a cura di Franco Astengo
Portiamo avanti ancora la lunga storia dei sudamericani nel campionato italiano affrontando un tema di grande fascino: quello riferito ai grandi brasiliani che hanno frequentato nel tempo il nostro campionato. Scelte difficili e storie davvero di grande spessore calcistico: evocazione di assi straordinari arrivati dalla più grande scuola calcistica del mondo.
Salvo Altafini, Dino Sani e Amarildo nessuno dei grandi campioni vincitori dei mondiali 1958 – 1962 – 1970 è approdato però in Italia. I brasiliani erano troppo gelosi delle loro stelle per lasciarle andare: inutilmente Moratti cercò di trattare Pelè, l’Avvocato (Agnelli, ovvio) ci provò con Garrincha. Ma non ci fu nulla da fare, entrambi rimasero l’uno al Santos e l’altro al Botafogo. Erano due simboli, due bandiere del calcio carioca.
La storia dei brasiliani in Italia comincia fin dagli anni ’30 quando la Lazio saccheggiò il mercato paulista arrivando a schierare una squadra con 8 brasiliani in campo facendo giocare anche l’allenatore Amilcar Barbuy che all’epoca sfiorava i quarant’anni. Da ricordare soprattutto i fratelli Fantoni (il migliore dei quali Leonizio in Brasile era soprannominato “Nigizio”) e “Filò” Guarisi. Anche la Juve, in quel periodo, ingaggiò un brasiliano che contribuì alla conquista dei cinque scudetti consecutivi tra il 1930 e il 1935: Pedro Sernagiotto che in Brasile era nominato come “Ministrinho”.
La lista dei 10 migliori che presentiamo in questa occasione risulterà sicuramente opinabile, come tutte le classifiche che nascono da scelte, valutazioni, esperienze ed emozioni personali. Ne sono rimasti fuori (mescolando le epoche tra gli anni ’50 fino ai ’90) grandissimi campioni, da Ronaldinho e Robinho, Rivaldo (arrivato già anziano), Nenè (arrivato centravanti nella Juve e poi trasformato in efficacissimo centrocampista a Cagliari), il leccese e poi fiorentino Mazinho, il possente difensore juventino Luis Pereira, l’altro difensore udinese Edinho, l’eccelso Socrates, che però nella sua unica stagione fiorentina non rese quel che ci si attendeva, l’ottimo Toninho Cerezo, centrocampista di Roma e Samp, Angelo Benedicto Sormani portato in Italia al Mantova dall’intuito di Italo Allodi e poi ceduto alla Roma per la cifra record per l’epoca di 500 milioni, Dino Da Costa, cannoniere alla Roma e poi tessitore di gioco alla Fiorentina e alla Juventus, l’esplosivo Luis Menezes Vinicio, “o lione”, idolo per tante stagioni della folla napoletana, poi al Bologna e ancora capo-cannoniere in tarda età calcistica con il Lanerossi Vicenza, il possente China Da Silva alla Sampdoria e alla Roma. Si tratta soltanto di esempi perché l’elenco completo sarebbe lunghissimo, il grande Leo Junior al Torino e al Pescara, il fortissimo centrocampista Carlos Dunga al Pisa, alla Fiorentina e al Pescara poi a lungo commissario tecnico della nazionale verde – oro, l’attaccante Amauri protagonista con molte squadre.
Dalla terra carioca non sono arrivati soltanto assi, ma anche meteore deludenti. Qualche nome: il genoano Eloi, lo juventino Amaro, Luis Silvio misterioso centravanti importato dalla Pistoiese nell’unica stagione disputata dagli arancioni in Serie A, i catanesi Pedrinho e Luvanor, un altro acquisto sbagliato dalla Juve come l’attaccante Siciliano e l’impalpabile fiorentino Antoninho.
Clamoroso il caso dell’ala sinistra Germano arrivato al Milan con eccezionali credenziali (era stato incluso nella rosa dei “22” del Brasile campione del mondo in Cile) per il campionato 1962 – 63. Germano in ritiro con i rossoneri conobbe e si innamorò, ricambiato, della contessina Agusta (della famiglia dei costruttori di elicotteri) e perse completamente la testa. A novembre fu ceduto al Genoa. Alla fine scappò in Belgio con l’amata: i due si sposarono e poi qualche tempo dopo si separarono ma la carriera di Germano era ormai irrimediabilmente compromessa.
Una carriera buttata via dal possente Adriano, arrivato all’Inter e passato per il Parma ma incapace, come molti giocatori di grande talento ma poca testa (il nostro Balotelli ne è un esempio lampante), di mantenere un minimo di disciplina sul campo come nella vita e naufragato tra gli eccessi.
Fin qui soltanto tratteggi di ricordi del tutto incompleti. Questa la “nostra” graduatoria.
1) Altafini
josé João Altafini, noto in Brasile anche come “Mazola” per la somiglianza con Valentino Mazzola (Piracicaba, 24 luglio 1938), è un ex calciatore e commentatore televisivo brasiliano naturalizzato italiano. Ha fatto parte della Nazionale brasiliana, con cui si è laureato campione del mondo nel 1958 e, dal 1961, di quella italiana.
1963 : Wembley. Altafini infila Costa Pereira. Il Milan vince la sua prima coppa dei Campioni d’Europa.
Dà i primi calci nell’XV de Piracicaba, una squadra minore della sua città natale. Nella sede del club è affissa una foto del Grande Torino e, notando la somiglianza del ragazzo con il compianto Valentino Mazzola, gli si attribuisce il nome d’arte di “Mazola” (con una sola “z”).
Nel luglio del 1955 entra a far parte delle giovanili del Palmeiras di San Paolo, la squadra degli italo-brasiliani. Il 29 gennaio 1956 esordisce in prima squadra, entrando nel secondo tempo di un’amichevole contro il Catanduva e, con una doppietta, stabilisce il record (tuttora imbattuto) del più giovane marcatore della storia del club biancoverde (17 anni, 6 mesi e 5 giorni).
Con la maglia del Palmeiras gioca due campionati dello Stato di São Paulo (1956 e 1957), segnando 32 reti in 63 partite; 85 gol in 114 partite, conteggiando anche le partite amichevoli e semiufficiali, con una media di 0,74, che è tuttora la quinta di sempre nella storia del Palmeiras. Il 9 giugno 1957 sigla una cinquina in Palmeiras-Noroeste (5-0), altro primato (sia pure a pari merito). Il 6 marzo 1958, segnando due reti al Santos di Pelè, Pepe e Zito, è uno dei protagonisti della storica partita Santos-Palmeiras 7-6 nel Torneo Rio-San Paolo.
In vista dei Mondiali di Svezia, gioca e segna in alcune amichevoli di preparazione organizzate dalla Nazionale brasiliana in Italia, contro Fiorentina e Inter (clamoroso un suo goal all’Inter “em bicicleta”, cioè in rovesciata); in quell’occasione è visionato dai dirigenti del Milan, che lo acquistano per 135 milioni di lire dell’epoca. Approdato ai rossoneri ad appena vent’anni, conferma anche in Serie A le sue doti di cannoniere. Il 27 marzo 1960, segna una quaterna (record tuttora imbattuto) in un derby di Milano che si conclude 5-3 a favore dei rossoneri; il 12 novembre 1961 riserva lo stesso trattamento sottorete alla Juventus. Nel campionato 1961-1962, vince la classifica dei marcatori a pari merito con Aurelio Milani.
In sette stagioni a Milano vince due scudetti (1958-1959 e 1961-1962) e la Coppa dei Campioni 1962-1963, quest’ultima la prima nella storia dei rossoneri nonché per un club italiano, che rompe la fin lì egemonia iberica nell’albo d’oro della manifestazione. Altafini realizza in quell’edizione di Coppa dei Campioni ben 14 reti, un primato che resisterà fino all’edizione 2013-2014 (quando verrà superato da Cristiano Ronaldo autore di 17 gol); inoltre, nella partita con l’Union Luxembourg vinta per 8-0, sigla cinque reti stabilendo un altro record che tuttora divide con otto atleti. Soprattutto, è sua la doppietta con la quale il Milan supera in rimonta per 2-1, nella finale al Wembley Stadium di Londra, i portoghesi del Benfica.
Nel 1965, per polemiche con Amarildo e Paolo Ferrario, lascia il Milan per trasferirsi al Napoli dove rimane per sette anni, formando fino al 1968 un “duo delle meraviglie” con il fantasista italo-argentino Omar Sivori. Il 31 dicembre 1967, in Napoli-Torino 2-2, realizza, in rovesciata acrobatica, un golaço che manda in visibilio la tifoseria. Nell’annata 1967-1968 contribuisce inoltre con le sue reti al secondo posto finale in classifica della squadra partenopea, al tempo il miglior piazzamento degli azzurri nel campionato italiano.
Nell’estate del 1972, trentaquattrenne, approda alla Juventus insieme al compagno di squadra Dino Zoff. Nonostante la non più giovane età (rapportata alle carriere agonistiche del tempo), e, pur partendo dietro ai titolari Pietro Anastasi e Roberto Bettega nelle gerarchie dell’attacco bianconero, a Torino vince da protagonista due scudetti, nelle stagioni 1972-1973 e 1974-1975, risultando spesso risolutivo subentrando dalla panchina: proprio tale situazione farà nascere nel calcio italiano il neologismo «alla Altafini», formula da allora usata per indicare l’impiego di calciatori ormai a fine carriera ma ancora decisivi in brevi spezzoni di partita. Contribuisce inoltre al raggiungimento della finale di Coppa dei Campioni 1972-73, la prima nella storia della squadra juventina, segnando nell’arco della manifestazione un gol nei quarti ai magiari dell’Újpesti Dózsa, e una doppietta in semifinale agli inglesi del Derby County. Nella finale di Belgrado 30 maggio 1973), i bianconeri dovettero inchinarsi all’Ajax (alla tripletta dopo le vittorie su Panathinaikos per 2-0 e sull’Inter 2-0 con doppietta dell’incommensurabile Cruyff) illuminato dal genio di Cruyff con il contorno di Haan, Krol, Neeskens e Rep, autore del gol della vittoria dopo soli 4 minuti di gioco. Questa la Juve in campo nella finale: Zoff, Marchetti, Longobucco; Furino, Morini, Salvadore; Altafini, Causio (dal ’78 Cuccureddu), Anastasi, Capello, Bettega (Haller dal 63′).
Della sua militanza in maglia bianconera si ricorda, in particolare, la rete segnata in Juventus-Napoli del campionato 1974-1975, con la classifica che vedeva i padroni di casa in testa davanti ai campani, secondi a due lunghezze: entrato in campo come consuetudine a pochi minuti dalla fine, Altafini realizza all’88’ il gol del 2-1, che consente alla Juventus di staccare i rivali e vincere lo scudetto. Pochi giorni dopo la partita, su di un cancello di accesso dellostadio San Paolo di Napoli appare la scritta «José core ‘ngrato», ricordando i trascorsi azzurri dell’attaccante.
Complessivamente nella sua carriera italiana ha segnato 216 reti in 459 gare di Serie A, quarto assoluto per realizzazioni, dopo Piola, Torri e il “pompiere” Nordahl, e a pari merito con Meazza); è inoltre al secondo posto, dopo Javier Zanetti, per presenze in massima categoria, tra i calciatori non nati in Italia.
Chiusa la lunga parentesi italiana, nel 1976 si accasa al Chiasso, nel campionato svizzero di seconda divisione; la squadra consegue la promozione in Super League, anche grazie alle sue reti. Gioca poi un altro anno nella prima divisione elvetica con i chiassesi, prima di chiudere la carriera nel 1980, all’età di quarantadue anni e dopo venticinque anni di calcio professionistico, nel Mendrisiostar, squadra svizzera di seconda divisione.
Altafini con il presidente brasiliano Lula, in occasione del 50º anniversario del primo titolo mondiale della Seleção; sulla maglia che stringe tra le mani, il suo storico soprannome “Mazzola” questa volta con due zeta invece di una sola come abitualmente era scritto in Brasile)
Il 16 giugno 1957, a 18 anni e 327 giorni, esordisce nel Brasile andando in gol contro il Portogallo. Il 7 e il 10 luglio successivo, contribuisce alla vittoria della sua Nazionale nella Copa Roca, insieme all’esordiente Pelé, segnando ancora una rete. È quindi convocato per il campionato del mondo 1958 in Svezia, dov’è il più giovane dei brasiliani dopo Pelé. Qui è schierato nella prima partita contro l’Austria a cui segna una doppietta. Tre giorni dopo gioca ancora contro l’Inghilterra (0-0), ma si infortuna e viene lasciato a riposo per la partita successiva. Rientra nei quarti di finale contro il Galles, nella vittoriosa partita decisa da un gol di Pelé ma, per semifinale e finale, gli viene preferito Vavà (uno del mitico trio con Didì e Pelé), sicché assiste dalla panchina al trionfo dei suoi compagni, i quali conquistano la prima Coppa Rimet della Seleção.
Trasferendosi in Italia subito dopo i Mondiali del 1958, non poté più indossare la maglia verdeoro poiché, per le regole dell’epoca, venivano schierati in Nazionale esclusivamente i giocatori che militavano nei campionati brasiliani.Una volta naturalizzato italiano, in quanto oriundo, Altafini può indossare la maglia azzurra dell’Italia. In 6 gare complessivamente disputate realizza 5 reti, esordendo con gol il 15 ottobre 1961 contro Israele e partecipando poi al Mondiale 1962 in Cile. Qui è in campo il giorno della sfortunata e drammatica partita Cile-Italia.
La responsabilità dell’eliminazione della squadra azzurra viene indistintamente imputata agli oriundi, sicché l’italo-brasiliano Altafini (cui l’esito negativo della spedizione tricolore fa acquisire anche la reputazione di calciatore poco incline agli scontri fisici con i difensori avversari, da qui il soprannome di “Conileone”, un mistro tra coniglio e leone, inflittogli da Gianni Brera), pur non avendo ancora compiuto ventiquattro anni, non sarà più convocato.
Dopo il ritiro : « Che golaço! » |
(José Altafini durante le telecronache) |
A partire dagli anni 1980, Altafini lavora come commentatore televisivo e analista per emittanti quali TMC, TELE+, Sky Sport, Rai Sport e Gazzetta TV. Dal 2001 al 2006, con Fabio Santini, conduce il programma Mai visto alla radio sull’emittente radiofonica RTL 102.5 e poi, per altri due anni, la trasmissione Cuore e batticuore in coppia con Valeria Benatti. Nel 1981, insieme a Luigi Colombo, lancia per la prima volta in Italia la telecronaca a due voci in occasione della finale di Football League Cup Liverpool-West Ham.
Ha prestato la sua voce, insieme a quella di Pierluigi Pardo, per le telecronache dei videogiochi PES 2009, PES 2010 e PES 2011. Nel 2009, in collaborazione sempre con Pierluigi Pardo, ha pubblicato il libro Incredibile amici! (il cui titolo è un riferimento a un suo tormentone ricorrente durante le telecronache).
Nel 2011 ha partecipato al doppiaggio della versione italiana del film di animazione Rio in cui interpreta la voce del bulldog Luiz, doppiato anche nel sequel Rio 2 – Missione Amazzonia, quest’ultima interpretazione gli è valsa il premio “Leggìo d’oro come voce rivelazione cartoon”.
2) Ronaldo
Ronaldo Luís Nazário de Lima, conosciuto semplicemente come Ronaldo : Rio de Janeiro, 22 settembre 1976[8]), è un dirigente sportivo ed ex calciatore brasiliano, di ruolo attaccante, due volte campione del mondocon la Nazionale brasiliana.
Juventus – Inter: il famoso contatto tra Juliano e Ronaldo. Rigore o non rigore? Se ne discute ancora oggi.
Soprannominato O Fenômeno (in italiano Il Fenomeno), è considerato da molti il più grande attaccante della propria epoca, nonché uno dei migliori giocatori della storia del calcio. Cresciuto nel Cruzeiro, arriva in Europa con la maglia del PSV Eindhoven. Nel 1996 si trasferisce al Barcellona, con cui vince una Supercoppa spagnola, una Coppa delle Coppe e una Coppa di Spagna. Dopo una sola stagione viene acquistato dall’Inter, dove resta cinque stagioni vincendo una Coppa UEFA. Nell’estate del 2002 passa al Real Madrid e in cinque anni conquista un campionato spagnolo, una Supercoppa spagnola e una Coppa Intercontinentale. Conclusa l’esperienza in Spagna, nel 2007 si trasferisce al Milan prima di chiudere la carriera nel 2011 con il Corinthians. Nel suo palmares a livello di club vanta anche due Coppe del Brasile, un campionato mineiro e uno paulista e una Coppa d’Olanda. In Nazionale ha conquistato due Mondiali (1994 e 2002), due Coppe America (1997 e 1999) e una Confederations Cup (1997). Fino all’edizione del 2014, ha detenuto il titolo di miglior marcatore dei Mondiali con quindici gol (quattro nel 1998, otto nel 2002 e 3 nel 2006). A livello individuale ha vinto due edizioni del Pallone d’oro (1997 e 2002) e tre del FIFA World Player of the Year (1996, 1997 e 2002), record condiviso con Zinédine Zidane.
Da tempo nel mirino dell’Inter, nel giugno 1997 fu acquistato dal club nerazzurro, sebbene avesse rinnovato il proprio contratto col Barcellona da meno di un mese. La società lombarda versò l’intera clausola rescissoria di 48 miliardi di lire presente nel contratto del calciatore – più un ulteriore indennizzo pari a circa 3 miliardi di lire stabilito dalla FIFA–, che rese il suo acquisto il più costoso della storia del calcio (record battuto nel 1998 con l’acquisto di Denílson da parte del Betis).
Esordì in Serie A il 31 agosto contro il Brescia, partita vinta 2-1 dalla sua nuova squadra. Nella successiva giornata di campionato segnò, nel 4-2 al Bologna, la prima rete. I suoi 25 gol (record per un esordiente in Italia) non bastarono all’Inter per vincere lo scudetto né, a lui, per trionfare tra i marcatori: Oliver Bierhoff, infatti, lo precedette per 2 marcature. Vinse comunque la Coppa UEFA – unico trofeo dell’esperienza milanese – andando in gol nella finale contro la Lazio (terminata 3-0). In questa stagione (precisamente nel dicembre 1997) ricevette anche il Pallone d’oro. Sul finire dell’annata seguente, la scelta di affidargli la fascia di capitano della squadra creò qualche malumore all’interno dello spogliatoio.
Nella stagione 1999-2000 fu vittima di gravi infortuni, che limitarono notevolmente il suo contributo. Il primo fu quello riportato contro il Lecce nel 1999 (gara nella quale, peraltro, mise a referto la 50ª realizzazione in nerazzurro) quando si lesionò il tendine rotuleo del ginocchio destro. Dopo un intervento chirurgico, tornò in campo il 12 aprile 2000: nella finale di Coppa Italia (ancora contro la Lazio): il ginocchio cedette di nuovo, a 6′ dal suo ingresso in campo, e il tendine si ruppe completamente. Immediatamente operato dal dottore Gérard Saillant, il suo ritorno all’attività venne stimato per gli inizi del 2001. Le conseguenze del trauma subìto e la riabilitazione però, gli permisero di scendere nuovamente in campo solo al termine di quell’anno: il 9 dicembre giocò a Brescia, segnando anche una rete. Nonostante il suo contributo, in termini di gol, l’Inter mancò ancora il tricolore: nell’ultima giornata si arrese (4-2) ai biancocelesti, esattamente a 4 anni dal trionfo continentale, venendo sorpassata in cima alla classifica da Juventus e Roma. L’attaccante, che nel corso della ripresa aveva lasciato il posto a Mohamed Kallon, fu ripreso in lacrime dalle telecamere.
L’estate 2002, che fece seguito al lustro interista, segnò un rapporto sempre più complicato con il tecnico nerazzurro, Héctor Cúper. La rottura fu tale che il 31 agosto, nelle ultime ore di calciomercato, il brasiliano venne ceduto al Real Madrid. Il club iberico pagò l’acquisto, in totale, 45 milioni di euro.
Con i campioni d’Europa, a dicembre si aggiudicò la Coppa Intercontinentale: contro l’Olimpia fu autore del primo gol della sfida, poi chiusa sul 2-0. Al termine dell’anno fu insignito, per la seconda volta, del Pallone d’oro. La stagione 2002-03 gli permise di aggiungere al proprio palmarès un titolo spagnolo, alla cui conquista contribuì con 23 reti. Capocannoniere nel 2004, il suo bilancio con le «merengues» fu di 177 incontri e 104 realizzazioni.
Il 30 gennaio 2007, Ronaldo approdò al Milan per la cifra di 7,5 milioni di euro. Una clausola del contratto d’acquisto prevedeva che, nell’eventualità (poi verificatasi) del raggiungimento di un posto utile alla qualificazione alla Champions League 2007-2008, il Milan fosse tenuto a versare al Real Madrid un ulteriore corrispettivo di € 500 000. In base al regolamento UEFA, che proibiva a qualsiasi calciatore di poter giocare in una stagione sportiva europea con due o più squadre diverse, Ronaldo non ha potuto essere schierato nell’edizione 2006-2007 della Champions League, essendovi stato utilizzato in precedenza dal Real Madrid.
Nella stagione stagione 2007-2008 è stato vittima di diversi infortuni, che lo hanno costretto a saltare la Coppa del mondo per club. La sua carriera si conclude praticamente a questo punto. Con la nazionale brasiliana aveva vinto nel 2002 il campionato del mondo di Giappone – Corea segnando le due reti che, nella finale, consentirono ai verde oro di superare la Germania.
3) Zico
Arthur Antunes Coimbra, meglio noto come Zico, (Rio de Janeiro, 3 marzo 1953) è un dirigente sportivo, allenatore di calcio ed ex calciatore brasiliano, di ruolo attaccante o centrocampista.
Zico in azione con la maglia dell’Udinese
Soprannominato O Galinho (in italiano il galletto), partecipò a diverse edizioni del Mondiale, intraprendendo poi fruttuosamente la carriera di allenatore e dirigente. Fu eletto Calciatore sudamericano dell’anno per tre volte (1977, 1981 e 1982). Occupa la nona posizione nella classifica dei migliori giocatori del XX secolo redatta da France Football, e la diciottesima posizione nella classifica dei 100 migliori giocatori del XX secoloredatta da World Soccer.
In totale ha giocato 750 partite ufficiali segnando 516 gol; contando anche le partite non ufficiali giocate il suo totale sale a 1180 presenze e 826 gol. Nell’estate del 1983 si trasferisce all’Udinese, pagato dalla società friulana 6 miliardi di lire. Il trasferimento divenne un vero e proprio affare di stato al quale presero parte oltre al presidente dell’Udinese Mazza e quello della Figc Federico Sordillo anche ministri, segretari di partito ed associazioni sindacali.
La prima stagione del brasiliano è eccellente, con ben 19 reti, che gli valgono il secondo posto nella classifica dei marcatori nella stagione 1983-1984 dietro aMichel Platini (20 reti). L’Udinese chiude la stagione al nono posto, a quattro punti dalla zona UEFA. Il secondo anno è decisamente in sordina, con sole tre reti all’attivo e un infortunio che ne comprometterà la stagione. A fine anno Zico lascia l’Italia per tornare, dopo soli due anni, all’amato Flamengo. Con la Nazionale di calcio brasiliana partecipò a tre edizioni dei Campionati mondiali di calcio: nel 1978, nel 1982 e nel 1986. Dopo il terzo posto nel 1978 in Argentina, arrivò l’eliminazione subita dall’Italia nel 1982 in Spagna. Nel 1986 sbagliò un rigore negli ultimi minuti regolamentari del quarto di finale contro la Francia, perso ai rigori dove stavolta Zico segnò.
In totale con i verdeoro ha giocato 72 partite ufficiali segnando 52 gol (quarto miglior marcatore di sempre della Nazionale brasiliana); contando anche le partite non ufficiali giocate il suo totale sale a 88 presenze e 66 gol.
Il 27 marzo 1989 allo Stadio Friuli di Udine viene disputata la gara d’addio di Zico alla Nazionale brasiliana, con un Brasile-Resto del Mondo, allenata da Nils Liedholm, Mircea Lucescu e Artur Jorge che termina 1-2 con reti di Dunga, Enzo Francescoli e Lajos Détári.
4) Falcao
Paulo Roberto Falcão (Xanxerê, 16 ottobre 1953) è un allenatore di calcio ed ex calciatore brasiliano.
Ha giocato nel ruolo di centrocampista nell’Internacional, nella Roma e nella Nazionale brasiliana. Fu soprannominato dai tifosi giallorossi “Ottavo Re di Roma”, come prima di lui l’attaccante Amedeo Amedei.
Considerato uno dei più forti centrocampisti del suo tempo, nel 2004 figurò nella FIFA 100, la lista dei 125 migliori giocatori viventi, selezionata da Pelé e dalla FIFA in occasione delle celebrazioni del centenario della federazione. Falcão è commentatore della partite di calcio trasmesse da Rede Globo e collabora come opinionista del giornale Zero Hora e dell’emittente Radio Gaúcha
La sua carriera da professionista comincia in patria nell’Internacional. Qui gioca per sei stagioni conquistando per tre volte il titolo brasiliano, titolo che l’Internacional non aveva mai conquistato prima. Al termine dei sei anni nel club Falcão conta ventidue reti in campionato. Egli è considerato ancora oggi uno dei più grandi giocatori del club. Durante la sua militanza nel club è stato per due volte insignito del Bola de Ouro, un prestigioso premio assegnato dalla rivista brasiliana Placar al miglior giocatore del campionato brasiliano.
Grazie alla segnalazione del giornalista del Corriere dello Sport Ezio De Cesari il 10 agosto 1980 viene acquistato dalla Roma per la cifra di un milione e mezzo di dollari, e la sua acquisizione è inizialmente accompagnata da un leggero scetticismo, poiché la tifoseria aspettava l’approdo in maglia giallorossa di Zico. Al momento dell’atterraggio del suo aereo all’aeroporto di Fiumicino è comunque accolto da 5000 tifosi della Roma. L’Internacional di Porto Alegre per vendere Falcao reclamava un pagamento con una scadenza assai perentoria che, probabilmente, il club giallorosso non avrebbe potuto permettersi. Fu così che l’allora presidente Viola contattò Vasco Farolfi (storico presidente del Montevarchi Calcio), il quale anticipò per intero la somma richiesta dai brasiliani: quale contropartita (e segno di ringraziamento), oltre al saldo della somma, quell’anno la prima amichevole che la Roma disputò fu col Montevarchi.
Esordisce con la maglia giallorossa proprio contro la sua ex squadra, l’Internacional, in una partita amichevole giocata il 29 agosto 1980, terminata con il punteggio di 2-2.
Falcão (a destra) all’Olimpico di Roma il 15 maggio 1983, assieme ai portieri Superchi (al centro) e Tancredi (a sinistra), mentre festeggia la vittoria del secondo scudetto giallorosso.
Qualche settimana dopo esordisce anche in campionato, il 14 settembre 1980 contro il Como, poi vinta dalla Roma per 1 a 0, ma Falcão non convince, venendo anche criticato, sebbene presto riesca a crescere e guadagnarsi fiducia e ammirazione. Al termine del primo anno in giallorosso termina il campionato con tre reti, mentre la squadra sfiora la vittoria del titolo italiano, andato alla Juventus, però vince la Coppa Italia. L’anno successivo gioca ventiquattro partite e segna sei reti. Nel prosieguo della sua permanenza nella Capitale, il presidente della società quirita Dino Viola si affida a lui per ottenere dei rendiconti tecnici delle partite della squadra.
Nella stagione 1982-1983 vince con la Roma il suo primo campionato italiano, il secondo nella storia della società, e in questa stagione colleziona ventisette presenze e sette reti in campionato, due reti in Coppa UEFA, una contro il Colonia e una contro il Benfica e una rete negli ottavi di finale della Coppa Italia. La sua prestazione contro il Pisa è ricordata come una delle migliori con la maglia capitolina, poiché abbinò al gol decisivo una prestazione sontuosa, assurgendo al ruolo di guida della squadra Viene soprannominato dai tifosi “divino”] o anche “l’ottavo re di Roma”.
Dopo un’altra stagione, con ventisette presenze e cinque reti, e la vittoria in Coppa Italia, la Roma arriva alla finale della Coppa dei Campioni 1983-1984, allo Stadio Olimpico, perdendo ai rigori contro il Liverpool. Falcão rinuncia a battere un rigore, e viene pesantemente criticato. Per tale decisione, lo stesso calciatore adduce motivi fisici: prima di giocare, difatti, si era sottoposto a una puntura di anestetico per alleviare il dolore al ginocchio. Al protrarsi dell’incontro oltre i tempi regolamentari, l’effetto del medicinale svanisce e Falcão decide di non arrischiarsi a battere il tiro dagli undici metri. Inoltre, nel 1985 subisce un grave infortunio, per quale verrà operato a New York il 1º agosto lascia Roma tramite rescissione del contratto.
La sua ultima partita la disputa il 16 dicembre 1984 contro il Napoli, segnando peraltro la rete decisiva. Le ragioni del divorzio dalla compagine giallorossa sono da attribuirsi ai contrasti con l’allora presidente Dino Viola, in merito a dissidi contrattuali; nell’ultima stagione lo stipendio di Falcão era il più elevato nel campionato italiano, oltre un miliardo di lire all’anno. Inoltre, il giocatore si era rifiutato di sottoporsi a una visita medica da parte della società, e anche tale situazione contribuì a minare ulteriormente il rapporto tra le due parti. Il 20 settembre 2012 è stato tra i primi 11 giocatori ad essere inserito nella Hall of fame ufficiale dell’AS Roma.
Riceve la sua prima convocazione nella Nazionale olimpica brasiliana per i Giochi della XX Olimpiade a Monaco di Baviera: spedizione poco fortunata con un pareggio e due sconfitte e precoce eliminazione. Riserva nella prima gara con la Danimarca (entra all’inizio del secondo tempo ) e titolare contro Ungheria e Iran. Nel 1978 viene escluso dalle convocazioni per la nazionale di Cláudio Coutinho per aver dichiarato di non voler fare la riserva.
Dopo la partecipazione alla Copa América 1979, Falcão partecipa al suo primo mondiale nel 1982. Insieme a giocatori del calibro di Toninho Cerezo, Leo Junior, Zico, Éder Aleixo de Assis e Sócrates, componeva un centrocampo dal tasso tecnico insuperabile. In questa edizione, disputata in Spagna, scende in campo cinque volte, realizzando tre reti, l’ultima contro l’Italia, per il secondo momentaneo pareggio verdeoro, nella partita poi persa 3-2 (tripletta di Paolo Rossi).
Quattro anni più tardi partecipa al mondiale del 1986. Iniziando il torneo in panchina, scende in campo solamente due volte, per un totale di 91 minuti. Nella prima gara contro la Spagna ( vinta per 1-0 ) entra al 79′ al posto di Junior, mentre nella seconda contro l’Algeria ( anche qui vittoria per 1-0 ) sostituisce al 10′ del primo tempo Leandro. Il Brasile proseguirà poi la sua corsa per altre tre gare, venendo eliminato dalla Francia ai rigori.
5) Aldair
Aldair Nascimento do Santos, detto Aldair (Ilhéus, 30 novembre 1965), è un ex calciatore e dirigente sportivo brasiliano, di ruolo difensore, Campione del Mondo con la Nazionale brasiliana nel 1994.
Aldair in azione con la maglia della Roma in un derby romano
Considerato uno dei più grandi difensori della storia della Nazionale brasiliana, per tredici stagioni ha indossato la maglia della Roma, vincendo lo Scudetto nel 2000-2001.
Aldair iniziò a giocare a calcio nella sua cittadina d’origine: trasferitosi a Rio, fece un provino per il Vasco da Gama, ma fu scartato; notato da Juarez, ex giocatore del Flamengo, mentre disputava una partita tra amici, entrò nelle giovanili del Flamengo. Nel 1985 giocò qualche gara non ufficiale con la prima squadra, ma fu nel 1986 che trovò maggior spazio, e fu utilizzato come titolare: scese in campo per 23 volte nel campionato nazionale brasiliano, e segnò un gol; vinse inoltre il Campionato Carioca, ovvero il torneo dello Stato di Rio. Nel 1987 il Flamengo vinse il titolo nazionale, e Aldair presenziò in sette occasioni; nel 1988 disputò 24 partite, con 2 reti.
Nel 1989 passò al Benfica di Lisbona, in Portogallo, giungendo così in Europa: alla sua prima esperienza fuori dal Brasile giocò 21 partite da titolare (più una da subentrato), segnando 5 gol. In tale occasione arrivò a giocare la finale di Coppa dei Campioni, disputata il 23 maggio allo stadio Prater di Vienna poi persa per 1-0 contro il Milan.
Nelle tredici stagioni trascorse nelle file della Roma, acquistato nel 1990 dal presidente giallorosso Dino Viola per 6 miliardi di lire, Aldair, oltre a vincere una Coppa Italia nella stagione 1990-1991, un campionato di Serie A nel 2000-2001 e una Supercoppa italiana nel 2001, diventa uno dei simboli della compagine capitolina e capitano della stessa, prima di cedere la fascia a Francesco Totti, che la indosserà fino al termine della non felicissima stagione 2016-2017 per i suoi non idilliaci rapporti con l’allenatore Spalletti e le lunghe soste in panchina.
Soprannominato Pluto dai tifosi della Roma, Aldair resta nella capitale per tredici stagioni, imponendosi come uno dei difensori più forti del mondo; grazie alla sua eleganza ed alla sua classe diventa la colonna portante della difesa romanista e della nazionale brasiliana per più di un decennio. Nella sua prima stagione con la squadra capitolina vince una Coppa Italia; negli anni ’90 si guadagna la fascia di capitano, alla quale rinuncerà nella stagione1998-99 per cederla a Totti, allora già talento emergente.
La stagione 2002-2003 è la sua ultima con la maglia della Roma. Al termine della stagione, per festeggiare la sua lunga militanza con i giallorossi capitolini, la sera del 2 giugno 2003 viene organizzato l’Aldair Day, con un incontro di calcio tra Roma e Nazionale brasiliana nel quale Aldair gioca il primo tempo con il Brasile e il secondo con la maglia della Roma. La società giallorossa, in suo onore, decide di non assegnare più la maglia numero 6. La maglia non viene più assegnata per dieci anni, fino all’inizio della stagione 2013-2014, quando torna ad essere assegnata, anche per scelta del giocatore stesso.
Il 20 settembre 2012 è stato tra i primi 11 giocatori ad essere inserito nella hall of fame ufficiale dell’AS Roma. Con la Nazionale brasiliana diventa Campione del Mondo nel 1994, superando nella finale di Pasadena l’Italia ai calci di rigore.
6) Cafu
Marcos Evangelista de Moraes, meglio noto come Cafu (San Paolo, 7 giugno 1970), è un ex calciatore brasiliano, di ruolo difensore. Soprannominato Il Pendolino, è considerato uno dei più grandi terzini destri di tutti i tempi. Nel corso della sua carriera, iniziata nel 1989 al San Paolo e successivamente proseguita tra Real Saragozza, Palmeiras, Roma e Milan, ha conquistato numerosi titoli sia a livello nazionale che internazionale, come due Coppe Intercontinentali nel 1992 e nel 1993, una Coppa delle Coppe nel 1995, due Supercoppe UEFA nel 2003 e nel 2007, una Champions League nel 2007 e una Coppa del mondo per club FIFA nel 2007.
Cafu solleva la Coppa del Mondo 1994
È primatista assoluto di presenze con la maglia della Nazionale brasiliana, con la quale vanta un quinquennio da capitano (2002-2006), 142 presenze e 2 gol, si è laureato per due volte campione del mondo, nel 1994 e nel 2002, per due volte campione d’America nel 1997 e nel 1999 e per una volta vincitore della Confederations Cup nel 1997.
A livello individuale è l’unico giocatore nella storia del calcio ad aver disputato consecutivamente tre finali dei campionati del mondo. Nel 1994 è stato nominato calciatore sudamericano dell’anno. Nel 2004 è stato inserito nella FIFA 100, una lista dei 125 più grandi giocatori viventi, selezionata da Pelé e dalla FIFA in occasione delle celebrazioni del centenario della federazione. Nel 2009 è stato inserito nella “squadra ideale del decennio” dal Sun. Nel 2013 è stato incluso nella formazione più forte della storia da parte della rivista World Soccer. Nel 2014 è stato inserito dal quotidiano inglese The Guardian nella lista dei 30 migliori calciatori che «hanno lasciato un segno» nella storia dei campionati del mondo. Il suo nome figura sia nella Hall of Fame ufficiale della Roma che del Milan.
7) Dino Sani
Dino Sani (San Paolo, 23 maggio 1932) è un allenatore di calcio ed ex calciatore brasiliano nel ruolo di centrocampista. Oriundo (entrambi i genitori, Gaetano Sani e Maria Gabrielli, erano italiani), dopo aver debuttato col Palmeiras nel 1950 passò al Parque Antártica, ma trovando poco spazio fu prestato al XV de Jaú. Tornato al Parque Antártica, fu ceduto al Comercial da Capital, dove in due stagioni si mise in mostra, facendo sì che il San Paololo acquistasse per sostituire Bauer. Con la squadra paulista conquistò il campionato nel 1957, integrando una formazione composta da altri grandi giocatori come Zizinho e Canhoteiro ed affermandosi come uno dei migliori centrocampisti nella storia della società.
Di Stefano e Dino Sani (in maglia rossonera) : due grandi “cervelloni” del calcio internazionale
Dopo essere stato convocato per il Campionato mondiale di calcio 1958, nel 1959 fu acquistato dal Boca Juniors per un milione di dollari, unendosi ad altri cinque giocatori brasiliani facenti parte del club argentino (tra i quali Paulo Valentim).
Nel 1961, quando il Boca Juniors lo ritenne ormai vecchio, passò al Milan, debuttando a pochi giorni dal suo arrivo in Italia contro la Juventus (vittoria dei rossoneri per 5-1), scalzando il bizzoso attaccante inglese Jimmy Greaves. Da allora il Milan, fino a quel momento incapace di avere un rendimento costante, infilò diversi risultati positivi e alla fine conquistò il campionato1961-1962. Considerato l’erede di Gunnar Gren, col club milanese Sani vinse anche la Coppa dei Campioni nel 1963.
Al termine della stagione 1963-1964 fu costretto a rientrare in Brasile per malanni alla schiena dovuti al clima. Giocò ancora con il Corinthians confermando sempre la sua classe: giocò quasi il doppio delle partite giocate nel Milan, e segnò il triplo.
Fece parte della rosa della Nazionale brasiliana che vinse il Mondiale del 1958, giocando le prime due partite della competizione prima di essere sostituito da Zito. Complessivamente in nazionale giocò 24 partite e segnò 4 gol (di cui rispettivamente 9 e 3 in occasione di incontri non ufficiali).
Viste le sue origini italiane, gli fu chiesto di giocare con la Nazionale italiana in occasione dei Campionati mondiali del 1962, ma rifiutò per non dover affrontare eventualmente il Brasile.
8) Amarildo
Amarildo Tavares da Silveira, noto più semplicemente come Amarildo e soprannominato O Garoto (Campos dos Goytacazes, 29 giugno 1939), è un ex allenatore di calcio ed ex calciatore brasiliano, di ruolo attaccante. Dal Botafogo, che lo aveva precedentemente prelevato dal Flamengo, Amarildo arriva in Italia nel 1963, acquistato dal Milan del neo presidente Felice Riva. In quattro stagioni con i rosso-neri vince un unico trofeo, la Coppa Italia 1966-1967, totalizzando 107 presenze e 32 reti in campionato. Passa poi alla Fiorentina, dove registra 62 presenze, mettendo a segno 16 reti, vincendo lo scudetto nella stagione 1968-1969 e perdendo una finale di Coppa delle Alpi.
Amarildo (n.20) nel “fabuloso Brasil campea do mundo” 1962, sta per essere abbracciato da Garrincha
Dopo l’esperienza toscana, l’attaccante brasiliano conclude la sua esperienza italiana alla Roma, dove scende in campo per 33 partite, in cui registra 10 centri. In Italia giocò in tutto 202 gare di campionato realizzando 58 reti. Sempre nel campionato italiano raccolse dieci espulsioni, risultando il calciatore non-difensivo con più cartellini rossi all’attivo (al pari di Omar Sívori), nonché uno dei più sanzionati in assoluto. Lasciata l’Italia, torna in Brasile per concludere la carriera al Vasco Da Gama. In Nazionale Partecipa ai Mondiali cileni del 1962, dove alla terza partita sostituisce Pelè infortunato e si rivela vero protagonista: nella finale vittoriosa contro la Cecoslovacchia (3-1) segna un goal straordinario da posizione impossibile. In Nazionale disputò complessivamente 24 partite realizzando 9 reti.
9) Jair
Jair da Costa (Santo André, 9 luglio 1940) è un ex calciatore brasiliano, di ruolo attaccante. In patria giocò per la Portuguesa, squadra di São Paulo. Notato dagli osservatori delMilan sostenne un provino per i rossoneri, ma fu scartato perché ritenuto di fisico gracile. Fu invece ingaggiato dall’altra società milanese, l’Inter di Angelo Moratti, dopo i Mondiali 1962 (che vinse da riserva, senza mai scendere in campo).
1965: Jair infila Costa Pereira nel fango di San Siro. Inter – Benfica 1-0. I nerazzurri vincono la seconda coppa dei campioni consecutiva.
Segnò già all’esordio in Serie A, contro il Genoa. Il 5 maggio 1963 i nerazzurri di Helenio Herrera vinsero matematicamente il titolo. Nell’Inter giocò stabilmente nel ruolo di ala destra, con il numero 7. Fu l’autore del primo gol nerazzurro in Coppa dei Campioni, nell’edizione 1963-64 che i milanesi vinsero: l’anno seguente segnò al Benfica in finale, regalando un’altra coppa alla sua squadra. In nerazzurro ha vinto un totale di 4 Scudetti, 2 Coppe dei Campioni e 2 Coppe Intercontinentali. Perse inoltre un titolo italiano allo spareggio e due finali europee.
Ha militato per dieci stagioni in Italia (di cui una alla Roma, in prestito) prima di fare ritorno in Brasile, dove fu compagno di Pelé al Santos: nel 1973 si aggiudicò il campionato statale. Chiuse la carriera nel 1976, dopo un biennio nel campionato canadese. Con la Nazionale brasiliana collezionò un’unica presenza, dovendo fronteggiare nel suo ruolo la concorrenza di Garrincha.
Narra la leggenda che il suo acquisto da parte dell’Inter fosse stato concordato tra Herrera e Rocco. I due allenatori, l’uno dell’Inter e l’altro del Milan, si erano recati ad assistere ad un allenamento del Brasile e decisero assieme: Herrera scelse Jair ,he fungeva da riserva di Garrincha,e Rocco – fallendo clamorosamente – opzionò Germano che in verde – oro era il secondo di Zagallo.
10) Julinho
Júlio Botelho detto Julinho (San Paolo, 29 luglio 1929 – San Paolo, 11 gennaio 2003) è stato un calciatore brasiliano, di ruolo attaccante.
Considerato, dopo Garrincha, la migliore ala destra del calcio brasiliano, ha legato indissolubilmente il proprio nome al primo storico scudetto conquistato dalla Fiorentina nel campionato 1955-1956.
Magro, longilineo, baffetti alla Clark Gable: Julinho, figlio di un droghiere di San Paolo, fece il suo esordio nel luglio del 1950 nella Juventus, una squadra minore di San Paolo, per poi passare, sette mesi dopo, alla più blasonata Portuguesa, per circa 400 mila lre dell’epoca. In maglia rossoverde Julinho giocò stagioni di ottimo livello (191 partite e 101 gol, con due tornei Rio-San Paolo conquistati nel 1952 e 1955), mettendosi in luce non solo come giocatore di classe ma anche per la sua correttezza, tanto da ricevere un premio dalla lega arbitrale brasiliana per non aver subito in tre anni neanche un’ammonizione. Pezzi forti del suo repertorio erano una magistrale finta di corpo, capace di sbilanciare l’avversario diretto senza toccarlo, e la precisione del suo piede destro negli assist (famosi i suoi traversoni “a pelo d’erba”), doti che lo portarono a disputare con la Nazionale brasiliana i campionati del mondo di calcio del 1954. In maglia verde-oro Julinho conta complessivamente 31 presenze e 13 reti.
Julinho e Miguel Montuori, campioni d’Italia col club viola nel 1955-1956.
Il calcio italiano notò presto quel brasiliano dall’aria compassata, e già nel 1951 l’Inter tentò di ingaggiarlo durante una tournée europea della Portuguesa. La sua affermazione definitiva avvenne al Mondiale 1954 disputato in Svizzera: Julinho realizzò un gol-capolavoro contro la grande Ungheria nel quarto di finale perso dal Brasile e da allora attrasse l’attenzione dei grandi club italiani ed europei. Fu la Fiorentina, nel 1955, ad aggiudicarselo, per la somma allora altissima di 5.500 dollari. Il giocatore era stato notato dall’allenatore Fulvio Bernardini, il quale affermò che “un’ala può arrivare a Julinho, non oltre”.
Julinho, attaccatissimo al proprio Paese, rifiutò sempre di indossare i colori azzurri. Non prese parte al Mondiale del 1958 perché il selezionatore Vicente Feola non intendeva convocare nessuno che non militasse in Brasile, sebbene per lui fosse disposto a fare un’eccezione, ma Julinho affermò tuttavia di non volere togliere il posto a chi se lo era conquistato giocando in patria.
Primo giocatore brasiliano della storia del club in maglia viola Julinho disputò 98 incontri (89 in Serie A, 7 in Coppa Campioni e 2 in Coppa Grasshoppers) segnando 23 reti (22 in Serie A ed 1 in Coppa Campioni). Imprendibile sulla fascia, era capace di scardinare intere difese per poi servire cross forti e radenti al meno tecnico centravanti Virgili. Al termine della sua seconda stagione in Italia, con il contratto con la Fiorentina scaduto, tornò in Brasile deciso a rimanervi, angustiato dalla morte del padre e dalla conseguente solitudine della madre, ma Bernardini lo convinse a far ritorno
Colpito definitivamente dalla saudade, il campione lasciò nel 1958 la maglia viola per fare ritorno in patria, al Palmeiras, con cui giocò fino al 1967 per complessive 266 partite (77 gol), conquistando i campionati paulisti del 1959, 1963 e 1966. Ma non aveva nemmeno dimenticato Firenze e la Fiorentina: alla sua morte si è appreso che aveva fatto dipingere di viola i muri della sua stanza e aveva disposto che sulla sua bara, insieme a quelli delle altre società in cui aveva militato, fosse steso un labaro viola. Nel 2013 entra nella Hall of Fame Viola. Il 31 luglio 2014, si è giocato in suo onore, il trofeo Julio Julinho Botelho, vinto dal Palmeiras contro la Fiorentina 2-1.