VIGEVANO: Vieri, Tellini, Castelletti, Scaccabarozzi, Baldi, Galimberti, List, Bozzetti, Orlandi, Negri (giocatore di grande classe, poi al Savona), Bozzi
CARBOSARDA: Cavallini, Conti, Zoboli, Braccini, Molinari (ex-colonna del Savona), Pizzi, Serena, Turotti (i due approderanno assieme a Savona con scarsa fortuna), Busetto, Bertoni, Bercarich
PRO VERCELLI: Colombo. Fontana, Bosio, Russi, Tonegutti (poi al Cuneo), Bolzoni, Perin, Bosisio (figlio di un celebre pugile peso medio campione d’Europa), Spaghi, Genovesio, Badiali
BIELLESE: Lovo, Mancini, Cappellino, Angelini, Bessi, Formica, Frigerio, Mazzia, Francescon, Raffin, Pochissimo (anche Pochissimo al Savona in finale di carriera senza lasciare il segno)
LEGNANO: Soldaini, Panara, Ghezzo, Parodi, Colombo, Sala, Crespi, Moretti, Ive, Santagostino, Caprile (ex-Juve in nazionale alle Olimpiadi di Londra del 1948)
PRO PATRIA : Danelutti, Azimonti, Colombo, Vittorino Calloni, Zagano, Rimoldi, Bernasconi, Turconi, Mungai, Pagani, Sospetti
MESTRINA: Pasquin, Zanoni, Campanarin,Zoppelletto (a Savona nella sfortunata stagione 1966-67 in Serie B) Callegari, Cesaro, Ardit, Guerra, Veglianetti, Bellomo
LIVORNO: Baggini, Foresi, Lessi, Picchi (libero dell’Inter di Herrera, poi stroncato dal cancro mentre allenava la Juventus), Cerri, Gimona, Campagnoli, Balleri, Gratton, Mazzucchi, Capecchi
SANREMESE: Rivoire (portieri dei savonesi “Cicerin Boys); Cirri, Schiavone, Curti, Tortonese, Barbarossa (il varazzino “Cecco”), Ribechini, Trevisan, Novi, Rao (argentino di grande classe arrivato a Sanremo e rimasto nella città dei fiori nonostante le richieste dalla Serie A dove giocava suo cognato il “Petisso” Pesaola), Ribecchini
Cosenza; Sartori, Orlando, Trocino, Dalla Pietra, Bordignon, Delfino (un albisolese che avrebbe poi allenato l’Albisola e la Nolese); Risos, Ardit. Bolognesi, Federici, Uxa all. Prendato
Fedit: Cherubini, Galvani, Garzelli, Barbolini, Stenti, Viciani (da allenatore famoso per il “gioco corto”) Caruso, Amicarelli, Taddei, Santin, Valli all. Crociani
Chieti: Alicicicco, Villa,Melideo, Frati,Rosati, Pizzolito, Rambone, Vascotto,Merlo,Marchetti Orazi all. Ottino
Trapani: Arbizzani ,De Dura,Povia, Bertolini,Ingrassia, Cavallini, Bodini, Da Passano; Magheri,Rallo,Zucchinali all. Marchese
Lecce: Malacari, Asta,Vitali, Biancardi,Furlan, Cordone, Grisa, Mirabelli, Nucini, Viviani (futuro allenatore di Genoa, Savona e Albenga); Temelin all. Vianello
Arezzo: Nespoli,Raccuglia, Golfarini, Magherini,Santoni, Balloni,Barbana, Magi, Marcos,Tognoni Remonti. all. Manlio Bacigalupo (nella stagione 1965-66 sarà lui sulla panchina a portare il Savona in Serie B)
Reggina: Francalancia, Barozzi,Bumbaca,David,Oblach, Storchi, Ferrulli, Bartolaccini (al Savona nella stagione 1959-60 quella del ritorno in Serie C), Del Gaudio, Castaldi, Bercarich all. Bodini (ex-terzino di Genoa e Roma, al Savona nella stagione 40-41)
Marsala: Bradaschia, Bruna,Sarolli, Maggio, Biagi, Bonafede, Di Giovanni, Ieri, Noè, Marin, Visintin all. Vergazzola
Anconitana: Vicini (in seguito portiere della Loanesi e titolare a Loano di un negozio di parrucchiere per signora), Bertetto,Rambotti, Nerozzi,Orlando, Spurio, Barengo, Carnevali, Buglioni, Venturi Mantovani all. nientemeno che Carlo Parola
Foggia: Bendin, Baldoni, Bertolotto,Faleo,Rinaldi, Cosmano Buonpensiero, Colombo,Della Rocca, Stornaiuolo, La Forgia all. Costagliola (ex portiere della Fiorentina e della Nazionale)
L’Aquila: Bellei, Caprioli,GrasselliAttardi, Baldi,Di Bitonto, Gatti, Ciolli, Di Bartolomeo, Tomassoni, Torriglia all. Nekadoma
Pescara: Carabba (futuro portiere del Pontedecimo e dell’Albenga, poi insegnante ad Albenga), Lolli, Fucilli, Mattucci,Clerico, Palestini, Tontodonati (gloria pescarese già alla Roma, al Bari e al Torino, in quella stagione fungeva da giocatore – allenatore)Ferrari, Conio, Vanini, Di Properzio all. Tontodonati
Cral Cirio: Cergolet, Gavazzi, Grolli, Errichiello, Molinari, Lenzi, Vacca, Sadar,Rampazzo, Rossi, Busiello all. Sentimenti II (già portiere del Napoli il secondo della famosa dinastia)
Siracusa: Zani, Rubino, Gambini,Mora,Tarantino, Milanesi, Franzò, Darin,Esposito,Troilo Pulvirenti all. Perazzolo
Il Giro d’Italia 2022 è appena terminato e si chiude la stagione di Vincenzo Nibali ma in questa occasione nella “Corsa Rosa” sembra essersi finalmente aperto un futuro per il ciclismo italiano.
Un ciclismo che è profondamente cambiato da quegli anni del ‘900 quando la popolarità di questo sport era immensa: la bicicletta era il mezzo di locomozione di lavoratrici e lavoratori e il riconoscimento nei corridori, gente del popolo, immediato.
Oggi ci troviamo in un era ipertecnologica e con la compattezza delle squadre al servizio dei capitani come fattore determinante, ma intediamo egualmente ricordare la fatica di questi ragazzi che hanno saputo comunque illuminare l’appuntamento classico del giro d’Italia.
Cinque tappe vinte rappresentano un bottino non trascurabile in questi tempi di globalizzazione in cui anche l’Africa si sta affacciando alla ribalta.
Soprattutto però è importante che 4 di queste cinque vittorie siano state ottenute da corridori molto giovani capaci di rappresentare diversi modi di interpretare le corse offrendo un’idea di completezza tecnica che da tempo il nostro ciclismo sembrava non poter dimostrare.
Dainese ha vinto la tappa di Reggio Emilia in una volata di gruppo; Oldani la tappa di Genova portando a conclusione una fuga da lontano; Covi al passo Fedaia ha compiuto un’impresa che banalmente potrebbe essere definita di altri tempi ma che in realtà ha dimostrato come l’essenza del ciclismo rimanga nell’affrontare in solitaria le grandi montagne, ponendosi al di fuori da esasperanti giochi tattici; Sobrero si è confermato un grande specialista del cronometro, rievocando anch’egli lontane vicende che ci portarono a vittorie rimaste nella nostra mente e nel nostro cuore.
Presentiamo i 4 protagonisti:
Alessandro Covi
nato a Borgomanero (patria di Domenico Piemontesi ” o la va o la spacca” e di Pasqualino Fornara) il 20 settembre 1998, corre per la UAE Emirates.
Professionista del 2020: nel 2022 vincitore di una tappa della “Vuelta a Murcia” e del tappone dolomitico del Giro d’Italia con arrivo solitario.
Alberto Dainese
nato a Abano Terme il 25 marzo 1998, corre per la DSM.
Professionista dal 2019, campione europeo under 23 nello stesso anno.
Stefano Oldani
nato a MIlano il 10 gennaio 1998. Corre per la Alpecin-Fenix
Professionista dal 2019
La vittoria di Genova è stata la prima della sua carriera
Matteo Sobrero
nato a Alba il 14 maggio 1997 corre con la Bike Exchange-Jayco.
Professionista dal 2020
Campione italiano in carica a cronometro con altre 7 vittorie
Una Real “operaio” imperniato sul portiere Cortuois capace di interventi prodigiosi a guardia di una squadra raccolta attorno a un centrocampo dalla fine tecnica dei singoli ma dalla grande compattezza agonistica ha conquistato, grazie ad un lampo in contropiede, la quattordicesima Coppa dei Campioni nella storia del club che è stato di Santiago Bernabeu, Alfredo Di Stefano e Ferenc Puskas.
Real Madrid: Illgner, Panucci, Sanchis, Hierro, Roberto,Carlos, Redondo, Karembeu, Seedorf, Raul(Jaime) Morientes (Amavisca), Mijatovic (Suker) all. Heynckes
Juventus: Peruzzi, Torricelli, Iuliano, Deschamps(Tacchinardi)Montero, Pessotto(Conte), Di Livio(Fonseca)Davids, Inzaghi, Zidane, Del Piero all. Lippi
arbitro: Krug (Germania)
24 MAGGIO 2000 Parigi
REAL MADRID – VALENCIA 3-0
reti: Morientes, Mc Manaman, Raul
Real Madrid: Casillas, Helguera, Karanka, Campo, Salgado (Hierro), Roberto Carlos, Mc Mananam, Redondo, Raul, Morientes (Savio), Anelka (Sanchis) all. Del Bosque
Valencia: Canizares, Angloma, Dukic, Pellegrino, Gerardo(Ilie), Farinos, Mendieta, Gonzalez, Gerard, Miguel Angel, Lopez all. Cuper
arbitro: Braschi (Italia)
15 MAGGIO 2002 GLASGOW
REAL MADRID – BAYER LEVERKUSEN 2-1
reti: Lucio, Raul, Zindane
Real Madrid: Cesar(Casillas) Salgado, Hierro, Helguera, Roberto Carlos, Makelele( Mc Manaman)Figo (Flavio Conceiao), Solari, Zidane, Raul, Morientes all.Del Bosque
Bayer Leverkusen: Butt, Sebescen(Babic), Zivkovic, Lucio (Kirsten), Placente, Ramelow, Schneider, Ballak, Brdaric (Berbatov), Basturk, Neuville all. Topmoller
arbitro: Meier (Svizzera)
24 MAGGIO 2014 Lisbona
REAL MADRID – ATLETICO MADRID 4-1 dopo i tempi supplementari
reti: Sergio Ramos, Bale, Marcelo, Cristiano Ronaldo rigore, Godin
Real Madrid: Casillas, Carvajal, Sergio Ramos, Varan, Coentrao (Marcelo), Modric, Khedira(Isco), Di Maria, Bale, Benzema(Morata), Cristiano Ronaldo all. Ancelotti
Atletico Madrid: Cortouis, Janfran, Miranda, Godin, Felipe Luis(Alderweld), Raul Garcia(Sosa), Tiago, Gabi, Koke, Diego Costa (Lopez), Villa all. Simeone
arbitro: Kuipers (Olanda)
28 MAGGIO 2016 Milano
REAL MADRID – ATLETICO MADRID 6-4 dopo i calci di rigore
Treno, auto, pullman, traghetti: quanti chilometri macinati dai giornalisti su rotaia, strada e via mare per seguire campionati, tornei, meeting, appuntamenti, raduni, finali di ogni ordine e grado. E poi aerei di linea e charter, quando volare era comodo, rapido e accessibile nei costi per le casse degli editori. Federico Buffoni è tra quelli che la paura di volare non l’hanno mai nascosta. Ma ha dovuto sfidarla per un viaggio ad Amsterdam decisivo per fare assegnare a Genova la XXII edizione dei Campionati europei di atletica leggera indoor 1992. Ecco il racconto di quella (per lui) indimenticabile avventura.
Treni, macchine e navi sono appoggiati su qualcosa che si può toccare. L’aria sarà pure un appoggio anche lei, lo dicono i fisici e il paracadute lo dimostra. Ma non la si tocca. Il mio ragionamento, tanto puerile quanto ignorante, mi portava a una sola conclusione: su un aereo non salirò mai.
Un bel proclama. Il caso volle che a cancellarlo sia arrivato un eterno epigramma: “Mai dire mai”.
Lavoro per il Cus Genova, siamo alla fine degli Anni Ottanta, gli ultimi della mia permanenza in un ruolo, l’ufficio-stampa, che è la versione impiegatizia e agli antipodi del giornalista di trincea, il cui lavoro è ben sintetizzato dalla frase con cui un grande delle tv private, il funambolico e modernissimo Beppe Barnao, era solito fissare l’appuntamento alla sua troupe per un servizio: “Alle otto, qui, pronti a muovere, ventre a terra e già pisciati”. Mi perdonerete d’aver usato una parola sconveniente, ma Beppe chiudeva ogni volta con questa colorita precisazione, la più importante, per sottolineare che in questo mestiere non c’è mai un minuto da perdere.
Al Cus curo l’ufficio stampa e cento altre cose. Ho come capo supremo l’ingegner Mauro Nasciuti, che guida anche la Fidal in Liguria. Un diligente allievo di Primo Nebiolo, che lui vede come una sorta di semi-dio per aver inventato una nuova atletica leggera, che da cenerentola vestita di stracci stava diventando una regina del business.
Ed ecco il mai dire mai. Nasciuti deve andare ad Amsterdam, si riuniscono i vertici delle Federazioni di atletica interessati all’assegnazione dei Campionati Europei Indoor 1992. E Genova è in duello ad armi pari con Barcellona. Il mio presidente ha argomenti solidi, ma ha bisogno di chi gli scriva in cinque minuti qualsiasi cosa: comunicati, note, mozioni, documenti da votare.
“Stavolta su un aereo ci monti, caro Fede!”, mi annuncia con un sorriso un po’ diabolico, e con l’aria di chi sa di non poter ricevere obiezioni né dinieghi. Nasciuti non ammette di venir contraddetto. Io, per una volta, mi mordo la lingua, prendo atto e evito di anticipare di qualche mese le mie dimissioni istantanee dal club universitario. Sto zitto, incasso e, per dirla senza ipocrisie, comincio a farmela sotto già dieci giorni prima del decollo dal “Colombo”. Tanto più che il “primo volo” di fatto vuol dire i primi “due” voli, a meno che io non insceni crisi di panico e ritorni da solo con 20 ore di treno. Due giorni e scopro che quel “primo volo” è diventato “I primi quattro voli” perché un Genova-Amsterdam diretto, in quella data, non esiste, e si va a Francoforte, si sta un paio d’ore a torcersi le budella e si riparte per la capitale morale d’Olanda.
Ho una luccicante e nuova Marbella rossa, versione spagnola più spartana della già spartana Panda primo modello rivoluzionario della Fiat. La parcheggio all’aeroporto di Sestri e nel chiuderla a chiave mi trema il polso. Ecco il mio “capo”, sorrisone soddisfatto (“Finché non ti ho visto, mi aspettavo un forfait con una qualunque scusa”). E col sorriso, parole che dovrebbero tranquillizzarmi: “Pensa alla fortuna che hai, seduto accanto a me che volo da trent’anni in tutto il mondo e ti spiego ogni cosa se ti viene la strizza”. In effetti, lui sembra che tra piste, check-in, tapis-roulants e “normali” smarrimenti di bagagli, ci sia nato
A bordo, sedili comodi ma chissà chi è quel farabutto che li ha foderati di aculei; arredamento allegro, ma chissà chi è quel paranoico che ha schiaffato sotto gli occhi al viaggiatore, che non può non leggerle all’infinito, le istruzioni in caso il velivolo dovesse precipitare, istruzioni alle quali manca solo la fotografia osé di un tizio che esegue il più antico degli scongiuri. Si parte. E mi trovo sdraiato sulla schiena, tanto si va all’insù. Ma quanto! D’accordo che sbattere contro il monte Beigua sarebbe peggio, ma a stomaco orizzontale e ginocchia al soffitto non è niente bello. Neanche il tempo di maledirmi per non aver trovato quella scusa per il forfait, e la voce del pilota dice che sotto di noi c’è Voghera. Voghera? Ma sono 70 chilometri a nord di Genova e già siamo qui? Di sotto non ci guardo di sicuro.
Nasciuti per un po’ mi invita ad ammirare questo e quello, poi desiste, il posto-finestrino che se lo goda lui, io sto bene – si fa per dire – in quello a corridoio, leggo rivistucole per evitare il come si indossa il salvagente se si finisce in mare, e poi mi butto con golosità sul deprimente pasto offerto da Alitalia, tanto contento di aver qualcosa a cui dedicarmi da sembrarmi di stare al tavolo del “Bai” a Quarto. La prima occhiata fuori, anzi verso il basso, la do quando le macchine che corrono in autostrada son sempre più grandi e comincio a riconoscerne marche e modelli. Mi sembra di dover esser più tranquillo, ma quello che doveva essere il mio rassicuratore mi fa “Il momento più pericoloso è l’atterraggio”. Penso che sia giusto, la terraferma si vendica: hai voluto andartene dall’elemento tuo? Bene, ora te lo devi sudare, il rimetterci i piedi sopra. Tutto liscio, ora è come un autobus un po’ troppo veloce ma le ruote che rotolano le sento, gli altri sopravvissuti come me fanno l’applauso al pilota. Ma belinoni – penso in genovese – se si schiantava, credete che potreste fischiarlo? La coincidenza a Francoforte, il secondo volo con meno strizza e il secondo pasto (Lufthansa) più fine, più fresco, più buono: non perché io ho meno paura, ma proprio perché i tedeschi ti offrono cose buone e ben fatte anziché avanzi di surgelati come la compagnia tricolore.
Amsterdam scorre via bene, tre giorni di lavoro frenetico di giorno (Nasciuti a battagliare in riunioni, io a metter nero su bianco dichiarazioni e argomentazioni alla velocità della luce) e poi la sera e la notte l’uomo che non è di legno, visto che la città è abbastanza vivace (eufemismo) nel proporre distrazioni e intrattenimenti.
Il ritorno sarebbe stato, sulla carta, da brividi. Specie per un debuttante dei voli come me. Ma proprio il non avere esperienza mi fa sentire bene, come se tutto fosse normale. Prima suspence, un’attesa di tre quarti d’ora sopra una Francoforte immersa nella nebbia da venti ore, con l’aeroporto che funziona a decine di minuti alterni, e il nostro aereo che disegna virtualmente nell’aria una serie di “otto”, in attesa che da giù ci dicano che c’è una pista libera per atterrare. Nasciuti, il tranquillizzante, mi spiega che se mi viene nausea è normale perché così tanti “otto”, tutti curve e controcurve e inclinazioni lui non li aveva mai fatti, ma in quei pochi aveva vomitato. Grazie, presidente. Tocchiamo terra e subito mi rendo conto di quanto il popolo tedesco, quando lavora, sia una macchina perfetta e ben oliata. Tutto deve andare come previsto e tutto difatti ci va. Ma c’è quel “previsto” ad aprire la porta all’altra faccia dell’efficienza teutonica: se accade qualcosa fuori da quel che è “previsto”, la memoria encefalica dei germanici va in tilt e resetta tutto. Vedo – fra i tanti che corrono a vuoto dentro l’immenso aeroporto – un codazzo di turisti d’ogni parte del mondo, neri, gialli, indios, e sottanoni sgargianti mischiati a impeccabili vigogne inglesi, incolonnarsi dietro un tizio in divisa e attraversare trecento metri di saloni. Poi ripassarmi davanti, stessa formazione, stesse facce, stessi sottanoni e vigogne, in senso inverso. Dieci minuti e toh, chi si rivede? Sempre loro, di nuovo da destra a sinistra. Penso che la tanto sbeffeggiata Napoli, con la propria fantasia creativa, avrebbe già sbloccato tutto o, in alternativa, avrebbe inventato un concerto di Gigi D’Alessio per non far saltare i nervi alle migliaia di persone che si sono ammucchiate in quel formicaio in 24 ore di nebbia e di aeroporto chiuso.
La nostra coincidenza è saltata, il volo Alitalia Francoforte-Genova è partito da un po’. Prendiamo fortunosamente gli ultimi due posti liberi su un altro volo, affacciandoci di nostra iniziativa allo sportello della ‘Lufth’. “Fortunati, ci dice la bionda impiegata, sono proprio gli ultimi due posti, mi dispiace sono quelli di coda, si balla un po”. “Beh – rispondo e mi sembro spiritoso – come canta Mina l’importante è salire”. Rido solo io, perché da neofita non so quel che mi aspetta. Ci informano: il volo non è per Genova, si va a Milano. Dico un bugiardo “pazienza, a Genova andremo in treno”.
La traversata delle Alpi di Annibale fu certamente meno laboriosa di quella affrontata dal nostro germanico pilota. Il quale però (mi spiegano che è un ‘credo’ della compagnia di bandiera tedesca) percorre sempre la linea retta più breve. Anche quando ci sono furiosi temporali, vuoti d’aria, schiocchi di saette sulle ali, sobbalzi violenti dell’aereo… niente, lui, il germanico pilota ci si butta dentro con gioia come un bimbo in piscina al primo giorno di vacanze.
Nasciuti completa la sua missione di rassicuratore: “E ora non mi dire che hai paura perché ho paura anch’io”. Grazie-bis, presidente. Da ingenuo, continuo a pensare che sia tutto normale: balla l’autobus, danno scrolloni il treno e le navi, sarà normale che si balli un po’ anche qui ….. E faccio finta di non sentire né vedere campanelli a distesa, hostess che corrono ai posti con sacchetti vuoti e li riportano pieni, e una di loro che cade all’ennesimo sobbalzo e si ferisce un ginocchio, medicata sul pavimento del corridoio. Mi impongo di credere che sia tutto giusto così, fino all’atterraggio.
Quando mi siedo sul treno per Genova, mi dico che tutto sommato è stato bello. Specie adesso che è finito. Dimenticavo: Genova ha vinto il ballottaggio e ospiterà la XXII edizione degli Europei (per la cronaca, quelli delle vittorie di Gennarino De Napoli nei 3.000 metri, di Giovanni De Benedictis nei 5 km di marcia, dello svedese Sjoberg con 2,38 e della tedesca Henkel davanti all’eccelsa Kostadinova con 2,02 nell’alto, dell’inglese Livingstone nei 60 con 6″53). Per chi non lo sapesse, quei Campionati li ho conquistati io, col mio primo-volo tanto perfetto che Icaro me lo invidia ancora oggi.
Nel corso della sua lunga storia, iniziata nel 1908, la Casertana ha raggiunto soltanto in due occasioni la Serie B, retrocedendo subito: la prima volta fu nel campionato 1970 – 71, la seconda occasione si verificò nella stagione 1991-1992 in una fase di vero e proprio “miracolo sportivo” per la città campana. Contemporaneamente, infatti, la squadra di basket della Juve Caserta conquistò addirittura lo scudetto di campione d’Italia.
Marco Fazzi protagonista con il Savona e la Casertana
Dedichiamo alla Casertana la storia della prima esperienza in Serie B soprattutto perché si tratta di una storia strettamente legata a quella del Savona FBC: cannoniere della squadra rossoblu (e di tutta la storia della Caserta calcistica) fu infatti Marco Fazzi arrivato al Sud dal Savona dopo le meravigliose esperienze della promozione in Serie B e poi della sfortunata stagione chiusa con l’inopinata retrocessione consumata a Catania. Fazzi, goleador di razza è rimasto nella storia di entrambi i club, amatissimo dalle due tifoserie, addirittura “adottato” dagli sportivi casertani, mentre suo figlio Cristiano (classe 1972) è stato uno dei protagonisti dello scudetto di pallacanestro che abbiamo appena ricordato.
Dedichiamo alla Casertana la storia della prima esperienza in Serie B. Una scelta che definiremmo di cuore perché si tratta di una storia strettamente legata a quella del Savona FBC: cannoniere della squadra rossoblu (e di tutta la storia della Caserta calcistica) fu infatti Marco Fazzi arrivato al Sud dal Savona dopo le meravigliose esperienze della promozione in Serie B e poi della sfortunata stagione chiusa con l’inopinata retrocessione consumata a Catania. Fazzi, goleador di razza è rimasto nella storia di entrambi i club, amatissimo dalle due tifoserie, addirittura “adottato” dagli sportivi casertani, mentre suo figlio Cristiano (classe 1972) è stato uno dei protagonisti dello scudetto di pallacanestro che abbiamo appena ricordato.
In quella Casertana di Serie B c’erano anche altri giocatori legati a Savona: il terzino Ballotta, il centrocampista Matteoni e l’attaccante Corbellini uno dei trascinatori, con Gottardo e Panucci, della squadra guidata da Enzo Volpi che nella stagione 1972-73 contese fino in fondo l’ascesa in Serie B a Parma e Udinese. In squadra anche il sanremasco Roberto Gatti poi tornato a Sanremo come protagonista della risalita dall’Eccellenza della squadra matuziana nella stagione 1974-75: squadra nella quale militava anche il futuro C.T. della nazionale Giampiero Ventura. Il figlio di Roberto Gatti poi sarà il goaledor del Savona nella conquista della Coppa Italia Dilettanti nel 1991.
Andiamo per ordine ricordando ancora che in quel campionato 1970-71 il presidente Moccia aveva confermato in panchina l’ex-portiere della Fiorentina e della Nazionale Leonardo Costagliola poi sostituito dall’ex-terzino del Napoli Alberto Delfrati e successivamente da Renato Gei, allenatore di grande esperienza dopo essere stato giocatore di grande classe anche in Nazionale.
Andiamo per ordine ricordando ancora che in quel campionato 1970-71 il presidente Moccia aveva confermato in panchina l’ex-portiere della Fiorentina e della Nazionale Leonardo Costagliola poi sostituito dall’ex-terzino del Napoli Alberto Delfrati e successivamente da Renato Gei, allenatore di grande esperienza dopo essere stato giocatore di grande classe anche in Nazionale.
Pisa: Lorenzetti, Gasparroni, Lorenzini, Barontini (Joan dal 73′), Luciano Teneggi, Coramini, Piaceri, Burlando, Pazzaglia, Parola, Cosma all. Mannocci
Casertana: Zanier, Giacomin (Anghileri dal 59′), De Luca, Gatti, Matteucci, Tanello, Di Maio, Casisa, Fazzi, Corbellini, Matteoni all.Costagliola
arbitro: Beretta di Milano
QUINTA GIORNATA
Casertana – Palermo 3-1 (prima vittoria della Casertana in Serie B)
reti: Ferrari, rigore, Fazzi (2), Migliorati
Casertana: Porrino, Giacomin, De Luca, Gatti, Matteucci, Tanello, Migliorati (Di Maio dall’82’), Casisa, Laudiero, Fazzi, Matteoni all.Costagliola
Palermo: Girardi(dal 46′ Ferretti), Agliuzza, De Bellis, Reja, Bertuolo, Landri, Perucconi (Arcoleo dal 41′), Landoni, Arbitrio, Vanello, Ferrari all. Di Bella
arbitro: Porcelli di Lodi
SESTA GIORNATA
Cesena – Casertana 3-1
reti: Enzo (2, 1 rigore), Fazzi, Zanetti
Cesena: Annibale, Ceccarelli, Ammoniaci, Marinelli, Vasini, Scorsa, Colombini, Ragonesi (Bonafè dall’82’), Paolo Ferrario, Zanetti, Enzo all. Bonizzoni
Casertana: Porrino, Giacomin, De Luca, Gatti,Matteucci, Tanello, Migliorati, Casisa, Laudiero (Corbellini dal 43′), Fazzi, Matteoni all. Costagliola
arbitro Branzoni di Pavia
SETTIMA GIORNATA
Casertana – Arezzo 2-0
reti: Corbellini, Fazzi rigore
Casertana: Porrino, Matteucci, De Luca (Pesatori dal 62′), Gatti, Tanello, Di Maio, Migliorati, Casisa, Fazzi, Corbellini, Matteoni all. Costagliola
Arezzo: Nardin, Vezzoso, Vergani, Camozzi, Tonani, Micelli, Galuppi, Pupo, Cominati, Farina, Incerti (Parolini dal 77′) all. Ballacci
arbitro: Canova di Milano
OTTAVA GIORNATA
Novara – Casertana 0-0
Novara: Felice Pulici, Carlet, Vivian, Canto, Udovicich, Grossetti, Gavinelli, Carrera, Gabetto, Giannini, Jacomuzzi (Omizzolo dall’83’) all. Parola
Casertana: Porrino, Matteucci, Giacomin, Gatti, Tanello, Di Maio, Corbellini, Casisa, Fazzi (Pesatori dal 74′), Ulivieri, Matteoni all. Costagliola
Casertana: Zanier, Giacomin, Labrocca, Gatti, Tanello, Matteucci,Di Maio, Pesatori, Casisa, Migliorati, Matteoni, De Luca all. Costagliola
DICIANNOVESIMA GIORNATA
Casertana – Monza 1-1
reti: Facchinello, Fazzi
Casertana: Zanier, Labrocca, Giacomin, Matteucci, Tanello, Gatti, Casisa, Corbellini, Fazzi, Di Maio (Mazzeo dall’80’), Ulivieri all. Delfrati subentrato a Costagliola
Monza: Cazzaniga, Soldo, Onor, Reali, Trebbi, Dehò, Bertogna, Pepe, Mondonico (Golin dal 55′), Facchinello, Caremi all. Radice
arbitro: Bianchi di Firenze
VENTESIMA GIORNATA
Perugia – Casertana 1-0
rete: Innocenti
Perugia: Mantovani, Casati, Vanara, Bacchetta, Panio, Dalle Vedove (Martellossi dal 65′), Innocenti, Traini, Colausig, Mazzia, Urban all. Mazzetti
Casertana: Zanier, Ballotta, Labrocca, Gatti, Giacomin, Tanello, Corbellini, Di Maio, Fazzi (Casisa dal 74′), Matteoni, Ulivieri all. Gei
arbitro: Campanini di Finale Emilia
VENTUNESIMA GIORNATA
Casertana – Como 1-1
reti: Corbellini, Vannini
Casertana: Porrino, Ballotta, Giacomin, Gatti, Matteucci, Tanello, Corbellini, Di Maio, Fazzi, Matteoni, Ulivieri (Pesatori dal 62′) all. Gei
Como: Viganò, Paleari, Melgrati, Ghelfi, Magni, Vannini, Garlaschelli (Trinchero dal 75′), Pozzato, Magistrelli, Pittofrati, Turini all. Neri
Casertana: Porrino, Di Maio, De Luca, Gatti, Matteucci, Tanello, Migliorati, Casisa, Fazzi, Matteoni (Pesatori dal 47′) Corbellini all.Gei
Livorno: Gori, Chesi, Baiardo, Maggini, Bruschini, Calvani, Martini, Zani, Corucci (Pandolfi dal 53′), Zanardello, Badiani all. Balleri
arbitro: Campanini di Finale Emilia
TRENTUNESIMA GIORNATA
Mantova – Casertana 1-0
rete: Toschi
Mantova: Da Pozzo (Recchi dal 64′), Mantovani, Ossola, De Cecco, Masiello, Micheli, Favalli, Panizza, Blasig (Petrini dal 72′), Dell’Angelo, Toschi all. Giagnoni
Casertana: Porrino, Ballotta, De Luca, Gatti, Giacomin, Tanello, Migliorati, Casisa, Fazzi (Corbellini dal 46′), Di Maio, Matteoni all. Gei
arbitro: Bernardis di Trieste
TRENTADUESIMA GIORNATAù
Brescia – Casertana 3-1
reti: De Paoli, Nardoni, Salvi, Migliorati
Brescia: Ernesto Galli, Fanti, Rogora, Turra, Busi, Gasparini, Salvi, Volpi, De Paoli, Simoni, Braglia (Nardoni dal 63′) all.Bassi
Casertana: Porrino, Ballotta, Giacomin, Gatti, Matteucci, Tanello, Migliorati, Casisa, Ulivieri (Corbellini dal 46′), Di Maio, Matteoni all.Gei
arbitro: Reggiani di Bologna
TRENTATREESIMA GIORNATA
Casertana – Modena 3-0
reti: autorete Petraz, Corbellini, Ulivieri
Casertana: Porrino, Labrocca, Ballotta, Gatti, Giacomin, Di Maio, Migliorati, Casisa, Ulivieri, Matteoni, Pesatori (Corbellini dal 50′) all. Gei
Modena: Paolo Conti, Simonini, Lodi, Vellani, Borsari, Petraz, Galli (Balestri dal 53′), Festa, Spelta, Guglielmoni, Ronchi all.Remondini
arbitro: Gussoni di Varese
TRENTAQUATTRESIMA GIORNATA
Bari – Casertana 3-1
reti: Pienti (2), Migliorati, Marmo
Bari: Colombo, Furlanis ( Sega dal 48′), Galli, Muccini, Spimi, Depetrini, Canè, Fara, Busilacchi, Pienti, Marmo all. Toneatto
Casertana: Porrino, Labrocca, Ballotta, Gatti, Giacomin, Di Maio, Migliorati, Casisa, Fazzi, Matteoni, Corbellini all. Gei
arbitro: Acernese di Roma
TRENTACINQUESIMA GIORNATA
Casertana – Massese 0-1
rete: Fichera
Casertana: Porrino, Labrocca, Ballotta, Gatti, Giacomin Di Maio, Migliorati (Ulivieri dal 73′), Casisa, Fazzi, Matteoni, Corbellini all. Gei
Massese: Violo, Oddi, Zana, Palù, Vescovi, Vitali, Devastato, Nimis, Fichera, Del Barba, Albanese all. Pinardi
La storia degli acquisti stranieri delle due squadre genovesi di Serie A è stata spesso tormentata dall’arrivo di quelli che nel gergo venivano chiamati “bidoni”: ciò è avvenuto, nei tempi in cui il mondo era molto meno globalizzato, sia per i tradizionali acquisti sud-americani, sia per quelli di provenienza dal nord Europa (mercato diventato molto di moda dopo la doppia eliminazione dell’Italia dalle Olimpiadi del 1948 e dai Mondiali del 1950 ad opera, rispettivamente, di Danimarca e Svezia).
In realtà per le liguri la storia dei “bidoni” iniziò fin dall’immediato dopoguerra: nell’estate del 1946 sbarcarono, infatti, a Ponte dei Mille portati in Italia dall’ineffabile Pedro Luis Rossi quattro baldi giovanotti destinati alla maglia rosso blu.
Uno dei quattro era un’autentico fuoriclasse: quel Juan Carlos Verdeal del quale si ricorda ancora adesso classe ed estro; gli altri tre, Ortega, Tajoli e Macrì si rivelarono di totale inconsistenza (Tajoli tipico esponente della consuetudine di alterare l’età falsificando i passaporti finì subito al Mantova).
Nell’estate successiva toccò alla Samp subire il contrappasso degli scarti sudamericani: arrivarono Bello, Calichio e Garro, tre giocatori che non lasciarono alcun segno in maglia blucerchiata con la Samp che dovette così ricercare la salvezza fino all’ultima giornata.
L’elenco sarebbe lungo: da Aballay ad Alarcon, rimasti al Genoa dopo la fuga di Boyè (lui sì grande cannoniere), e Marinho Di Pietro capace di giocare una sola partita ma di vincere un derby con un gran goal di tacco sul versante rossoblu (senza dimenticare gli svedesi Tapper, Nilsson e Mellberg protagonisti della seconda retrocessione in Serie B del grifone); sul versante Samp, Josè Curti (anche lui protagonista in un derby vinto 5-1 e poi sparito), lo svedese Gaerd tanto per fare qualche esempio.
Si potrebbe scendere con la storia anche a tempi più moderni citando alla rinfusa Eloi e Catè, Morales e Miura, i tunisini di Scoglio (El Ouer, lo Zoff d’Africa, ecc) oppure gli uruguyani Paz, Perdomo (soprannonimato “Perdemu” con chiamata in causa del suo cane da parte di Boskov).
Interrompiamo a questo punto il flusso disordinato dei ricordi per arrivare a quella che può ben essere definita come “l’estate dei migliori acquisti”).
1956: mercato calcistico in vista del campionato 1956 – 57. Una volta tanto sia dalla parte genoana che da quella sampdoriana arrivarono due fuori classe corrispondenti ai nomi di Julio Cesare Abbadie e Ernst Ocwirk, un uruguayano e un austriaco. Due giocatori che per diverse stagioni illumineranno la gradinata Nord e quella Sud.
Prima di passare al dettaglio delle loro carriere ricordo soltanto la prima occasione nella quale mi è capitato di vederli all’opera.
26 Dicembre 1956 arriva in corso Ricci la Sampdoria: un’amichevole di lusso che dimostra la ritrovata vitalità del calcio savonese. 5.000 spettatori assistono all’esibizione dei blucerchiati illuminati dal nuovo acquisto austriaco Ernest Ocwirk, il più grande giocatore che mai abbia militato nella squadra genovese.
Reti: Ronzon al 1’, Agnoletto al 18’, Tortul 32’, Paganelli (rigore) 82’, Ockwirk 86’ e 88’.
Savona: Cavo, Cavanna, Varicelli, Bruno, Valentino Persenda, Papes, Zilli, Paltrineri (“Lello” maestro del gioco di muro ai Salesiani, postino, centrocampista dai bulloni taglienti con il Savona, l’Albenga e la Villetta, poi prete di strada, vicino ancor’oggi a giovani e diseredati, figura-simbolo dell’impegno sociale a Savona), Vaccari, Paganelli, Traverso.
Sampdoria: Rosin (tra i pali del Savona nella memorabile stagione 1965-66 della promozione in Serie B), Farina, Agostinelli, Martini, Bernasconi, Chiappin, Conti, Ocwirk, Ronzon, Tortul, Agnoletto
Per Giulio Cesare Abbadie:
Sesta Giornata: 13 ottobre 1957
Genoa -Fiorentina 1-3
reti: Abbadie, Montuori, Lojacono, Julinho
Genoa: Gandolfi, De Angelis, Viciani, Leopardi, Bruno, Delfino, Abbadie, Firotto, Corso, Dal Monte, Frignani; all. Magli
Note personali. L’ineffabile Lo Bello nel primo tempo annullò proprio ad Abbadie due goal per due azioni in fuorigioco che adesso sarebbero state senz’altro riviste dal VAR (certo che di risultati falsati da errori arbitrali ne rileveremmo un sacco riguardando i filmati). Nella difesa del Genoa capitò alla fine che Maurizio Bruno (ex e futuro biancoblu nell’anno della promozione in Serie B) marcasse Julinho. Raramente ci è capitato di assistere a una “ciucca” pazzesca come quella di quel giorno: Botelho con la sua finta in corsa mandò almeno tre volte il terzino di Terralba a sbattere contro la griglia come capitava a Vado, ma alle ali marcate da Peluffo o da Sassu (con Tore esperienza diretta). Forse quella di Maurizio su Julinho è paragonabile soltanto (a memoria) a quella inflitta da Gigi Riva (già nel mirino degli osservatori di Juventus e Milan ma opzionato in tribuna dal Cagliari con un vero e proprio colpo di mano) a Valentino Persenda nel famoso Legnano – Savona 1962-63.
JULIO CESAR ABBADIE
Nato a Canelones (Uruguay) nel 1930. Ala destra della Nazionale Uruguyana ai mondiali del 1954, eliminata in semifinale dall’Ungheria (2-4 dopo i tempi supplementari).
Arrivato al Genoa con la stagione 1956 – 57, frenato da una pleurite nell’estate del 1958 poi passato al Lecco: tornato in patria al Penarol ha giocato fino a 40 anni vincendo ancora cinque titoli uruguaiani, la Coppa Libertadores e la Coppa Intercontinentale.
Totale presenze con il Genoa 98 con 25 reti. In campionato 95 presenze e 24 reti, in Coppa Italia 3 presenze 1 rete
Esordio in Serie A
Prima giornata campionato 1956-57
16 settembre 1956
Genoa – Roma 1-1
reti: Carapellese, Nordhal
Genoa: Gandolfi, Frizzi, Becattini, De Angelis, Carlini, Delfino, De Rossi, Dalmonte, Macor, Abbadie, Carapellese all.Magli
Roma: Panetti, Cardoni, Cardarelli, Giuliano, Stucchi, Venturi, Ghiggia, Pestrin, Nordhal, Da Costa, Lojodice all. Sarosi
arbitro: Bonetto di Torino
ERNST OCWIRK
Centrocampista austriaco, nato a Vienna il 7 marzo 1926.
Capitano della nazionale austriaca, selezionato per la rappresentativa europea, soprannominato “Ossi, il genio del Prater”, esordiente in nazionale in un 5-1 inflitto all’Italia nelle cui fila esordiva Giampiero Boniperti (1947). Uno dei giocatori che per classe e carisma ha segnato la storia blucerchiata.
Tra il campionato 1956- 57 e quello 1960 – 61 (cui seguì un affrettato distacco, non colmato dall’arrivo come giocatore di Vujadin Boskov) 163 presenze e 37 reti.
Tornato come allenatore nel campionato 1963 – 64 in panchina 84 partite, con 26 vittorie, 20 pareggi e 38 sconfitte.
Come testimonia l’immagine siamo stati a Superga, in omaggio ai grandi del Torino.
Quei grandi del Torino che sono rimasti nell’immaginario della nostra infanzia: i veri eroi dello sport, quelli che gli dei chiamano a sè quando sono ancora nell’età delle vittorie.
Uno dei due viaggi che si possono fare nel sogno dell’Olimpo dello sport italiano: l’altro, naturalmente, è quello a Castellania.
Siamo stati a Superga per rendere un pensiero alla storia del calcio italiano, quella storia che ha riempito per tanti anni il nostro immaginario senza farne una questione di scelta di colori o di preferenza di campioni: non per sembrare neutri ad ogni costo perchè ogni passione si alimenta del “proprio” mito ma soprattutto in omaggio della giovinezza della nostra generazione.
Quelle generazioni che hanno sfiorato la guerra e per le quali la caduta del grande Torino aveva segnato il tuffo nella consapevolezza di essere parte di quella storia, di esserne stati protagonisti e non soltanto di averne assistito ai diversi episodi, vittorie o sconfitte, polveri o altari.
Lo abbiamo voluto fare proprio per cercare nella memoria di quelle vicende lontane un poco della nostra identità che stiamo sentendo come perduta.
Ormai la reazione della massa alla vittoria o alla sconfitta è reazione inconsulta: prima di tutto si cerca il dileggio dell’avversario, l’insulto gratuito prima ancora della legittima esultanza per il proprio successo.
Ciò avviene soprattutto grazie alla miseria di esempi che dovrebbero arrivare per così dire dall’alto, da modelli che riempono le giornate degli altri con la vanità da schermo: campioni per finta, ciascuno nel loro campo.
Il calcio è cambiato profondamente nel corso di questi anni: anzi è uno sport ormai stravolto da presunte esigenze di spettacolo che pure ci sono sempre state e da un utilizzo improprio della tecnologia, in ispecie quella televisiva al riguardo della quale anche quella parte di pubblico che dovrebbe dimostrare maggiore sensibilità si acconcia supina alla propria comodità dell’evitare un pensiero.
Nel frattempo si sta abbassando la qualità tecnica e agonistica e il tutto rimane ricoperto dalla forza di una violenza fisica e verbale che passa dal campo agli spalti ai salotti alla vita quotidiana.
Siamo stati più volte tentati di proclamare una sorta di “fine della storia”, di fissare un limes immaginario e di dire “basta”.
Non ci siamo riusciti e non ci riusciremo: continueramo a scavare nel passato per cercare comunque le radici di questo difficile presente.
Così l’immagine di Superga vista ancora una volta da vicino ci ha richiamato al “dovere della storia” e la cantilena della formazioni passate ha nuovamente ricominciato a ronzarci nella testa a partire da quella dalla quale eravamo partiti tanti anni fa nel viaggio ancora non concluso di immersione nell’immaginario calcistico: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola.
Federico Buffoni e Alfredo Marchesini, due giornalisti le cui firme hanno impreziosito le cronache sportive del Corriere del pomeriggio e della Gazzetta del lunedì, i settimanali per decenni su cui si sono abbeverati migliaia di tifosi liguri da Sarzana a Ventimiglia dalla Serie A ai dilettanti di ogni ordine grado. In viaggio con Federico, questa volta, Alfredo Marchesini, inviato speciale tra i più apprezzati. Il suo racconto ce lo riporta con affetto e precisione cronistica senza far mancare un aneddoto degno di quei tempi, quando i giornalisti oltre a macchina per scrivere, biro, taccuini e gettoni telefonici avevano in dotazione l’orario ferroviario.
Viaggiare con Alfredo Marchesini era un piacere silenzioso. Silenzioso come era lui, persona sensibile, rispettosissimo di tutti, poco amante delle chiacchiere, preciso, scrupoloso, attento nelle sue cronache calcistiche, nelle quali sapeva cogliere dettagli di autentico intenditore qual era: un giornalista di razza. Il tutto esposto in un italiano impeccabile per quanto lui era padrone di un lessico vasto e sempre usato seguendo quel che dovrebbe essere uno dei primi comandamenti dei giornalisti: la parola giusta al posto giusto.
Quanto alla sua educata e spontanea timidezza, rammento un episodio sintomatico. Dobbiamo rientrare da Cesena, il lunedì mattina al sorgere del sole, e stiamo aspettando un treno da Bari che ci porti a Bologna per prendere la coincidenza per Genova. Stazione deserta, e il capostazione ci avverte: “il vostro treno ha un’ora di ritardo, troppo per arrivare a Bologna in tempo per il vostro trasbordo”. Alfredo tace rassegnato. Io chiedo se non c’è un altro treno …. potabile. E il capo mi precisa che ci sarebbe un rapido, ma a Cesena non ferma. “A meno che lei non gli metta un semaforo rosso per pochi secondi di sosta, quanto basta perché noi ci saltiamo sopra….” Marchesini è allibito e arrossisce per la mia trasgressiva proposta. Invece il capostazione tentenna un po’ ma poi acconsente : “Non dovrei, ma se fate in fretta a salire …. a bordo a quest’ora dormono tutti, qui non c’è nessuno, in fondo commetto un peccato veniale”, conclude ridendo con la schiettezza dei romagnoli. Lo dice e lo fa: il rapido si ferma, all’epoca (metà Anni Settanta) non ci sono porte automatiche o bloccate dal macchinista, così saltiamo a bordo in dieci secondi, il capostazione ci chiude la porta alle spalle e il semaforo da rosso è già verde. “Hai la faccia buona”, mi dice Alfredo con un sorriso soddisfatto del risultato. E non capisco se è per la gioia di non perdere la coincidenza bolognese o per un po’ di invidia della disinvoltura con cui ho osato chiedere di fermare un rapido.
Certo, viaggiare con lui significava doversi portare un libro, come spesso faceva lui. Oppure godersi il panorama dal finestrino e lasciar correre fantasia e qualche riflessione in libertà: in fondo, sempre meglio che analizzare per la centesima volta quanto sia utile Tizio a Caio al gioco dei rossoblù o dei blucerchiati, argomenti d’obbligo, di solito, in quelle circostanze.
Rammento un altro viaggio, lungo e non abituale, fatto con lui. Rientriamo da Foggia ma attraversando l’Irpinia perché io ho un impegno che mi attende a Roma e devo cambiare mare, dall’Adriatico a Tirreno. Alfredo decide di rientrare con me su quell’itinerario inconsueto. Perché lui, alla fin fine, è ben contento di viaggiare in compagnia, pur non essendo un grande conversatore.
Perciò mi preparo a vedere una parte d’Italia che non conosco. E a scoprire meravigliandomi un mondo “ferroviario” che sembra tolto dai modellini Rivarossi e invece esiste e sopravvive ancora sulle linee tortuose e non adatte alla velocità. Il nostro treno si chiama “rapido”, ma al traino ha un locomotore E 636, con marce demoltiplicate per le salite, e infatti è un mezzo che dappertutto tira prevalentemente pesanti convogli merci. La composizione comprende soltanto due carrozze: una di seconda classe “centoporte” (panchette biposto, di legno) e l’altra, tipologia analoga ma finestroni larghi sul lato corridoio dei soli due scompartimenti chiusi di prima classe. Il nostro vano è persino artistico, ha il gusto estetico delle più antiche vetture per i “signori”: ricco velluto verdolino, braccioli larghissimi, tende ricamate e fresche di bucato, lampadari di ottone, poltrone come troni regali. E’ inverno, e il riscaldamento a termosifoni funziona a meraviglia, garantito dal vagoncino con le stufe attaccato a ridosso del locomotore. In coda (orrore!) ci trasciniamo un carro merci a sponde basse, carico di pietrisco: una cosa ai miei occhi incredibile. Noi, però, stiamo viaggiando in pieno comfort e ….. in stile Belle époque.
Anche al di là del vetro compare un altro mondo, davvero tutto un altro mondo. Qui il tempo si è fermato, nel suo splendore di panorami intatti, innevati sotto il sole e senza anima viva in giro: solo comignoli fumanti, casette da favola con pani di neve sul tetto come nei cartoni animati. Spicca, in questa immobile magia bianca, una donnina tutta in nero, che sta rientrando in casa con un fascetto di legna sotto l’ascella, pronta ad alimentare il fuoco del camino. E’ quasi mezzogiorno, e cambierei volentieri i panini con provola che ho con me con la polenta o la minestra che certamente sta preparando lei. Poche frasi su questi temi le scambio con Alfredo, immerso nella lettura di un quotidiano sportivo. Così sono solo i miei pensieri a volare. E strane, inconsuete emozioni fanno capolino, mescolate a sentimenti e contraddizioni. Ho il desiderio sincero che quella donnina in nero sia felice. Del suo mondo intatto lei dovrebbe essere fiera, anche se certamente non è così, nella sua guerra quotidiana contro il freddo, la povertà e mille disagi. Lei sta vivendo una favola, ma non ha né forza fisica né motivazioni per accorgersene e rallegrarsene. Però, nella favola, lei c’è. Lei. Non noi metropolitani, che se in coda ai treni “rapidi” c’è un vagone di pietrisco scateniamo un’interrogazione parlamentare. Perché noi ci facciamo un fegato così, su certe cose. E la donnina nera sulla neve d’Irpinia, invece, non conosce né la parola stress né i suoi effetti.
Curve viadotti, saliscendi, gallerie. Fuori da ogni tunnel, si apre il sipario su un altro scenario mozzafiato, la natura non ancora violentata da noi, mi sta regalando il suo show. Per me è una prima visione, mi rapisce, non sento nemmeno la fame, e il pane con la provola lo mangerò più tardi. Non so se compiacermi come mezz’ora fa dei tiepidi divani, o invece sperare per un istante di affondare i piedi nella neve-bambagia e poi chiedere un posto a tavola per una minestra di cavoli neri. Sto per esternare questi miei pensieri ad Alfredo, ma solo l’ipotesi di come reagirebbe (e con ragione) mi fa tornare alla realtà. Sarei pazzo a proporgli questa mia immaginaria alternativa, stavolta sarebbe lui a far fermare il treno per chiamarmi un’ambulanza. Perciò gli propongo invece di azzannare i nostri sostitutivi del pranzo, un morso ai panini e un commento sulla partita. Tengo per me i fermo-immagine di un mondo che non pensavo esistesse ancora e che (stavolta sì grazie a una partita di pallone e alla sobria compagnia di uno dei colleghi più amabili e meno chiacchieroni che abbia conosciuto) ho scoperto e conservo tuttora negli occhi e nel cuore.
Il Milan ha conquistato il diciannovesimo scudetto al termine della stagione 2021-2022 concudendo favorevolmente un duello tutto “milanese” come non capitava da tanto tempo nella storia del calcio italiano.
Di seguito il dettaglio dei campionati vinti dalla compagine rossonera.
Inutile sottolineare il gran numero di campioni che hanno vestito questa maglia : basterà scrivere che si tratta davvero del “Gotha” del calcio mondiale, fin dal tempo dei pionieri. Nel 1901 infatti la squadra milanista fu la prima ad interrompere quello che sembrava il potere inarrestabile del Genoa, fino a quel punto dominatore del campionato.
Formazione: Trerè II, Kilpin, Meschia, Boshard, Gigg, Heuberger, Pedroni, Rizzo, Colombo I, Colombo II, Trerè I
1907
Girone Finale: Milan 6, Torino 5, Andrea Doria 1
Formazione: Radice, Meschia, Muda I, Boshard, Trerè II, Piazza, Trerè I, Kilpin, Widmer, Inhoff, Muller
1950-51
Classifica finale: Milan 60, Inter 58, Juventus 54, Lazio 46, Fiorentina 44, Napioli 41, Bologna 41, Como 40, Udinese 35, Palermo 34, Pro Patria 34, Sampdoria 33, Novara 33, Atalanta 32, Lucchese 30, Triestina 30, Torino 30, Padova 29, Roma 28, Genoa 27
Formazione: Buffon, Silvestri, Bonomi, Annovazzi, Tognon, De Grandi, Burini, Gren, Nordhal, Liedholm, Renosto (Foglia, Santagonistino, Vicariotto) all. Czeizler
1954-55:
Classifica finale: Milan 48. Udinese 44, Roma 41, Bologna 40, Fiorentina 39, Napoli 38, Juventus 37, Sampdoria 34, Inter 34, Torino 34, Genoa 31, Catania 30, Lazio 30, Triestina 30, Atalanta 28, Novara 28, Spal 23, Pro Patria 21
Classifica finale: Milan 46, Napoli 37, Juventus 36, Fiorentina 35, Inter 33, Bologna 33, Torino 32, Varese 32, Cagliari 31, Sampdoria 27, Roma 27, Lanerossi Vicenza 25, Atalanta 25, Spal 22, Brescia 22, Mantova 17
Formazione Cudicini, Anquilletti, Schnellinger, Malatrasi, Rosato, Trapattoni, Hamrin, Lodetti, Sormani, Rivera, Prati (Vecchi, Scala, Rognoni) all. Rocco
1978-79
Classifica: Milan 44, Perugia 41, Juvnetus 37, Inter 36, Torino 36, Napoli 32, Fiorentina 32, Lazio 29, Catanzaro 28, Ascoli 26, Avellino 26, Roma 26, Bologna 24, Lanerossi Vicenza 24, Atalanta 24, Verona 15
Formazione Albertosi, Bet, Maldera, De Vecchi, Collovati, Baresi, Buriani, Bigon, Novellino, Rivera, Antonelli (Giorgio Morini, Boldini, Capello) all. Liedholm
1987-88
Classifica finale: Milan 45, Napoli 42, Roma 38, Sampdoria 37, Inter 32, Juventus 31, Torino 31, Fiorentina 28, Cesena 26, Verona 25, Como 25, Ascoli 24, Pisa 24, Pescara 24, Avellino 23, Empoli 25
Formazione: Giovanni Galli, Tassotti, Maldini, Ancelotti, Costacurta, Baresi, Donadoni, Gullit, Massaro, Virdis, Evani ( Filippo Galli, Colombo, Bortolazzi; Van Basten) all. Sacchi
1991-92
Classifica finale: Milan 56, Juventus 48, Torino 43, Napoli 42, Roma 40, Sampdoria 38, Parma 38, Inter 37, Foggia 35, Lazio 34, Atalanta 34, Fiorentina 32, Cagliari 29, Genoa 29, Bari 22, Verona 21, Cremonese 20, Ascoli 14
Formazione Sebastiano Rossi, Tassotti, Maldini, Albertini, Costacurta, Baresi, Donadoni, Rijkaard, Van Basten, Gullit, Massaro ( Evani, Fuser, Simone, Ancelotti) all, Capello
1992-93
Classifica finale: Milan 50, Inter 46, parma 41, Juventus 39, lazio 38, cagliari 37, Sampdoria 36, Atalanta 36, Torino 35, Roma 33, Napoli 32, Foggia 32, Genoa 31, Udinese 30, Brescia 30, Fiorentina 30, Ancona 19, Pescara 17
La Sampdoria di Coppa Campioni: da sinistra, in piedi, Katanec, Pagliuca, l’attuale presidente Marco Lanna, Lombardo, Cerezo, Mancini; accosciati: Vierchwood, Mannini, Bonetti, Vialli, Pari
Esattamente trent’anni fa, il 20 maggio 1992, si disputava l’ultima finale della “storica” Coppa dei Campioni che dalla stagione successiva sarebbe stata trasformata nell’attuale “Champions League”.
Il torneo vide per la prima volta dopo oltre trent’anni un cambio a livello di formula che farà da apripista al rinnovamento della manifestazione avvenuto nella stagione successiva: per aumentare il numero di gare giocate (pecunia non olet), i quarti di finale e le semifinali furono rimpiazzati da due gironi all’italiana in cui le prime classificate si sarebbero qualificate in finale.
Il Barcellona di Johan Cruyff esordì contro i tedeschi dell’Hansa Rostock, squadra campione della Germania dell’Est sebbene dal 3 ottobre 1990 la Germania fosse stata riunificata, superando il turno con un risultato complessivo di 3-1. Agli ottavi di finale gli azulgrana affrontarono nuovamente una squadra teutonica, il Kaiserslauterncampione di Germania Ovest, eliminandoli solo in virtù della regola dei gol fuori casa grazie a una rete allo scadere di José Mari Bakero al Fritz-Walter-Stadion. Il Barça fu inserito nel gruppo B insieme ai cecoslovacchi dello Sparta Praga, i portoghesi del Benfica e gli ucraini della Dinamo Kiev, qualificati come campioni sovietici. I catalani totalizzarono nove punti, frutto di quattro vittorie, un pareggio e una sola sconfitta, raggiungendo la finale di Londra.
La Sampdoria di Vujadin Boškov, campione d’Italia ed esordiente nella competizione, iniziò il cammino europeo contro i norvegesi del Rosenborg, vincendo sia all’andata che al ritorno rispettivamente coi risultati di 5-0 e 2-1. Agli ottavi di finale gli ungheresi della Honvéd riuscirono ad avere la meglio in casa, battendo i blucerchiati per 2-1, ma nulla poterono nel ritorno di Marassi dove furono sconfitti per 3-1. La Samp fu inserita nel gruppo A insieme agli jugoslavi campioni in carica della Stella Rossa, i belgi dell’Anderlecht e i greci del Panathīnaïkos. I genovesi totalizzarono otto punti, frutto di tre vittorie, due pareggi e una sconfitta, raggiungendo la finale di Wembley.
A Londra, dopo la finale di Coppa delle Coppe di tre anni prima, si sfidano nuovamente il Barcellona, campione di Spagna, e la Sampdoria. La partita è piacevole, coi catalani che tengono il pallino del gioco mentre i liguri si affidano per lo più ai lanci lunghi, che spesso colgono impreparata la difesa avversaria. I tempi regolamentari terminano a reti inviolate: il centravanti blucerchiato Gianluca Vialli incappa infatti in una serata di scarsa vena, fallendo due occasioni da gol, mentre i due portieri, il doriano Gianluca Pagliuca e l’azulgranaAndoni Zubizarreta, si producono in una serie di interventi decisivi.
A nove minuti dal termine dell’overtime viene assegnato al Barcellona un calcio di punizione dal limite, dopo un contrasto tra Ged Eusebio Sacristán.
il difensore Ronald Koeman si incarica della battuta e trafigge Pagliuca con un potente destro che dà il via alla festa catalana. Dopo il triplice fischio i giocatori del Barcellona si svestono della seconda casacca arancione utilizzata per la finale e indossano la classica blaugrana per farsi immortalare col trofeo.
Londra Wembley
20 maggio 1992
Barcellona – Sampdoria 1-0 dopo i tempi supplementari