di FRANCO ASTENGO
Fin dai primordi il pane della scienza calcistica in Italia è stato spezzato da allenatore stranieri. Spensley a Genova, Kilpin a Milano funzionarono da apripista per una lunga serie di trainer (oggi appellati “mister” dalla scuola calcio alla Serie A) provenienti da Oltralpe e in particolare da Gran Bretagna e Ungheria: considerate come le scuole più avanzate fin dalle origini del gioco.
Garbutt al Genoa fu il primo allenatore professionista a trasferirsi nel nostro Paese e, con intervalli dovuto alle guerre, vi rimase fino alla soglia degli anni ’50 allenando non soltanto il Grifone ma anche la Roma e il Napoli.
Gli ungheresi a partire dagli anni ’20 furono moltissimi, basti pensare alla storia del Savona Fbc sulla cui panchina (anzi ai bordi del campo, la panchina per gli allenatori fu una invenzione successiva) si sedettero Payer, Dimeni, Hajos, il grande Giorgy Orth e financo all’inizio degli anni ’60 Imre Zilizy direttore tecnico con Felice Pelizzari allenatore.
In questo senso facciamo un punto fermo osservando gli allenatori delle squadre di Serie A per la stagione 1938 – 39, quella immediatamente successiva al secondo trionfo mondiale consecutivo degli azzurri che nella finale di Parigi avevano liquidato l’Ungheria per 4-2. Ormai la scuola italiana appariva celebrata in tutto il mondo e il regime fascista attribuì quei successi al cosiddetto “spirito fascista” (riprendendo proprio le parole scritte da Emilio De Martino e apparse sul primo volume della serie degli Almanacchi del Calcio curato da Leone Boccali). Un eccesso nazionalista che dimenticava l’utilizzo degli “oriundi” e la presenza in Italia di tantissimi allenatori stranieri.
Nella stagione 1938-’39, quella successiva al trionfo francese, infatti, l’Inter era allenata dal tedesco Cargnelli, il Bari dall’ungherese Ging, il Bologna dall’austriaco Felsner, il Genoa dal “decano” inglese Garbutt, la Lazio dall’ungherese Viola, il Livorno dall’ungherese Lelovich, il Milan dall’ungherese Banas, il Napoli dall’ungherese Payer, il Torino dall’ungherese Egri-Erbstein, la Triestina dall’ungherese Nehadoma. Di italiani ad allenare in Serie A c’erano soltanto Rosetta alla Juventus, Baloncieri alla Sampierdarenese, Caligaris (quello del leggendario trio bianconero con Combi e Rosetta) al Modena, Mattea al Novara e Bonino alla Lucchese.
Oggi, campionato 2017 – 2018, la situazione appare completamente ribaltata.
Gli allenatori stranieri sono soltanto due, Juric al Genoa e Mihailovic al Torino, mentre tutti gli altri allenatori di Serie A sono italiani. Tra l’altro sia Juric sia Mihailovic hanno compiuto la gran parte della loro carriera di calciatori e pressoché interamente quella di allenatori in Italia (il torinista Sinisa ha diretto per un certo periodo e senza grandi risultati la nazionale serba).
Contrariamente al 1938 ci troviamo oggi di fronte ad una affermazione di “scuola”, tanto più che diversi allenatori italiani siedono su importanti panchine all’estero come ad esempio Carlo Ancellotti al Bayern (dopo aver vinto trofei in tutta Europa) e l’ex c.t. della nazionale Conte al Chelsea (inoltre da rimarcare l’invasione italiana del campionato cinese dove si trovano a fare incetta di milioni di euro Lippi, Capello, Cannavaro).
Per ricordare comunque il grande contributo degli allenatori stranieri alla crescita del calcio italiano abbiamo stilato la graduatoria di quelli che abbiamo ritenuto (probabilmente a torto) i migliori.
Sono esclusi da questo opinabile elenco i già citati per quel che riguardava il campionato 1938: vi si trovano personaggi mitici come il già citato Garbutt oppure Egri – Erbstein, caduto a Superga con il grande Torino, ma non disponiamo degli elementi di conoscenza sufficiente nei loro riguardi per includerli in una qualche posizione di graduatoria. Sarà sufficiente il ricordo delle loro gesta.
Questa la nostra graduatoria.
1) Helenio Herrera
Helenio Herrera Gavilán (Buenos Aires, 10 aprile 1910 – Venezia, 9 novembre 1997) è stato un calciatore e allenatore di calcio argentino naturalizzato francese, di ruolo difensore.
Helenio Herrera con Armando Picchi. C’è chi sostiene che ad Herrera toccassero i compiti di preparatore atletico e di “motivatore” (celebri i suoi cartelli negli spogliatoi) ma che la formazione fossa composta da una commissione interna e che la tattica fosse di competenza proprio di Picchi, compresi gli adattamenti in corso d’opera (all’epoca non c’erano sostituzioni) come il cambio di marcature, ecc.
Soprannominato il Mago, è considerato uno dei migliori allenatori della storia del calcio, in virtù dei numerosi titoli conseguiti sia a livello nazionale che internazionale soprattutto durante gli anni cinquanta e sessanta. Dopo una modesta carriera da calciatore (vinse solo una Coppa di Francia con il Red Star nel 1942), si è affermato come tecnico di successo dapprima all’Atlético Madrid con il quale ha vinto due campionati spagnoliconsecutivi tra il 1949 e il 1952, e in seguito al Barcellona, dove è rimasto dal 1958 al 1960 conquistando altri due campionati spagnoli, una Coppa di Spagna e una Coppa delle Fiere.
Nel 1960 è stato ingaggiato dall’Inter, su espressa indicazione del presidente Angelo Moratti che ne era rimasto ben impressionato dopo averlo affrontato proprio in Coppa delle Fiere. Da allenatore nerazzurro ha conquistato tre campionati italiani nonché due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali – in entrambi i casi consecutive – tra il 1963 e il 1966, affermandosi nel contempo come uno degli allenatori più iconici del tempo (celebri alcuni degli slogan da lui utilizzati per motivare i suoi calciatori). Terminata l’esperienza con l’Inter nel 1968, si è trasferito alla Roma, dove dal 1968 al 1973 ha vinto una Coppa Italia e unaCoppa Anglo-Italiana. La breve parentesi all’Inter (1973) e il ritorno al Barcellona (con la vittoria di un’altra Coppa di Spagna nel 1981) ne hanno sancito la fine dell’esperienza in panchina.
2) Vujadin Boskov
Boškov nacque nel 1931 a Begeč, villaggio a una quindicina di chilometri da Novi Sad, nella provincia di Voivodina, all’epoca parte della Jugoslavia. Durante la sua carriera si distinse per le sue frasi sintetiche, ironiche e a volte lapalissiane, aforismi entrati nella cultura generale del mondo calcistico – soprattutto italiano – anche come veri e propri tormentoni (“Rigore è quando arbitro fischia”; “Gullit è come cervo uscito di foresta”). Morì il 27 aprile 2014, all’età di ottantadue anni,
Nel 1971, a soli quarant’anni fu chiamato ad allenare la nazionale jugoslava: alle qualificazioni al campionato europeo di calcio 1972. I blu vinsero il proprio girone sopravanzando i quotati Paesi Bassi del calcio totale, la Germania Est e il Lussemburgo, ma furono sconfitti ai play-off dall’Unione Sovietica. Nel 1973 Boškov lascerà poi il suo Paese per dissapori con il regime di Tito.
Si trasferì nei Paesi Bassi dove prese la guida del Den Haag. Con i “cigni vinse la Coppa d’Olanda 1974-1975, battendo in finale il Twente; nella stagione successiva raggiunse i quarti di finale della Coppa delle Coppe, venendo eliminato dagl’inglesi del West Ham. A fine anno passò al Feyenoord. Con la squadra di Rotterdam raggiunse i quarti della Coppa UEFA, concludendo il campionato in quarta posizione, mentre nell’annata seguente il club non andò oltre il decimo posto. Nei Paesi Bassi fu accolto con grande affetto, ma dovette lasciare anche questa nazione a causa di una nuova legge sugli extracomunitari.
Boškov di ritorno alla Samp negli anni ottanta come allenatore, dopo aver indossato il blucerchiato come giocatore nella stagione 1961 – 62. Qui con Briegel e Cerezo
Iniziò quindi una nuova avventura in Spagna, sulle panchine di Real Zaragoza, Real Madrid (conquistando una finale di Coppa dei Campioni, un campionato e due Coppe di Spagna) e Sporting Gijon, cui seguì la lunga esperienza in Italia, dove lavorò per Ascoli, Sampdoria, Roma (dove fece esordire Francesco Totti, Napoli e Perugia, con un fugace intermezzo in Svizzera nel Servette Genève.
Nel calcio italiano – dove fu anche docente alla scuola per tecnici e allenatori di Coverciano, sotto la direzione di Italo Allodi – il suo nome è legato soprattutto allo scudetto conquistato dai blucerchiati nella stagione1990-1991: in generale, il periodo di Boškov sotto la Lanterna, tra la seconda metà degli anni ottanta e i primi anni novanta, ha costituito uno storico ciclo di esperienze e vittorie per la squadra ligure.
Da allenatore riuscì a raggiungere due volte la finale di Coppa dei Campioni, con il Real Madrid (1981) e undici anni dopo con la Sampdoria (1992) venendo sconfitto in entrambe le occasioni per 1-0 (dal Liverpool e dalBarcellona).
3) Josè Mourinho
José Mário dos Santos Mourinho Félix, noto semplicemente come José Mourinho Setúbal, 26 gennaio 1963), è un allenatore di calcio ed ex calciatore portoghese, tecnico del Manchester United.
Josè Mourinho all’Old Trafford dopo i fasti con Porto, Chelsea, Inter e Real
Uno dei migliori allenatori della sua generazione, è soprannominato The Special One (come lui stesso si era definito durante la conferenza stampa di presentazione al Chelsea). Conclusa una modesta carriera da calciatore, ha intrapreso quella di allenatore dapprima come assistente in Portogallo e in Spagna (al Barcellona come vice di Bobby Robson) e poi come allenatore in prima di Benfica e União Leiria. La sua ascesa si concretizza con il trasferimento al Porto, dove in due stagioni e mezza vince due campionati (2003 e 2004), una Coppa (2003) e una Supercoppa nazionale (2003) ma soprattutto una Coppa UEFA (2003) e unaUEFA Champions League (2004).
Nel 2004 viene chiamato alla guida del Chelsea, con il quale conquista due Premier League (2005 e 2006), due Coppe di Lega (2005 e 2007), una Coppa d’Inghilterra (2006-2007) e un Community Shield (2005). Dopo aver rescisso il suo contratto con il club inglese nel 2007, firma con l’Inter dove in due stagioni vince due campionati (2009 e 2010), una Coppa Italia (2010), una Supercoppa italiana (2008) nonché una Uefa Champions League (2010), riportando i nerazzurri alla conquista del massimo trofeo continentale a quarantacinque anni di distanza dall’ultima volta. Conclusa l’esperienza in Italia, si trasferisce dapprima in Spagna per guidare il Real Madrid, con il quale conquista un campionato (2012), una Coppa del Re (2011) e una Supercoppa nazionale (2012), e poi in Inghilterra, nuovamente al Chelsea dove, pur con qualche flessione, vince un’altra Premier League (2015) e un’altra Coppa di Lega (2015). Dalla stagione 2016-2017, è il nuovo allenatore del Manchester United, con il quale conquista un Community Shield (2016), una Coppa di Lega (2017) ed una UEFA Europa League (2017).
Mourinho può vantarsi di essere nella stretta cerchia di allenatori capaci di vincere il titolo in quattro Paesi diversi (nel suo caso Portogallo, Inghilterra, Italia e Spagna). Inoltre è uno dei cinque allenatori, insieme adErnst Happel, Ottmar Hitzfeld, Jupp Heynckes e Carlo Ancelotti, ad aver vinto la Uefa Champions League con due squadre diverse (con il Porto e con l’Inter).
Mourinho è inoltre l’unico allenatore ad aver vinto due volte sia la Champions League che l’Europa League e ad aver vinto almeno un titolo di campionato in Inghilterra, in Italia ed in Spagna (suo grande obbiettivo personale). In Supercoppa Europea, ha perso tre finali alla guida di tre squadre diverse (Porto nel 2003, Chelsea nel 2013, Manchester United nel 2017).
4) Nils Liedholm
Nils Erik Liedholm (Valdemarsvik, 8 ottobre 1922 – Cuccaro Monferrato, 5 novembre 2007) è stato un allenatore di calcio e calciatore svedese, di ruolo centrocampista. Soprannominato “il Barone”, nella sua carriera da calciatore ha segnato ufficialmente 139 goal costituendo con i connazionali Nordhal e Gren il celebre trio Gre-No-Li nel Milan e nella nazionale svedese, con la quale ha vinto le Olimpiadi di Londra del 1948 ed è arrivato in finale ai mondiali giocati proprio in Svezia nel 1958. Finale persa 5-2 dal Brasile, dopo che lo stesso Liedholm aveva portato in vantaggio i gialloblu svedesi.
Nel 1961, dopo aver smesso di giocare all’età di trentanove anni, il Barone iniziò una brillante carriera di allenatore. Le squadre da lui allenate furono il Milan, il Verona (con cui ottenne la promozione in Serie A), ilMonza, il Varese, con altra promozione in Serie A, la Fiorentina (con cui perse una finale di Coppa Mitropa e una finale di Coppa Anglo-Italiana) e la Roma . Da allenatore vinse due volte iil campionato con il Milan nel1979 e con la Roma nel 1983. Con la Roma arrivò in finale nella Coppa dei Campioni 1983-1984, perdendo in finale contro il Liverpool ai rigori, all’Olimpico di Roma.
Come allenatore, fu in Italia fra i primi ad adottare con sistematicità la disposizione difensiva a zona, sui modelli delle nazionali olandese e brasiliana.
Liedholm all’esordio sulla panchina della Roma nella stagione 1973-1974
Apprezzato tanto per le sue qualità di calciatore e allenatore quanto per la signorilità che ne contraddistingueva i modi, in campo come fuori, la Svezia ha dedicato a Liedholm un francobollo, per ricordare quello che secondo un sondaggio effettuato nel 1999 dal più diffuso quotidiano svedese è stato il più importante calciatore della sua storia. Liedholm fu inoltre raffigurato sulla copertina del primo album Calciatori Panini.
5) Lajos Czeizler
Lajos Czeizler (Heves, 5 ottobre 1893 – Budapest, 7 maggio 1969) è stato un calciatore e allenatore di calcio ungherese, che durante la sua carriera, estesasi per più di quaranta anni, conquistò tre campionati nazionali in altrettanti stati. Poliglotta, fu un tecnico dallo stile di gioco offensivo. Czeizler cominciò la carriera da allenatore con i polacchi dell’ŁKS nel 1923, lanciando giovani calciatori come Antoni Gałecki, Romuald Feja e Roman Jańczyk, i quali sono annoverati tra i maggiormente importanti nella storia del club. Giunse in seguito al calcio italiano, nella Seconda divisione, dove assunse la guida prima dell’Udinese nel 1927-1928, e poi del Faenza dal 1928 al 1930, chiudendo la stagione d’esordio a metà classifica e quella seguente con una salvezza ottenuta solo all’ultima giornata. Sempre nello stesso Paese si occupò, per una sola stagione 1930-1931, delle squadre giovanili della Lazio.
Tra il 1942 e il 1948 aprì un ciclo di vittorie all’IFK Norrköping, durante il quale la squadra ottenne cinque campionati e due coppe nazionali. Czeizler cambiò inoltre il modo di giocare, introducendo nel movimento svedese, che sulla scorta della scuola inglese si basava sulla forza fisica e i lanci lunghi, elementi tipici dello stile magiaro, dando luogo a un calcio totale ante litteram.
Czeizler, commissario tecnico dell’Italia nel 1954, assieme a Boniperti e Frignani
Nel 1949 tornò in Italia chiamato dal Milan, portando con sé dal precedente club Gunnar Nordahl e Nils Liedholm, qi uali assieme all’altro svedese Gunnar Gren costituirono il trio Gre-No-Li. Quell’anno, per l’importante partita contro la Juventus, dopo la sconfitta casalinga per 0-1 nel girone d’andata, optò per una preparazione particolare, consistente nel far svolgere ai giocatori degli allenamenti molto duri durante la prima parte della settimana e nel lasciarli a riposo nei giorni rimanenti; il Milan vinse la gara per 7-1 (Nordahl ridicolizzò Carlo Parola), chiudendo tuttavia il campionato proprio alle spalle degli avversari. Del resto, quello non fu l’unico punteggio eclatante determinato dal calcio spiccatamente offensivo voluto dal tecnico durante la sua gestione triennale: si ricorda anche un 9-0 contro il Palermo e un 9-2 contro il Novara, ma anche una sconfitta per un pirotecnico 5-6 nella stracittadina contro l’Inter.
Con la società milanese, Czeizler colse la vittoria più prestigiosa con lo scudetto del 1950-1951. A detto trionfo la squadra abbinò anche, nello stesso anno, la Coppa Latina.
Ciò nonostante, secondo il critico sportivo Gianni Brera il Milan avrebbe potuto vincere altri due scudetti «se appena si fosse ricordato di onorare la difesa».
Nel 1952 Czeizler passò al Padova come direttore tecnico, in una stagione che vide avvicendarsi gli allenatori Rava e Antonini e si concluse con il suo licenziamento.
Nel biennio 1953-1954 fu inoltre il secondo commissario tecnico straniero della Nazionale italiana (quarant’anni dopo Goodley), allorché diresse un gruppo di giocatori molto diviso al campionato del mondo 1954 in Svizzera, venendo sollevato dall’incarico dopo l’eliminazione occorsa già nel girone iniziale, nonostante la vittoria 4-1 dell’Italia sul Belgio, per mano della Svizzera (decisivi gli errori arbitrali del brasiliano Viana ); nella circostanza gli vennero rimproverate alcune scelte e dubbi tattici,
Guidò poi la Sampdoria fino al 1957, venendo in seguito ingaggiato dalla Fiorentina con cui rimase due stagioni, durante le quali ebbe il merito di lanciare il giovane difensore Sergio Castelletti, reimpostando il terzino Enzo Robotti come stopper.
Sempre per la stessa squadra, nel 1960 ricoprì il ruolo di tecnico ad interim fino a novembre, quando lo sostituì il connazionale Nándor Hidegkuti che vinse poi a fine stagione la Coppa Italia e la Coppa delle Coppe.
Chiuse la carriera in Portogallo, al Benfica, che nell’annata 1963-1964 portò al successo sia in campionato sia nella Coppa di Portogallo, schierando per la prima volta la squadra lusitana con una difesa composta da quattro giocatori.
6) Mircea Lucescu
Mircea Lucescu (Bucarest, 29 luglio 1945) è un allenatore di calcio ed ex calciatore rumeno ct della Nazionale turca.
Allenatore dal 1979, ha guidato per un anno il Corvinul Hunedoara (team con il quale chiuderà la carriera agonistica nel 1982, per qualche tempo fu impiegato nell’innovativa veste di giocatore-allenatore) per poi dirigere la Nazionale dal 1981 al 1986, e ancora la Dinamo Bucarest fino al 1990, vincendo la coppa nazionale nel 1986 e ottenendo il double campionato-coppa nel 1990.
Lucescu alla guida del Brescia nel 1992
Nel 1990 approda in Italia come direttore tecnico del Pisa. Il 10 marzo 1991, dopo una sconfitta con il Cagliari, viene sollevato dall’incarico. Dalla stagione successiva è direttore tecnico del Brescia in serie B. Il primo anno con le Rondinelle si piazza primo posto in campionato ottenendo l’accesso diretto in Serie A e nella Coppa Italia viene eliminato al secondo turno dal Milan. Il secondo anno arriva quindicesimo in campionato ma Il Brescia retrocede in Serie B perché perde lo spareggio con l’Udinese. Ha allenato anche la Reggiana e l’Inter.
Finita il periodo italiano torna in patria e conduce per il finale di stagione il Rapid Bucarest alla vittoria in campionato senza perdere alcun incontro. A fine stagione vince anche la Supercoppa nazionale.
Al suo primo impegno con il Galatasaray, vince la Supercoppa UEFA contro il Real Madrid grazie a una doppietta di Jardel. Al suo secondo anno a Istanbul vince il campionato turco, prima di passare al Beşiktaş, vincendo un altro titolo turco al primo anno con la nuova squadra. Dal 2004 al 2016 ha guidato lo Šhachtar, dove decide di basare la propria formazione sul talento dei calciatori offensivi brasiliani: con il club vince 21 trofei nazionali (8 campionati ucraini, sei coppe nazionali e sette supercoppe nazionali) contrastando lo storico dominio della Dinamo Kiev nel calcio ucraino. Con lo Shakhtar Donetsk ha anche vinto l’edizione dellaCoppa UEFA 2008-2009 nella finale di Istanbul del 20 maggio 2009 contro il Werder Brema (2-1 ai supplementari).
Il 21 maggio 2016 lascia lo Shakhtar Donetsk dopo dodici anni, e tre giorni dopo firma un contratto biennale con i russi dello Zenit San Pietroburgo. La sua prima stagione con la formazione russa termina con unaSupercoppa di Russia vinta contro il CSKA Mosca a inizio stagione e un terzo posto in campionato con l’accesso all’Europa League. Il 28 maggio 2017 la società russa ha deciso di risolvere il contratto.
Il 2 agosto 2017 viene annunciato il suo ingaggio come allenatore della Turchia.
7) Oscar Washington Tabarez
Óscar Washington Tabárez Silva (Montevideo, 3 marzo 1947) è un allenatore di calcio ed ex calciatore uruguaiano, attuale commissario tecnico della Nazionale uruguaiana. In patria è soprannominato El Maestro, anche in riferimento alla sua passata carriera di insegnante
Oscar Tabarez, “El Maestro”, ritratto sulla panchina dell’Uruguay
Il 2 gennaio 2011 gli viene conferito il premio di Commissario tecnico dell’anno IFFHS con 200 punti. Dietro di lui Vicente del Bosque con 186 punti e Joachim Löw con 169 punti. Il 25 marzo 2016 Tabárez superaFrancisco Maturana, diventando il commissario tecnico con più panchine nelle qualificazioni della zona CONMEBOL al campionato del mondo, 47, tutte con una sola nazionale l’Uruguay.
Tabárez è il quinto allenatore per numero di presenze in Copa América (26 partite), torneo di cui ha partecipato a 5 edizioni (1989, 2007, 2011, 2015 e 2016). È attualmente, insieme al tedesco Joachim Löw, il commissario tecnico in carica da più tempo, entrambi alla guida delle loro nazionali dal 2006 (precede il tedesco di alcuni mesi, dato che è in carica dal marzo di quell’anno). È il commissario tecnico che a livello mondiale ha guidato una nazionale per il maggior numero di partite, record precedentemente appartenuto al tedesco Sepp Herberger.
Nell’estate del 1994 arriva in Italia, diventando l’allenatore del Cagliari, condotto ad un discreto 9º posto in classifica. Nell’estate 1996 assume la guida tecnica del Milan. Il debutto è nella sconfitta a San Sirocontro la Fiorentina per la finale della Supercoppa italiana. All’undicesima giornata, il 1º dicembre, l’allenatore uruguaiano si dimette dopo la sconfitta esterna contro il Piacenza (3-2), sostituito da Arrigo Sacchi. Nel 1997-1998 è l’allenatore dell’Oviedo, in Primera División spagnola. Dal 2006 ricopre l’incarico di commissario tecnico della Nazionale uruguaiana dopo l’esperienza del biennio 1988-1990.
Partecipando al campionato del mondo 2010, Tabarez diviene il secondo CT uruguaiano ad aver guidato la propria Nazionale in due diverse edizioni delle fasi finali dei Mondiali, eguagliando Juan López Fontana(1950 e 1954). Ai mondiali africani la sua squadra si comporta molto bene, qualificandosi al primo posto del girone A con 7 punti davanti a Messico, Sudafrica (4 punti a testa) e ad una più che deludente Francia(1 solo punto). Dopo aver superato la Corea del Sud agli ottavi ed il Ghana ai quarti dopo i calci di rigore, la sua squadra arriva in semifinale dove affronta l’Olanda, la quale, dopo aver battuto ai quarti lo strafavorito Brasile di Dunga, ha ragione anche dei sudamericani per 3-2, grazie ad un gol decisivo di Wesley Sneijder. L’Uruguay deve così accontentarsi della finale per il terzo posto con la Germania, dove però perderà per 3-2, centrando comunque un quarto posto mondiale che mancava dall’edizione 1970.
Il 24 luglio 2011 l’Uruguay batte il Paraguay per 3-0 nella finale della Copa América 2011 e vince così questo torneo dopo 16 anni dall’ultima volta; in merito a tale vittoria Tabárez viene unanimemente considerato dagli addetti ai lavori come il deus ex machina che ha plasmato questa squadra ad un successo non da tutti previsto alla vigilia della competizione.
Con la Celeste ottiene nuovamente – terza volta nella carriera di Tabárez – la qualificazione alla fase finale dei Mondiali. A Brasile 2014, nonostante la sconfitta inaspettata contro la Costa Rica (1-3), l’Uruguay raggiunge la fase a eliminazione diretta in virtù dei successi contro Inghilterra (2-1) e Italia (1-0) . Il percorso della squadra si arresta negli ottavi al cospetto della Colombia, vittoriosa per 2-0.
Nel luglio 2016 gli viene diagnosticata la sindrome di Guillain-Barré Il CT, la cui carriera è a rischio, riceve nelle immediate ore successive alla diffusione della notizia attestati di affetto da tutto il mondo del calcio. Successivamente viene rivelato trattarsi di una neuropatia motoria di tipo diverso; Tabarez ha annunciato che non si ritirerà
8) Heriberto Herrera
Heriberto Herrera Udrizal (Guarambaré, 24 aprile 1926 – Asunción, 26 luglio 1996) è stato un calciatore e allenatore di calcio paraguaiano, di ruolo difensore.
Tecnico dal carattere severo e inflessibile, nonché assertore di una rigida disciplina tattica e comportamentale, legò il suo nome al credo calcistico del movimiento — anticipando attraverso esso concetti poi portati alla ribalta dal calcio totale quali il pressing, l’assenza di posizioni fisse sul campo e il continuo movimento senza palla dei giocatori — che trovò la più fruttuosa applicazione nella cosiddetta Juve Operaiadegli anni 1960.
Era colloquialmente soprannominato HH2 per distinguerlo dal più noto collega Helenio Herrera, questo ultimo famoso come HH; sempre per non confonderlo con l’omonimo Accaccone franco-argentino, Gianni Brera coniò per il paraguaiano il termine di Accacchino.
“Il movimiento, così inviso al genio logoro e selvaggio di Omar Sívori, contemplava un’adesione globale alla manovra, assaggio del totalitarismo batavo. In assenza di tenori, ma quand’anche ce ne fossero stati, l’orchestra incarnava il fine ultimo, e non un dispotico vezzo. Heriberto, paraguagio di rigida lavagna, passò per pazzo. Viceversa, era in anticipo su convinzioni e convenzioni. » |
(Roberto Beccantini, 2013) |
Herrera e Sívori in bianconero nel 1964, a confronto in allenamento: il loro rapporto sarà breve, conflittuale e inconciliabile nel modo stesso di intendere il calcio
Salì così alla ribalta da tecnico come fautore del cosiddetto movimiento. Tra i precursori nel suo genere, si trattava di un sistema di gioco corale e votato alla difesa, una sorta di zona latinoamericana dove la corsa contava più della tecnica, con giocatori senza ruoli fissi in campo bensì con precisi movimenti da seguire, attaccando gli spazi e sfiancando gli avversari attraverso l’arma del pressing.
Per applicare al meglio tali dettami, Herrera aveva nella cultura del lavoro e nella rigida disciplina — sia tattica sia comportamentale — i suoi cardini, rifuggendo quindi dagli individualismi tipici di solisti o campioni; di fatto più preparatore atletico che allenatore, si guadagnò per questo gli appellativi di ginnasiarca democratico o sergente di ferro, scevro da privilegi e insubordinazioni che non tollerava tanto in allenamento quanto in partita, non lesinando quando necessario le maniere forti per «risolvere da uomini» i dissidi coi giocatori.
Una visione del calcio che lo porrà in aperto contrasto, durante la sua esperienza juventina, con uno dei maggiori fuoriclasse dell’epoca, l’irriverente Omar Sívori. In questo senso, passò agli annali una sua uscita davanti alla stampa, ovvero «Coramini e Sívori, per me sono uguali»; una massima che riassunse al meglio la filosofia heribertiana di squadra — il gruppo prima dei singoli — paragonando uno sconosciuto ventenne delle giovanili bianconere al ben più famoso Cabezón.
La carriera di Herrera in panchina prese il via dove aveva trovato conclusione quella da calciatore, in terra iberica, guidando nella prima metà degli anni 1960 compagini di secondo piano come il Rayo Vallecano, ilTenerife, il Granada, il Real Valladolid, l’Espanyol e soprattutto l’Elche, dove consolidò la sua crescente fama. I buoni risultati conseguiti nei campionati spagnoli ne agevolarono l’approdo in Italia, chiamato nel 1964 da una Juventus in cerca di un tecnico caparbio e dai modi intransigenti, per riportare disciplina in uno spogliatoio divenuto alquanto insubordinato.
Herrera rimarrà alla guida dei bianconeri fino al 1969, vincendo con una Juve Operaia priva di fuoriclasse lo scudetto dell’annata 1966-1967 — rimasto nella memoria per il sorpasso all’ultima giornata su di una crepuscolare Grande Inter —e, in precedenza, la Coppa Italia della stagione 1964-1965, anch’essa a spese dei nerazzurri; nel 1968 portò inoltre per la prima volta i piemontesi a una semifinale europea, quella di Coppa dei Campioni, cedendo il passo al Benfica di Eusébio. Tuttavia, col passare del tempo la piazza juventina si mostrò sempre più insofferente verso la visione di HH2, reo agli occhi dei tifosi di aver «democratizzato» l’aristocratico club sabaudo — non gli verrà perdonato, in particolar modo, l’avallo alla cessione di Omar Sívori, un capriccioso Cabezón per niente ligio alla disciplina richiesta non solo tattica dal paraguaiano .
Heriberto nel ’69 passò ai rivali dell’Inter, che allenerà fino agli inizi della stagione 1970-1971. In nerazzurro Herrera ottenne un secondo posto nel campionato del 1969-1970, alle spalle del Cagliari di Gigi Riva, ma anche a Milano il rapporto con la squadra andrà presto a deteriorarsi, con una vera e propria «rivolta» a opera dei senatori interisti culminata in un esonero sul finire del ’70. La sua decennale esperienza italiana si chiuse con le panchine di Sampdoria e Atalanta, prima di un ritorno in Spagna che, nella seconda metà degli anni 1960, lo vide di nuovo a Barcellona ed Elche, oltreché alla guida di Las Palmas e Valencia. Ci fu infine spazio anche per un breve interregno come commissario tecnico della nazionale paraguaiana, incarico peraltro già ricoperto fugacemente nel corso del quinquennio juventino, prima del definitivo ritiro.
9) Zdnek Zeman
Zdeněk Zeman (Praga, 12 maggio 1947) è un allenatore di calcio ceco naturalizzato italiano, tecnico del Pescara.
Le sue prime esperienze come allenatore in Italia avvengono in squadre siciliane dilettantistiche (Cinisi, Bacigalupo su segnalazione di Marcello Dell’Utri, Carini, Misilmeri ed Esakalsa) per poi prendere il patentino di allenatore professionista a Coverciano nel 1979; grazie anche all’intercessione dello zio Cestmir Vycpalek, è chiamato ad allenare le giovanili del Palermo, dove resta fino al 1983 allenando Giovanissimi e Primavera.
Dopo tre buone stagioni a Licata (tra cui la vittoria del campionato di Serie C2 del 1984-85, portando così la squadra siciliana per la prima volta nella sua storia in Serie C1), viene ingaggiato prima dal Foggia in Serie C1 venendo esonerato alla 27ª giornata (dopo la sconfitta 5-0 a Cosenza) e sostituito dal secondo Roberto Balestri, e poi dal Parma in Serie B, dove durante il precampionato riuscirà a sconfiggere per 2-1 il Real Madrid per essere poi esonerato qualche mese dopo. Zeman torna quindi in Sicilia alla guida del Messina; chiuderà il campionato all’ottavo posto con il miglior attacco del campionato, lanciando Salvatore Schillaci che sarà capocannoniere a fine campionato.
Dopo una stagione alla guida del Messina viene ingaggiato nuovamente dal Foggia, neopromosso in Serie B, alla cui presidenza c’è Pasquale Casillo. Nasce quindi, nel 1989, il “Foggia dei miracoli”, caratterizzato da un 4-3-3 spiccatamente offensivo e da un gioco spumeggiante. La squadra, dopo aver vinto il campionato di Serie B 1990-1991 con il miglior attacco del campionato – grazie al contributo determinante del trio delle meraviglie composto da Francesco Baiano (capocannoniere del campionato), Giuseppe Signori e Roberto Rambaudi (i primi due riusciranno anche a giocare qualche partita in nazionale maggiore nel periodo a Foggia) –, si salverà per tre stagioni nella massima serie, ottenendo un nono posto (con il secondo migliore attacco del campionato, dietro al Milan campione) e, nonostante la cessione del trio delle meraviglie, un undicesimo e nuovamente un nono posto sfiorando l’ingresso in Coppa UEFA, venendo sconfitto (0-1) dal Napoli all’ultima giornata di campionato.
Baiano, Signori e Rambaudi, il trio delle meraviglie del Foggia di Zeman
In queste stagioni lancerà nel calcio ad alti livelli anche Luigi Di Biagio, che ritroverà nel suo periodo alla Roma in cui, sotto la gestione del Boemo, riuscirà anche a conquistare la nazionale maggiore, Francesco Mancini e i due russi Igor’ Kolyvanov e Igor’ Šalimov.
Per la stagione 1994-1995 viene ingaggiato dalla Lazio in cui ritrova come giocatore Giuseppe Signori e acquisterà Roberto Rambaudi che raggiungerà anche la nazionale maggiore in questo periodo. Con la compagine biancoceleste il tecnico boemo centra al suo primo anno il secondo posto, dopo aver battagliato per un certo periodo per lo scudetto, con il miglior attacco del campionato merito anche delle vittorie con largo margine con Fiorentina (8-2) e Foggia (7-1), oltre alle vittorie contro Inter (4-1), Milan (4-0) e Juventus (3-0), che si alternano a sconfitte come lo 0-3 incassato nel derby d’andata contro la Roma. La compagine romana arriva fino ai quarti di finale di Coppa UEFA persi col Borussia Dortmund, mentre in Coppa Italia la squadra capitolina si fermerà in semifinale eliminata da una doppia sconfitta con la Juventus.
Nella stagione 1997-1998, il presidente Franco Sensi gli offre la panchina della Roma, e Zeman accetta di rilanciare una squadra che l’anno precedente aveva rischiato la retrocessione sino alla quart’ultima giornata; dopo una rivoluzione sul mercato e prestazioni spettacolari, a fine stagione i giallorossi chiudono al quarto posto in classifica. L’anno successivo la Roma continua a proporre un buon calcio ma peggiora il suo piazzamento finale chiudendo quinta, sicché il tecnico non viene confermato per la stagione seguente, reo di aver fallito la qualificazione ai preliminari di Champions League. Nella parentesi giallorossa Marco Delvecchio e Francesco Totti (che diventa capitano in quel periodo) sono autori di notevoli prestazioni. Successivamente allenerà Napoli, Salernitana. Avellino, e per due volte il Lecce, oltre il Brescia.
Il 20 luglio 2010 il vecchio presidente degli anni della ribalta Pasquale Casillo e altri imprenditori riacquistano ufficialmente il Foggia, richiamando come allenatore Zeman e riformando il trio del “Foggia dei miracoli” conGiuseppe Pavone come direttore sportivo. Dopo aver concluso la stagione al sesto posto con il miglior attacco (in larga parte conseguito con la coppia formata da Lorenzo Insigne e Marco Sau capocannoniere del campionato), e la difesa più battuta, sfiorando i play-off, il 23 maggio 2011 dichiara in conferenza stampa che la sua avventura in rossonero è terminata, poiché deluso dai risultati conseguiti. In quella stagione ha lanciato Vasco Regini e Moussa Koné; quest’ultimo verrà convocato anche per la Nazionale olimpica della Costa d’Avorio.
Il 21 giugno 2011 diventa l’allenatore del Pescara, in Serie B. Il 20 maggio 2012 riporta la squadra abruzzese in Serie A dopo diciannove anni, vincendo il campionato. La squadra adriatica totalizza 83 punti in 42 partite, vincendone 26 (14 in casa e 12 in trasferta), pareggiandone 5 e perdendone 11. La sua squadra realizza 90 gol (miglior attacco del campionato) e ne subisce 55. Lancia gioielli come Ciro Immobile (capocannoniere del campionato), Lorenzo Insigne (già allenato a Foggia) e Marco Verratti, che assieme a Marco Capuano e Simone Romagnoli saranno convocati nella Nazionale Under-21, e Moussa Koné (questi ultimi due già allenati a Foggia) esordirà in Nazionale maggiore della Costa d’Avorio, stabilendo così anche il record di convocazioni per il Pescara.
Il 2 giugno 2012 annuncia l’addio alla precedente squadra e il conseguente passaggio sulla panchina della Roma a partire dal 1º luglio 2012. Dopo aver debuttato in campionato in casa contro il Catania (2-2), il 2 settembre ottiene la vittoria a Milano contro l’Inter per 3-1 permettendo ai giallorossi di tornare a vincere in casa dei nerazzurri in campionato dopo cinque anni. Il 2 febbraio 2013, dopo la sconfitta interna contro il Cagliari (2-4) della 23ª giornata e con la Roma all’ottavo posto in graduatoria, viene esonerato dall’incarico.
Ancora esperienze con il Cagliari e il Lugano quindi il Il 17 febbraio 2017 viene ufficializzato il ritorno come allenatore al Pescara dopo cinque anni al posto dell’esonerato Massimo Oddo. Debutta il 19 febbraio con un netto 5-0 contro il Genoa, il che sancisce la prima vittoria sul campo dopo 24 giornate senza successi (la vittoria a tavolino per 3-0 contro il Sassuolo, 6 pareggi e 17 sconfitte). Il 4 marzo, in occasione della sconfitta per 3-1 in casa della Sampdoria, raggiunge quota 1000 panchine in carriera tra i professionisti. Il 24 aprile, a seguito della sconfitta in casa per 1-4 contro la Roma, la squadra retrocede aritmeticamente in Serie B con 5 turni di anticipo. Nonostante la retrocessione, avvenuta con 9 punti raccolti in 14 partite sotto la sua gestione, viene confermato anche per la stagione successiva.
10) Cestmir Vycpalek
Čestmír Vycpálek (Praga, 15 maggio 1921 – Palermo, 5 maggio 2002) è stato un allenatore di calcio e calciatore cecoslovacco, di ruolo centrocampista. Da rilevare la sua parentale diretta con Zeman di cui era lo zio.
Inizia a giocare con lo Slavia Praga. Nel 1945, dopo la fine della seconda guerra mondiale (nel corso della quale fu internato nel campo di concentramento di Dachau), impressiona positivamente i tecnici dello Slavia Praga che lo vogliono nella rappresentativa boema. Il segretario generale della Juventus Artino era rimasto impressionato dalla coppia dello Slavia Praga Vycpálek-Korostelev. Il duo accetta l’offerta della squadratorinese divenendo entrambi i primi calciatori stranieri della squadra bianconera nel dopoguerra. Esordisce il 6 ottobre 1946 nella sfida contro il Milan: anche grazie a Vycpálek la Juventus rimonta da 3-1 a 3-3 e il calciatore cecoslovacco segnerà la rete del 3-2.
Vycpálek in acrobazia con la maglia del Palermo |
Vycpálek giocò a Torino soltanto la stagione 1946-1947 collezionando 27 presenze e 5 reti, dopodiché passò al Palermo, all’epoca in Serie B. Con il club siciliano, dove rimase per cinque stagioni, vede la definitiva consacrazione, centrando la promozione in Serie A già alla prima stagione (1947-1948) e divenendo capitano della squadra: così facendo, diventò il primo straniero ad aver vestito la fascia da capitano in un campionato italiano di Serie A. È stato anche il primo calciatore straniero del Palermo a segnare una tripletta in Serie A, nella partita del 23 ottobre 1949 vinta per 3-0 sulla Roma. Nella stagione 1952-1953 si trasferì al Parma, con cui terminò la carriera da calciatore.
Vycpálek iniziò la carriera di allenatore nel 1958 a Palermo, città in cui fece in seguito trasferire la sua famiglia dopo l’occupazione della Cecoslovacchia da parte dell’Armata Rossa durante la primavera di Praga. Venne esonerato dalla panchina del Palermo il 15 maggio 1960, poco ore prima dell’inizio di Inter-Palermo (3-3) per decisione del segretario Totò Vilardo. Oltre al Palermo, guidò Siracusa, Valdagno e Juve Bagheria. Nel 1970, dopo essere stato esonerato dal Mazara, che giocava nel campionato di Serie D, ritornò alla Juventus, grazie anche al suo vecchio amico Giampiero Boniperti, diventando allenatore delle giovanili. Nel 1971, dopo l’improvvisa morte di Armando Picchi, fu nominato allenatore della prima squadra. Alla guida della squadra torinese per il successivo triennio, Vycpálek vinse due scudetti consecutivi nelle stagioni 1971-1972 e 1972-1973, disputando poi nel 1973 le finali di Coppa dei Campioni e Intercontinentale. Nell’annata 1971-1972 ricevette inoltre il trofeo Seminatore d’oro, unico allenatore non italiano (insieme a Nils Liedholm) a essere stato insignito con tale riconoscimento. Nel 1974 lasciò la panchina bianconera a Carlo Parola, rimanendo nello staff tecnico della Juventus come osservatore.