; accosciati: Ara, Meneghetti, Lovati, Bruna, De Vecchi, Giacone.

Poi fu istituita  l’apposita figura, resasi indispensabile in particolare quando, modificata la regola del fuorigioco riducendo i giocatori da due a uno oltre al portiere per rendere valida l’azione, cogliere la posizione degli attaccanti in campo rispetto alla palla era diventato fondamentale.

I successivi mutamenti nel regolamento di gioco, assolutamente vorticosi negli ultimi anni per ottemperare alle esigenze di spettacolo imposte dal mezzo televisivo hanno sempre più accentuato il ruolo degli assistenti di linea rispetto all’arbitro centrale e si è cominciato ad invocare la tecnologia: prima arbitro e assistenti sono stati messi in contatto tra loro via radio, poi si è arrivati al segnalatore sulla linea di porta per stabilire il “goal non goal” e, adesso, appunto il VAR del quale abbiamo spiegato il funzionamento.

Verificheremo cosa accadrà in futuro, intanto presentiamo una carellata dei grandi arbitri del passato, quelli ancora precedenti alle generazioni dei Pairetto, Collina e poi Rizzoli: al tempo, cioè, di un calcio diverso per terreni di gioco, pubblico che magari si accoccolava ai bordi del campo, materiali.

A dir la verità però fin dai tempi degli esordi pressioni economiche e politiche non sono mai mancate: pensiamo ad esempio alla vicenda delle 5 finali del campionato 1924 – 25 tra Genoa e Bologna, quando il peso del gerarca fascista Leandro Arpinati, presidente della Federazione , si fece sentire eccome nel favorire i felsinei. In quel frangente fu implicato, come arbitro, l’avv. Giovanni Mauro principe del fischietto italiano per molti anni, poi presidente della Can (Commissione arbitri nazionale) per decenni, arbitro internazionale: il primo vero monumento dell’arbitraggio nel nostro Paese.

I primi arbitri italiano a dirigere una gara di Coppa del Mondo furono però Rinaldo Barlassina, un ragioniere di Novara, che la domenica 27 maggio 1934 allo stadio Ascarelli di Napoli arbitrò la gara degli ottavi di finale (non c’erano gironi: eliminazione diretta) tra Ungheria ed Egitto terminata con il successo dei magiari per 4-2. Come assistenti Barlassina disponeva di due altri arbitri italiani: Generoso Dattilo, rimasto famoso per essere molto restio nel concedere calci di rigore, e Otello Sassi.

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Rinaldo Barlassina nel 1937. Quando gli arbitri erano davvero “giacchetta nera”. Il tessuto usato era l’alpaca.

In quella stessa giornata Francesco Mattea diresse a Firenze Germania – Belgio, terminata 5-2 a favore dei tedeschi. Con Mattea fu impegnato anche un guardalinee italiani: Ermenegildo Melandri assieme al francese Baert .

Un guardalinee italiano, Camillo Caironi, assistette assieme ad un belga, che curiosamente si chiamava anche lui Baert, l’olandese Van Moorsel in Austria – Francia 3-2. Ancora Ettore Carminati con l’ungherese Ivancics corse su e giù per le linee laterali dello stadio di Marassi a Genova  per coadiuvare il tedesco Birkem direttore di gara di Spagna  – Brasile 3-1, prima esibizione in assoluto dei carioca su di un capo europeo.

Due guardalinee italiani, Albino Carraro e Giuseppe Turbiani affiancarono l’austriaco Braun in Svezia – Argentina 3-2, giocata a Bologna e, ancora Ferruccio Bonivento con il famoso austriaco Baranek ad assistere lo svedese Eklind in Svizzera – Olanda 3-2. Eklind avrebbe poi arbitrato la finalissima tra Italia e Cecoslovacchia, con gli azzurri vittoriosi per 2-1 dopo i tempi supplementari.

Infine due famosissimi arbitro italiani come Giuseppe Scarpi e Raffaele Scorzoni affiancarono  un altro celeberrimo direttore di gara dell’epoca, il belga Langenus, in Cecoslovacchia – Romania 2-1 giocata a Valmaura, Trieste. Mattea e Barlassina avrebbero poi arbitrato due partite di quarto di finale, rispettivamente, Mattea,  Austria – Ungheria 2-1 disputata a Bologna, e Barlassina, Germania – Svezia 2-1, in quel di San Siro. Fu poi Barlassina a dirigere la semifinale che designò la Cecoslovacchia finalista versus l’Italia: Cecoslovacchia – Germania 3-1 a Roma; nella stessa giornata lo svedese Eklind arbitrò l’altra semifinale Italia – Austria 1-0 a Milano.

Rinaldo Barlassina fu poi noto alle cronache come il compilatore della celebre “Agenda”: un ebdomadario dalla copertina argentea che usciva ogni anno contenendo tutti i dati statistici del calcio italiano e internazionale: una preziosa fonte di informazione ma anche uno spaccato importante della vita sociale e culturale dell’epoca. Ne conserviamo gelosamente alcune copie.

Ed è proprio sfogliando le pagine dell’agenda Barlassina che apprendiamo come proprio lo stesso estensore ed il già citato Giuseppe Scarpi furono i primi arbitri italiani ad arbitrare una finale della Coppa Europa, per squadre di club: l’antesignana, negli anni’30, della Coppa dei Campioni, che si disputava d’estate tra le migliori squadre di Italia, Ungheria, Jugoslavia, Svizzera, Austria, Cecoslovacchia.

La finale si disputava in due gare, andata e ritorno. Edizione 1936. Scarpi diresse al Prater (6 settembre) Austria Vienna – Sparta Praga terminata 0-0. Sette giorni dopo replica nella capitale boema, arbitra Barlassina e gli austriaci compiono la grande impresa imponendosi per 1-0 e aggiudicandosi il trofeo.

Il primo arbitro italiano a dirigere una gara in Sud America fu l’ingegner Giovanni Galeati di Bologna che il 25 giugno 1950, allo stadio Sette Settembre di Belo Horizonte, arbitrò una gara di Coppa del Mondo (è l’edizione 1950, quella del famoso “Maracanazo” la beffa del Maracanà con l’Uruguay vittorioso 2-1 sul Brasile, gol di Schiaffino e Ghiggia, poi grandi protagonisti in Italia con Milann e Roma). Galeati, affiancato da due nomi che abbiamo già citato l’italiano Generoso Dattilo e lo svedese Eklind, diresse Jugoslavia – Svizzera 3-0. Generoso Dattilo svolse invece la funzione di arbitro centrale, con Galeati e il francese Delasalle, il 29 giugno sempre in quel di Belo Horizonte nell’occasione di una delle più grandi sorprese mai verificatesi nella storia del calcio, quella del successo degli USA sui maestri inglesi, 1-0 goal dell’haitiano Gaetjens.

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L’ing. Galeati, tra i grandi direttori di gara italiani, ai mondiali del ’50. Elegantissimo indossa addirittura una giacca bianca. Si appresta a dirigere Jugoslavia – Svizzera 3-0

Sono tre gli italiani, in seguito, ad aver diretto una finale di coppa del Mondo: Nel 1978, a Buenos Aires,  Gonella diresse Argentina – Olanda 3 -1; nel 2002, a Yokhoama, Collina, futuro grande capo degli arbitri a livello internazionale, arbitrò Brasile – Germania 2-0; nel 2014 a Rizzoli, ancora al Maracanà, toccò Germania – Argentina 1-0.

Altri arbitri italiani  ai “mondiali”, citando alla rinfusa negli anni ’60: Concetto Lo Bello in Inghilterra nel 1966 (Inghilterra – Messico 2-0 e la semifinale Germania – URSS 2-1, con la famosa espulsione di Cislenko, a conferma della vocazione autoritaria dell’arbitro siracusano che era anche deputato della Dc). Alla spedizione cilena del 1962 (quella in cui l’arbitro inglese Aston ebbe una parte decisiva nell’eliminazione dell’Italia a favore dei padroni di casa con una rissa colossale protagonisti i fratelli Sachez) partecipò Jonni di Macerata, un vero signore del fischietto, che fu impegnato in URSS – Uruguay 2-1, fungendo anche da segnalinee assieme all’austriaco Steiner (che aveva arbitrato anche qualche partita del campionato italiano), coadiuvando l’arbitro centrale Dienst, svizzero, nella semifinale Cecoslovacchia – Jugoslavia 3-1 (in finale poi i cechi dovettere cedere le armi al “magno” Brasile con lo stesso punteggio).

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Concetto Lo Bello con Gianni Rivera, non precisamente un idillio. Scoppiò un caso ad una delle prime sperimentazioni della moviola. Lo Bello poi si scusò di non aver concesso un rigore al Milan.

Infine il romano Sbardella (nella stagione ’66- 67 gli era capitato anche di arbitrare il Savona in Serie B) fu l’arbitro designato dalla Federazione a rappresentare l’Italia ai mondiali del Messico. In Messico conoscevano già gli arbitri italiani perché nel contesto di quel campionato aveva operato a lungo il primo arbitro professionista (i signori dei quali abbiamo elencato le partite nelle occasioni indicate erano tutti rigorosamente dilettanti) proveniente dal nostro Paese: quel Diego De Leo, in seguito autore di testi fondamentali sull’arbitraggio. De Leo, per conto della federazione messicana in quel mondiale arbitrò Romania – Cecoslovacchia 2-1

Sbardella  diresse Perù – Bulgaria 3-2 e la finale del terzo quarto posto tra Germania Ovest (reduce dal clamoroso 3-4 subito dall’Italia) e Uruguay 1-0 a favore dei tedeschi. Sbardella aveva svolto anche la funzione di guardalinee in Perù – Marocco 3-0, con arbitro centrale il famoso sovietico Tofik Bakhramov che quattro anni prima, bandierina in mano, aveva indicato come segnata una rete dell’inglese Hurst nella finale giocata a Wembley tra Inghilterra e Germania: un episodio dubbio di cui si discute ancora adesso. (non esisteva la goal – line – technology)  e in Germania Ovest – Perù 3-1, arbitro centrale lo spagnolo Ortiz de Mandebill.

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Questa la copertina del celeberrimo manuale redatto da Diego De Leo

Ci fermiamo a questo punto dopo aver rievocato un bel po’ di peripezie arbitrali.

Il nostro pensiero però è rivolto ai tanti cirenei che negli anni si sono sobbarcati il peso di dirigere le partite dei nostri campionati, nel bene e nel male.

Con il pubblico ai bordi del campo, appena al di là della “griglia” (alle Traversine di Vado una situazione a rischio, con i tifosi vadesi che accendevano il fuoco alle spalle del portiere avversario lanciandogli le palle di carta infuocate) senza segnalinee: o meglio con i segnalinee forniti dalle società corrispondenti a due tipi. Il primo quello dell’eterna riserva (oggi giocherai “linesman” sussurrava Vadone al malcapitato per indorargli la pillola) che si metteva la bandierina sotto il braccio e assisteva impalato (e arrabbiato ) alla partita senza muovere paglia. Il secondo tipo il  dirigente entusiasta, Aluffi della Nolese, Ceraolo della Veloce, che si investivano del ruolo e usavano la bandierina come per eseguire segnalazioni nautiche confondendo arbitro e giocatori.

Personalmente ho svolto il compito di guardalinee qualche volta (con gli allievi del Freccero, allenati da mio fratello) e in un’occasione solenne, sempre assieme a Peo. Si giocava, campo Valletta ore 10, una sfida tra i ferrovieri della Savoia e il DLF di Savona, regno incontrastato dal grande “Milio” Pacini, indimenticabile allenatore e uomo di sport.

Al sabato Pacini telefonò a Nanni De Marco chiedendogli di arbitrare la sfida: Nanni mi cercò chiedendomi, assieme a mio fratello, di fare il segnalinee per avere qualcuno di cui fidarsi. Formammo, insomma, una “terna” internazionale: i francesi vinsero 3-1, con grandi parate di un baffuto “guardian de but” che poi  risultò giocare in Serie C in Francia, ma anche Pacini aveva mischiato le carte inserendo in squadra diversi postini, Scarcia, Lauretano, il non ancora “don” Lello Paltrinieri e due difensori suoi fedelissimi, un carrozziere Andrè Galindo, poi bandiera del Savona in coppia con Persenda, e un rappresentante di commercio, Dario Ricci.Oltre ai suoi inossidabili colleghi Pippo Baldizzone, Ciatto Bazzano, Ajassa, Roncati. Lui naturalmente indossò il n.9 (in realtà in quel ruolo lo facemmo giocare anche in qualche rappresentativa dei giornalisti). Marachelle che ci stavano in quel clima di fraternità e amicizia. Arbitro centrale e guardalinee risultarono impeccabili.

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Ecco un’edizione (anche questa “truccata”) del DLF. Da sinistra, in piedi: Roncati, Pacini I, Ciatto Bazzano, Mazzucco, Cane, Gigi Scarcia.; accosciati: Pacini II (il grande Emilio), Pippo Baldizzone, Ajassa, Palazzo. Il compianto Gigi Scarcia, infatti, lavorava come postino. Simpatia e amicizia per persone come lui e Pacini che hanno lasciato un segno indelebile.

 

PRESIDENTI PER PASSIONE, DAL TRIO FERRANDO-MORIXE-LAZZARETTI A NEGRO, BRUZZONE E BAGNARINO


 di FRANCO ASTENGO

Il mondo del calcio è ormai invaso da una molteplicità di personaggi che, nelle diverse società, svolgono i più svariati incarichi tecnici e organizzativi mentre il “vertice” assume sempre di più le sembianze della “proprietà” piuttosto di quella antica della “presidenza”: di una persona cioè che viene posto a capo di una comunità.

“Comunità” concetto che, per quel che riguarda le società sportive, sembra essersi ormai pressoché definitivamente smarrito se non in dimensioni molto ridotte (anche a quel livello, di piccole società di quartiere o di paese, il concetto di “proprietà” sembra comunque destinato ad imporsi).

Cerchiamo di rievocare allora, come ci capita molto di frequente, di rievocare figure del passato allo scopo proprio di ricostruire un diverso scenario di relazioni umane e sociali: sicuramente all’interno delle società calcistiche, ma assumendo il riferimento quale vera e propria metafora di organizzazioni diverse dal concetto di essere “padrone”.

Il nostro riferimento, prima di tutto, è rivolto alla relazione un tempo esistente tra chi mandava avanti una squadra di calcio di città, di paese, di quartiere e –appunto come abbiamo già indicato –la sua comunità di riferimento.

E’ facile affermare che i tempi erano diversi, non c’era la televisione (o almeno il calcio in  tv non era così assolutamente dominante) e, alla domenica, la partita della squadra “di casa” era “la partita”, interessava tutti e di conseguenza il confronto non avveniva soltanto con un ristretto numero di tifosi ma con l’insieme degli esponenti economici, dell’aggregazione sociale di ogni località perché in gioco non c’erano soltanto valori sportivi e il posto in classifica ma anche identità ed orgoglio forse dal sapore “localistico” e “di parte” ma certo espressione di sentimenti forti, condivisi, capaci di suscitare passione.

Sicuramente c’erano, come vedremo, figure dominanti per carisma e capacità di imporsi: ma lo erano proprio in quel contesto di appartenenza al collettivo di una comunità. Restiamo dalle nostre parti senza svolazzare troppo e restiamo anche nel periodo storico che conosciamo meglio, quello dei decenni centrali del ‘900.

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Il Vado della Coppa Italia: al centro il presidente Angelo Ferrando. Da sinistra in piedi: Esposto, Levratto,Negro futuro presidente della Cairese di cui si parla in questo articolo, Romano, Babboni III, il presidente Ferrando, Cabiati, Babboni II, Roletti, Marchese, Masio. Seduto il portiere Babboni I

A Vado Ligure la squadra di calcio ha sempre rappresentato il fulcro dell’interesse di una cittadina completamente industriale ed operaia. Una squadra di calcio dal passato immaginifico, irripetibile per ciascun altra località consimile.

La vittoria nella prima Coppa Italia (1-0 sull’Udinese, gol di Felice Levratto nei supplementari, una leggenda del calcio italiano), giocatori lanciati in Serie A, addirittura vadesi ad allenare in Sud America oppure a importare ed esportare calcio percorrendo l’Atlantico i(per tutti  il romanista Ghiggia, autore del gol che in una partita drammatica e memorabile fece trionfare l’Uruguay sul Brasile nel Mondiale del 1950) il “River Plate” alla Traversine, la definizione accettata unanimemente nel mondo calcistico italiano di “Università del Calcio”.

Ebbene tutta quell’epopea (con i 5.000 spettatori assiepati attorno alla vecchia tribuna di legno nel campo che sorgeva accanto all’Aurelia all’ingresso del paese) era stata gestita per decenni da tre figure di riferimento: Ferrando, Morixe, Lazzaretti. Tre personaggi molto diversi tra loro, uniti nell’intento di far capire che il Vado era il massimo possibile, il vertice che si poteva raggiungere e che indossare la maglia rossoblu era,per un vadese, insieme un onore e un obbligo morale.

Tutta la cittadina seguiva questo vero e proprio “credo” e quando i tre leoni si videro costretti dalla legge inesorabile della vita ad abbassare bandiera chi li seguì, penso soprattutto all’ingegner Ciarlo anche lui presidente per decenni della compagine rossoblu, pur nella necessaria modernità dei tempi da aggiornare, avesse in mente quel modello di vero e proprio “trascinamento” in una situazione dove il calcio voleva dire molto nella vita sociale e le discussioni in piazza davanti al Bar Negro sulle sorti della squadra avevano lo stesso valore delle accese discussioni politiche che pure in quei tempi tenevano banco (poi a Vado circolava la forte rivalità del Savona e d’estate si indossava il vestito scuro invernale per “gufare” l’odiata rivale: sentimento ricambiato del resto).

Da Vado a Cairo Montenotte per ricordare un’altra gestione molto simile, anche perché negli anni al centro del secolo, si trovava un presidente di scuola vadese come il geometra Negro che in rossoblu aveva militato proprio negli anni ruggenti della Coppa Italia e di Felice Levratto.

La presidenza Negro segnò un lungo tratto della vita della Cairese nel corso della quale la squadra gialloblu lottò in varie occasioni per il salto di categoria: di mezzo si erano però sempre frapposte squadre molto forti, per un livello tecnico di assoluto rilievo. A Negro (come a molti altri presidenti dell’epoca) piacevano i giocatori “fatti”, esperti, generosi: la Cairese non era squadra da esperimenti (anche perché affidata a tecnici come Natale Zamboni, che avevano già frequentato le “scuole alte” dell’apprendimento calcistico: Coverciano e quant’altro) ma di battaglia in modo da corrispondere ai desiderata di un pubblico anche in quel caso molto numeroso: sempre però con grande attenzione al portafogli.

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La Cairese del presidente Negro

Minore attenzione a questo dettaglio per l’epigono di Negro, il farmacista Cesare Brin protagonista della grande scalata che portò la Cairese a ballare per una sola stagione tra i professionisti (C2, campionato 1985-86). Brin, successivamente vittima di uno dei delitti più clamorosi del secolo (quello della “mantide” Gigliola Guerinoni), uomo evidentemente dagli impulsi sanguigni, aveva sì interpretato la parte del “presidente-padrone” e, sinceramente a chi scrive, il giudizio sul suo operato calcistico, a distanza di tanti anni, non può che essere valutato come fortemente opinabile: ma sicuramente non rappresenta un personaggio da trascurare in questa nostro breve tentativo di ricostruzione storica.

Ancora un passaggio molto particolare per rievocare quella che per oltre un decennio è stata una rivalità storica tra due cittadine della Riviera: una rivalità impersonificata proprio nella figura dei due presidenti.

Si tratta della rivalità tra Nolese e Spotornese e dei due presidenti “Rissetto” Bruzzone e Luigi Bagnarino. Due presidenti da ricordare, molto diversi tra di loro, al punto da impostare secondo il loro carattere l’intera vita delle due società.

“Rissetto” (dai riccioli perduti della gioventù) si accostava di più al modello del “padre-padrone” (anche se in paese doveva fare i conti con una tifoseria esigentissima e con molta fronda interna): grandi acquisti, allenatori presi e cacciati alla Zamparini, esibizioni negli allenamenti per mostrare a Levratto (sic!) come intendeva si tirassero i calci d’angolo, intere rose dei titolari licenziate e stagioni terminate con i ragazzi del paese.

Anche grandi iniziative, se pensiamo al campo di Voze realizzato grazie alla generosità del costruttore Truccato e posto al centro di un’attività molto intensa: faceva impressione, all’epoca, la vera e propria processione dei nolesi che risalivano la collina per recarsi ad assistere alla partita. Da citare due record di pubblico, a dicembre 1965 il primo derby giocato a Voze, avversaria la Spotornese e terminato 2-2, e nel gennaio successivo il giorno più lungo della Noli sportiva, davanti ad oltre 3.000 spettatori, sconfitta la grande Sestrese, 1-0 goal di Caracciolo.

Lasciata la Nolese (diventò presidente un personaggio affatto diverso, dal tratto pacato e signorile: il farmacista Mazzucco cui oggi è intitolato il campo sportivo) anche perché trasferito a Ceriale, Bruzzone non abbandonò il calcio e il suo ultimo atto, prima di morire, fu quello di assumere la presidenza dell’Albenga.

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Nolese nel nuovo campionato di Prima Categoria: da sinistra in piedi il presidente Bruzzone, Sinagra, Lagustena, Bordegari, Bruzzone, Somà, Giardina, l’allenatore Nizzola;  accosciati: Monti, Santiglia, Saporito, Pisano, il massaggiatore Restuccia, Aramini

Citare la presidenza dell’Albenga permette però di ricordare un altro grande appassionato, persona di grande affabilità e competenza come l’altro presidente-ingauno simbolo dell’epoca come l’ingegner Delminio.

Torniamo però alla rivalità Noli-Spotorno per ricordare l’altra sponda del derby , quella dai colori biancocelesti e il presidentissimo Luigi Bagnarino.

Bagnarino era un vero manager, nella professione e nel calcio: sistemò la Spotornese come un club d’avanguardia, con un grande settore giovanile affidato a Mario Vadone, che aveva compiuto meraviglie nel settore con la Libertà e Lavoro Speranza, puntava sui giovani: i migliori del vivaio del Savona, scartati da Gigione Costa al momento dell’ascesa in Serie B, finirono a Spotorno. Per gli allenatori però preferiva la scuola vadese: Caviglia, Ansaldo, Armella avvalendosi sempre dei consigli del suo grande amico Felicino Pelizzari.

Soprattutto Bagnarino non era un presidente-faso- tuto–mi  (anche se un po di fronda in paese si trovava: ma non si può sempre accontentare tutti) e disponeva di un solido consiglio direttivo composto da commercianti e imprenditori cittadini primo fra tutti il suo vice: Giuse Cerruti, proprietario dei bagni Copacabana allora molto in voga, persona di una umanità e di uno spirito incredibili. Personaggio davvero da ricordare.

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Spotornese in seconda categoria (campo Valletta): in piedi da sinistra: Profili (allenatore), Giribaldi, Lillo Bracali, Gianni Imovilli, Piero Rinaldi, Bruno Marengo, Luigi Bagnarino (Presidentissimo); accosciati da sinistra: Franco Arnello, Renato Sancio, Piero Bertolotti, Marino Santiglia, Rino Imovilli (cap.), Botto

 Ancora una citazione, prima di concludere per un “Presidente davvero per Passione” in diverse società.

Mario Briano, già giocatore di Savona, Libertà e Lavoro, Albisola, Sestrese, Carcarese, e presidente degli stessi “ceramisti”, del Savona rilevato dal gruppo Dapelo (la prima stagione delle gestione Briano davvero di grande spessore tecnico: lanciato Ezio Volpi come trainer e squadra in lotta per la Serie B fino alla fine del campionato con la perla della vittoria sull’Alessandria: 2-1 con goal di Panucci in extremis). Una citazione doverosa.

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Uno storico gruppo velociano. Da sinistra, in piedi: il presidente Briano, il d.s. Vico Piccinaglia, il massaggiatore Filippo Conti, Zerbini, Lingua, Poddighe, Baldelli, Frascerra, Torresan, Foglia; accosciati: Picco, Franco Chiesa, Crispino, Walter Maffei, Marenco, Poppi Procopio, Giaccone

 Abbiamo ricordato alcuni personaggi tralasciandone tanti altri: sovviene alla mente Leter Tavanti ad Altare, giocatore, allenatore, presidente, o il possente Vallarino alla Stella Rossa capace a 40 anni e oltre di scendere addirittura in campo, o il gruppo dirigenziale della Villetta, con i fratelli Marino, Bertone, Alberto Sacchi, Renato Borzone con la squadra addirittura in Promozione e l’organizzazione del Trofeo Boggio con squadre giovanili di Serie A, e ancora la Libertà e Lavoro di Cacciabue e Tito Rebagliati).

Avremo occasione di riprendere il discorso ricordando ancora che c’erano passione, senso di appartenenza, volontà di rappresentare una realtà concreta e non soltanto di imitare vaghi modelli televisivi.

1991-92: SVANISCE AI RIGORI IL SOGNO DEL RITORNO IN C2 DEL DUO GRENNO-ORCINO

 

 di FRANCO ASTENGO

E’ ancora difficile oggi, a distanza di venticinque anni, rievocare una stagione giocata benissimo dalla squadra biancoblu e perduta nello spazio infinitamente breve, rispetto ad un intero campionato, di una serie di  rigori. Enzo Grenno, dopo aver conquistato nella stagione precedente la Coppa Italia di categoria, non lasciò nulla di intentato per puntare all’obiettivo C/2, categoria che mancava dalla stagione 1985-86. Corrado Orcino, classe 1954, fu promosso allenatore della prima squadra dopo le ottime prove fornite alla guida del settore giovanile.

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Corrado Orcino, trainer nella stagione dello sfortunato spareggio, ma protagonista di una splendida conduzione. Da giocatore un centrocampista “classico”

La squadra fu ulteriormente inquadrata soprattutto con gli innesti di giocatori quotati come Benedetti dal Pavia, Peselli e Milani dalla Pistoiese e il ritorno di Baldi dal Cuneo. Arrivò Capurro dal vivaio sampdoriano e furono promossi in prima squadra Bocchi, il talentuoso Valentino e Bertolotto. Il duo Grenno-Orcino si rivelò vincente e all’altezza della attese della tifoseria, che si strinse con rinfocolata passione attorno alla squadra. Ma il cammino risultò molto impegnativo.

Fin dalle prime battute l’Oltrepo apparve come la rivale più diretta del Savona. Gli striscioni sembrarono mettere una prima ipoteca sul successo finale liquidando i rivali all’8° giornata con un secco 2-0 tra le mura amiche del “Bacigalupo”. Poi il torneo filò in altalena: in testa in coppia, al massimo un punto di vantaggio per l’una o per l’altra, con il solo Bra rivelazione del girone e capace di imporre due pareggi agli striscioni, a tentare di recitare il ruolo del terzo incomodo.

Sospinto dai goals di Gatti (saranno 20 alla fine) il Savona non perde i colpi, ma alla fine risulteranno fatali i pareggi a Crema (2-2) e Bra (2-2) alla trentesima e alla trentaduesima giornata. E alla fine si arriva allo spareggio. All’ultimo turno i risultati sanciscono proprio questo responso: scontro diretto in partita unica, novanta minuti secchi per decidere il primato in un girone durato 34 giornate di logoranti battaglie.

Savona-Oltrepo si gioca a Casale, al Natal Palli, che sorge proprio vicino al luogo dove nel 1913 il Savona aveva giocato la sua prima partita di Divisione nazionale nella storia. Gli striscioni sono sospinti dal calore di oltre mille tifosi al seguito della squadra. Ma non basta. Il match è sul filo del rasoio. Il risultato non si sblocca nei 90′ e nemmeno nei supplementari. Si va ai rigori. La sconfitta matura al calar della sera, sul filo dei tiri dal fatale dischetto. Una beffa.

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Enzo Grenno al momento della premiazione per vittoria in Coppa Italia, stagione 1990 – 91

Si chiudeva così amaramente un anno che si può ben definire ancora come di grande calcio, assolutamente da ricordare.

CAMPIONATO INTERREGIONALE 1991 – 92

CLASSIFICA FINALE: Oltrepo 49, Savona 49, Bra 42, Fanfulla 42, Acqui 38, Camaiore 37, Sassuolo 36, Sammargheritese 35, Vogherese 33, Pietrasanta 33, Virtus Roteglia 32, Rapallo 31, Sarzanese 31, Libarna 30, Crema 25, Derthona 23, Valenzana 23, Cairese 21.

Presenze Savona FBC: 35 Viviani, 34, Barozzi, Peselli, 33 Mozzone, 32 Falco, Gatti, 31 Carrea, 30 Baldi, 28 Canu, 27 Benedetti, Capurro, 26 Valentino, 23 Milani, 20 Bocchi, 9 Bonomo, 6 Bergo, 4 Puppo, 3 Bertolotto, 1 Cancellara.

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Il portiere Paolo Viviani primatista di presenze in stagione

Marcatori: 20 Gatti, 13 Peselli, 6 Baldi, 2 Barozzi, 1 Milani, Mozzone, Bertolotto, Valentino, Canu, Capurro.

Allenatore:  Corrado Orcino

Presidente:  Enzo Grenno

Ecco i risultati di tutte le partite.

Prima giornata: Savona – Derthona 1-0 (Gatti su rigore)

Seconda giornata: Fanfulla – Savona 2-0

Terza giornata. Savona – Virtus Roteglia 1-1 (Gatti)

Quarta giornata: Pietrasanta – Savona 0-3 (Peselli, Milani, Barozzi)

Quinta giornata. Cairese – Savona 1-2 (Peselli, Gatti)

Sesta giornata: Savona – Libarna 2-0 (2 Gatti)

Settima giornata: Rapallo – Savona 0-0

Ottava giornata: Savona – Oltrepo 2-0 (Peselli, Gatti)

Nona giornata: Valenzana – Savona 1-3 ( Peselli, Gatti, Baldi)

Decima giornata: Savona – Sarzanese 2-0 (Peselli, Mozzone)

Undicesima giornata: Acqui – Savona 1-0

Dodicesima giornata: Savona – Camaiore 0-0

Tredicesima giornata: Savona – Crema 2-0 (2 Peselli)

Quattordicesima giornata: Sammargheritese – Savona 0-1 (Gatti)

Quindicesima giornata Savona – Bra 1-1 ( Barozzi)

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Roberto Barozzi uno dei giocatori di maggior classe in quella stagione

Sedicesima giornata: Sassuolo – Savona 3-0

Diciassettesima giornata: Savona – Vogherese 1-0 (Baldi)

Diciottesima giornata: Derthona – Savona 0-1 (Bertolotto)

Diciannovesima giornata: Savona – Fanfulla 0-0

Ventesima giornata: Virtus Roteglia – Savona 0-2 (Gatti, Valentino)

Ventunesima giornata: Savona – Pietrasanta 0-0

Ventiduesima giornata: Savona – Cairese 3-1 (Baldi, Gatti, Peselli)

Ventitreesima giornata: Libarna – Savona 0-0

Ventiquattresima giornata. Savona – Rapallo 0-0

Venticinquesima giornata. Oltrepo – Savona 2-2 ( 2 Gatti)

Ventiseiesima giornata: Savona – Valenzana 4-0 (Canu, Peselli, Capurro, Gatti)

Ventisettesima giornata: Sarzanese – Savona 1-0

Ventottesima giornata: Savona – Acqui 1-0 (Peselli)

Ventinovesima giornata: Camaiore – Savona 0-2 ( 2 Peselli)

Trentesima giornata: Crema – Savona 2-2 (2 Gatti)

Trentunesima giornata: Savona – Sammargheritese 2-1 (2 Gatti)

Trentaduesima giornata: Bra – Savona 2-2 ( Gatti, Baldi)

Trentatreesima giornata. Savona – Sassuolo 1-0 (Gatti, rigore)

Trentaquattresima giornata. Vogherese – Savona 1-4 ( Baldi 2, Gatti, Peselli)

Domenica 17 Maggio 1992 Stadio Natal Palli di Casale

SPAREGGIO PROMOZIONE

Oltrepo – Savona 4-2, dopo i calci di rigore

(0-0 dopo i tempi supplementari)

Oltrepo: Forgati, Bonisoli, Brivio, Lomi, Ferrero, Bertazzoli, De Filippi, Dell’Amico, Amato, Bongiorni, Felice; all. Chierico.

Savona: Viviani, Carrea, Mozzone (99’ Bonomo) , Falco, Milani, Baldi, Canu, Capurro, Gatti, Peselli, Barozzi (75’ Bocchi); all. Orcino.

Rigori a segno: Falco e Baldi per il Savona; Bongiorni, Amato, De Riggi, Bertazzoli per l’Oltrepo.

Arbitro:  Sputore di Vasto.

QUANDO IL GRANDE BRASILE  LANCIO’ LA “ZONA” E PERSE I MONDIALI DEL 1950

di FRANCO ASTENGO

Il modulo “a zona” (nelle sue diverse varianti numeriche: 4-2-4; 4-3-3; 4-3-1-2, ecc, ecc) domina ormai da molti anni il mondo calcistico dopo essersi imposto agli schemi precedenti del “mezzo sistema”, catenaccio, WM che a loro volta avevano relegato nel cassetto il vecchio “Metodo” con il quale pure avevano convissuto per qualche decennio fino all’affermarsi di una loro definitiva supremazia attorno agli anni’ 50.

La “zona” così come la conosciamo noi non è stata certo un’invenzione del Milan di Arrigo Sacchi cui va sicuramente il merito di aver applicato quel modulo elevando soprattutto la velocità d’esecuzione degli schemi e la tenuta fisica complessiva della squadra. Nel frattempo però erano subentrata la possibilità di sostituire fino a 3 giocatori: un cambiamento che aveva avuto un duplice effetto, sia dal punto di vista atletico, sia dal punto di vista tattico elevando alla massima potenza la possibilità strategica degli allenatori, con profonda influenza sull’andamento delle partite e sul conto in banca degli stessi trainer oggi ormai universalmente e pomposamente appellati come “mister”, anche in Terza categoria.

La “zona” però è nata e cresciuta in Brasile ad opera di tecnici come Flavio Costa e Vicente Feola (entrambi di origine italiana), con qualche tentativo di variante in Ungheria quando l’arancysipat si schierava con i quattro difensori in linea adottando la tattica del fuorigioco, il centromediano metodista davanti alla difesa (alla Pirlo: si trattava dell’on. Bozsik) ed Hidegkuti “falso nueve”. Nel calcio, paradossalmente, nulla si crea e nulla si distrugge. C’è sempre qualcuno, fino agli albori del calcio, che lo aveva già fatto o ci aveva provato. Con buona pace di maghi, santoni, profeti, geni, sapientoni e via discorrendo.

Torniamo però al Brasile alla prima applicazione del modulo a zona da parte della squadra nazionale, la famosa “selecao” dopo che squadra di club come il Flamengo e la Fluminense l’avevano già adottato denominandolo come “diagonal”, per via della posizione dei due interni e del centravanti arretrato (appunto come stava già facendo l’Ungheria).

Siamo ai mondiali 1950 che si disputano proprio in terra carioca e paulista. Flavio Costa, c.t. della nazionale brasiliana, che gioca ancora in maglia bianca gioca con il n. 8 spostato sulla destra a fare l’esterno in un centro campo a tre (si tratta Zizinho), il n. 9 trequartista (Ademir) e il n. 10 (Jair) e il n. 7 (Friaca) di punta. In difesa lo schema è a tre con Augusto centro-destra, Juvenal centro-sinistra e Danilo centrale con il compito di impostare il gioco (alla Bonucci per chiarire) coadiuvato da Bauer che gioca centrale davanti alla difesa.

Nei “mondiali” casalinghi il nuovo modulo consente alla “selecao” di compiere veri e propri sfracelli nella fase eliminatoria a gironi, ma di segnare anche battute d’arresto contro le squadre schierate a “mezzo sistema” con la marcatura a uomo e il “libero”. La Svizzera, assoluta antesignana del “verrou” infatti costringe i brasiliani al pareggio 2-2 (in quell’occasione però Costa da largo spazio alle “seconde linee”). Successivamente però sembra tutto in discesa: 2-0 alla Jugoslavia, 7-1 alla Svezia, 6-1 alla Spagna. Il Brasile è zeppo di talenti, ma anche presuntuoso e anarchico.

Nessun in Brasile aveva il minimo dubbio su chi potesse vincere il mondiale. Le ipotesi erano solo su come vincere. La federazione brasiliana aveva già fatto incidere la scritta”Campioni del mondo” sulla cassa degli orologi d’oro che sarebbero stati il primo regalo ai vincitori. I giornali aveva già pronte le prime pagine con il titolo precotto.

E si arriva alla partita decisiva. Non è la finalissima, ma l’ultima giornata del girone finale a 4. Si gioca Brasile-Uruguay e alla “selecao” basta il pareggio per vincere la Coppa Rimet.

Il giorno fatidico è il 16 luglio 1950.  Gli spettatori paganti sono 170mila ma lo stadio ne ospita 200mila. Ed è un ribollire di passione. L’Uruguay è l’agnello sacrificale. Sembra un destinato segnato. Ma il calcio sa essere imprevedibile e beffardo. Dall’idea del giorno del trionfo, che i brasiliani coltivavano quasi come una certezza, alla tragica beffa del “Maracanazo”, la sconfitta più atroce. L’Uruguay si impone 2-1 : dopo il vantaggio di Friaca, l’astigiano Ghiggia, futuro romanista per opera del vadese Rossi, e il camoglino Schiaffino, futuro cervello pensante milanista, si incaricano di ribaltare la situazione e la “Banda oriental” per la seconda volta sale sul tetto del mondo. In Brasile è lutto nazionale e si calcolano anche numerosi casi di suicidio. Una tragedia.

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Dramma, tragedia, ridicolo: così i giornali brasiliani commentano la sconfitta più amara

Massima attenzione però a questa domanda: contro quale muro sono andati a sbattere gli “zonisti” brasiliani?

La “Celeste” allenata da Juan Lopez gioca con i terzini larghi, i mediani marcatori sui centrocampisti avversari e la coppia di centro-area dislocata in diagonale con Varela, in pratica, con la mansione di “libero”. Per coprire il vuoto a centrocampo arretra il cellese Gambetta lasciando solo Schiaffino a impostare la manovra (comunque del “Pepe” in quel ruolo ce n’era d’avanzo) e di punta Ghiggia, Miguez e Moran. In pratica lo stesso schema che, dal campionato ’47-48 in Italia,  Gipo Viani e Nereo Rocco stavano applicando con Salernitana e Triestina.

Insomma la “zona” (forse ancora approssimativa) fu sconfitta dal classico catenaccio, nobilitato per di più dalla super tecnica del trio Varela-Gambetta-Schiaffino capaci di tenere la palla con fitta trama di passaggi.

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Uruguay campione del mondo 1950. Questa la formazione vincente: Maspoli, Matias Gonzales, Tejera, Gambetta, Varela, Andrade, Ghiggia, Perez, Miguez, Schiaffino, Moran. Altri giocatori: Paz, Juan Carlos Gonzales, Vidal.

La “zona” ebbe così il suo battesimo davanti al mondo con una sconfitta. I brasiliani nel frattempo avevano adottato la maglia gialloverde convinti ormai che quella bianca portasse jella. Del resto con quella casacca ormai “maledetta” avevano già perso anche la semifinale del ’38 a Marsiglia, avversaria l’Italia sistemista, anzi semi-sistemista perché i due terzini, con lo schema dell’alpino Vittorio Pozzo giocavano in diagonale davanti all’area, per vincere dovettero aspettare il 1958, mondiali in Svezia. Fallirono anche l’obiettivo in Svizzera (1954,) perdendo 4-2 il quarto di finale dalla grande Ungheria, poi sconfitta in finale (3-2) dalla Germania in odore di doping dei fratelli Walter, Ran, Morlock, in quella che Gianni Brera giudicò la partita più bella che avesse mai visto.

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Vicente Feola, per il Brasile un napoletano “trainer” vincente

Nel 1958 Feola, subentrato a Costa, ripropose  naturalmente la zona in versione 4-2-4: a differenza di Rio ’50 però c’era il trio Didi, Pelè, Vavà con Garrincha sulla fascia destra a fare la differenza e fece la riserva, giocando soltanto due partite Josè Altafini, al tempo ancora appellato come “Mazola”. E gli altri erano autentici monumenti del calcio mondiale: il portiere Gilmar, i terzini Djalma Santos e Nilton Santos; la mediana con Orlando, Bellini e Zito, Zagalo all’ala sinistra.

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Il Brasile campione del mondo 1958. Da sin., in piedi: Djalma Santos, Zito, Bellini, Nilton Santos, Orlando, Gilmar; accosciati: Garrincha, Didi, Pelè, Vavà, Zagalo, il massaggiatore Americo

Al Brasile del tempo, con quei giocatori e di là del modulo, piaceva vincere facile (unico ostacolo difficile nel quarti il Galles dei fratelli Charles superato 1-0 con il primo goal di Pelè a mondiali): poi 5-2 alla Francia di Kopa e Fontaine in semifinale e 5-2 alla Svezia ricolma di “italiani” in finale. Uno Svezia con giocatori di grandissima classe, da Liedholm a Gren, da Hamrin e Skoglund  ma incautamente schierata da Raynor con il sistema “puro”.

La “zona” si era così affermata davanti a tutto il mondo, cominciava il cammino fino a decretarne l’egemonia assoluta.

Da ROSETTA A DONNARUMMA  LE ROVENTI ESTATI DEL CALCIO MERCATO

 

di FRANCO ASTENGO

Attorno al “caso Donnarumma” si sta svolgendo la solita estate del calcio mercato, croce e delizia dei tifosi che si aspettano grandi acquisti e temono la cessione dei pezzi pregiati delle loro squadre del cuore. Si sparano cifre via via giudicate “impossibili”, si annunciano spese pazze per poi scambiare giocatori giudicati frettolosamente come fuoriclasse in una girandola di prestiti, pagamenti dilazionati, debiti vari, come ai tempi del “cambialone” che tenne in vita (e sulle spine i firmatari: ricordiamo, oltre al presidente Stefano Del Buono, l’albergatore Monti, Falco, Cappellani, il dentista Delle Piane, De Lucis, Galleano, Casella, Tonini, Lelio Speranza, Carena, Ninni Marchese) per qualche stagione il Savona Fbc nei mitici anni ’60.

Il calcio mercato ormai è ultracentenario, dai tempi del dilettantismo passato in fretta di moda. Sardi e Santamaria passati nel 1913 dalla Doria al Genoa (il caso fu scoperto da un cassiere di banca tifoso doriano che si trovò per le mani un assegno “sospetto” da 12.000 lire), alle 50.000 lire pagate da Agnelli per Rosetta passato dalla Pro Vercelli alla Juventus (ne seguì uno scandalo, ma alla fine Rosetta e la Juve ebbero ragione e da quel varco passò il professionismo: o meglio l’ambigua formula all’italiana del “non professionismo”).

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Il rag. Virgilio Rosetta, 50.000 lire nel 1922

Il Napoli fu sempre grande protagonista nella ridda dei milioni, stabilendo alcuni record “storici”. Le 100.000 lire infatti furono passate, all’inizio degli anni 30, per il passaggio ai partenopei del mediano del Torino Colombari.

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Enrico Colombari, mediano, dal Torino al Napoli per 265.000 lire

I 100 milioni (in pieno dopoguerra, l’inflazione aveva tirato su i prezzi) furono superati con l’acquisto, sempre da parte del Napoli allora presieduto dal comandante Lauro, nell’estate del 1952 del centroavanti svedese Hasse Jeppson dall’Atalanta. Il “Mattino” titolò “ e’ caduto o’Banc’e Napule”. Il rendimento di Jeppson risultò al di sotto delle attese, tanto è vero che nel 1955, arrivato Vinicio “o lione”, 152 gol dal ’55 al ’60, prima di passare al Lanerossi Vicenza con un bottino di altri 116 gol, beniamino della tifoseria, lo svedese (grande giocatore di tennis) passò al Torino per una cifra molto inferiore.

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Hasse Jeppson in azione: mister 105 milioni

Ancora Napoli protagonista per il passaggio del miliardo: luglio 1975 il centravanti Beppe Savoldi, cresciuto nell’Atalanta (168 reti in Serie A), viene ceduto dal Bologna al Napoli.

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Beppe Savoldi, nel ’75 dal Bologna al Napoli per un miliardo:  201 gol con la maglia del Bologna, 118 con il Napoli dal ’75 al ’79 

 Una sola variante alla napoletanità dell’innalzamento dei prezzi si era avuta al momento del superamento della cifra del fatidico milione (proprio quello del signor Bonaventura): estate 1942, in piena guerra, Ferruccio Novo presidente del Torino brucia sul tempo la Juventus e si assicura dal Venezia Loich e Mazzola per la cifra di un milione e duecentomila lire. Si costruisce il grande Torino e arriveranno cinque scudetti tra il 1942 e il 1949 fino alla “fatal Superga”.

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Loik e Mazzola con la maglia del Venezia

Tutto questo preambolo per introdurre il testo che vorremmo offrire ai nostri lettori e che, al di là dello stile di scrittura un po’ antiquato, riteniamo sorprenderà per la sua assoluta attualità.

Nome dell’autore e data di pubblicazione riportata in fondo.

“Allora ho preso a prestito le parole di qualcuno, cui è capitato in sorte di scrivere, in altri frangenti, proprio dei temi della sportività e del ruolo degli allevatori dei giovani nello sport, ed in particolare nel calcio: “ la campagna degli acquisti ha fatto passare, in questo particolare momento, in secondo piano una questione che per la sua importanza meriterebbe di essere posta al centro. La questione del nostro avvenire tecnico. Le società sono occupate e preoccupate tutte di assicurarsi i giuocatori migliori, i giuocatori più in vista, i giuocatori di maggior fama. E non badano a spese. Al problema di come guidarli questi giuocatori che si acquistano a così caro prezzo, del come farli rendere, alla questione stessa del come evitare di spenderli questi milioni, migliorando gli elementi che si hanno in casa propria, pochi pensano più. Nessuno pensa più, che spendendo la metà di quello che si spende per correre dietro al poco di papabile che c’è in casa dei vicini, spendendo cioè la metà in cure da dedicare a quanto si ha in casa propria, si otterrebbe lo stesso risultato e forse risultati migliori. Nessuno si sofferma più a pensare che le cure dedicate alle cose proprie rappresentano il sistema più pratico, se non l’unico sistema, per far ribassare i prezzi per i casi straordinari in cui si sia veramente costretti a fare acquisti dal di fuori.

L’acquisto dei giocatori fatti, merce lavorata e finita, è un po’ uno schiaffo alla teoria dell’allevamento, della produzione, del miglioramento del patrimonio nazionale. E’ una rinuncia alla produzione. Significa portar via agli altri, pagando con moneta buona anche se svalutata quello che gli altri posseggono, senza dar vita a nulla di proprio e di nuovo.

Quando il grande carosello degli acquisti e delle vendite sia finito, e si farà una somma dei trasferimenti, si constaterà che l’Italia calcistica non ci ha guadagnato nulla, assolutamente nulla.

                                           …………………………………………

“Gli acquisti non migliorano la posizione del giuoco. Migliorano la posizione di qualche squadra. Sono mosse egoistiche interne, che in linea assoluta non esercitano un effetto se non accompagnate dalla spinta di una generazione che sorge, dall’impulso di nuovi elementi che scaturiscono e colmano i vuoti.

                                           ………………………………………….

“Noi saremmo curiosi, ritornando sulla considerazione con cui abbiamo cominciato, di sapere se nel complesso le società italiane che avranno speso in acquisti di giuocatori, mettiamo un totale di cento milioni, sarebbero state disposte a spenderne soli cinquanta, sempre come complesso e riducendo ciascuna della metà il proprio contributo, esclusivamente per cure tecniche interne, per trovare buoni istruttori, per mettere a disposizione di questi istruttori i mezzi necessari per formare squadre di giovani giuocatori, per escogitare le misure atte a far superare a questi giovani il periodo critico, quello dove i più naufragano, del trapasso dallo stato di formazione allo stato di rendimento”.

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Un esempio di quel settore giovanile cui si fa riferimento nell’articolo. Il torneo di Sanremo, ancora in precedenza a quello di Viareggio, rappresentò l’esempio di una importante “vetrina” per mettere in mostra i giovani virgulti, ma già a quel tempo si preferivano i giocatori “fatti” per lo più stranieri.

“Trova menti distratte la Federazione quando vuole concentrare l’attenzione sull’ambiente, sui problemi tecnici dell’avvenire, trova in altre faccende affaccendate e tutte prese dalle questioni del presente.

E bisognerà lottare per uscire dalla morta gora, in cui cresce il pericolo di rimanere tutti impantanati, lottare per arrivare ad affrontare con la dovuta risolutezza e coi dovuti mezzi quel problema della produzione, che costituisce la sola garanzia dell’avvenire e l’unica difesa del nostro buon nome”.

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Parigi, 1938: Vittorio Pozzo innalza la Coppa Rimet. Per il c.t. della nazionale una straordinaria serie di vittorie, dalle Olimpiadi di Stoccolma, 1912, a quelle di Parigi 1924. Poi, senza interruzione, dal 1929 al 1948, la conquista di 2 titoli mondiali e uno olimpico. Pozzo, uomo tutto d’un pezzo, tempra da vecchio alpino, autentico dilettante, dalla Federazione riceveva soltanto i rimborsi spese, lavorando alla Pirelli e scrivendo per la “La Stampa” e il “Calcio Illustrato”. Fu lui a identificare, uno per uno, i granata caduti a Superga

Ecco: mi sono limitato a trascrivere questi stralci di articolo, apparso sulle colonne del “Calcio Illustrato” l’11 Settembre 1946, a firma di Vittorio Pozzo, il commissario tecnico della Nazionale Campione del Mondo 1934 – 1938. Sta per cominciare il primo campionato del dopoguerra (nella stagione 1945 – 46, per ragioni organizzative la Serie A si era disputata su due gironi), il calcio italiano riprendeva il suo cammino. E andava a compiersi l’epopea del Grande Torino.

 

QUANTI BIG NELLE GIOVANILI AZZURRE DA PAROLA A CANNAVARO DA ALBERTOSI A PANUCCI E TOTTI

 

di FRANCO ASTENGO

La storia delle nazionale giovanili azzurre inizia fin dagli anni ’40. Un avvio lento, difficile, quasi in sordina, per poi diventare un appuntamento atteso e una ribalta importante per la meglio gioventù del calcio nostrano. E sono davvero tanti, come si vedrà, i nostri futuri campioni ad aver giocato nelle giovanili azzurre a cominciare da Carletto Parola, il difensore juventino che ha dato il nome ad una rovesciata, a Francesco Totti, che ha chiuso la sua luminosa carriera, tutta con la maglia giallorossa della Roma, proprio quest’anno.

Quale momento migliore per ripercorrere il cammino degli azzurrini se non in occasione del campionato europeo Under 21 organizzato dall’Uefa in coda della stagione 2016-2017. Ormai il calcio giovanile si è evoluto, si disputano competizioni internazionali per diverse categorie (Under 21, Under 20, Under 19, Under 17) quasi tutti i giocatori escono da Academy specializzate e, in particolare, dai grandi club e sono professionisti a tutti gli effetti con annessi e connessi.

Un’evoluzione e un salto di qualità impressionanti nel corso degli anni, dopo inizi molto difficili per ragioni di carattere economico, di trasporti, di possibilità di soggiorno all’estero. Difatti prima ancora delle diverse categorie di nazionali giovanili si affermarono i tornei internazionali per squadre di club che costituirono per molto tempo il vero e proprio banco di prova per le leve giovanili, pensiamo al Torneo di Viareggio e a quello di Sanremo avviatisi nell’immediato dopoguerra.

Un tentativo di organizzare una squadra nazionale giovanile era però già stato compiuto, nel pieno della seconda guerra mondiale, da Vittorio Pozzo, che aveva infatti organizzato due partite per una squadra under 21 (costretta ad indossare la maglia nera, in luogo di quella azzurra) tra il 1942 e il 1943.

Il 6 Aprile 1942, allo stadio Comunale di Torino, l’Italia “giovani” aveva infatti affrontato i pari età ungheresi superandoli per 3-0 con reti di Cappello (doppietta) e di Edmondo Fabbri, futuro “topolino” C.T. della Nazionale nell’infausta spedizione inglese del 1966, quella della sconfitta contro la Corea.

Questa la formazione schierata da Pozzo nell’occasione dell’esordio assoluto della nazionale giovanile: Franzosi, Ballarin, Piacentini, Parola, Todeschini, Martelli, Fabbri, Puccinelli, Ispiro, Cappello, Baldini.

Tutti atleti che nel dopoguerra avrebbero militato in serie A con due futuri caduti di Superga come Ballarin e Martelli oltre ad un atleta di sicura classe internazionale come Carlo Parola.

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Ecco Carlo Parola nella sua celebre rovesciata

Quasi un anno dopo la nazionale giovanile scese di nuovo in campo in quel di Padova: era il 6 Gennaio 1943 e il risultato fu un deludente 0-0 avversaria la Croazia.

La formazione italiana era stata , nel frattempo, parecchio modificata: Costagliola, Ballarin, Andreoli, Giammarco, Parola, Martelli, Gimona, Fattori, Cergoli, Gei, Castigliano (anche quest’ultimo, puro prodotto della scuola vercellese, incontrerà la tragica fine del Grande Torino a Superga il 4 Maggio 1949).

Passata la bufera della guerra mondiale si dovette attendere qualche anno per poter parlare di nuovo di nazionale giovanile.

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La Nazionale giovanile alla ripresa nel dopoguerra.

Nel finale della stagione 1950-51 fu organizzata, infatti, una Coppa del Mediterraneo tra le squadre giovanili di Grecia, Turchia, Egitto ed Italia da disputarsi con la formula della Coppa Internazionale con gare di andata e ritorno spalmate su più stagioni sportive. Gli azzurrini  azzurrini esordirono l’8 Aprile 1951 a Palermo. Un trionfo: 3-0 secco inflitto alla Grecia. A segno: Galli, Armano e Ghiandi.

Formazione dell’Italia: Buffon, Grava, Sentimenti V, Castelli, Pedroni, Venturi, Armano, Turconi, Ghiandi, Galli, Vitali.

Tra questi troveremo Buffon, Venturi, e Carletto Galli in nazionale “A”; Gino Armano sarà la prima ala tornante del calcio italiano; il centromediano Pedroni da giocatore-allenatore dell’Alessandria sarà colui che, nella stagione 1958 -59, lancerà Rivera in Serie A; Ghiandi, dopo una lunga carriera ai massimi livelli, sarà protagonista con l’Alassio nella stagione 1961-62 che registrerà la promozione delle “vespe” in Serie D.

Intanto dal 1948 si disputava, con formule alterne (gironi senza classifica finale) il torneo europeo juniores. Nel 1957 l’organizzazione del torneo fu assunta direttamente dall’Uefa e si ebbe uno svolgimento regolare con gironi eliminatori e finali. L’Italia si aggiudicò così il torneo nell’edizione 1958 disputata in Lussemburgo.

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La “rosa” dei giocatori e dei tecnici presenti nella vittoriosa spedizione in Lussemburgo 1958

Una vittoria storica: nel girone eliminatorio gli azzurri, diretti dal dirigente Baccani della Roma e allenati da Galluzzi ex-trainer di Fiorentina e Sampdoria, superarono per 2-0 l’Austria, 3-2 la Cecoslovacchia, 1-0 il Belgio lasciando per strada un solo punto (1-1 con la Germania). Approdati in semifinale superarono seccamente la Francia 3-0 (doppietta di Volpi e Oltramari). Finalissima avversaria l’Inghilterra e grande vittoria per 1-0 con goal nuovamente segnato dallo spallino Oltramari.

Formazione dell’Italia: Albertosi, Tomasin, Trebbi, Bolchi, Salvadore, Galeone, Oltramari, Guglielmoni, Volpi, Corso, Brenna.

Formazione stellare: il portiere Ricky Albertosi sarà il miglior portiere italiano del dopoguerra, in nazionale “A” con lui giocheranno anche il “libero” Sandro Salvadore, il mediano “Maciste” Bolchi, e il “piede sinistro di Dio” Mariolino Corso, grande protagonista con l’Inter di Herrera vincitrice di scudetti, Coppe dei Campioni, Coppe Intercontinentali.

Da ricordare ancora in quella squadra la presenza di Galeone, da allenatore uno dei primi “zonisti” italiani e maestro, nel Pescara, di Allegri, e di Brenna, ala della Spal, che da allenatore nella stagione 1974-75 guiderà (vincendo il campionato) la Sanremese, nelle cui fila militava l’attuale c.t.  della Nazionale Giampiero Ventura.

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Gli azzurrini secondi classificati nella stagione 1959 al torneo disputato a Sofia

Nel 1964 si avviarono i prodromi dell’attuale campionato Uefa under 21, di cui l’Italia detiene il primato di vittorie: ben 5.

Eccole ricordate di seguito

1992: CT Cesare Maldini

Portieri. Antonioli e Peruzzi; difensori; Bonomi, Favalli, Malusci, Matrecano, Rossini, Taccola, Verga, Villa; centrocampisti: Albertini, Dino Baggio, Corini, Marcolin, Orlando, Sordo; attaccanti: Bertarelli, Buso, Melli, Muzzi.

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La squadra campione del 1992

1994: CT Cesare Maldini

Portieri: Toldo e Visi; difensori: Cannavaro, Colonnese, Delli Carri, Galante, Negro, Panucci; centrocampisti: Tresoldi, Berretta, Bigica, Cherubini, Marcolin, Rossitto, Scarchilli, Carbone; attaccanti: Inzaghi, Muzzi, Orlandini, Vieri.

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L’Under 21 azzurra del 1993

1995: CT Cesare Maldini

Portieri: Pagotto, Buffon; difensori: Panucci, Pistone, Cannavaro, Galante, Fresi, Sartor, Nesta, Amoruso; centrocampisti: Brambilla, Pecchia, Ametrano, Tommasi, Tacchinardi; attaccanti: Delvecchio, Morfeo, Totti.

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Cesare Maldini, CT 3 volte vittorioso con l’Under 21. Qui, invece, è ritratto da giocatore innalzare la Coppa dei Campioni 1963 appena vinta a Wembley superando il Benfica (2-1). Al suo fianco il “Paron” Nereo Rocco, triestino come Maldini

2000: CT Marco Tardelli

Portieri: De Sanctis, Abbiati; difensori: Grandoni, Mezzano, Zanchi, Ferrari, Coco, Rivalta, Cirillo; centrocampisti: Gattuso, Baronio, Pirlo, Perrotta, Vannucchi, Zanetti, Firmani; attaccanti: Rossi, Comandini, Spinesi.

2004: CT Claudio Gentile

Portieri: Amelia, Agliardi, Zotti; difensori: Zaccardo, Moretti, Gamberini, Bonera, Barzagli, Bovo; centrocampisti: De Rossi, Pinzi, Palombo, Brighi, Donadel, Potenza, Mesto, Rosina, Del Nero; attaccanti: Gilardino, Sculli, Caracciolo, D’Agostino.

 

1943-44: IL CAMPIONATO DI GUERRA CHE NON SI GIOCO’ MA FU VINTO DAI VIGILI DEL FUOCO

 

di FRANCO ASTENGO

Tra gli appassionati di storia del calcio italiano è abbastanza nota la storia del campionato di guerra 1943- 44 giocato nell’Italia Centro – Nord su diversi gironi e alla fine vinto dal  Vigili del Fuoco di La Spezia (gli aquilotti “mascherati” per ragioni belliche) sul Grande Torino (edizione ridotta in verità, anche se con i granata si schierò Silvio Piola) in una finale a tre, comprendente anche il Venezia, giocata in estate all’Arena di Milano.

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Il Venezia 1943 – 44

Meno nota invece è la vicenda attraverso la quale si giunse alla scelta di disputare quel torneo, mentre la Federazione aveva preparato nel corso della lunga estate del ’43 ( non la “Lunga Notte” del magnifico film di Florestano Vancini) uno scenario molto diverso.

In mezzo però si verificarono alcuni degli eventi più importanti della storia d’Italia: il 25 Luglio la caduta di Mussolini, l’8 Settembre l’armistizio di Cassibile con relativa fuga del Re e della Corte a Brindisi e l’Italia divisa in due: fino a Roma in mano ai nazisti, al sud invasa dalle truppe alleate.

Uno scenario di tregenda che si sarebbe protratto fino al 25 Aprile 1945, quando i partigiani liberarono le grandi città del Nord mettendo in fuga le truppe naziste. Ciò nonostante la “voglia” di calcio resistette a tutte le tragedie e si continuò a giocare , non solo in Italia ma in tutta Europa, in situazioni che davvero, a distanza di tanti anni, hanno dell’incredibile.

La stagione calcistica 1942 – 43 era terminata proprio nello stesso giorno della seduta del Gran Consiglio: il 25 Luglio, con la disputa della partita Treviso-Casale finale di ritorno del torneo “Aldo Fiorini” (così si denominava all’epoca la Coppa Italia di Serie C vinta dai biancoazzurri veneti).

In verità la stagione era finita male nel senso che il finale dei vari campionati era stato tormentato da un gran numero di “casi” di corruzione, al punto che Parma e Biellese furono escluse dai campionati di competenza e furono inflitte pesanti squalifiche ad allenatori e giocatori di Ambrosiana-Inter, Bari, Bologna, Juventus, Roma, Triestina, Venezia, Savona, Mantova, Schio e Lecco. Questo tipo di situazione indusse la Federazione a rivedere la struttura dei campionati: nel frattempo gli anglo-americani erano sbarcati in Sicilia e le vie di comunicazione stradali e ferroviarie erano state colpite, e in gran parte rese inagibili dai bombardamenti.

Dopo il 25 Luglio la Figc fu commissariata così come il Coni, il cui reggente conte Alberto Bonacossa (l’editore della Gezzetta dello Sport) provvide ad epurare il presidente federale del calcio marchese Luigi Ridolfi (presidente della Fiorentina) sostituito con l’avvocato Giovanni Mauro, uno dei pionieri del calcio italiano, grande arbitro internazionale negli anni ’20 e ’30: figura non compromessa con il fascismo.

Considerata l’impossibilità di disputare il normale campionato di Serie A fu deciso di svolgere un campionato misto Serie A  e B composto da 36 squadre suddivise in tre gironi.

PRIMO GIRONE: Ambrosiana – Inter, Bologna, Cremonese, Fanfulla, Modena, Padova, Parma, Pro Gorizia, Udinese, Triestina, Venezia e Vicenza.

SECONDO GIRONE: Alessandria, Atalanta, Brescia, Genoa (anzi Genova), Juventus, Liguria, Milan (anzi Milano), Novara, Pro Patria, Spezia, Torino e Varese.

TERZO GIRONE: Anconitana, Bari, Fiorentina, Lazio, Livorno, MATER Roma, Napoli, Pescara, Pisa, Roma, Salernitana, Siena.

Le prime due classificate di ogni girone avrebbero disputato il girone finale. L’ultima classificata di ogni girone sarebbe retrocessa nel campionato sottostante  che sarebbe stato strutturato sulla base delle squadre disponibili con diritto alla Serie C: gironi interregionali comprendenti non più di 12 squadre. La composizione dei gironi non fu formulata. Il Savona, appena retrocesso dalla Serie B, avrebbe dovuto partecipare a questo torneo

Inoltre i direttori di Zona sarebbero stati impegnati nell’organizzazione dei campionati di Prima e Seconda divisione. La data di inizio dei tornei era stata fissata al 3 Ottobre 1943. Ma il diavolo dell’8 Settembre ci mise la coda e tutto il progetto andò per aria per la divisione in due del Paese .

La Repubblica Sociale trasferì la sede del Figc da Roma a Venezia (come accadde anche per Cinecittà) e nominato Reggente l’architetto Ettore Rossi, organizzò il campionato sulla base della struttura fondata su più gironi e girone finale: quello – appunto – che si sarebbe concluso con la vittoria dei Vigili del Fuoco di La Spezia.

Vittoria per la quale lo Spezia ha chiesto recentemente l’attribuzione di un titolo di Campione d’Italia: la Figc però si è limitata a concedere agli spezzini la facoltà di apporre un simbolo – ricordo sulla maglia, senza riconoscere la paternità di un vero e proprio scudetto.

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Una formazione dei Vigili del Fuoco Spezia 1943/44. In piedi: Tommaseo, Costa, Rostagno, il comandante Gandino, Borrini, Tori, Angelini; accosciati: Persia I, Scarpato, Amenta, Bani, Gramaglia

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Ecco il simbolo che adorna le maglie dello Spezia per ricordare il mancato scudetto del 1944

Nell’Italia del Sud, occupata dagli alleati, si disputarono invece campionati locali: nell’inverno 1943 in verità l’attività fu ristretta alla sola Puglia con successo finale del Conversano.

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Un’immagine davvero rara del Conversano 1944. Anche la società pugliese ha chiesto l’assegnazione del titolo di campione dell’Italia Libera 1944. Questa la formazione: Costagliola, Fusco, Ponzinibio II; Bettini, Mancini, Nespolo; Calabrese, Milli, Catalano; Orlando, Campana. (da notare come facessero parte di questa squadra buona parte dei titolari del Bari, evidentemente rifugiatisi in provincia per sfuggire al pericolo dei bombardamenti)

In Sardegna il Cagliari cerò di organizzare un torneo regionale ma la cosa si dimostrò impossibile per la totale assenza di attrezzature: mancavano i palloni a sufficienza per giocare più partite nella stessa giornata. Fu così che il campionato 1943 – 44, strutturato come pensato dalla Federazione ancora unitaria, non si disputò e si dovette aspettare la stagione 1945 – 46.

Si è accennato che nonostante l’infuriare della guerra, i massacri, gli stermini, si continuasse a giocare in tutta Europa.

Ecco l’elenco delle squadre campioni nazionali per la stagione 1943 – 44. Spagna e Portogallo si trovavano fuori dal raggio d’azione degli eserciti. Ricordando anche che la Spagna era appena uscita dalla guerra civile che aveva distrutto il Paese e la democrazia tra il 1936 e il 1939, così come la Svizzera neutrale, Irlanda e Islanda isole lontane.

Portogallo: Sporting di Lisbona

Spagna: Valencia

Irlanda: Shamrock Rovers Dublino

Francia: Lens

Belgio: Royal Anversa

Olanda: De Wolewijckers Amsterdam

Lussemburgo: Tus Neundorf

Germania: Dresdner SC

Danimarca: Frem Copenaghen

Svezia : Malmoe

Finlandia: IFK Vaasa

Islanda: Valur Reykyavik

Polonia: LSV Moelerdes di Cracovia

Slovacchia: SK Bratislava

Boemia e Moravia: Sparta Praga

Ungheria. Ferencvaros

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Un’immagine sfocata del Ferencvaros che festeggia la vittoria nel campionato magiaro 1944

Romania: Rapid Bucarest

Austria : FC Vienna

Svizzera: Losanna

Croazia: HASK Zagabria /SASK Sarajevo (campionato regionale della Bosnia)

Turchia: Besiktas

Le squadre campioni di Lussemburgo, Polonia, Austria avrebbero dovuto partecipare alle finali del Reich Tedesco cui i loro paesi erano stati annessi. Ma quelle finali non si giocarono.

 

SAMP PREMIATA DAGLI INGLESI LA MAGLIA BLUCERCHIATA E’ LA PIU’ BELLA DEL MONDO

 

Sorpresa di inizio stagione. E’ quella della Sampdoria la maglia più bella del mondo. Arriva dall’Inghilterra la notizia che non ti aspetti: un riconoscimento particolarmente significativo per chi ama i colori della propria squadra: la rivista britannica Four Four Two ha infatti assegnato il primo premio di una specialissima classifica alla divisa da trasferta dei blucerchiati. Nella top ten anche le casacche di Milan e Torino e quella che indosserà Neymar nel Psg. Niente da fare per le supertitolate spagnole Real Madrid e Barcellona.

Per la tifoseria blucerchiata un motivo di orgoglio (in più) fregiarsi del titolo di squadra con la maglia più bella del mondo nella stagione 2017-2018. La scelta di Four Four Two è caduta sulla seconda divisa della Sampdoria che ha superato la concorrenza delle migliori tenute da gioco di tutto il mondo. E’ la maglia bianca con la classica banda orizzontale blucerchiata ad aver fatto innamorare gli inglesi. Tante le squadre europee nella classifica, ci sono anche sudamericane e tanti colori “italiani”.

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Ecco la maglia da trasferta della Samp premiata come miglior al mondo

Classifica delle prime dieci: 1) Sampdoria; 2) Palmeiras; 3) Boca Juniors; 4) Benfica; 5) Milan; 6) Amburgo; 7) Torino; 8) Flamengo; 9) Paris Saint Germain; 10) West Bromwich Albion.

Ma non possiamo dimenticare la maglia blu.

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Da sinistra in piedi: Brighenti, Vicini, Bergamaschi, Vincenzi, Skoglund. Accosciati: Toschi, Bernasconi, Marocchi, Rosin, Boskov, Cucchiaroni

IL “CASO DONNARUMMA” E LA CRISI DEI PORTIERI


di FRANCO ASTENGO

Il tormentone dell’estate del calcio mercato 2017 si è sicuramente chiamato “caso Donnarumma”, analizzando il quale “Il Corriere della Sera” di domenica 25 giugno ha dedicato una pagina alla crisi del ruolo, all’assenza cioè di un numero congruo di estremi difensori in grado di reggere il ruolo nei grandi club. Una crisi ammessa da un’accorata dichiarazione di Dino Zoff e riassunta nel titolo dell’articolo in questione sotto il titolo “ Da Donnarumma a Oblak fino a De Gea: se il portiere costa come un centravanti”.

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Pickford, portiere dell’Under 21 inglese. Una quotazione esagerata a dimostrazione della crisi del ruolo

Un bello schiaffo in faccia a chi predica la specializzazione del ruolo, addirittura succhia soldi organizzando scuole calcio riservate agli ex n. 1 (ormai i numeri variano e fluttuano a seconda dei casi: in verità il primo portiere con numero diverso dall’1 e dal 12 è stato lo svizzero Parlier che affrontò i mondiali casalinghi del 1954 indossando il numero 2 come risultava dall’elenco fornito alla Fifa all’inizio del torneo, secondo il quale doveva essere attribuita la numerazione di ogni giocatore).

Abbiamo fatto ricorso alla memoria per un tuffo nel passato di questo delicatissimo ruolo, traendo un’indicazione: in Italia, da sempre considerata terra di portieri, c’è stato un lungo periodo nella storia dei nostri campionati dove davvero si poteva affermare che la differenza di valore nel ruolo (non dal punto di vista del costo in danaro naturalmente) era minimo: tutti i 36 portieri di serie A (titolari e riserve) potevano ben essere considerati come affidabili, così come quelli di Serie B e di Serie C.

Ecco l’elenco dei portieri, squadra per squadra (con qualche commento) all’inizio degli anni ’60: un periodo preso proprio ad esempio dell’elevata qualità media degli estremi difensori nelle tre categorie.

ALESSANDRIA: Stefani, Nobili e Cuman. Stefani, ex-Atalanta, era un portiere esperto, dal piazzamento sicuro senza voli pindarici. Cuman  era un giovane virgulto (classe 1935) di scuola Inter: il suo momento migliore sarà al Napoli. Nobili una sicurezza.

BOLOGNA: Santarelli  e Giorcelli. Santarelli, portiere alto per l’epoca (1,82) dal rendimento regolare; Giorcelli, un altro regolarista.

FIORENTINA:  Sarti e Albertosi. Una coppia eccezionale: Sarti era il portiere esperto che con la Fiorentina aveva vinto lo scudetto ’55-56 e poi fu ceduto all’Inter (dove avrebbe vinto scudetti, Coppe dei Campioni e Coppe Intercontinentali),  anche per non sbarrare la strada alla sua giovane riserva, quel Ricky Albertosi (classe 1938) che, a giudizio di chi scrive, è stato il miglior portiere italiano del dopoguerra, titolare nella Nazionale vice campione del mondo 1970, scudetti al Cagliari e al Milan.

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Enrico Albertosi, un simbolo per i portieri italiani di tutti i tempi

GENOA: Ghezzi, Gandolfi, Franci. Giorgio Ghezzi “il kamikaze”, portiere coraggioso che al tempo del “sistema” era capace di tuffarsi tra i piedi degli attaccanti lanciati a rete. Gandolfi era un portiere impressionante per sicurezza e posizione. Franci un altro coraggioso nelle uscite.

INTER:  Da Pozzo e Matteucci. Titolare Matteucci, ex- spallino, altro interprete del ruolo dalla parte dei coraggiosi delle uscite spericolate. Da Pozzo non molta fortuna all’Inter ma grandi campionati nel prosieguo di carriera: al Genoa ’63-64 record di imbattibilità, poi al Varese dei “miracoli” la squadra capace di lanciare Pietruzzu Anastasi.

JUVENTUS: Mattrel e Vavassori. Difficile stabilire una gerarchia tra i due. Mattrel è stato il portiere degli scudetti conquistati tra il 1957 e il 1960 (nel periodo del trio Boniperti, Charles, Sivori). Vavassori darà il meglio di sé con il Catania e il Bologna.

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La Juve di Boniperti, Charles, Sivori con Mattrel in porta. Tre scudetti: ’57-58, ’59-60, ’60 – 61

LANEROSSI VICENZA: Bazzoni e Battara. Da citare Piero Battara, torinese cresciuto nel Cenisia, per tanti anni alla Sampdoria: un esempio della tesi sostenuta in questo articollo. Portiere dalle doti assolutamente eccezionali mai arrivato nel giro della Nazionale, proprio per la presenza di altri titolari del ruolo dalle doti di assoluto rilievo. Da ricordare, nella stagione 1962-63, due piccoletti dallo scatto felino: Luison, 1,68, e Pin, 1,74.

LAZIO: Lovati e Cei. Lovati, scuola Toro, dalla statura assolutamente eccezionale per l’epoca (1,90), più volte nazionale. La sua riserva Idilio Cei , fedelissimo della causa laziale, sempre positivo quando chiamato all’opera.

MILAN: Buffon, Ducati, Soldan. Lorenzo Buffon, 1,84, classe 1929, per molte stagioni nazionale e miglior portiere italiano. Per la sua riserva Soldan vale il discorso già fatto per altri portieri: grande classe, ma carriera frenata dalla presenza dell’agguerrita concorrenza.

NAPOLI: Bugatti e Pontel. Ottavio Bugatti, un altro epigono dalla serie “scattanti sui piedi dell’avversario”, portiere di grande classe, più volte nazionale e decisivo, in tempi successivi, per la conquista di uno scudetto da parte dell’Inter.

PADOVA: Pin e Bolognesi.  Chiara chiara la priorità nel ruolo di titolare: Antonio Pin perfetto estremo difensore per il grande catenaccio di Rocco, capace di portare il Padova nelle primissime piazze della classifica.

PALERMO: Anzolin e Toros. Stagione eccezionale per i rosanero, dal punto di vista dei numeri 1. Due grandi interpreti del ruolo, Anzolin sarà a lungo alla Juve.

ROMA: Panetti e Cudicini. Un altro caso di dualismo ad alti livelli. Luciano Panetti sarà il titolare giallo rosso per molte stagioni; Fabio Cudicini (anche lui molto alto per i tempi, 1,91) troverà una seconda giovinezza al Milan dove diventerà “the black spyder” vincendo scudetti, Coppe dei Campioni e Coppe Intercontinentali.

SAMPDORIA: Bardelli e Rosin. “Fulmine” Bardelli, ex- milanista, si ritrovò alla Samp dopo un brutto infortunio recuperando il ruolo di protagonista del campionato. Ugo Rosin per tanti anni alla Samp, sarà il titolare in una delle più belle stagioni blucerchiate, quella del ’60 -61, quarto posto per i “terribili vecchietti” di Monzeglio. Va ricordata la sua stagione nel Savona di Manlio Bacigalupo nella stagione della promozione in serie B.

SPAL: Bruschini, Patregnani, Nobili e Maietti. Natale Nobili, per lui un passato interista, portiere dai riflessi eccezionali. Un altro dalla carriera sicuramente al di sotto dei suoi mezzi eccezionali.

UDINESE: Romano e Bertossi. Per Romano una carriera regolare impreziosita, nella stagione ’54-55, dal titolo di vice campione d’Italia conquistato con la stessa Udinese. Da non dimenticare l’esordio del ventenne Dino Zoff,classe 1942, nella stagione 1962-63 con le “zebrette” di Eliani.

BRESCIA: Brotto e Moschioni. Un’altra maglia da titolare in bilico tra Gigi Brotto, fedelissimo delle rondinelle, e Moschioni, che il meglio di sé lo darà a Foggia in Serie A, con Oronzo Pugliese.

CAGLIARI: Bertola e Salerno. Per noi savonesi Bertola rappresenta un ricordo amaro: tante parate tra i pali del Verona in un successo dei giallo-blu al Bacigalupo (0-1 autorete di Pozzi).

CATANIA: Gaspari e Seveso. Due portieri da Serie A: Gaspari lo sarà anche a Modena e alla Juve. Seveso arrivava dal Milan.

CATANZARO: Masci, Innocenti e Barbaro. Vincenzo Masci, classe 1935, già al Palermo: un altro caso di portiere di classe assoluta e di gran fisico che avrebbe meritato molto di più.

COMO: Lonardi e Gilioli. Antonio Lonardi, scuola di Olivieri nell’Audace di San Michele Extra, sarà il portiere del Varese nella irresistibile ascesa dalla Serie C alla Serie A. Personalmente una grande impressione, successivamente anche con il Genoa.

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Lonardi in maglia Varese

LECCO: Bruschini, Alfieri e Maffeis. Bruschini, longilineo dal gran fisico e della presa sicura, giocherà anche lui per molti anni in Serie A con lo stesso Lecco e la Spal.

MARZOTTO: Servidati, Zenari. Gimbattista Servidati, classe 1927, portiere-sicurezza in tante squadre venete (oltre a Marzotto, Verona e Vicenza). Sergio Zenari, al momento ventenne, sfortunato a Savona (chiuso come tanti da Bruno Ferrero) poi per tanti anni ad Alassio, ma anche ad Albenga e a Sanremo capace di dimostrare le sue grandi doti.

MESSINA: Colombo e Zapetti. Martino Colombo, classe 1935, scuola Pro Vercelli, sarà poi a lungo con il Cagliari e finirà la carriera addirittura tra i pali della Juventus.

MODENA: Balzarini e Lini. Balzarini sarà al Milan, dove giocherà addirittura la finale di Coppa Intercontinentale in Brasile avversario il Santos, perduta a causa di un terribile arbitraggio.

NOVARA: Lena Rusconi. Il rag. Lena, fedelissimo novarese, sarà anche per tanti anni il segretario della società.

MANTOVA: Negri e Tonoli. William Negri, a lungo uno dei migliori portieri italiani: scudetto a Bologna ’63-64 e tante partite in Nazionale. Giancarlo Tonoli sarà a Savona fermandosi nella nostra Città per tutta la vita e partecipando alle grandi stagioni bianco blu tra il 1962 e il 1967.

PARMA: Bandoni e Valle. Bandoni sarà un grande portiere in Serie A giocando tra le altre con Fiorentina e Sampdoria.

REGGIANA: Baldisseri e Ferretti. Anche in questo caso due portieri che si equivalevano. Entrambi di grande caratura: Baldisseri non  manterrà completamente le promesse. Ferretti difenderà anche i pali dell’Inter.

SAMBENEDETTESE: Bandini I  e Patregnani. Bandini aveva già giocato nella Nazionale Under 21 e in A nella Triestina e nella Lazio. Anche Patregnani avrebbe giocato in Serie A, nella Spal.

MONZA: Breviglieri e Filè. Anche per Breviglieri grandi promesse non compiutamente mantenute. Filè difenderà per tanti anni la rete della Solbiatese.

TARANTO: Malacari, Pignatelli. Malacari altro “mitico” portiere del Sud, una bandiera a Taranto.

TORINO: Rigamonti e Vieri. “Vecio” e “bocia” all’epoca, due grandi portieri: poche convocazioni in nazionale per entrambi proprio perché il momento era quello di una concorrenza spietata.

TRIESTINA: De Min, Bandini II. De Min sarà secondo portiere nella Roma.

VENEZIA: Bubacco, De Benedet. Bubacco, altro protagonista dalle potenzialità enormi ma dal carattere un po’ bizzoso. De Benedet lo abbiamo ammirato in Serie C al Vittorio Veneto.

VERONA: Ciceri e Ghizzardi. Che dire: due assi assoluti. Entrambi forse da nazionale con maggiore continuità di rendimento. Per Ghizzardi “Italovolante” tante belle stagioni a Savona.

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Italo Ghizzardi all’esordio veronese, stagione ’56-57 ,record di imbattibilità in Serie B

BIELLESE: Gori ed Euno. Gori sarà in Serie A con la Lazio (lo ricordano bene anche i tifosi della Sampdoria: rigore non dato su Cristin e Serie B per i blucerchiati). Euno tante squadre anche dalle nostre parti: con la Vogherese in Corso Ricci, sei goal incassati e coro progressivo: Euno, Edue, Etre fino a Esei.

BOLZANO: Sartin e Ferrario. Sartin nella stagione 55- 56 all’Atalanta, una convocazione in Nazionale.

CASALE: Reverchon, Rossi. Vincenzo Reverchon, classe 1927, un veterano già titolare nella Sampdoria e nel Cagliari.

CRDA MONFALCONE: Brazzoni e Peres.

CREMONESE: Forte e Sartori. Forte in Serie A con il Palermo.

FANFULLA: Vaglia, Camillo. Vaglia, un vero acrobata: altra carriera che avrebbe potuto svilupparsi diversamente.

LEGNANO: Longoni e Montani. Anche per Longoni futuro in Serie A con l’Atalanta.

MESTRINA: Liberalato e Canella. Liberalato sarà al Milan giocando tante partite in Serie A e nella Coppe Internazionali.

PIACENZA: Saletti e Tacconi

PORDENONE: Stabile e Vecil. Vecil, un veterano tra i pali del Marzotto per tante stagioni in Serie B

PRO PATRIA: Provasi e Daverio. Il grande Provasi che con i tigrotti aveva già giocato in Serie A.

PRO VERCELLI: Galbiati e De Grandi. Anche per Galbiati Serie A con l’Atalanta.

SANREMESE: Von Mayer e Badino. Von Mayer in Serie A addirittura con la Juve, ma assoluta bandiera della Sanremese. Badino, dalla Samp giovanile ai vigili urbani di Imperia e tante squadre dalle nostre parti, Vado compreso.

SAVONA: Ferrero e Angelini. Bruno Ferrero, “genio e sregolatezza” tanta classe ma anche qualche mattana. Capace però di sbarrare la strada a tutti i numeri 12 presentatisi a contendergli la maglia, anche perché prediletto da Del Buono e Pelizzari. Poi a quel tempo non c’erano ancora le sostituzioni.6.jpg

Ecco il Savona trionfatore del campionato 1958-59: da sin. in piedi, Mariani, Contin, Merighetto, Ciglieri, Teneggi, Ferrero; accosciati, da sin., Ballauco, Brocchi, Ratto, Merighetto II, Galindo. Tra i pali c’è già Bruno Ferrero ingaggiato in corsa per sostituire lo sfortunato Giacomelli infortunatosi contro la Sammargheritese.

SPEZIA: Persi. A Persi allo Spezia aveva fatto la riserva anche Albertosi.

TREVISO: Barluzzi e Reginato. Due portieri -super. Reginato con il Cagliari farà il record di imbattibilità, Barluzzi giocherà addirittura con Milan e Inter.

VARESE: Fornasaro e Pasquin. Fornasaro con il Varese giocherà anche in Serie A.

VIGEVANO: Germano e Maccheroni.

ANCONITANA: Romagnoli e Vicini. Vicini si trasferirà a Loano per esercitare la professione di parrucchiere per signora e giocherà anche nei rossoblu locali.

AREZZO: Maggi e Della Rossa.

CARBOSARDA: Colovatti e Perrone. Colovatti, altro grande talento meritevole di altro percorso di carriera. In Serie B a Taranto.

ASCOLI: Antonini e l’eccezionale Piero Persico, in Serie A con Spal e Atalanta, giocatore di assoluto valore anche internazionale e poi preparatore dei portieri a San Benedetto del Tronto. Dalle sue mani espertissime usciranno Zenga, Tacconi, Ferron, tanti altri portieri di grandissima fama.

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Piero Persico un grande maestro del ruolo di n.1 (nella foto con il Cagliari)

FORLI’: Fontanesi e Mezzanzanica. Altri due portieri di lusso per la Serie C. Fontanesi già alle spalle di Bugatti al Napoli, con tante partite in Serie A.

LIVORNO: Bertocchi, Giorgetti. Bertocchi dalla presa saldissima in Serie A con la Spal.

LUCCHESE: Piancastelli, Persico e Strulli. Persico gran colpo di reni, caratteristica dei portieri sotto il metro e 80. Strulli sarà sfortunato protagonista di un tragico incidente di gioco, perdendo la vita dopo uno scontro con il centravanti della Sambendettese Caposciutti.

MACERATESE: Canciani, Orlandi. Orlandi secondo portiere alla Lazio.

PERUGIA: Strologo e Tassini.

PISA: Arici e Carpita.

PISTOIESE: Maso e Meliconi.

PRATO: Carlotti e Cotti. Carlotti, altro fortissimo protagonista legato al Prato per buona parte della sua carriera.

RIMINI: Luison e Pattini: due portieri con esperienze in Serie A. Luison al Lanerossi Vicenza, Pattini al Catania.

SIENA: Francalancia, uscito dal vivaio della Roma, poi tanta Serie C con Siena sede quasi stabile

TEVERE ROMA: Leonardi e Ranucci.

TORRES: Tedde e Mistroni. Tedde un’istituzione a Sassari.

VIS SAURO PESARO: Ciardi e Cicchetti.

AKRAGAS:  Fumi e Mencattini, quest’ultimo uscito dal vivaio del Genoa e fermatosi in Sicilia.

AVELLINO: Del Fior e Spadafora.

BARLETTA: Amati e Milan. Anche Amati portiere di classe, proveniente dal vivaio della Roma.

CASERTANA: Picchi e Piccolo.

CHIETI:  Di Salvatore e Rizzotto.

CRAL CIRIO: Giannisi e Cergolet. Anche per Giannisi esperienze in Serie A con la Lazio.

COSENZA: Sartori e Paolillo.

CROTONE: Chirico.

FOGGIA: Biondani e Filipuzzi. IL Foggia sale per la prima volta in Serie B, ma nella storia dei portieri italiani c’è da citare l’allenatore di questo Foggia: Leonardo Costagliola.

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Leonardo Costagliola ai tempi della Fiorentina

L’AQUILA: Bellei e Suman.

LECCE: Bendin e Gontan.

MARSALA: Bradaschia e Grandi. Grandi, scuola Toro, tante partite con il Modena.

PESCARA: Di Censo e Tuniz. Tuniz un fedelissimo a Pescara.

REGGIANA: Bondaschi e Morselli. Bondaschi, di passaggio a Sanremo, ma soprattutto diverse stagioni a Brescia.

SALERNITANA: Recchia e Vernia. Alberto Recchia poi protagonista con il Parma e portiere titolare della Nazionale Postelegrafonici.

TRAPANI: Carpini.

 

 

AL TEMPO DEI PIONIERI:  QUANDO I MATERIALI ERANO “ALL ENGLAND”

a cura di FRANCO ASTENGO

Ci troviamo agli albori del calcio italiano: stagione 1914-1915. Viene pubblicato a Roma un “Annuario Italiano del Football” a cura di Guido Baccani, al prezzo di lire 1,20 centesimi.

Guido Baccani è stato uno dei primi allenatori della Lazio dal febbraio del 1900, vivendo così in prima persona i primi anni della storia della società romana. È stato il primo accompagnatore e direttore tecnico della formazione romana, della quale è anche stato allenatore, al fianco di Sante Ancherani, dal 1906 in forma semi ufficiale (ufficialmente dal 1909, anno in cui viene organizzato il primo campionato di calcio a Roma), fino alla stagione 1923-24, sostituito, per il campionato successivo, dal primo allenatore straniero della storia laziale, ovvero l’ungherese Dezső Kőszegy.

Lo schema dell’annuario è quello classico che poi farà la fortuna prima dell’Agenda Barlassina e successivamente dell’Almanacco del Calcio curato dal direttore del “Calcio Illustrato” Leone Boccali, progenitore “per li rami” dell’attuale Almanacco Panini: il regolamento, l’organizzazione della Figc (che in quel momento si chiama Federazione Nazionale Italiana Gioco Calcio), l’elenco dei giocatori partecipanti al campionato di Prima Categoria, i calendari dei vari giorni (poi vedremo come andrà la stagione), le partite internazionali, l’elenco dei periodici sportivi allora in attività.

Sfogliandone le pagine risulta di grande interesse,almeno per noi che osserviamo il calcio ad oltre un secolo di distanza, le pubblicità delle ditte che in quel tempo importavano il materiale sportivo (non solo per il foot-ball) di fabbricazione esclusivamente inglese.

Riportiamo queste pubblicità come esempio invitando i nostri lettori a scorrerle, troveranno davvero spunti di conoscenza interessanti riguardanti  soprattutto la già ampia diffusione del gioco. Inoltre alcune di queste ditte erano di proprietà dei pionieri del gioco nel nostro Paese che, con grande spirito imprenditoriale, erano riusciti a trasformare, per questa via la loro passione in una attività economica. Ecco allora di seguito questi annunci pubblicitari raccolti tra le pagine dell’Annuario.1.jpg

In questo caso è necessario rivolgersi direttamente a Manchester.

Per migliore conoscenza ecco il modello delle maglie “tipo Aston Villa” rimasto inalterato nel corso degli anni.

Ed ecco il modello Bradford City.

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Ecco il secondo avviso pubblicitario: la ditta Baccani di Novara (che si occupa di tutti gli sport) punta soprattutto sui palloni “Khaki Chrome”

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Di seguito una dimostrazione della diffusione del gioco in tutta Italia: la ditta Diara ha sede a Livorno dove ci sono due squadre che disputano la prima divisione: la S.p.e.s. (un acronimo: la Speranza non c’entra nulla. Società Per Esercizì Sportivi) e la Virtus Juventusque.

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Ed ecco la ditta genovese Pasteur: titolare un giocatore del Genoa, vincitore dei primi scudetti nella storia del calcio italiano, che poi sarà a lungo dirigente ed anche presidente della Società Rossoblu. Il negozio si situa nella centralissima salita Santa Caterina, quella che da Piazza Fontane Marose conduce a via Roma di fianco alla Prefettura. Pasteur fa parte di un influente famiglia che si occupa di una grande industria dolciaria: la  Dufour.

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Il Genoa nel 1899. Da destra a sinistra: Ghigliotti, De Galleani, Spensley, Edoardo Pasteur, Leaver, Enrico Pasteur, Passadoro, Arkelss, Dapples, Deteindre e Agar  

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Ed ecco la pubblicità della ditta romana di Sante Ancherani uno dei fondatori della Lazio. Nella capitale ben sei squadre disputavano il campionato di prima divisione.

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Ed eccolo Ancherani che stringe al petto uno dei suoi famosi palloni “Mc Gregor”

Il campionato 1914-15, articolato su 6 gironi nell’Italia Settentrionale, un girone toscano, uno laziale ed uno campano (nell’Annuario di Baccani il girone campano è soltanto annunciato ma non sono riportate le squadre partecipanti) non si concluse. Alla vigilia dell’ultima giornata del girone finale del Nord “mormorò il Piave” e tutte le attività ufficiali furono sospese. Nel dopoguerra, senza tener conto di ciò che era accaduto nel corso di quel torneo nei gironi toscano, laziale e campano la Federazione assegnò d’ufficio il titolo al Genoa che si trovava – appunto – al comando del girone finale dell’Italia del Nord.

Intanto la superiorità delle squadre settentrionali era acclarata “ lippis et tonsori bus”: la prima squadra centromeridionale ad assicurarsi il titolo sarà la Roma nella stagione 1941-42.