CRISTIANO RONALDO, DIVISMO, ESAGERAZIONI

Cristiano Ronaldo è arrivato a Torino, semplicemente per giocare al pallone con la Juve (che di grandi campioni, nella sua storia, ne ha visto sfilare diversi) e l’accoglienza è stata super – blindata da Capo di Stato.

In verità un tempo neppure i Capi di Stato viaggiavano super – blindati, e ci sarebbero da raccontare curiosi episodi a questo proposito.

In ogni caso corteo di jeep della “Juventus security” ad accompagnare da Caselle in città il giocatore portoghese che al campo di allenamento non potrà essere avvicinato in alcun modo dai tifosi.

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L’arrivo di Cristiano Ronaldo a Caselle

Eguale sbarramento di sicurezza si prevede (proprio a livello di visite presidenziali) per il suo esordio, nella tradizionale sgambata bianco – nera di Villar Perosa: un tempo poco più di un merendino a casa Agnelli.

Francamente tutto questo appare molto esagerato, frutto di un divismo fuori controllo e di un’idea dell’esposizione al pubblico che ormai, non soltanto nel calcio beninteso ma in particolare anche nella politica, sta superando i confini dell’intelligenza comune.

E’ nostro uso raccontare del passato e, anche sotto questo aspetto, non ci sottrarremo rivolgendoci al passato.

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A proposito di Capi di Stato e di scurezza: il presidente Pertini al banco del “fu” Piccolo Bar a Savona

Intendiamoci bene, anche nel calcio il divismo c’è sempre stato: alimentato anche da figure di Presidenti capaci di fornire a questo giocatore piuttosto che all’altro valutazioni economiche esagerate capaci di accendere la fantasia dei tifosi che, comunque, erano una porzione molto ridotta della società.

Poi la TV gradualmente ha ingigantito tutto: ma per molto tempo il fenomeno è stato contenuto in limiti accettabili.

Un esempio, da questo punto di vista.

Almeno fino agli anni’70 le squadre in trasferta, serie A,B,C; arrivavano nella città di destinazione al sabato pomeriggio in pullman o in treno (l’aereo era usato molto di rado e nella Juve per esempio Sivori viaggiava, anche da solo, sempre in treno).

Le comitive, giunte a destinazione, prendevano possesso in albergo e successivamente era tradizione, non essendo d’uso a quel tempo la “rifinitura” (neppure il riscaldamento in campo prima della partita, inverità), recarsi tutti assieme al cinema.

Vi immaginate al giorno d’oggi la Juve, l’Inter, il Milan, ecc, tutti assieme ,a Genova, al Verdi o all’Universale? Per l’ordine pubblico sarebbero necessari i marines.

A questo proposito posso raccontare un episodio personale.

Stagione 1964 – 65 : 8 novembre 1964, è in programma a Marassi per l’ottava giornata di campionato, Sampdoria – Milan.

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Mi reco a Marassi per assistere alla gara e casualmente scendo a Principe dato che dovevo incontrare degli amici genovesi.

Scendo lungo via Balbi e all’altezza dell’Hotel Britannia (adesso vi sorge la foresteria dei dipendenti FFSS) incontro Barluzzi, portiere di riserva del Milan (quel giorno però scese in campo al posto del titolare Ghezzi, come li capitò in diverse occasioni durante quel torneo).

Avevo conosciuto Barluzzi a Savona in occasione di due partite nelle quali aveva difeso la rete del Treviso: campionato 59 – 60, 3-1 per i bianco blu, prima gara di campionato giocata al nuovo stadio Bacigalupo di Legino con gran goal in rovesciata di Corrado Teneggi e campionato 1960 – 61, partita giocata il primo dell’anno , risultato 0-0 con grandi parate del portiere in questione.

Ci salutiamo e Barluzzi mi chiede informazioni su suoi amici giocatori del Savona (in quella domenica gli striscioni erano impegnati in trasferta a Lodi avversario il Fanfulla) e in particolare del suo sodale Silvano Semenzin, con il quale aveva diviso la porta della squadra juniores del Treviso nelle stagioni precedenti.

Nel frattempo siamo entrati nella hall dell’albergo dove si trovavano gli altri giocatori rosso neri e alcuni visitatori tra le quali le sorelle di Amarildo che intrattenevano amabilmente qualche compagno di squadra del loro congiunto. Ragazze simpaticissime ancorché con i capelli colorati di un biondo improbabile.

Insomma trascorsi tranquillamente un’oretta con i giocatori del Milan conversando piacevolmente di calcio con loro. Non c’era ancora Pierino Prati (in quella stagione in prestito alla Salernitana, ma che a Savona conoscevamo già bene) altrimenti sarebbe stata una vera festa.

Tutto questo per descrivere un clima completamente diverso da quello di oggi. Eppure nel Milan, allenato da Liedholm, c’erano fior di nazionali da Rivera a Trapattoni, da Mora a Cesare Maldini e Amarildo laureatosi campione del mondo in Cile con il Brasile. Mancava Altafini, in quel momento aventiniano e sostituito degnamente da “Ciapina” Ferrario. Il rientro di Josè dal Brasile non fu fortunato perché l’Inter di Herrera riuscì a rimontare ai rosso – neri otto punti di vantaggio aggiudicandosi lo scudetto.

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Sampdoria 1964 – 65. Da sinistra in piedi: Sattolo, Vincenzi, Morini, Da Silva, Sormani, Barison. Accosciati: Fontana, Frustalupi, Masiero, Delfino, Bernasconi

Tabellino della partita in questione:

Sampdoria – Milan 0-2

Reti: Mora, Ferrario

Sampdoria: Sattolo, Vincenzi, Fontana, Masiero, Bernasconi, Morini, Delfino, Lojacono, Sormani, Da Silva, Barison al. Ocwirck

Milan: Barluzzi, Noletti, Pelagalli, Benitez, Maldini, Trapattoni, Mora, Lodetti, Ferrario, Rivera, Fortunato all. Liedholm

Arbitro: Sbardella di Roma

La Samp resse bene per tre quarti di gara, poi una “mattana” del solito Lojacono con relativa espulsione aprì la strada al successo rossonero.

1952-53  – 1957-58: QUANDO LA SERIE C ERA A GIRONE UNICO

COM’E’ CAMBIATO IL NUMERO 1 DAI 168 CM DI LUISON AL METRO E 96 DI DONNARUMMA

1978 – 79: LA SERIE C (SENZA IL SAVONA) SI SDOPPIA IN C1 E C2

FASCIO E PALLONE: QUANDO  IL REGIME PRESE POSSESSO  DELLA GUIDA DELLA CALCIO 

 

di FRANCO ASTENGO

 

C’è un lungo capitolo della storia del calcio italiano che va ricordato, oltre l’inevitabile e doverosa importanza e significato degli eventi e dei risultati sul piano strettamente sportivo (due titoli mondiali nel ’34 e ’38 con l’Italia guidata da Vittorio Pozzo), per comprenderne il peso specifico politico-sociale negli anni del fascismo. Ed è quando il regime, rendendosi conto di quale e quanto fosse l’interesse popolare per il gioco del calcio, decise di prenderne possesso occupando i vertici federali e realizzare un totale controllo sul piano sportivo, organizzativo, amministrativo, della selezioni dei quadri dirigenti e delle stesse società, molte delle quali, come a Savona lo Speranza, costrette al silenzio perché ritenute avverse al regime. Il calcio, come d’altro canto il ciclismo, altro sport dalla vastissima platea, potevano e dovevano sostenere un ruolo significativo nel nefasto progetto di “fascistizzazione” del Paese.   

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L’immagine della copertina del primo Almanacco del Calcio denominato “Enciclopedia Illustrata del Calcio Italiano” curata da Leone Boccali nel 1939

           Se ne trova eloquente conferma nel primo almanacco illustrato del calcio, compilato da Leone Boccali direttore del “Calcio Illustrato”, uscito. per la prima volta nel 1939: ne conservo con grande cura una copia originale. Ebbene: aprendolo la prima immagine che appare è quella del Duce e come didascalia la frase: «Voi dovete essere tenaci, cavallereschi, ardimentosi. Ricordatevi che quando combattete oltre confini ai vostri muscoli e soprattutto al vostro spirito è affidato, in quel momento, l’onore e il prestigio sportivo della nazione. Mussolini».

Una frase che, collocata proprio in quel contesto, poteva essere considerata come il suggello della fascistizzazione del calcio italiano nel quadro più generale dello sport italiano diventato – appunto – “sport fascista”.

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Leandro Arpinati artefice della “fascistizzazione” del calcio italiano

            A pagina 22 dello stesso Almanacco ho trovato un articolo, “Il Calcio in Italia”, scritto da Ettore Berra (un grande competente). Riproduco di seguito la parte riguardante il processo di “normalizzazione” dei campionati.

 «…La Federazione viveva continuamente in un ambiente agitato da passioni ed interessi contrastanti. Le nuove carte federali non erano ancora pronte, le finanze federali erano pericolanti e una deliberazione che imponeva alle società un versamento straordinario fu respinta, la famiglia arbitrale era in fermento. Gli eventi precipitarono per una vertenza riguardante una partita di campionato. Il Consiglio Federale annullava l’incontro Casale -Torino in contrasto col parere emesso dalla Commissione Tecnica e tale deliberazione veniva ritenuta dalla massa arbitrale come un affronto al suo prestigio. Statutariamente il Consiglio era tenuto a rispettare la decisione della C.T.: ma si comportò alla rovescia.

Non abbiamo bisogno di rilevare quanto fosse pericoloso il principio instaurato dal Consiglio che toglieva alle Società ogni garanzia di uniformità di giudizio tecnico nello svolgimento delle partite. La C.T. completamente esautorata dava le dimissioni e, in seguito, l’A.I.A. (Associazione Italiana Arbitri) proclamava lo sciopero.La situazione si era fatta talmente tesa che il presidente del CONI on. Lando Ferretti convocava per il 12 Maggio 1926 a Milano le parti per tentare un accordo. Veniva stilato un ordine del giorno pieno di belle parole, ma di fatto la situazione non migliorava e il 26 Giugno il Consiglio Federale rassegnava i suoi poteri nelle mani del presidente del CONI. L’on. Ferretti si mise immediatamente all’opera. Il 7 Luglio riunendosi a Torino il CONI, veniva nominata una Commissione di tre esperti: comm. Foschi, ing. Graziani, avv. Mauro e il 2 Agosto successivo veniva emanata la “carta di Viareggio”, documento importantissimo, basilare della vita calcistica italiana, con cui veniva risolti i complessi problemi che avevano agitato l’ambiente dei calciatori per lunghi anni, e che forse non avrebbero mai trovato soluzione attraverso le dispute inconcludenti delle Assemblee.

Con essa avevano fine tutte le controversie, poiché la Carta affrontava il problema dal punto di vista tributario, gerarchico e sportivo. Cessò di colpo l’agitazione delle società, si sentiva finalmente la presenza di una autorità in grado di comandare e di farsi ubbidire.

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L’annuncio del varo della “Carta di Viareggio”, documento fondamentale nella storia organizzativa del calcio italiano. Notare il divieto di utilizzare giocatori stranieri e la divisione tra dilettanti e non dilettanti

La Federazione, nello stesso agosto del 1926 veniva trasferita da Torino a Bologna, ove venne iniziata l’opera di riorganizzazione dell’Ente. Restava a Bologna circa tre anni e, poi, nel 1929 la sede era trasportata a Roma. Nella capitale l’ente federale completava il suo lavoro riorganizzativo.

È storia recente e non occorre quindi una delucidazione diffusa. Abbiamo raccolto tutta una serie di successi mondiali e internazionali di cui questo libro è la più viva e precisa documentazione e rievocazione.

Il generale Vaccaro, l’avv. Mauro, l’ing. Barassi, trinomio dirigente in carica dal 3 Maggio 1933, hanno portato con la loro opera intelligente e appassionata la Federazione calcistica a tale perfezione di funzionamento da farne un modello.

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L’ingegner Ottorino Barassi alla guida della FIGC fino al 1958

 I vantaggi che il nostro sport ne ha ricavato sono evidenti: il potere federale, tolto agli arrembaggi non sempre disinteressati dei delegati, la continuità dell’indirizzo sportivo, la creazione di un’autorità al di sopra degli interessi particolari e quindi benefica per tutti. Abbiamo così avuto una sistemazione finanziaria di incrollabile saldezza, l’ordinamento definitivo dei campionati con l’avvento del girone unico per la massima divisione, la soluzione del problema arbitrale come problema di autorità e di disciplina.

Dal 1928 con opportuno provvedimento è stata instaurata l’unità assoluta del movimento, trasformando in Sezione Propaganda federale, le forze dei cosiddetti “calciatori liberi” di cui uno sportivo milanese, il dott. Luigi Manganelli aveva iniziato nel 1917 il reclutamento dando vita all‟ULIC (Unione Libera Italiana Calcio).

Nei quarant’anni che corrono dalla creazione della Federazione ad oggi, quanti enormi passi sono stati compiuti. Merito grande di chi attualmente tiene le fila di questa complessa organizzazione, la più salda e la più ammirata, orgoglio di tutti i calciatori italiani e dello sport fascista».

            Nella sostanza mantenendo fede all’intenzione di controllare e dirigere ogni attività del Paese, il fascismo aveva allungato i tentacoli del suo potere autoritario anche sul calcio. Né si poteva pensare che il gioco, da considerarsi ormai assieme al ciclismo come massima espressione sportiva popolare, potesse essere risparmiato dalle attenzioni della dittatura.

            Politicamente il calcio era ormai troppo importante per essere lasciato libero di muoversi nelle sue democratiche contraddizioni essendo un  fenomeno capace di radunare intorno a sé il consenso di migliaia di appassionati. Il calcio andava diretto, regolamentato e sostenuto nella propaganda. In quel modo l’opinione generale avrebbe dovuto riconoscere l’ordinata e sapiente organizzazione fascista.

            Così gerarchi a vario titolo avevano preso a cuore il calcio in maniera speciale, avvalorando con le loro assidue presenze sui campi l’interesse e la simpatia del partito.

            L’intervento del fascismo sul calcio si esplicitò soprattutto in quattro direzioni, che cercherò di esaminare di seguito con attenzione:

1)    la costruzione di una squadra nazionale capace di imporsi all’estero ai massimi livelli, facendo coincidere i successi degli azzurri con i successi del regime;

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La nazionale Italiana campione del mondo 1934. Da sinistra in piedi: Combi, Monti, Ferraris IV, Allemandi, Guaita, Ferrari. Accosciati: Schiavio, Meazza, Monzeglio, Bertolini, Orsi

2) la costruzione di gruppi dirigenti, a livello delle singole società, ossequienti alle direttive del regime facendo ben attenzione però a lasciare una certa “mano libera” ai grandi industriali che avevano già cominciato a fiutare il calcio come affare;

3) la razionalizzazione delle forze in campo cercando di costruire, attraverso una serie di fusioni, società molto forti nelle città più importanti. Un meccanismo che avrebbe portato, naturalmente, a quel già citato “allineamento” dei gruppi dirigenti perché si sarebbe trattato, prima di tutto, di eliminare le società nate in ambienti “scomodi” per il regime;

4) la costruzione di grandi stadi per fornire le società delle principali città di sedi di gioco adeguate e, nel contempo, di seguire l’opera di urbanizzazione e speculazione edilizia portata avanti dal Regime (si vedrà poi come questa operazione sarebbe stata realizzata in occasione dell’organizzazione, da parte dell’Italia, della seconda coppa del Mondo nel 1934).

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Lo Stadio di Firenze progettato da Pierluigi Nervi (a Savona portano la sua firma la stazione di Mongrifone e il Palazzo della Provincia). Il più bell’esempio di architettonica sportiva esistente in Italia

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