GLI ALLENATORI STRANIERI IN ITALIA: HERRERA BIG POI BOSKOV E MOURINHO

 

di FRANCO ASTENGO

Fin dai primordi il pane della scienza calcistica in Italia è stato spezzato da allenatore stranieri. Spensley a Genova, Kilpin a Milano funzionarono da apripista per una lunga serie di trainer (oggi appellati “mister” dalla scuola calcio alla Serie A) provenienti da Oltralpe e in particolare da Gran Bretagna e Ungheria: considerate come le scuole più avanzate fin dalle origini del gioco.

Garbutt al Genoa fu il primo allenatore professionista a trasferirsi nel nostro Paese e, con intervalli dovuto alle guerre, vi rimase fino alla soglia degli anni ’50 allenando non soltanto il Grifone ma anche la Roma e il Napoli.

Gli ungheresi a partire dagli anni ’20 furono moltissimi, basti pensare alla storia del Savona Fbc sulla cui panchina (anzi ai bordi del campo, la panchina per gli allenatori fu una invenzione successiva) si sedettero Payer, Dimeni, Hajos, il grande Giorgy Orth e financo all’inizio degli anni ’60 Imre Zilizy direttore tecnico con Felice Pelizzari allenatore.

In questo senso facciamo un punto fermo osservando gli allenatori delle squadre di Serie A per la stagione 1938 – 39, quella immediatamente successiva al secondo trionfo mondiale consecutivo degli azzurri che nella finale di Parigi avevano liquidato l’Ungheria per 4-2. Ormai la scuola italiana appariva celebrata in tutto il mondo e il regime fascista attribuì quei successi al cosiddetto “spirito fascista” (riprendendo proprio le parole scritte da Emilio De Martino e apparse sul primo volume della serie degli Almanacchi del Calcio curato da Leone Boccali). Un eccesso nazionalista che dimenticava l’utilizzo degli “oriundi” e la presenza in Italia di tantissimi allenatori stranieri.

Nella stagione 1938-’39, quella successiva al trionfo francese, infatti, l’Inter era allenata dal tedesco Cargnelli, il Bari dall’ungherese Ging, il Bologna dall’austriaco Felsner, il Genoa dal “decano” inglese Garbutt, la Lazio dall’ungherese Viola, il Livorno dall’ungherese Lelovich, il Milan dall’ungherese Banas, il Napoli dall’ungherese Payer, il Torino dall’ungherese Egri-Erbstein, la Triestina dall’ungherese Nehadoma. Di italiani ad allenare in Serie A c’erano soltanto Rosetta alla Juventus, Baloncieri alla Sampierdarenese, Caligaris (quello del leggendario trio bianconero con Combi e Rosetta) al Modena, Mattea al Novara e Bonino alla Lucchese.

Oggi, campionato 2017 – 2018, la situazione appare completamente ribaltata.

Gli allenatori stranieri sono soltanto due, Juric al Genoa e Mihailovic al Torino, mentre tutti gli altri allenatori di Serie A sono italiani. Tra l’altro sia Juric sia Mihailovic hanno compiuto la gran parte della loro carriera di calciatori e pressoché interamente quella di allenatori in Italia (il torinista Sinisa ha diretto per un certo periodo e senza grandi risultati la nazionale serba).

Contrariamente al 1938 ci troviamo oggi di fronte ad una affermazione di “scuola”, tanto più che diversi allenatori italiani siedono su importanti panchine all’estero come ad esempio Carlo Ancellotti al Bayern (dopo aver vinto trofei in tutta Europa) e l’ex c.t. della nazionale Conte al Chelsea (inoltre da rimarcare l’invasione italiana del campionato cinese dove si trovano a fare incetta di milioni di euro Lippi, Capello, Cannavaro).

Per ricordare comunque il grande contributo degli allenatori stranieri alla crescita del calcio italiano abbiamo stilato la graduatoria di quelli che abbiamo ritenuto (probabilmente a torto) i migliori.

Sono esclusi da questo opinabile elenco i già citati per quel che riguardava il campionato 1938: vi si trovano personaggi mitici come il già citato Garbutt oppure Egri – Erbstein, caduto a Superga con il grande Torino, ma non disponiamo degli elementi di conoscenza sufficiente nei loro riguardi per includerli in una qualche posizione di graduatoria. Sarà sufficiente il ricordo delle loro gesta.

Questa la nostra graduatoria.

 

1)    Helenio Herrera

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Helenio Herrera Gavilán (Buenos Aires, 10 aprile 1910 – Venezia, 9 novembre 1997) è stato un calciatore e allenatore di calcio argentino naturalizzato francese,  di ruolo difensore.

Helenio Herrera con Armando Picchi.  C’è chi sostiene che ad Herrera toccassero i compiti di preparatore atletico e di “motivatore” (celebri i suoi cartelli negli spogliatoi) ma che la formazione fossa composta da una commissione interna e che la tattica fosse di competenza proprio di Picchi, compresi gli adattamenti in corso d’opera (all’epoca non c’erano sostituzioni) come il cambio di marcature, ecc.

Soprannominato il Mago, è considerato uno dei migliori allenatori della storia del calcio, in virtù dei numerosi titoli conseguiti sia a livello nazionale che internazionale soprattutto durante gli anni cinquanta e sessanta. Dopo una modesta carriera da calciatore (vinse solo una Coppa di Francia con il Red Star nel 1942), si è affermato come tecnico di successo dapprima all’Atlético Madrid con il quale ha vinto due campionati spagnoliconsecutivi tra il 1949 e il 1952, e in seguito al Barcellona, dove è rimasto dal 1958 al 1960 conquistando altri due campionati spagnoli, una Coppa di Spagna e una Coppa delle Fiere.

Nel 1960 è stato ingaggiato dall’Inter, su espressa indicazione del presidente Angelo Moratti che ne era rimasto ben impressionato dopo averlo affrontato proprio in Coppa delle Fiere. Da allenatore nerazzurro ha conquistato tre campionati italiani nonché due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali – in entrambi i casi consecutive – tra il 1963 e il 1966, affermandosi nel contempo come uno degli allenatori più iconici del tempo (celebri alcuni degli slogan da lui utilizzati per motivare i suoi calciatori). Terminata l’esperienza con l’Inter nel 1968, si è trasferito alla Roma, dove dal 1968 al 1973 ha vinto una Coppa Italia e unaCoppa Anglo-Italiana. La breve parentesi all’Inter (1973) e il ritorno al Barcellona (con la vittoria di un’altra Coppa di Spagna nel 1981) ne hanno sancito la fine dell’esperienza in panchina.

2)    Vujadin Boskov

Boškov nacque nel 1931 a Begeč, villaggio a una quindicina di chilometri da Novi Sad, nella provincia di Voivodina, all’epoca parte della Jugoslavia. Durante la sua carriera si distinse per le sue frasi sintetiche, ironiche e a volte lapalissiane, aforismi entrati nella cultura generale del mondo calcistico – soprattutto italiano – anche come veri e propri tormentoni (“Rigore è quando arbitro fischia”; “Gullit è come cervo uscito di foresta”). Morì il 27 aprile 2014, all’età di ottantadue anni,

Nel 1971, a soli quarant’anni fu chiamato ad allenare la nazionale jugoslava: alle qualificazioni al campionato europeo di calcio 1972. I blu vinsero il proprio girone sopravanzando i quotati Paesi Bassi del calcio totale, la Germania Est e il Lussemburgo, ma furono sconfitti ai play-off dall’Unione Sovietica. Nel 1973 Boškov lascerà poi il suo Paese per dissapori con il regime di Tito.

Si trasferì nei Paesi Bassi dove prese la guida del Den Haag. Con i “cigni vinse la Coppa d’Olanda 1974-1975, battendo in finale il Twente; nella stagione successiva raggiunse i quarti di finale della Coppa delle Coppe, venendo eliminato dagl’inglesi del West Ham. A fine anno passò al Feyenoord. Con la squadra di Rotterdam raggiunse i quarti della Coppa UEFA, concludendo il campionato in quarta posizione, mentre nell’annata seguente il club non andò oltre il decimo posto. Nei Paesi Bassi fu accolto con grande affetto, ma dovette lasciare anche questa nazione a causa di una nuova legge sugli extracomunitari.

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Boškov di ritorno alla Samp negli anni ottanta come allenatore, dopo aver indossato il blucerchiato come giocatore nella stagione 1961 – 62. Qui con Briegel e Cerezo

Iniziò quindi una nuova avventura in Spagna, sulle panchine di Real Zaragoza, Real Madrid (conquistando una finale di Coppa dei Campioni, un campionato e due Coppe di Spagna) e Sporting Gijon, cui seguì la lunga esperienza in Italia, dove lavorò per Ascoli, Sampdoria, Roma (dove fece esordire Francesco Totti, Napoli e Perugia, con un fugace intermezzo in Svizzera nel Servette Genève.

Nel calcio italiano – dove fu anche docente alla scuola per tecnici e allenatori di Coverciano, sotto la direzione di Italo Allodi – il suo nome è legato soprattutto allo scudetto conquistato dai blucerchiati nella stagione1990-1991: in generale, il periodo di Boškov sotto la Lanterna, tra la seconda metà degli anni ottanta e i primi anni novanta, ha costituito uno storico ciclo di esperienze e vittorie per la squadra ligure.

Da allenatore riuscì a raggiungere due volte la finale di Coppa dei Campioni, con il Real Madrid (1981) e undici anni dopo con la Sampdoria (1992) venendo sconfitto in entrambe le occasioni per 1-0 (dal Liverpool e dalBarcellona).

3)    Josè Mourinho

José Mário dos Santos Mourinho Félix, noto semplicemente come José Mourinho  Setúbal, 26 gennaio 1963), è un allenatore di calcio ed ex calciatore portoghese, tecnico del Manchester United.

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Josè Mourinho all’Old Trafford dopo i fasti con Porto, Chelsea, Inter e Real

Uno dei migliori allenatori della sua generazione, è soprannominato The Special One (come lui stesso si era definito durante la conferenza stampa di presentazione al Chelsea). Conclusa una modesta carriera da calciatore, ha intrapreso quella di allenatore dapprima come assistente in Portogallo e in Spagna (al Barcellona come vice di Bobby Robson) e poi come allenatore in prima di Benfica e União Leiria. La sua ascesa si concretizza con il trasferimento al Porto, dove in due stagioni e mezza vince due campionati (2003 e 2004), una Coppa (2003) e una Supercoppa nazionale (2003) ma soprattutto una Coppa UEFA (2003) e unaUEFA Champions League (2004).

Nel 2004 viene chiamato alla guida del Chelsea, con il quale conquista due Premier League (2005 e 2006), due Coppe di Lega (2005 e 2007), una Coppa d’Inghilterra (2006-2007) e un Community Shield (2005). Dopo aver rescisso il suo contratto con il club inglese nel 2007, firma con l’Inter dove in due stagioni vince due campionati (2009 e 2010), una Coppa Italia (2010), una Supercoppa italiana (2008) nonché una Uefa Champions League (2010), riportando i nerazzurri alla conquista del massimo trofeo continentale a quarantacinque anni di distanza dall’ultima volta. Conclusa l’esperienza in Italia, si trasferisce dapprima in Spagna per guidare il Real Madrid, con il quale conquista un campionato (2012), una Coppa del Re (2011) e una Supercoppa nazionale (2012), e poi in Inghilterra, nuovamente al Chelsea dove, pur con qualche flessione, vince un’altra Premier League (2015) e un’altra Coppa di Lega (2015). Dalla stagione 2016-2017, è il nuovo allenatore del Manchester United, con il quale conquista un Community Shield (2016), una Coppa di Lega (2017) ed una UEFA Europa League (2017).

Mourinho può vantarsi di essere nella stretta cerchia di allenatori capaci di vincere il titolo in quattro Paesi diversi (nel suo caso Portogallo, Inghilterra, Italia e Spagna). Inoltre è uno dei cinque allenatori, insieme adErnst Happel, Ottmar Hitzfeld, Jupp Heynckes e Carlo Ancelotti, ad aver vinto la Uefa Champions League con due squadre diverse (con il Porto e con l’Inter).

Mourinho è inoltre l’unico allenatore ad aver vinto due volte sia la Champions League che l’Europa League e ad aver vinto almeno un titolo di campionato in Inghilterra, in Italia ed in Spagna (suo grande obbiettivo personale). In Supercoppa Europea, ha perso tre finali alla guida di tre squadre diverse (Porto nel 2003, Chelsea nel 2013, Manchester United nel 2017).

4)    Nils Liedholm

Nils Erik Liedholm (Valdemarsvik, 8 ottobre 1922 – Cuccaro Monferrato, 5 novembre 2007) è stato un allenatore di calcio e calciatore svedese, di ruolo centrocampista. Soprannominato “il Barone”,  nella sua carriera da calciatore ha segnato ufficialmente 139 goal costituendo con i connazionali Nordhal e Gren il celebre trio Gre-No-Li nel Milan e nella nazionale svedese, con la quale ha vinto le Olimpiadi di Londra del 1948 ed è arrivato in finale ai mondiali giocati proprio in Svezia nel 1958. Finale persa 5-2 dal Brasile, dopo che lo stesso Liedholm aveva portato in vantaggio i gialloblu svedesi.

Nel 1961, dopo aver smesso di giocare all’età di trentanove anni, il Barone iniziò una brillante carriera di allenatore. Le squadre da lui allenate furono il Milan, il Verona (con cui ottenne la promozione in Serie A), ilMonza, il Varese, con altra promozione in Serie A, la Fiorentina (con cui perse una finale di Coppa Mitropa e una finale di Coppa Anglo-Italiana) e la Roma . Da allenatore vinse due volte iil campionato con il Milan nel1979 e con la Roma nel 1983. Con la Roma arrivò in finale nella Coppa dei Campioni 1983-1984, perdendo in finale contro il Liverpool ai rigori, all’Olimpico di Roma.

Come allenatore, fu in Italia fra i primi ad adottare con sistematicità la disposizione difensiva a zona, sui modelli delle nazionali olandese e brasiliana.

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Liedholm all’esordio sulla panchina della Roma nella stagione 1973-1974

 Apprezzato tanto per le sue qualità di calciatore e allenatore quanto per la signorilità che ne contraddistingueva i modi, in campo come fuori, la Svezia ha dedicato a Liedholm un francobollo, per ricordare quello che secondo un sondaggio effettuato nel 1999 dal più diffuso quotidiano svedese è stato il più importante calciatore della sua storia. Liedholm fu inoltre raffigurato sulla copertina del primo album Calciatori Panini.

5)    Lajos Czeizler

Lajos Czeizler (Heves, 5 ottobre 1893 – Budapest, 7 maggio 1969) è stato un calciatore e allenatore di calcio ungherese, che durante la sua carriera, estesasi per più di quaranta anni, conquistò tre campionati nazionali in altrettanti stati. Poliglotta, fu un tecnico dallo stile di gioco offensivo. Czeizler cominciò la carriera da allenatore con i polacchi dell’ŁKS nel 1923, lanciando giovani calciatori come Antoni Gałecki, Romuald Feja e Roman Jańczyk, i quali sono annoverati tra i maggiormente importanti nella storia del club. Giunse in seguito al calcio italiano, nella Seconda divisione, dove assunse la guida prima dell’Udinese nel 1927-1928, e poi del Faenza dal 1928 al 1930, chiudendo la stagione d’esordio a metà classifica e quella seguente con una salvezza ottenuta solo all’ultima giornata. Sempre nello stesso Paese si occupò, per una sola stagione 1930-1931, delle squadre giovanili della Lazio.

Tra il 1942 e il 1948 aprì un ciclo di vittorie all’IFK Norrköping, durante il quale la squadra ottenne cinque campionati e due coppe nazionali. Czeizler cambiò inoltre il modo di giocare, introducendo nel movimento svedese, che sulla scorta della scuola inglese si basava sulla forza fisica e i lanci lunghi, elementi tipici dello stile magiaro, dando luogo a un calcio totale ante litteram.

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Czeizler, commissario tecnico dell’Italia nel 1954, assieme a Boniperti e Frignani

Nel 1949 tornò in Italia chiamato dal Milan, portando con sé dal precedente club Gunnar Nordahl e Nils Liedholm, qi uali assieme all’altro svedese Gunnar Gren costituirono il trio Gre-No-Li. Quell’anno, per l’importante partita contro la Juventus, dopo la sconfitta casalinga per 0-1 nel girone d’andata, optò per una preparazione particolare, consistente nel far svolgere ai giocatori degli allenamenti molto duri durante la prima parte della settimana e nel lasciarli a riposo nei giorni rimanenti; il Milan vinse la gara per 7-1 (Nordahl ridicolizzò Carlo Parola), chiudendo tuttavia il campionato proprio alle spalle degli avversari. Del resto, quello non fu l’unico punteggio eclatante determinato dal calcio spiccatamente offensivo voluto dal tecnico durante la sua gestione triennale: si ricorda anche un 9-0 contro il Palermo e un 9-2 contro il Novara, ma anche una sconfitta per un pirotecnico 5-6 nella stracittadina contro l’Inter.

Con la società milanese, Czeizler colse la vittoria più prestigiosa con lo scudetto del 1950-1951. A detto trionfo la squadra abbinò anche, nello stesso anno, la Coppa Latina.

Ciò nonostante, secondo il critico sportivo Gianni Brera il Milan avrebbe potuto vincere altri due scudetti «se appena si fosse ricordato di onorare la difesa».

Nel 1952 Czeizler passò al Padova come direttore tecnico, in una stagione che vide avvicendarsi gli allenatori Rava e Antonini e si concluse con il suo licenziamento.

Nel biennio 1953-1954 fu inoltre il secondo commissario tecnico straniero della Nazionale italiana (quarant’anni dopo Goodley),  allorché diresse un gruppo di giocatori molto diviso  al campionato del mondo 1954 in Svizzera, venendo sollevato dall’incarico dopo l’eliminazione occorsa già nel girone iniziale, nonostante la vittoria 4-1 dell’Italia sul Belgio, per mano della Svizzera (decisivi gli errori arbitrali del brasiliano Viana ); nella circostanza gli vennero rimproverate alcune scelte e dubbi tattici,

Guidò poi la Sampdoria fino al 1957, venendo in seguito ingaggiato dalla Fiorentina con cui rimase due stagioni, durante le quali ebbe il merito di lanciare il giovane difensore Sergio Castelletti, reimpostando il terzino Enzo Robotti come stopper.

Sempre per la stessa squadra, nel 1960 ricoprì il ruolo di tecnico ad interim fino a novembre, quando lo sostituì il connazionale Nándor Hidegkuti che vinse poi a fine stagione la Coppa Italia e la Coppa delle Coppe.

Chiuse la carriera in Portogallo, al Benfica, che nell’annata 1963-1964 portò al successo sia in campionato sia nella Coppa di Portogallo, schierando per la prima volta la squadra lusitana con una difesa composta da quattro giocatori.

6)    Mircea Lucescu

Mircea Lucescu (Bucarest, 29 luglio 1945) è un allenatore di calcio ed ex calciatore rumeno ct della Nazionale turca.

Allenatore dal 1979, ha guidato per un anno il Corvinul Hunedoara (team con il quale chiuderà la carriera agonistica nel 1982, per qualche tempo fu impiegato nell’innovativa veste di giocatore-allenatore) per poi dirigere la Nazionale dal 1981 al 1986, e ancora la Dinamo Bucarest fino al 1990, vincendo la coppa nazionale nel 1986 e ottenendo il double campionato-coppa nel 1990.

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Lucescu alla guida del Brescia nel 1992

Nel 1990 approda in Italia come direttore tecnico del Pisa. Il 10 marzo 1991, dopo una sconfitta con il Cagliari, viene sollevato dall’incarico. Dalla stagione successiva è direttore tecnico del Brescia in serie B. Il primo anno con le Rondinelle si piazza primo posto in campionato ottenendo l’accesso diretto in Serie A e nella Coppa Italia viene eliminato al secondo turno dal Milan. Il secondo anno arriva quindicesimo in campionato ma Il Brescia retrocede in Serie B perché perde lo spareggio con l’Udinese. Ha allenato anche la Reggiana e l’Inter.

Finita il periodo italiano torna in patria e conduce per il finale di stagione il Rapid Bucarest alla vittoria in campionato senza perdere alcun incontro. A fine stagione vince anche la Supercoppa nazionale.

Al suo primo impegno con il Galatasaray, vince la Supercoppa UEFA contro il Real Madrid grazie a una doppietta di Jardel. Al suo secondo anno a Istanbul vince il campionato turco, prima di passare al Beşiktaş, vincendo un altro titolo turco al primo anno con la nuova squadra. Dal 2004 al 2016 ha guidato lo Šhachtar, dove decide di basare la propria formazione sul talento dei calciatori offensivi brasiliani: con il club vince 21 trofei nazionali (8 campionati ucraini, sei coppe nazionali e sette supercoppe nazionali) contrastando lo storico dominio della Dinamo Kiev nel calcio ucraino. Con lo Shakhtar Donetsk ha anche vinto l’edizione dellaCoppa UEFA 2008-2009 nella finale di Istanbul del 20 maggio 2009 contro il Werder Brema (2-1 ai supplementari).

Il 21 maggio 2016 lascia lo Shakhtar Donetsk dopo dodici anni, e tre giorni dopo firma un contratto biennale con i russi dello Zenit San Pietroburgo. La sua prima stagione con la formazione russa termina con unaSupercoppa di Russia vinta contro il CSKA Mosca a inizio stagione e un terzo posto in campionato con l’accesso all’Europa League. Il 28 maggio 2017 la società russa ha deciso di risolvere il contratto.

Il 2 agosto 2017 viene annunciato il suo ingaggio come allenatore della Turchia.

7)    Oscar Washington Tabarez

Óscar Washington Tabárez Silva (Montevideo, 3 marzo 1947) è un allenatore di calcio ed ex calciatore uruguaiano, attuale commissario tecnico della Nazionale uruguaiana. In patria è soprannominato El Maestro, anche in riferimento alla sua passata carriera di insegnante

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Oscar Tabarez, “El Maestro”,  ritratto sulla panchina dell’Uruguay

Il 2 gennaio 2011 gli viene conferito il premio di Commissario tecnico dell’anno IFFHS con 200 punti. Dietro di lui Vicente del Bosque con 186 punti e Joachim Löw con 169 punti. Il 25 marzo 2016 Tabárez superaFrancisco Maturana, diventando il commissario tecnico con più panchine nelle qualificazioni della zona CONMEBOL al campionato del mondo, 47, tutte con una sola nazionale l’Uruguay.

Tabárez è il quinto allenatore per numero di presenze in Copa América (26 partite), torneo di cui ha partecipato a 5 edizioni (1989, 2007, 2011, 2015 e 2016). È attualmente, insieme al tedesco Joachim Löw, il commissario tecnico in carica da più tempo, entrambi alla guida delle loro nazionali dal 2006 (precede il tedesco di alcuni mesi, dato che è in carica dal marzo di quell’anno). È il commissario tecnico che a livello mondiale ha guidato una nazionale per il maggior numero di partite, record precedentemente appartenuto al tedesco Sepp Herberger.

Nell’estate del 1994 arriva in Italia, diventando l’allenatore del Cagliari, condotto ad un discreto 9º posto in classifica. Nell’estate 1996 assume la guida tecnica del Milan. Il debutto è nella sconfitta a San Sirocontro la Fiorentina per la finale della Supercoppa italiana. All’undicesima giornata, il 1º dicembre, l’allenatore uruguaiano si dimette dopo la sconfitta esterna contro il Piacenza (3-2), sostituito da Arrigo Sacchi. Nel 1997-1998 è l’allenatore dell’Oviedo, in Primera División spagnola. Dal 2006 ricopre l’incarico di commissario tecnico della Nazionale uruguaiana dopo l’esperienza del biennio 1988-1990.

Partecipando al campionato del mondo 2010, Tabarez diviene il secondo CT uruguaiano ad aver guidato la propria Nazionale in due diverse edizioni delle fasi finali dei Mondiali, eguagliando Juan López Fontana(1950 e 1954). Ai mondiali africani la sua squadra si comporta molto bene, qualificandosi al primo posto del girone A con 7 punti davanti a Messico, Sudafrica (4 punti a testa) e ad una più che deludente Francia(1 solo punto). Dopo aver superato la Corea del Sud agli ottavi ed il Ghana ai quarti dopo i calci di rigore, la sua squadra arriva in semifinale dove affronta l’Olanda, la quale, dopo aver battuto ai quarti lo strafavorito Brasile di Dunga, ha ragione anche dei sudamericani per 3-2, grazie ad un gol decisivo di Wesley Sneijder. L’Uruguay deve così accontentarsi della finale per il terzo posto con la Germania, dove però perderà per 3-2, centrando comunque un quarto posto mondiale che mancava dall’edizione 1970.

Il 24 luglio 2011 l’Uruguay batte il Paraguay per 3-0 nella finale della Copa América 2011 e vince così questo torneo dopo 16 anni dall’ultima volta; in merito a tale vittoria Tabárez viene unanimemente considerato dagli addetti ai lavori come il deus ex machina che ha plasmato questa squadra ad un successo non da tutti previsto alla vigilia della competizione.

Con la Celeste ottiene nuovamente – terza volta nella carriera di Tabárez – la qualificazione alla fase finale dei Mondiali. A Brasile 2014, nonostante la sconfitta inaspettata contro la Costa Rica (1-3), l’Uruguay raggiunge la fase a eliminazione diretta in virtù dei successi contro Inghilterra (2-1) e Italia (1-0) . Il percorso della squadra si arresta negli ottavi al cospetto della Colombia, vittoriosa per 2-0.

Nel luglio 2016 gli viene diagnosticata la sindrome di Guillain-Barré Il CT, la cui carriera è a rischio, riceve nelle immediate ore successive alla diffusione della notizia attestati di affetto da tutto il mondo del calcio. Successivamente viene rivelato trattarsi di una neuropatia motoria di tipo diverso; Tabarez ha annunciato che non si ritirerà

8)    Heriberto Herrera

Heriberto Herrera Udrizal (Guarambaré, 24 aprile 1926 – Asunción, 26 luglio 1996) è stato un calciatore e allenatore di calcio paraguaiano, di ruolo difensore.

Tecnico dal carattere severo e inflessibile, nonché assertore di una rigida disciplina tattica e comportamentale, legò il suo nome al credo calcistico del movimiento — anticipando attraverso esso concetti poi portati alla ribalta dal calcio totale quali il pressing, l’assenza di posizioni fisse sul campo e il continuo movimento senza palla dei giocatori — che trovò la più fruttuosa applicazione nella cosiddetta Juve Operaiadegli anni 1960.

Era colloquialmente soprannominato HH2 per distinguerlo dal più noto collega Helenio Herrera, questo ultimo famoso come HH; sempre per non confonderlo con l’omonimo Accaccone franco-argentino, Gianni Brera coniò per il paraguaiano il termine di Accacchino.

“Il movimiento, così inviso al genio logoro e selvaggio di Omar Sívori, contemplava un’adesione globale alla manovra, assaggio del totalitarismo batavo. In assenza di tenori, ma quand’anche ce ne fossero stati, l’orchestra incarnava il fine ultimo, e non un dispotico vezzo. Heriberto, paraguagio di rigida lavagna, passò per pazzo. Viceversa, era in anticipo su convinzioni e convenzioni. »
(Roberto Beccantini, 2013)

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Herrera e Sívori in bianconero nel 1964, a confronto in allenamento: il loro rapporto sarà breve, conflittuale e inconciliabile nel modo stesso di intendere il calcio 

Salì così alla ribalta da tecnico come fautore del cosiddetto movimiento. Tra i precursori nel suo genere, si trattava di un sistema di gioco corale e votato alla difesa, una sorta di zona latinoamericana dove la corsa contava più della tecnica, con giocatori senza ruoli fissi in campo bensì con precisi movimenti da seguire, attaccando gli spazi e sfiancando gli avversari attraverso l’arma del pressing.

Per applicare al meglio tali dettami, Herrera aveva nella cultura del lavoro e nella rigida disciplina — sia tattica sia comportamentale — i suoi cardini, rifuggendo quindi dagli individualismi tipici di solisti o campioni; di fatto più preparatore atletico che allenatore, si guadagnò per questo gli appellativi di ginnasiarca democratico o sergente di ferro, scevro da privilegi e insubordinazioni che non tollerava tanto in allenamento quanto in partita, non lesinando quando necessario le maniere forti per «risolvere da uomini» i dissidi coi giocatori.

Una visione del calcio che lo porrà in aperto contrasto, durante la sua esperienza juventina, con uno dei maggiori fuoriclasse dell’epoca, l’irriverente Omar Sívori. In questo senso, passò agli annali una sua uscita davanti alla stampa, ovvero «Coramini e Sívori, per me sono uguali»; una massima che riassunse al meglio la filosofia heribertiana di squadra — il gruppo prima dei singoli — paragonando uno sconosciuto ventenne delle giovanili bianconere al ben più famoso Cabezón.

La carriera di Herrera in panchina prese il via dove aveva trovato conclusione quella da calciatore, in terra iberica, guidando nella prima metà degli anni 1960 compagini di secondo piano come il Rayo Vallecano, ilTenerife, il Granada, il Real Valladolid, l’Espanyol e soprattutto l’Elche, dove consolidò la sua crescente fama. I buoni risultati conseguiti nei campionati spagnoli ne agevolarono l’approdo in Italia, chiamato nel 1964 da una Juventus in cerca di un tecnico caparbio e dai modi intransigenti, per riportare disciplina in uno spogliatoio divenuto alquanto insubordinato.

Herrera rimarrà alla guida dei bianconeri fino al 1969, vincendo con una Juve Operaia priva di fuoriclasse lo scudetto dell’annata 1966-1967 — rimasto nella memoria per il sorpasso all’ultima giornata su di una crepuscolare Grande Inter —e, in precedenza, la Coppa Italia della stagione 1964-1965, anch’essa a spese dei nerazzurri; nel 1968 portò inoltre per la prima volta i piemontesi a una semifinale europea, quella di Coppa dei Campioni, cedendo il passo al Benfica di  Eusébio. Tuttavia, col passare del tempo la piazza juventina si mostrò sempre più insofferente verso la visione di HH2, reo agli occhi dei tifosi di aver «democratizzato» l’aristocratico club sabaudo — non gli verrà perdonato, in particolar modo, l’avallo alla cessione di Omar Sívori, un capriccioso Cabezón per niente ligio alla disciplina richiesta non solo tattica dal paraguaiano .

Heriberto nel ’69 passò ai rivali dell’Inter, che allenerà fino agli inizi della stagione 1970-1971. In nerazzurro Herrera ottenne un secondo posto nel campionato del 1969-1970, alle spalle del Cagliari di Gigi Riva, ma anche a Milano il rapporto con la squadra andrà presto a deteriorarsi, con una vera e propria «rivolta» a opera dei senatori interisti culminata in un esonero sul finire del ’70. La sua decennale esperienza italiana si chiuse con le panchine di Sampdoria e Atalanta, prima di un ritorno in Spagna che, nella seconda metà degli anni 1960, lo vide di nuovo a Barcellona ed Elche, oltreché alla guida di Las Palmas e Valencia. Ci fu infine spazio anche per un breve interregno come commissario tecnico della nazionale paraguaiana, incarico peraltro già ricoperto fugacemente nel corso del quinquennio juventino, prima del definitivo ritiro.

9)    Zdnek Zeman

Zdeněk Zeman (Praga, 12 maggio 1947) è un allenatore di calcio ceco naturalizzato italiano, tecnico del Pescara.

Le sue prime esperienze come allenatore in Italia avvengono in squadre siciliane dilettantistiche (Cinisi, Bacigalupo su segnalazione di Marcello Dell’Utri, Carini, Misilmeri ed Esakalsa) per poi prendere il patentino di allenatore professionista a Coverciano nel 1979; grazie anche all’intercessione dello zio Cestmir Vycpalek, è chiamato ad allenare le giovanili del Palermo, dove resta fino al 1983 allenando Giovanissimi e Primavera.

Dopo tre buone stagioni a Licata (tra cui la vittoria del campionato di Serie C2 del 1984-85, portando così la squadra siciliana per la prima volta nella sua storia in Serie C1), viene ingaggiato prima dal Foggia in Serie C1 venendo esonerato alla 27ª giornata (dopo la sconfitta 5-0 a Cosenza) e sostituito dal secondo Roberto Balestri, e poi dal Parma in Serie B, dove durante il precampionato riuscirà a sconfiggere per 2-1 il Real Madrid per essere poi esonerato qualche mese dopo. Zeman torna quindi in Sicilia alla guida del Messina; chiuderà il campionato all’ottavo posto con il miglior attacco del campionato, lanciando Salvatore Schillaci che sarà capocannoniere a fine campionato.

Dopo una stagione alla guida del Messina viene ingaggiato nuovamente dal Foggia, neopromosso in Serie B, alla cui presidenza c’è Pasquale Casillo. Nasce quindi, nel 1989, il “Foggia dei miracoli”, caratterizzato da un 4-3-3 spiccatamente offensivo e da un gioco spumeggiante. La squadra, dopo aver vinto il campionato di Serie B 1990-1991 con il miglior attacco del campionato – grazie al contributo determinante del trio delle meraviglie composto da Francesco Baiano (capocannoniere del campionato), Giuseppe Signori e Roberto Rambaudi (i primi due riusciranno anche a giocare qualche partita in nazionale maggiore nel periodo a Foggia) –, si salverà per tre stagioni nella massima serie, ottenendo un nono posto (con il secondo migliore attacco del campionato, dietro al Milan campione) e, nonostante la cessione del trio delle meraviglie, un undicesimo e nuovamente un nono posto sfiorando l’ingresso in Coppa UEFA, venendo sconfitto (0-1) dal Napoli all’ultima giornata di campionato.

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Baiano, Signori e Rambaudi, il trio delle meraviglie del Foggia di Zeman

In queste stagioni lancerà nel calcio ad alti livelli anche Luigi Di Biagio, che ritroverà nel suo periodo alla Roma in cui, sotto la gestione del Boemo, riuscirà anche a conquistare la nazionale maggiore, Francesco Mancini e i due russi Igor’ Kolyvanov e Igor’ Šalimov.

Per la stagione 1994-1995 viene ingaggiato dalla Lazio in cui ritrova come giocatore Giuseppe Signori e acquisterà Roberto Rambaudi che raggiungerà anche la nazionale maggiore in questo periodo. Con la compagine biancoceleste il tecnico boemo centra al suo primo anno il secondo posto, dopo aver battagliato per un certo periodo per lo scudetto, con il miglior attacco del campionato merito anche delle vittorie con largo margine con Fiorentina (8-2) e Foggia (7-1), oltre alle vittorie contro Inter (4-1), Milan (4-0) e Juventus (3-0), che si alternano a sconfitte come lo 0-3 incassato nel derby d’andata contro la Roma. La compagine romana arriva fino ai quarti di finale di Coppa UEFA persi col Borussia Dortmund, mentre in Coppa Italia la squadra capitolina si fermerà in semifinale eliminata da una doppia sconfitta con la Juventus.

 

Nella stagione 1997-1998, il presidente Franco Sensi gli offre la panchina della Roma, e Zeman accetta di rilanciare una squadra che l’anno precedente aveva rischiato la retrocessione sino alla quart’ultima giornata; dopo una rivoluzione sul mercato e prestazioni spettacolari, a fine stagione i giallorossi chiudono al quarto posto in classifica. L’anno successivo la Roma continua a proporre un buon calcio ma peggiora il suo piazzamento finale chiudendo quinta, sicché il tecnico non viene confermato per la stagione seguente, reo di aver fallito la qualificazione ai preliminari di Champions League. Nella parentesi giallorossa Marco Delvecchio e Francesco Totti (che diventa capitano in quel periodo) sono autori di notevoli prestazioni. Successivamente allenerà Napoli, Salernitana. Avellino, e per due volte il Lecce, oltre il Brescia.

Il 20 luglio 2010 il vecchio presidente degli anni della ribalta Pasquale Casillo e altri imprenditori riacquistano ufficialmente il Foggia, richiamando come allenatore Zeman e riformando il trio del “Foggia dei miracoli” conGiuseppe Pavone come direttore sportivo. Dopo aver concluso la stagione al sesto posto con il miglior attacco (in larga parte conseguito con la coppia formata da Lorenzo Insigne e Marco Sau capocannoniere del campionato), e la difesa più battuta, sfiorando i play-off, il 23 maggio 2011 dichiara in conferenza stampa che la sua avventura in rossonero è terminata, poiché deluso dai risultati conseguiti. In quella stagione ha lanciato Vasco Regini e Moussa Koné; quest’ultimo verrà convocato anche per la Nazionale olimpica della Costa d’Avorio.

Il 21 giugno 2011 diventa l’allenatore del Pescara, in Serie B. Il 20 maggio 2012 riporta la squadra abruzzese in Serie A dopo diciannove anni, vincendo il campionato. La squadra adriatica totalizza 83 punti in 42 partite, vincendone 26 (14 in casa e 12 in trasferta), pareggiandone 5 e perdendone 11. La sua squadra realizza 90 gol (miglior attacco del campionato) e ne subisce 55. Lancia gioielli come Ciro Immobile (capocannoniere del campionato), Lorenzo Insigne (già allenato a Foggia) e Marco Verratti, che assieme a Marco Capuano e Simone Romagnoli saranno convocati nella Nazionale Under-21, e Moussa Koné (questi ultimi due già allenati a Foggia) esordirà in Nazionale maggiore della Costa d’Avorio, stabilendo così anche il record di convocazioni per il Pescara.

Il 2 giugno 2012 annuncia l’addio alla precedente squadra e il conseguente passaggio sulla panchina della Roma a partire dal 1º luglio 2012. Dopo aver debuttato in campionato in casa contro il Catania (2-2), il 2 settembre ottiene la vittoria a Milano contro l’Inter per 3-1 permettendo ai giallorossi di tornare a vincere in casa dei nerazzurri in campionato dopo cinque anni. Il 2 febbraio 2013, dopo la sconfitta interna contro il Cagliari (2-4) della 23ª giornata e con la Roma all’ottavo posto in graduatoria, viene esonerato dall’incarico.

Ancora esperienze con il Cagliari e il Lugano quindi il Il 17 febbraio 2017 viene ufficializzato il ritorno come allenatore al Pescara dopo cinque anni al posto dell’esonerato Massimo Oddo. Debutta il 19 febbraio con un netto 5-0 contro il Genoa, il che sancisce la prima vittoria sul campo dopo 24 giornate senza successi (la vittoria a tavolino per 3-0 contro il Sassuolo, 6 pareggi e 17 sconfitte). Il 4 marzo, in occasione della sconfitta per 3-1 in casa della Sampdoria, raggiunge quota 1000 panchine in carriera tra i professionisti. Il 24 aprile, a seguito della sconfitta in casa per 1-4 contro la Roma, la squadra retrocede aritmeticamente in Serie B con 5 turni di anticipo. Nonostante la retrocessione, avvenuta con 9 punti raccolti in 14 partite sotto la sua gestione, viene confermato anche per la stagione successiva.

10) Cestmir Vycpalek

Čestmír Vycpálek (Praga, 15 maggio 1921 – Palermo, 5 maggio 2002) è stato un allenatore di calcio e calciatore cecoslovacco, di ruolo centrocampista. Da rilevare la sua parentale diretta con Zeman di cui era lo zio.

Inizia a giocare con lo Slavia Praga. Nel 1945, dopo la fine della seconda guerra mondiale (nel corso della quale fu internato nel campo di concentramento di Dachau), impressiona positivamente i tecnici dello Slavia Praga che lo vogliono nella rappresentativa boema. Il segretario generale della Juventus Artino era rimasto impressionato dalla coppia dello Slavia Praga Vycpálek-Korostelev. Il duo accetta l’offerta della squadratorinese divenendo entrambi i primi calciatori stranieri della squadra bianconera nel dopoguerra. Esordisce il 6 ottobre 1946 nella sfida contro il Milan: anche grazie a Vycpálek la Juventus rimonta da 3-1 a 3-3 e il calciatore cecoslovacco segnerà la rete del 3-2.

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Vycpálek in acrobazia con la maglia del Palermo

Vycpálek giocò a Torino soltanto la stagione 1946-1947 collezionando 27 presenze e 5 reti, dopodiché passò al Palermo, all’epoca in Serie B. Con il club siciliano, dove rimase per cinque stagioni, vede la definitiva consacrazione, centrando la promozione in Serie A già alla prima stagione (1947-1948) e divenendo capitano della squadra: così facendo, diventò il primo straniero ad aver vestito la fascia da capitano in un campionato italiano di Serie A. È stato anche il primo calciatore straniero del Palermo a segnare una tripletta in Serie A, nella partita del 23 ottobre 1949 vinta per 3-0 sulla Roma. Nella stagione 1952-1953 si trasferì al Parma, con cui terminò la carriera da calciatore.

Vycpálek iniziò la carriera di allenatore nel 1958 a Palermo, città in cui fece in seguito trasferire la sua famiglia dopo l’occupazione della Cecoslovacchia da parte dell’Armata Rossa durante la primavera di Praga. Venne esonerato dalla panchina del Palermo il 15 maggio 1960, poco ore prima dell’inizio di Inter-Palermo (3-3) per decisione del segretario Totò Vilardo. Oltre al Palermo, guidò Siracusa, Valdagno e Juve Bagheria. Nel 1970, dopo essere stato esonerato dal Mazara, che giocava nel campionato di Serie D, ritornò alla Juventus, grazie anche al suo vecchio amico Giampiero Boniperti, diventando allenatore delle giovanili. Nel 1971, dopo l’improvvisa morte di Armando Picchi, fu nominato allenatore della prima squadra. Alla guida della squadra torinese per il successivo triennio, Vycpálek vinse due scudetti consecutivi nelle stagioni 1971-1972 e 1972-1973, disputando poi nel 1973 le finali di Coppa dei Campioni e Intercontinentale. Nell’annata 1971-1972 ricevette inoltre il trofeo Seminatore d’oro, unico allenatore non italiano (insieme a Nils Liedholm) a essere stato insignito con tale riconoscimento. Nel 1974 lasciò la panchina bianconera a Carlo Parola, rimanendo nello staff tecnico della Juventus come osservatore.

 

 

 

 

 

 

DAI TRE PUNTI AL VAR COSI’ LA TV IN 15 ANNI  HA CAMBIATO IL CALCIO

 

di FRANCO ASTENGO  

Si sta presentando per chi tiene alla memoria delle vicende calcistiche un grosso problema. L’arrivo del VAR, in uso beninteso per adesso soltanto nel campionato italiano di Serie A, si presenta come il punto culminante di tutta una serie di modificazioni del regolamento e del costume calcistico, avvenute nel corso del tempo e in maniera più ravvicinata nel corso dell’ultimo periodo in modo da adattare l’andamento del gioco alla migliore fruizione televisiva intesa come base per una globalizzazione vista essenzialmente sotto l’aspetto economico in nuovi mercati, specialmente in Asia. Oltre alle modifiche del regolamento si sono verificati altri cambiamenti che hanno inciso profondamente nel modo di vivere il calcio degli appassionati. Fuori dalle modifiche regolamentari le principali “novità” intervenute negli ultimi quindici anni  possono essere così riassunte.

1)      Svincolo e procuratori. E’ totalmente cambiato il concetto di appartenenza dei giocatori alle società. Assistiamo così a campagne acquisti-vendite lunghissime e vorticose, nel corso delle quali si è determinato un aumento esponenziale nel prezzo dei calciatori (fino all’estremo del caso Neymar di questa estate 2017). Costi esorbitanti per atleti che ricoprono ruoli (portieri, difensori) che un tempo le società usavano “costruire in casa”. Le alte cifre erano riservate alle mezze ali di fantasia (quellI che adesso sono chiamatI “trequartistI” e giocano “ tra le linee”). Soprattutto si è determinata una mobilità francamente eccessiva nei giocatori sballottati ogni sei mesi da una squadra all’altra (terribile il cosiddetto “mercato di gennaio”). Si sono così determinati due fenomeni: sono scomparse le “bandiere” (forse l’ultimo è stato Totti, probabilmente imitato da Buffon, depurato del periodo al Parma) e per i tecnici non vi è più nessuna certezza nel costruire un impianto di gioco basato su atleti dei quali si è sicura la permanenza per una intera stagione. Sostituzioni a parte è sempre più difficile snocciolare a memoria, come capitava un tempo, la formazione titolare.

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Giampiero Boniperti 444 partite con la maglia bianconera  della Juve di cui è anche stato presidente. Al di fuori di questa soltanto l’azzurro della nazionale e la maglia della rappresentativa europea (guarda caso era azzurra anche quella)

2)      Tre punti per la vittoria. Una modifica che puntava a stroncare le tattiche difensivistiche affermando definitivamente gli schemi  della “zona” con i difensori in linea. Per questa via è andata smarrita l’idea della “conservazione “ del risultato  (pensare che Annibale Frossi, il “dottor Sottile”, e non Gianni Brera come qualcuno ancora sostiene, teorizzava lo 0-0 come la partita perfetta) e accompagnato al meccanismo delle sostituzioni ha esaltato il  ruolo dell’allenatore e del suo staff, nel quale sono stati inseriti anche il “tattico” e il lettore video. Tutto questo con uno scopo ben preciso: far lievitare i costi. Il mestiere dell’allenatore ormai è profumatamente pagato a tutti i livelli, ma anche estremamente precario. L’idea di “cacciare” il mister (ormai sono appellati tutti così anche quelli che vanno in panchina nelle categorie minori pur facendo fatica a contare fino a 11) è sempre stata la più facile per affrontare il periodo di crisi e accontentare i tifosi. Ormai però ha assunto l’aspetto di un vero e proprio tiro al piccione. In ogni caso cacciati in Italia si può sempre andare ad allenare in serie B in Bulgaria.

3)      Orari differenziati ad uso e consumo della TV. Questo punto tre è strettamente legato al punto 2. Tutte le partite sono trasmesse in TV e gli orari sono differenziati a questo scopo. Ciò provoca la necessità di produrre presunto spettacolo misurato nel numero dei goal segnati in una partita. Si verifica il fatto che le squadre conoscono già il risultato delle dirette rivali. Un tempo questo elemento era rigorosamente vietato. Quando fu istituito “Tutto il calcio minuto per minuto” (1960 come non ricordare i grandi radiocronisti da Sandro Ciotti ad Enrico Ameri, da Adone Carapezzi ad Alfredo Provenzali, a Roberto Bertoluzzi e Andrea Boscione, tutti figli dell’ndimenticabile Nicolò Carosio) nelle ultime cinque giornate di campionato era trasmessa una sola partita, via radio beninteso, senza aggiornamenti dagli altri campi. I risultati finali (in chiusura di snervanti musichette e della pubblicità della Stock, quella dello slogan: “Se la partita del vostro cuore ha vinto brindate con Stock, se ha perso consolatevi con Stock”) annunciati parecchi minuti dopo il termine delle partite. Carosio declamava: “Campionato italiano di calcio, Divisione Nazionale Serie A, Risultati finali” e attaccava: a Bergamo, Atalanta e via di seguito. Inutile ricordare i tempi nei quali tutte le partite cominciavano alle 15 della domenica almeno dalla Serie A alla Promozione. Nelle categorie minori c’era il problema della disponibilità dei campi e quindi gli orari erano legati a questo fattore. Su certi terreni di gara si giocavano quattro partite per domenica. Un esempio: ore 9,15 partita campionato juniores; ore 10,30 partita di Seconda Categoria con squadra ospite proveniente da località viciniora; ore 13,30 partita di campionato Allievi; ore 15,00 partita di Seconda Categoria con squadra ospite proveniente da località più lontana.

4)      In Italia limitazioni all’accesso allo stadio (tessera del tifoso, oggi pare in via di abolizione, controlli, tornelli, sorveglianza). Per tanti anni e per responsabilità di sciagurati che nulla hanno a che vedere con gli sportivi appassionati di calcio e di ministri dell’Interno che di sport non capivano  (e ancora non capiscono, ahinoi) assolutamente nulla, ci è stato tolto il piacere più grande: quello, alla domenica mattina, di scegliere a quale partita assistere. Invece è stato necessario, fin dal martedì, recarsi alla Lottomatica, vedersi assegnato il posto, arrivare allo stadio un’ora prima della gara, farsi controllare i documenti almeno quattro volte. Roba da scoraggiare un elefante. Un tempo la folla si ammassava in gradinata mano a mano che gli spettatori salivano i gradini e l’altoparlante pregava di “stare in piedi per consentire a tutti di vedere”. Adesso sembra che, parzialmente, si torni indietro. Ma ora gli stadi sono spesso un deserto.

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Non c’erano i tornelli e la tessera del tifoso. Pubblico allo stadio di San Siro. E’ stato appena elevato il secondo anello.

Di seguito un riassunto delle principali modifiche nel regolamento attuate nel corso di quasi 200 anni di calcio. E’ a questo punto che si presenta un problema per gli storici.

Non volendo fare della mitologia è possibile o meno considerare il tutto come un “continuum” nell’evoluzione dello stesso sport oppure bisogna mettere un limite, porre dei paletti. Ad esempio: c’è una storia, prima e dopo le sostituzioni, che ha rappresentato un fattore decisivo di cambiamento per tantissimi motivi, non ultimo quello della registrazione delle presenze? Oppure il limite è fissato proprio dall’entrata in funzione del VAR e con la modifica radicale che potrebbe conseguirne nella figura dell’arbitro. La riflessione è aperta, intanto questi sono i dati oggettivi.

CRONOLOGIA REGOLE DEL CALCIO

1848: l’Università di Cambridge redige il primo regolamento del gioco.

1857: Nasce lo Sheffield Rules: undici regole.

1863: nasce l’Intenational Football Association Board.

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Il documento fondativo della Federazione Inglese

1886: il portiere può toccare la palla con le mani nella sua metà campo.

1887: nasce il fuorigioco, un attaccante deve avere tre giocatori fra sé e la porta.

1891: istituito il calcio di rigore.

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L’edificio della Freemasson’s Tavern in Great Queen Street a Londra dove nel 1863 fu fondata la federazione inglese

1897: la partita si gioca in 11 e dura 90’.

1902: si tracciano area di rigore, area di porta e linea di metà campo.

 

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Com’era tracciato il campo ai primordi

1903: nasce il calcio di punizione diretto.

1913: il portiere può toccare il pallone di mano soltanto in area. La barriera deve essere collocata a 10 yarde (9,15 metri) dal tiratore.

1924: viene considerato valido il goal segnato dal calcio d’angolo.

1925: cambia il fuorigioco. E’ in gioco chi ha due uomini davanti a sé.

1939: introdotti i numeri sulle maglie.

 

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Una immagine che illustra bene l’importanza sociale e politica assunta nel tempo dal gioco del calcio. Siamo in piena guerra ma questa è la dimostrazione di una ostentata “normalità” da offrire al popolo

1965: In Serie A è possibile la sostituzione del portiere a gara in corso.

1968: è possibile sostituire un giocatore di movimento a gara in corso. In panchina n.13  e n. 14.

1970: vengono introdotti i cartellini rossi e gialli.

 

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Quando non c’erano le sostituzioni. Viani e Rocco solitari in panchina

1973: tre giocatori in panchina, due cambi.

1983: il portiere non può fare più di 4 passi con il pallone in mano.

1989: istituito il quarto uomo.

1989: espulsione diretta per fallo su chiara occasione da rete (compreso il fallo di mano).

1992: abolito il retropassaggio al portiere.

1994: il numero di cambi effettuabili sale a 3, con l’obbligo che uno di questi venga riservato al portiere: il vincolo viene rimosso già l’anno dopo, portando all’attuale forma (un massimo di tre cambi senza distinzioni di ruolo). Il numero di calciatori di riserva consentiti dal Regolamento varia da un minimo di tre ad un massimo di dodici.

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Un’affollatissima panchina dei giorni nostri

1995: sentenza Bosman.

1999: nasce l’ammonizione per simulazione.

2000:la regola dei 6 secondi per il portiere sostituisce quella dei quattro passi.

2005: introdotta la distanza di 2 metri sulla rimessa laterale.

2009: introdotti gli arbitri di porta nell’Europa League.

2012: introduzione della goal – line technology.

2014: d’accordo tra arbitro e capitani introdotta la possibilità di una sosta di 1’ a metà tempo per bere.

2014: bombolette – spray agli arbitri per segnare il punto di battuta e la posizione della barriera su punizione.

2017: in Serie A si sperimenta il VAR.

2017: nelle categorie dilettantistiche le sostituzioni durante la gara salgono a cinque.

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L’arbitro Banti sta osservando il monitor. Tra poco sarà rigore a favore del Genoa (ignorato un fuori gioco di Galabinov) Juric e Allegri osservano. Ormai è un gioco diverso da quello che avevamo conosciuto?

GLI STRANIERI NEL CAMPIONATO DAL BLOCCO POST COREA ALL’INVASIONE TRA ASSI E BIDONI

 

di FRANCO ASTENGO

 L’eccessiva presenza di giocatori stranieri nel campionato italiano è stata giudicata una delle cause dell’eliminazione dell’Italia dal girone eliminatorio dei Mondiali 2018, uno psicodramma nazionale con un contorno di grandi polemiche, oltre all’esonero (inevitabile) del c.t. Ventura (troppo caro dare le dimissioni: 800 mila euro fino alla scadenza del contratto) e alla pantomima dell’inossidabile presidente federale Tavecchio, incollato con il bostik alla sua poltrona. Ma questa è un’altra storia.

Il tema degli stranieri è sempre stato un tema ricorrente nella storia del nostro calcio, con periodi di aperture e di relative chiusure. Abbiamo così pensato di ricostruire parzialmente questa vicenda, partendo dalle origini e arrivando fin sulla soglia della totale liberalizzazione (complice la “sentenza Bosman”) ricordando che, comunque, la presenza dei giocatori provenienti da altre nazioni ha rappresentato comunque (tra “assi” e “bidoni”) un decisivo valore aggiunto per il grande fascino che il campionato ha sempre esercito sulle grandi masse di sportivi.

Partiamo dunque dalle origini.

In principio furono proprio gli stranieri. I principali epigoni del calcio italiano furono stranieri, signori inglesi e svizzeri che, capitati nel nostro Paese per esercitare le loro professioni, si trovarono ad affiancare i primi appassionati italiani: dal dottor Spensley a Kilpin la storia dei prodromi del football nostrano è piena di questi affascinanti personaggi.

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Ecco James Spensley, medico inglese trapiantato a Genova, vero protagonista della fondazione del foot – ball in Italia

Successivamente, attorno agli anni ’10 del secolo scorso, si impose la “nostra scuola provinciale” e gli stranieri in campionato si fecero più rari per poi tornare prepotentemente alla ribalta nella seconda metà degli anni ’20, allorquando all’avvio del professionismo si pensò di ricorrere a scuole d’altri paesi per rafforzare le squadre più importanti.

Ungheresi ed argentini fecero parte, soprattutto, di quell’infornata di giocatori di grandissima classe: dalla “gazzella” Hirzer alla Juventus, a Weisz all’Inter (sarebbe stato un ottimo allenatore di Inter e Bologna, prima di finire nell’inferno di Auschwitz), al “filtrador” Guillermo Stabile al Genoa, al grande Libonatti, poi naturalizzato e nazionale.

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Hirzer “la gazzella” primo grande acquisto straniero della famiglia Agnelli per la Juventus da scudetto 1925- 26

Gli anni ’30 videro alla ribalta gli oriundi, i cosiddetti “rimpatriati”, figli di italiani emigrati in Sud America (o addirittura emigrati essi stessi dopo essere nati in Italia come Cesarini che era di Senigallia). Oriundi che diedero anche un formidabile contributo alla squadra nazionale due volte campione del Mondo.

La storia degli stranieri nel campionato italiano è però molto articolata e complessa, ed ho pensato così di raccontarla in un modo particolare, fermandomi ad una determinata stagione, tappa per tappa, illustrando tutti i giocatori di nazionalità diversa da quella italiana (oppure “oriundi”) presenti nelle rose di serie A. Questa ricostruzione, in particolare nel dopo guerra, presenterà un limite: quello di trascurare i tantissimi che hanno militato nelle squadre di categoria inferiore.

Torneo ’34-’35, siamo nel cuore della stagione dei “rimpatriati”. L’Ambrosiana-Inter ne dispone di tre: il terzino uruguayano Mascheroni – che fornirà un apporto di grande rilievo, così come la mezz’ala Demaria mentre deluderà l’altro argentino De Vincenzi.

Nel Bologna spiccano le due mezzeali, entrambe uruguayane, Fedullo e Sansone (in rossoblù non sono ancora arrivati il possente Michele Andreolo e “testina d’oro” Puricelli); la Fiorentina allinea l’ungherese Nekadoma, che poi si trasformerà anche in un ottimo allenatore; nella Lazio i brasiliani “Filò” Guarisi e i fratelli Fantoni.

Nel Napoli c’è l’argentino Stabile arrivato dal Genoa e il fantasmagorico paraguayano Attila Sallustro; nella Juventus che vince lo scudetto (il quinto consecutivo) spiccano i nomi già celeberrimi degli argentini Luisito Monti, Renato Cesarini e Mumo Orsi. Questi ultimi due, alla fine della stagione, spiccheranno il volo, insalutati ospiti, per non restare intrappolati nell’Europa alla vigilia della guerra.

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“Mumo” Orsi, il violinista, grande artefice della Juventus del”quinquennio”

Con loro ci saranno anche i romanisti Guaita e Scopelli, elementi che rappresentavano in quel momento la vera e propria architrave della squadra giallorossa, mentre Stagnaro, altro fuggitivo argentino, aveva giocato in quella stagione una sola partita.

L’assalto agli stranieri riprese nell’immediato dopoguerra. Arrivarono giocatori di tutte le nazionalità – in particolare dai paesi nordici – molto bravi che, essendo in Patria considerati dilettanti, venivano anche a costare cifre ridotte (poi la concorrenza tra i nostri presidenti portò alla lievitazione del costo degli ingaggi).

Dopo l’eliminazione dell’Italia da parte della Svezia ai mondiali brasiliani del 1950, i giocatori di quel Paese divennero molto di moda e rappresentarono, per un certo periodo, la colonia più numerosa.

Ho fissato allora un altro “flash” a riguardo della stagione ’51-’52 (anche in questa occasione scudetto alla Juventus).

L’Atalanta disponeva del difensore danese S. Hansen, del “cervellone” (pure lui danese) Soerensen e soprattutto del centroavanti svedese Jeppson che a fine stagione sarebbe stato acquistato dal Napoli per la cifra iperbolica di 105 milioni, primato assoluto per quei tempi.

Nel Bologna giostravano i due laterali danesi Pilmark e Jensen, due diligenti custodi del centrocampo e l’uruguayano Garcia, testa calda e gran dribblatore.

Il Como, come mi è già capitato di ricordare, era tutto italiano e suoi tifosi si recavano in gradinata sventolando il tricolore.

La Fiorentina presentava un trio d’attacco assai variopinto dal punto di vista della provenienza: l’olandese Roosenburg, il danese Ekner e lo sgusciante turco Lefter.

L’Inter dei “solisti” presentava tre assi davvero eccezionali: l’olandese Faas Ase Wilkes, dribblomane incallito e dall’impressionante padronanza del palleggio; Nacka Skoglund, grandissimo svedese capace di imprese strabilianti e di pause prolungate, e Istvan Nyers apolide d’origine ungherese, ala sinistra capace di un tiro terrificante.

Alla Juve tre danesi, tutti e tre di altissimo livello: Karl Hansen, lineare centrocampista, John Hansen, centroavanti d’acrobazia, e l’ala sinistra Karl Haage Praest, dotato di una tecnica sopraffina.

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Karl Haage Praest, ala sinistra dalla classe raffinata

Alla Lazio: due norvegesi, il tuttofare Larsen e il mediocre Lofgren, e il turco Sukru, dal gran tiro che sapeva giocare anche in porta al punto da indossare la maglia numero 1 della sua nazionale.

Nel Legnano troviamo due svedesi: il cursore Eideffjal e “carta velina” Palmer, un biondissimo dalla buona tecnica. Giocò poche partite con i lilla anche un altro svedese dal cognome italiano: Filippini. Nella Lucchese un mix di nordici e sudamericani che non hanno lasciato il segno: Frandsen, Kincses e Gonzalez.

La storia degli stranieri in Italia non è soltanto la storia degli “assi” ma anche di quelli che furono definiti “bidoni” e non erano pochi.

Nel Milan, invece, era l’epoca del gre-no-li, il celebre trio svedese composto dai due cervelloni Gren e Liedholm e dal super-cannoniere Nordhal (26 reti in stagione). Tre giocatori capaci di lasciare davvero il segno, e che segno, nella storia della società rossonera.

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Ecco il mitico Gre-No-Li schierato

A Napoli troviamo il potente ungherese (anche lui apolide) Stefano Mike Mayer che il meglio lo aveva già dato a Bologna, l’ormai anziano albanese Naim Kriezu, che era stato uno dei protagonisti dello scudetto della Roma ’41-’42. Kriezu aveva potuto disputare quel campionato perché cittadino di una nazione considerata colonia dal regime fascista… In biancoazzurro anche l’estroso ma (molto) inquieto Dionisio Arce, un paraguayano dalla buona tecnica, campione dei trasferimenti in Italia (Lazio, Novara, Napoli, Palermo, Sampdoria e Torino: insomma mezza serie A).

A Novara, in biancoazzurro, troviamo il centroavanti tedesco Janda già della Fiorentina e soprattutto il “petisso” Bruno Pesaola, ficcante ala sinistra che fornirà successivamente ottime prove in quel di Napoli e sarà capace di vincere, da allenatore, uno scudetto a Firenze.

Anche il Padova disponeva di due stranieri: il possente difensore tedesco Fuchs e l’anonimo centrocampista danese Andersen.

Nel Palermo spiccava l’estroso ma alterno danese Bronée e stava spendendo gli ultimi spiccioli di una onorata carriera il boemo Cestmir Vickpalek, già della Juventus e futuro allenatore dei bianconeri e zio, guarda un po’, proprio di Zdnek Zeman.

Pro Patria: nella rosa due modesti lavoratori del pallone come il danese Hofling e l’ungherese Turbeky ed il cannoniere Jo Santos, un argentino dal gran tiro ceduto dal Torino. Santos, diventato poi un ottimo allenatore e scopritore di Giri Meroni, perse la vita in un incidente stradale negli anni ’60 quando si trovava alla guida del Genoa.

La Sampdoria si affidava ancora al mercato argentino: l’ala sinistra Sabatella, poi rimasto a vivere a Genova dove è mancato poco tempo fa, e Juan Carlos Lorenzo, denominato ”hombre orqestra”, centrocampista lento ma dall’ottima visione di gioco, dote che avrebbe fatto valere anche da allenatore arrivando alle panchine di Lazio, Roma, Atletico Madrid e della stessa nazionale argentina.

Di scarso rilievo le presenze straniere nella Spal, come i danesi Oernvold e Bennike e un altro turco Bulent; nel Torino l’argentino Amalfi e il danese Hjalmarson.

La Triestina disponeva dell’attaccante argentino Josè Curti che aveva ben lasciato sperare alla Sampdoria ma poi si era perso per strada. Nell’Udinese due danesi: E. Soerensen e Ploeger, non eccezionali. Quest’ultimo era stato protagonista di un clamoroso equivoco nel corso della stagione ’48-’49: corteggiato dal Milan era stato però soffiato ai rossoneri dalla Juve. Ne nacque una disputa che fu placata dalla dirigenza juventina cedendo al Milan l’opzione su Nordhal. Un errore clamoroso perché fu regalato al Milan uno dei più grandi giocatori stranieri mai apparso sui nostri campi di calcio.

Passo a fotografare un altro momento che ho ritenuto importante per seguire coerentemente l’avventura degli stranieri nel campionato di serie A.

Per tutti gli anni ’50 si era succeduti tentativi di limitare il numero dei “foresti”. Nel 1955 un tentativo di blocco, attraverso un “lodo Andreotti”, suscitò protesta e ribellioni tra le società. L’Inter ad esempio fece esordire lo svizzero Vonlanthen, sfiorando la possibilità di subire sanzioni disciplinari.

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Roger Vonlanthen, a destra, con Enzo Bearzot e Oscar Massei. L’Inter fece carte false per assicurarselo ma il rendimento dello svizzero non fu all’altezza di tante aspettative 

A quel punto ci si era assestati sui 3 stranieri per squadra, oltre ai fuori-quota cioè i giocatori che da più di 5 stagioni consecutive militavano nel nostro campionato.

Stagione ’60-’61: scudetto tanto per cambiare alla Juventus, ma con grandi polemiche per via di una partita interrotta a Torino tra Inter e Juve per l’eccessivo numero di spettatori che avevano preso posto ai bordi del campo e poi fatta rigiocare alla fine del campionato. L’Inter per protesta mandò i ragazzi: finì 9-1 con sei goal di Sivori. Fu la prima partita in Serie A di Sandro Mazzola, che segnò su rigore il goal della bandiera dell’Inter, e l’ultima del capitano bianconero Giampiero Boniperti.

Nell’Atalanta, nel corso di quel campionato, spiccavano il centromediano svedese Gustavsson, titolare in nazionale, ed il brasiliano Da Costa, proveniente dalla Roma che – dopo aver esordito come attaccante – si stava trasformando in un fine tessitore di gioco, così come l’argentino Maschio, già componente del famoso trio “los angeles da la cara sucia” (i tre angeli dalla faccia sporca, per indicarne la giovane età) con Sivori e Angelillo.

Nel Bologna presente il possente attaccante brasiliano, ex Napoli, Lucius Vinicius de Menezes, detto Vinicio, centroavanti sopraffino dal gran tiro. Con i rossoblù felsinei anche l’onesto uruguayano Demarco.

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Vinicio in azione con la maglia del Napoli. Giocatore potente di grandissima classe

Nel Catania, neo promosso, centrocampo retto dal poderoso tedesco Szymaniak, nazionale, successivamente all’Inter, mentre in attacco si riscattava, dopo una brutta stagione al Genoa, l’argentino Salvatore Calvanese.

Nella Fiorentina, con il numero 7, Kurt Hamrin, già Padova e Juventus poi Milan, uno dei migliori prodotti dell’intera generazione presente in quel momento nel campionato italiano, un vero trascinatore. Con lui, nella Fiorentina allenata dall’antico attaccante della grande Ungheria Nandor Hidegkuti, anche il turco Bartu e lo svedese Jonsson, reduce da un buon campionato nel Mantova.

L’Inter, per la prima volta allenata da Helenio Herrera, allineava dal punto di vista degli stranieri il super-talentuoso Antonio Valentin Angelillo, argentino, che nella stagione ’58-’59 aveva stabilito un record con 33 reti segnate in 33 partite giocate. Angelillo, frequentatore di night club, qualche serata di troppo con l’avvenente ballerina Attilia Tironi, in arte Ilya Lopez, accusato di “dolce vita”, entrò in rotta di collisione con il “mago” e alla fine della stagione si trasferì alla Roma. Da ricordare, ancora, per quel che riguarda i nerazzurri il centrocampista svedese Lindskog, proveniente dall’Udinese, ed il centravanti italo-inglese Edwin Ronald Firmani, già della Sampdoria, dallo stile compassato al punto da essere soprannominato “Tacchino freddo”.

Super-stranieri nella Juve ’60-’61: John “King” Charles, possente centroavanti gallese capace di giocare anche in difesa (anzi, stabilmente centromediano nella nazionale del suo Paese) ed Enrique Omar Sivori, “El cabezon”, uno dei più grandi di tutti i tempi uscito dall’inesauribile scuola argentina (25 reti in quella stagione). I due assieme avevano appena centrato il terzo scudetto in quattro anni di permanenza in coppia nel nostro campionato.

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Charles, Sivori, Boniperti: il miglior trio d’attacco nella storia juventina

Nella Lazio, retrocessa, prestazioni modeste da parte dell’argentino Morrone e, addirittura una sola partita tra i titolari, per l’uruguayano Guaglianone, che pure era stato presentato con ottime credenziali.

Il Lecco, alla prima stagione in assoluto in serie A, presentava un uruguayano di ben altro calibro: Julio Cesare Abbadie, stella ai mondiali ’54 e poi al Genoa, uno dei grandi acquisti “criollos” della società rossoblù il cui ricordo va accompagnato con quello di Juan Carlos Verdeal, un vero trascinatore idolo dei tifosi della Nord tra il 1946 ed il 1949. Da citare Carlos Boyè, altro argentino, un cannoniere formidabile che a Marassi però rimase pochi mesi, allontanandosi di nascosto dopo una trasferta a Roma perché moglie e suocera, non ambientatesi in Italia, lo avevano convinto a fuggire. Si trattò di un caso davvero clamoroso, anche perché l’argentino aveva già incassato un cospicuo ingaggio.

Milan ’60-’61: anno I° di Gianni Rivera, ma in campo c’è ancora Nils Liedholm del quale mi pare di aver già decantato le magnifiche doti di vero illuminatore del gioco. Con lui Josè Altafini, “il coniglio” come lo definiva Gipo Viani accusandolo di girare al largo da aree nelle quali agivano bulloni un po’ troppo roventi ma implacabile sotto rete (nella stagione 22 goal), e l’ala destra argentina Ghito Santiago Vernazza dal Palermo, in grado di effettuare cross fortissimi e tesi per la testa di Altafini “Mazola” (così chiamavano Altafini in Brasile, per una supposta ma mai verificata somiglianza con il grande Valentino).

Due sudamericani per il Napoli costretto ad una umiliante retrocessione: l’ala sinistra argentina Tacchi e la mezz’ala brasiliana Delvecchio che, sotto il Vesuvio, non aveva saputo mantenere le promesse espresse nelle stagioni veronesi.

Argentino anche lo straniero del Padova di Rocco: un orchestratore di gioco dalla tecnica sopraffina, Humberto Rosa, approdato in Italia qualche anno prima alla Sampdoria che aveva tentato, inutilmente, di utilizzarlo come centroavanti.

Una vera galleria d’assi quella degli stranieri in forza alla Roma: l’estroso Cisco Lojacono, un argentino micidiale su punizione, una liaison con la futura signora Celentano, l’ottimo realizzatore “Piedone” Manfredini (20 reti), il tenace e preciso svedese Selmosson che, nel frattempo, aveva cambiato sponda del Tevere dopo il suo clamoroso acquisto (120 milioni) avvenuto qualche anno prima dall’Udinese alla Lazio. Soprattutto, però, l’Olimpico stava assistendo alle ultime esibizioni di Juan Pepe Alberto Schiaffino, genio dell’Uruguay campione del mondo 1950, poi dominatore assoluto del centrocampo del Milan vincitore di tre scudetti: uno dei più grandi campioni di tutti i tempi, forse un poco al di sotto di Maradona, Di Stefano e Pelè. Diciamo un giocatore del valore di Cruijff o di Bobby Charlton.

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Juan “Pepe” Schiaffino: una classe immensa

Merita un momento d’attenzione anche il ricordo degli stranieri in forza alla Sampdoria ’60-’61. Era la squadra dei terribili vecchietti di Monzeglio, messa su dal presidente Ravano con pochi soldi, buoni per comperare, dall’Inter e dal Milan, giocatori giudicati finiti ed invece capaci di aprire un ciclo: quarto posto, immediatamente alle spalle delle tre grandi.

In blucerchiato troviamo Ernest Ocwirck, il centromediano metodista del Wunderteam austriaco, giocatore capace di fornire il massimo impulso alla manovra di tutta la squadra. Con Ockwirck, in quella Samp, c’erano Nacka Skoglund, svedese genio e sregolatezza già dell’Inter, e Ernesto Tito Cucchiaroni, ala sinistra della nazionale argentina, in possesso di un dribbling capace davvero di infiammare la folla della Sud che lo ricorda ancora adesso con uno striscione esposto dal club che porta il suo nome.

Nella Spal c’era l’argentino Massei, gran colpitore di testa proveniente dall’Inter. Nel Torino neo promosso l’argentino Juan Marcos Locatelli, poi trasferitosi al Genoa per lunghi anni, allenatore del Savona e frequentatore, da giocatore e da trainer, dei campi minori della Liguria non disdegnando di essere ritornato allo status di “dilettante”.

Un argentino per l’Udinese, l’ala Pentrelli poi passato alla Fiorentina; un brasiliano ed un francese per il Vicenza: l’attaccante Siciliano che in Italia non riuscì mai ad esprimere il proprio vero valore ed il mediano Antoine Bonifaci, titolare nei “coqs”, mediano d’ordine capace di buone prestazioni anche con Inter, Torino e Bologna.

Gli anni ’60 registrarono, successivamente, una fase di arresto per l’importazione di calciatori stranieri. Anzi, dopo la sconfitta della Nazionale ai Mondiali inglesi del ’66 ad opera della Corea, fu deciso il blocco totale, salvo che per i già presenti nel nostro Paese. Il blocco durò fino alla stagione ’80-’81.

Può essere interessante, allora, verificare quanti stranieri fossero rimasti in Italia dopo qualche anno di blocco.

Prendo ad esempio la stagione ’72-’73. In quella stagione (scudetto alla Juventus) erano rimasti: il centrocampista brasiliano Claudio Olindo da Carvalho detto Nenè, nato attaccante nella Juve e poi trasformato in tessitore di gioco nel Cagliari dello scudetto; il centroavanti brasiliano Clerici, importato dal ragionier Ceppi, presidente del Lecco al tempo della Serie A, e poi trasferitosi in molte squadre della penisola dall’Atalanta al Napoli, al Verona: in questa stagione Clerici militava nella Fiorentina segnando dieci reti.

La Juventus schierava ancora due veterani di gran nome dei quali ho già ripetutamente tessuto le lodi e che nella loro maturità atletica si rivelarono molto utili alla causa bianconera: Haller e Altafini. Il tedesco Schnellinger, dopo le esperienze al Mantova e alla Roma,  reggeva ancora la difesa del Milan con la sua grinta e la sua capacità di affrontare al meglio l’avversario con tenaci marcature; a Napoli la maglia n. 9 era ancora appannaggio del brasiliano Jarbas Faustinho detto Canè, che dopo una parentesi barese era tornato in maglia azzurra; nella Sampdoria disputava le sue ultime 8 partite in Serie A – in chiusura di una eccezionale carriera – Luis Suarez, il “cervello” della grande Inter di Herrera. Insomma gli stranieri in Italia, pur tutti di grandissima classe, erano ridotti a sole 7 unità.

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Helmut Haller dal Bologna alla Juve: scudetto con entrambe

La corsa agli acquisti oltre confine riprese con il campionato ’80-’81.Nel frattempo si era allargato il numero delle sostituzioni possibili in campo e di conseguenza risultava necessario disporre di “rose” più ampie.

La ripresa degli acquisti avvenne timidamente per poi farsi sempre più forsennata. A quel punto arrivò la “sentenza Bosman”, dal nome del giocatore olandese che ricorse alla Corte Europea al fine di stabilire il principio della libera circolazione dei calciatori, che vennero considerati paradossalmente “mano d’opera” all’interno della Comunità. Veniva così rovesciato il rapporto con le società individualizzando i contratti: i giocatori si trasformarono in veri e propri uomini di spettacolo, utilizzando anche l’azione di spregiudicati agenti e procuratori.

A quel punto si è rovesciata in Italia una vera e propria valanga di calciatori di tutte le nazionalità (prevalentemente argentini), compresi giapponesi e coreani (il Perugia è stato antesignano in questo campo). La presenza degli stranieri si allargò a tutte le categorie: così abbiamo avuto Sestrese, Vado, Veloce e Savona con diversi giocatori stranieri in squadra, prevalentemente argentini. Adesso in diverse squadre sono presenti, anche a livello dilettantistico, giocatori provenienti dall’imponente ondata migratoria in atto. Un fatto che si è accompagnato ad un fenomeno inedito, quello del trasferimento di giocatori ed allenatori italiani all’estero: Mancini, Zola, De Canio, Di Matteo, Vialli, Conte; Mazzarri, Darmian. Gabbiadini in Inghilterra; Albertini, Zambrotta, Carboni, Pepito Rossi in Spagna;  Verratti in Francia.

Poi da ricordare quelli che hanno attraversato l’Atlantico per spendere gli ultimi spiccioli di carriera nel campionato USA: antesignano Chinaglia, ma anche Bettega, Prati, Zenga, Donadoni. Adesso c’è anche la Cina: dove ha giocato Damiano Tommasi, attuale presidente dell’associazione allenatore, ne è il commissario tecnico della nazionale l’ex c.t. della nazionale italiana Marcello Lippi; allenano Cannavaro e Capello. Anche in Russia presenze italiane: Mancini (allenatore) e Criscito allo Zenit di San Pietroburgo, Carrera plurivincitore sulla panchina dello Spartak di Mosca.

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Marcello Lippi emigrante alla rovescia, attualmente c.t. della Cina

Non seguirò nel dettaglio questa vicenda frutto di una globalizzazione che capisco inevitabile, ma che non mi affascina proprio. Concluderò questa parte di lavoro citando ancora i giocatori stranieri presenti in Italia, in due stagioni che ritengo molto importanti dal punto di vista dello sviluppo di questo particolare aspetto nella storia del nostro football.

Esamino così la stagione ’83-’84, nella quale il numero di stranieri utilizzabili in Serie A era salito a due e si trovavano in Italia alcuni autentici campioni come era già capitato negli anni ’50-’60. Presenze che non impedirono alla nazionale italiana di conquistare il titolo di campione del mondo nel 1982. Per finire getterò uno sguardo agli organici della stagione 2003-2004, proprio alla vigilia dell’invasione definitiva cui ho fatto cenno.

Stagione ’83-’84 (scudetto alla Juventus). Nell’Ascoli, ancora allenato da Mazzone (decimo posto), troviamo lo sgusciante brasiliano Juary ed il modesto jugoslavo Trifunovic.

Nell’Avellino giostrano in avanti due sudamericani di grande spessore: il peruviano Geronimo Barbadillo e l’argentino Ramon Diaz, capace di ribellarsi anche allo stesso Maradona; un disastro i brasiliani del Catania, Luvanor e Pedrinho.

Nella Fiorentina due argentini: l’immenso libero di gran classe Daniel Alberto Passarella, per lungo tempo il “giocatore più cattivo del mondo” (in senso sportivo ovviamente), e il non trascendentale Daniel Bertoni che giostrava all’ala destra.

Nel Genoa era tempo di “bidoni”: il brasiliano Chiagas Eloi, comparso in sole 17 occasioni e poi rispedito in patria, e l’evanescente olandese Peeters, spesso infortunato.

Nell’Inter positive le prestazioni del dinamico Hansi Muller, centrocampista tedesco dal piede buono, e insufficienti quelle del possente belga Coeck che, negli anni successivi, morirà tragicamente in un incidente stradale.

Eccezionale la coppia di stranieri della Juventus, che citerò soltanto perché credo che proprio tutti la ricordino a dovere: “Le Roi” Michel Platini e il polacco “bello di notte” (definizione dell’Avvocato, Gianni Agnelli per intenderci) Zibì Boniek.

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Michel Platini “Le Roi”, grandissimo con la Juve e con i bleu

Nella Lazio a centrocampo il brasiliano Batista, che non lasciò segni particolari, e in attacco il danese Laudrup, destinato invece ad una grande carriera.

Nel Milan, accanto al rude belga terzino destro di rottura Gerets, troviamo invece un mito alla rovescia: quel Luther Blisset, proveniente dal Watford, squadra presieduta dal cantante pop Elton John, presentato come un astro nascente e rivelatosi davvero poca cosa, al punto da figurare quasi come l’emblema del fallimento di un acquisto. Nella storia del Milan il suo posto è accanto allo “sciagurato Egidio” Calloni. La citazione, in questo caso, è del gran maestro Brera.

A Napoli con Ruud Krol, ultimo protagonista del vero calcio totale olandese, c’è il giramondo Dirceu Guimares, un brasiliano dal tiro eccezionale, di cui aveva fatto le spese anche Zoff ai Mondiali di Argentina ’78.

Nel Pisa – che il grande Romeo Anconetani, un vero intenditore di calcio, aveva riportato in Serie A – giocavano il concreto danese Beergren e l’alterno olandese Kieft, un attaccante di movimento che però vedeva poco la porta.

Nella Roma, che nella stagione precedente aveva vinto il suo secondo scudetto, militavano due brasiliani assolutamente super: il divino Paulo Roberto Falcao, giocatore dai gesti tecnici inimitabili protagonista della grande stagione giallorossa degli anni ’80, e il dinamico e trascinante Toninho Cerezo.

Francis e Brady, inglese e irlandese, rappresentavano i due regali che il presidente Mantovani aveva fatto ai tifosi della Sampdoria nel momento del ritorno in Serie A: due acquisti molto azzeccati, capaci di far da chioccia ai migliori giovani italiani del momento che la società genovese stava accaparrandosi in vista della costruzione della squadra da scudetto.

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Trevor Francis un grande cannoniere un po’ fragile

Nel Torino troviamo, invece, due onesti lavoratori del pallone: l’austriaco Sachner ottimo contropiedista e l’argentino Hernandez.

Il “top” degli stranieri presenti in quel momento in Italia si trovava però a Udine. Accanto al connazionale brasiliano Edinho, per una sorta di imperscrutabile combinazione astrale, vestì per due stagione la maglia bianconera delle “zebrette” Arturo Antunes de Coimbra detto Zico, uno dei migliori assi della sua generazione a livello mondiale, tiratore di punizioni imprendibili, dal dribbling eccezionale. Un acquisto del tutto fuori dall’ordinario per la piccola società friulana, di quelli da ricordare per sempre: la FIGC aveva rifiutato il terzo straniero alla Roma, l’AGFA sponsor dell’Udinese aveva delle questioni economiche da sistemare ed il contratto del giocatore risultò in questo senso un buon veicolo. A questo proposito va ricordato come la Federazione tentasse di impedire il tesseramento in Italia del grande Zico. I tifosi udinesi insorsero recandosi in piazza sventolando le bandiere dell’Austria e minacciando il passaggio della squadra al campionato austriaco. A quel punto la Federazione cedette.

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Arturo Antunes de Coimbra detto Zico. Per averlo i tifosi dell’Udinese dovettero minacciare di trasferire la squadra nel campionato austriaco.

Infine il Verona che allinea come stranieri due comprimari: lo squalo Joe Jordan, uno scozzese ormai in chiusura di carriera, e l’atletico polacco Zmuda che, in Italia, non riuscirà mai ad emergere. Nella città dell’Arena si rifaranno presto azzeccando gli acquisti del tedesco Briegel e del danese Elkjar-Larsen. – protagonisti nel campionato ’84-’85 del super-sorprendente scudetto gialloblù.

Stagione 2003-2004. Nell’Ancona si trovano il difensore brasiliano Anderson, l’attaccante macedone Pandev (poi al Napoli), il tedesco Heidmann, il difensore spagnolo Helguera (fratello del giocatore della Roma), il croato Rapajc (ai mondiali del 2002, in Corea, autore del goal che eliminò l’Italia nella partita della triste esibizione dell’arbitro ecuadoriano Moreno), il misterioso attaccante brasiliano Jardel e il serbo Perovic. Nel Bologna: il giapponese Nakata, mezz’ala di valore (primo nipponico a militare nel nostro campionato nella fila del Perugia), l’albanese Igli Tare, centroavanti di classe e attuale direttore sportivo della Lazio, il difensore Juarez, il centrocampista argentino Guglielminpietro già Milan e Inter.

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Nakata, primo giapponese a giocare in Italia       

Nel Brescia: il difensore argentino Martinez, il centrocampista brasiliano Matuzalem (poi alla Lazio e al Genoa, dopo essere passato da Parma e Shaktar Donetz, squadra ucraina), l’austriaco Schopp, il lituano Stankevicius dal gran rinvio con le mani in rimessa laterale, il duo argentino Gonzalez e Correa.

Nel Chievo: il centroavanti brasiliano Amauri, passato in Italia con alterne fortune da molte squadre (Napoli, Juventus, Parma e Fiorentina), l’ala brasiliana Luciano, al centro di un clamoroso caso in quanto arrivato in Italia al Bologna come Eriberto grazie ad un passaporto falso che comprendeva anche una data di nascita altrettanto falsa, il difensore brasiliano Cesar, poi alla Lazio e all’Inter, il portoghese Hugo. Nell’Empoli: l’ottimo difensore brasiliano Cribari, il forte mediano australiano Grella. Nell’Inter: l’eterno capitano argentino Javier Zanetti, allora nel pieno della forma, uno dei più grandi calciatori neroazzurri della storia per fedeltà ed abnegazione; il colombiano Cordoba, difensore acrobatico e sicuro; il centroavanti Cruz “el jardinero” argentino proveniente dal Feyenoord; lo spagnolo già del Valencia Kily Gonzalez; il centrocampista serbo dal gran tiro Dejan Stankovic prelevato dalla Lazio; il terzino danese Helveg; lo sregolato centroavanti brasiliano Adriano incapace di sottostare alla disciplina tattica indispensabile per un professionista; l’astro uruguayano Recoba, pallino di Moratti, per tante stagioni all’Inter senza riuscire mai a convincere appieno ma costato carissimo; il mediano spagnolo Farinos; l’olandese Van der Meyde; il nigeriano Martins dalla tripla capriola in caso di rete segnata; il “duro” difensore paraguayano Gamarra; il mediano argentino Almeyda poi allenatore del River Plate; il francese Lamouchi, ai Mondiali 2014 CT della Costa d’Avorio; il centroavanti nigeriano Kallon, anche lui raramente decisivo (migliori le prove fornite nel Bologna e nel Genoa); il centrocampista greco Karagounis, incompreso all’Inter ma nel corso della carriera rivelatosi elemento dotatissimo; il turco Okan, impiegato molto raramente.

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Javier Zanetti, un mostro di fedeltà nerazzurra 

Nella Juventus: il difensore francese Lilian Thuram, campione del mondo; il mediano ghanese Appiah, non molto convincente a Torino; l’ala destra italo-argentina Mauro German Camoranesi, naturalizzato e azzurro campione del mondo 2006; Pavel Nedved, ceco mai domo capace di vincere il “Pallone d‟oro”; il lungo difensore croato Tudor; l’instancabile mediano olandese Davids che giocava con uno speciale paio d’occhiali; il “panterone” uruguayano Zalayeta, spesso in prestito ma mai del tutto a proprio agio con la maglia della Juve.

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Pavel Nedved: anche lui è rimasto in Italia per ricoprire incarichi dirigenziali 

Nella Lazio: il possente centromediano portoghese Fernando Couto; Sinisa Mihailovic serbo dal tiro terribile e dalla punizione magica; il lungo difensore olandese Stam; il centroavanti argentino Lopez; l’esterno brasiliano Cesar; l’ala portoghese Concecaio. Nel Lecce: la mezz’ala argentina, un vero “uomo d’ordine”; Ledesma; il cannoniere uruguayano Chevanton che sicuramente ha finito con il mantenere meno di quanto promesso; l’attaccante nigeriano Konan molto veloce; l’altra promessa mancata il bulgaro Valerj Bojjnov; l’uruguayano Guillermo Giacomazzi vero metronomo a centrocampo; il giovanissimo montenegrino Vucinic in procinto di spiccare il volo per una grande carriera tra Roma e Juventus.

Nel Milan: era già finita l’epoca d’oro dei Van Basten, Rijìkard, Gullit, Papin, Desailly, Boban, Savicevic. Ma l’elenco degli stranieri in forza al Milan nella stagione 2003-2004, terminata con lo scudetto (allenatore Carletto Ancelotti, ora invocato per la resurrezione dell’Italia dopo l’esclusione mondiale) è comunque da far tremare i polsi: Cafu, Seedorf, Kakà, Rui Costa, Tomasson, Schevcenko, Andersson, Kaladze, Laursen, Redondo. Nel Modena (ora scomparso dalle scene calcistiche): il veloce Kamara, il terzino ghanese Mensah e basta.

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Clarence Seedorf, per lui nel Milan anche una poco fortunata parentesi da allenatore

Nel Parma: il portiere francese Frey, poi al Genoa; il centrocampista australiano Mark Bresciano; il croato Seric; il brasiliano Junior (non parente del grande Leo del Torino). Nel Perugia: il lunghissimo portiere australiano Kalac; il forte difensore ghanese Diamoutene; l’altro terzino brasiliano Ze Maria; il mediano nigeriano Obodo (uscito felicemente da un recente tentativo di sequestro nel suo paese); lo “strano” cannoniere inglese Botrhoyd; il greco Vryzas dalle buone doti; il centrocampista romeno Codrea poi al Genoa e al Siena; il terzino francese Coly; gli altri greci Lampuodis e Nastos; l’ottimo ma poco adoperato centrocampista francese Genevier.

Nella Reggina: il difensore ceco Jranek sicuro ed affidabile; il centrocampista brasiliano Mozart; il paraguayano Paredes; il giapponese Nakamura dall’ottima visione di gioco; il fantasioso ecuadoriano Leon poi al Genoa.

Nella Roma: il francese Zebina grande cursore di fascia; lo stopper argentino Samuel (“the wall”); l’eclettico romeno Chivu; l’ala Mancini, il fortissimo laterale Emerson, il tenace Lima, il secondo portiere Zotti, tutti brasiliani; l’altro francese Candela.

Nella Sampdoria: il velocissimo croato Zikvovic; il misterioso giapponese Yanigisawa e il camerunense Job. Nel Siena: il difensore uruguayano ex-Roma Cufrè; l’ala Taddei, brasiliano successivamente alla Roma; il lungo norvegese Flo specialista nei colpi di testa; il difensore argentino Juarez; Roque Junior brasiliano oggetto misterioso proveniente dal Milan e l’altro brasiliano Menegazzo centrocampista un po’ incompreso. Nell’Udinese: l’argentino Sensini mostro di capacità tattica e professionale; il difensore danese Koldrup; l’altro danese Jorgensen, centrocampista esterno di classe poi al Milan e alla Fiorentina; il terzino sinistro ceco Jankulovski dal lungo calcio di rinvio; il mediano ghanese Muntari, poi all’Inter e al Milan; il mediano brasiliano Alberto; l’ala argentina Castroman; il difensore brasiliano Felipe; il tedesco Jancker; l’altro tedesco Gemiti difensore di fascia; l’attaccante nigeriano Momenthé, poi fermato da un grave infortunio e ricomparso a Varese; il difensore Gargo anche lui nigeriano; l’argentino Gutierrez e l’allora giovanissimo ghanese Asamoah, oggi passato alla Juventus.

Insomma: una carica di 118 giocatori che la diceva già lunga dell’avvenuto cambiamento. Ed il più (e il peggio con molte mezze tacche spacciate da fenomeni veri o potenziali) doveva ancora arrivare…

La “rivoluzione” imposta dalla praticamente illimitata possibilità di acquisto degli stranieri non ha stravolto soltanto la realtà del campionato italiano. Sarebbe interessante verificare cosa accaduto negli altri campionati europei in particolare in quelli tedesco, inglese e spagnolo. La rivoluzione degli stranieri, inoltre, è stata parte dell’altra “rivoluzione”: quella dei calendari imposti dalla TV.

 

 

LE NAZIONALI SCOMPARSE: QUANDO C’ERANO URSS, JUGOSLAVIA GERMANIA EST E CECOSLOVACCHIA

 

di LUCIANO ANGELINI e FRANCO ASTENGO

Il decennio conclusivo del ‘900 è stato attraversato da avvenimenti di carattere epocale attraverso i quali, tra grandi speranze (in parte delusae) e immani tragedie, è mutata la carta geografica d’Europa. Sono stati cancellati Stati e altri ne sono sorti, in modo pacifico e  con conflitti sanguinosi come nei Balcani o nel Caucaso: conflitti che ancora oggi stanno lasciando una striscia di sangue nella storia, come sta accadendo in Ucraina.

Noi, molto modestamente, ci occupiamo (per quanto si possa esserne capaci) di storia del calcio e, in questo caso, scriveremo delle “Nazionali scomparse”: di quelle squadre rappresentative cioè delle nazioni che sono state cancellate e sostituite da nuove articolazioni statuali.

Dal punto di vista – appunto – della storia del calcio le perdite sono state di grande portata. Le competizioni internazionali hanno perduto infatti l’URSS, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia, la Germania Est.

Come vedremo meglio esaminando il passato soggetti molto importanti nella memoria collettiva del calcio europeo.

Allora andiamo per ordine.

URSS

Il calcio in Russia ebbe il suo primo sviluppo all’epoca pionieristica, analogamente a quanto avvenne negli altri paesi europei. Una selezione russa partecipò, infatti, alle Olimpiadi di Stoccolma nel 1912 (si trattava di una rappresentativa studentesca dell’Università di San Pietroburgo): di quell’esperienza rimane nella storia il 2-1 incassato dalla Finlandia nel primo turno eliminatorio ma soprattutto il 16-0 subito dalla Germania nel girone di consolazione.

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La prima squadra vincitrice di un campionato russo di calcio. Allestita da inglesi (come avveniva in tutta Europa) sotto la denominazione di St. Petersburg Circle of Lovers of Sport. Correva l’anno 1908

Scoppiata la rivoluzione il calcio russo, successivamente diventato sovietico, non interruppe la propria attività senza però, negli anni tra le due guerre mondiali, svolgere una particolare attività internazionale. Sul territorio sovietico si svolsero infatti soltanto gare dimostrative a scopo politico, come quelle che videro protagonista – nel corso della guerra civile spagnola – la nazionale Basca, rappresentativa della Repubblica e impegnata in un “tour” dimostrativo di appoggio in giro per il mondo allo scopo di raccogliere fondi e simpatia.

Soltanto nel primissimo dopoguerra la Dinamo di Mosca svolse una tournée in Gran Bretagna, ottenendo risultati eclatanti e impressionando per la velocità e la tecnica di gioco.

Nonostante ciò la squadra nazionale sovietica non partecipò ai Mondiali del 1950 e del 1954, prendendo invece parte al torneo delle Olimpiadi del 1952 ad Helsinki e del 1956 a Melbourne.

Ad Helsinki i sovietici, eliminata la Bulgaria per 2-1 nel turno preliminare incapparono nell’ostacolo Jugoslavia. Si giocarono due partite memorabili: nella prima si realizzò uno spettacolare 5-5. Nella ripetizione i più esperti jugoslavi si imposero per 3-1. La Jugoslavia arrivò così alla finale subendo però una sconfitta per 2-0 dalla grande Ungheria.

In quel periodo, infatti, la squadre rappresentative dei regimi socialisti dell’Est presentavano alle Olimpiadi la prima squadra considerata composta da dilettanti (erano tutti ufficiali dell’esercito, poliziotti, funzionari del partito: in quell’Ungheria, assolutamente favolosa dal punto di vista tecnico, Puskas aveva il grado di colonnello dell’esercito, Bozsik era stato addirittura eletto deputato) mentre le squadre occidentali dovevano limitarsi a presentare la rappresentativa universitaria.

Accadde così anche nel 1956 a Melbourne e l’URSS si aggiudicò la medaglia d’oro superando proprio la Jugoslavia in finale con il punteggio di 1-0, rete dell’ala sinistra Ilijn. Apparve dunque matura la partecipazione dell’URSS alla Coppa del Mondo.

In vista dell’edizione del 1958 che si sarebbe disputata in Svezia, la squadra sovietica fu inserita in un girone eliminatorio comprendente la Polonia e la Finlandia. L’esordio ufficiale della squadra sovietica nelle eliminatorie della Coppa del Mondo avvenne, nello scenario dello stadio Lenin di Mosca, il 23 Giugno 1957 avversaria la Polonia sconfitta per 3-0 con reti di Tatushin, Simonyan e Ilijn.

Nella fase finale i sovietici affrontarono a Goteborg l’Inghilterra pareggiando 2-2, a Boras l’Austria superata per 2-0 e finirono sconfitti dal Brasile, nuovamente a Goteborg per 2-0.

Si arrivò così allo spareggio valido per il secondo posto nel girone. Ancora a Goteborg, di nuovo URSS – Inghilterra e successo sovietico per 1-0 ancora con rete di Ilijn. Nei quarti di finale la squadra sovietica si trovò di fronte i padroni di casa della Svezia, pieni di assi che giocavano in Italia: i gialloblu la spuntarono 2-0 con reti di Hamrin e Simonsson.

L’URSS aveva così dimostrato di poter stare alla pari delle “grandi” del calcio internazionale. Nel 1960 arrivò il primo grande successo con la conquista del Campionato Europeo.

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La squadra sovietica solleva la Coppa del Primo campionato europeo per nazioni

Fase finale in Francia, superata la Cecoslovacchia in semifinale con il punteggio di 3-0 la squadra sovietica sconfisse nella finale, giocata al Parco dei Principi di Parigi, la solita Jugoslavia con il punteggio di 2-1 dopo i tempi supplementari.

L’importanza dell’avvenimento (si trattava del primo campionato europeo per Nazioni) ci induce a trascrivere per intero il tabellino della partita. Da segnalare la presenza tra i pali di Jashin, il “ragno nero”, unico portiere della storia ad aver vinto il Pallone d’oro.

Parigi 10 Luglio 1960

URSS – Jugoslavia 2-1 (dopo i tempi supplementari)

Reti: Galic 41’, Metreveli 49’, Ponedelnik 113’.

URSS: Jashin, Tiokheli, Kroutikov, Voronin, Masleskin, Netto, Metreveli, Ivanov, Ponedelnik, Bubukin, Meshi.

Jugoslavia: Vidinic, Durkovic, Jusufi, Zanetic, Miladinovic, Perusic, Sekularec, Jerkovic, Galic, Matus, Kostic.

Nel frattempo i contatti tra il calcio italiano e quello sovietico si erano mantenuti attraverso incontri fra squadre di club: in particolare la Dinamo di Mosca scese in Italia per alcune gare amichevoli, vincendo per 4-1 con il Milano il 9 Aprile 1955 e cedendo alla Fiorentina per 1-0 l’8 Settembre dello stesso anno (nel frattempo era toccato al Milan recarsi a Mosca e rendere la pariglia per 4-2).

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La comitiva del Milan ritratta sulla Piazza Rossa, con alle spalle il Cremlino

La prima partita ufficiale tra le nazionali sovietica e italiana si sarebbe però giocata a Mosca il 13 ottobre 1963, nell’ambito di quarti di finale del campionato europeo.

Una gara drammatica: l’Italia restò presto in 10 uomini per l’espulsione di Pascutti colpevole di aver colpito con un pugno il terzino Dubinsky: l’ala del Bologna avrebbe pagato il suo gesto per molto tempo: sui campi delle “zone rosse” in Italia sarebbe stato per diverso tempo colmato di fischi. La “guerra fredda” aveva un suo peso anche in queste vicende.

Ecco il tabellino di quella storica giornata:

Mosca 13 ottobre 1963

URSS – Italia 2-0

Reti: Ponedelnik, Cislenko (il principe Igor che avrebbe colpito l’Italia anche nella partita dei mondiali inglesi del 1966 finita 1-0 per i sovietici. L’Italia poi, in quel frangente, sarebbe stata eliminata dalla Corea del Nord).

URSS: Urushadze; Dubinsky, Krutikov, Voronin, Shesternev, Korolenkov, Metreveli, Cislenko, Ponedelnik, Ivanov, Husainov.

Italia: Negri (Bologna), Maldini (Milan), Facchetti (Inter), Guarneri (Inter), Salvadore (Juventus), Trapattoni (Milan), Bulgarelli (Bologna), Corso (inter), Sormani (Roma), Rivera (Milan), Pascutti (Bologna). Da notare Bulgarelli con il n.7 e Corso addirittura con il n.8 a testimonianza di una certa confusione in testa a “Topolino” Fabbri c.t. della Nazionale.

Arbitro : Banasiuk (Polonia).

La gara di ritorno si giocò il successivo 10 novembre all’Olimpico decretando l’eliminazione dell’Italia. Finì 1-1 e Sandro Mazzola si fece parare un rigore da Lev Jashin, assente nella gara d’andata. Il portierone sovietico, da giudicare ancora oggi il miglior estremo difensore nella storia del calcio, era impressionante, sembrava proprio invalicabile. In quell’occasione ci riuscì Rivera con un maligno pallonetto, ma Mazzola sull’occasione del rigore apparve davvero ipnotizzato.

Doveroso anche il tabellino di questa partita.

Roma 10 Novembre 1963

Italia – URSS 1-1

Reti: Gusarov, Rivera.

Italia: Sarti (Inter), Burgnich (Inter, esordiente), Facchetti (Inter), Guarneri (Inter), Salvadore (Juventus), Trapattoni (Milan), Domenghini (Atalanta, esordiente), Bulgarelli (Bologna), Mazzola (Inter), Rivera (Milan), Menichelli (Juventus).

Urss: Jascin, Mudrik, Krutikov, Voronin, Shesternev, Shustikov, Cislenko, Ivanov, Gusarov, Korolenkov, Husainov.

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Lev Jashin devia in corner. Sullo sfondo Sandro Mazzola. Mondiali inglesi ’66: URSS – Italia 1-0

La storia della nazionale dell’URSS si interruppe improvvisamente con i mondiali del ’90 giocati in Italia (salvo un’effimera partecipazione della rappresentativa della Comunità degli Stati Indipendenti al campionato europeo del 1992 giocato in Svezia).

La conclusione di quella grande vicenda calcistica coincise con una clamorosa sconfitta (e relativa eliminazione nel girone eliminatorio): un risultato che dimostrava come ormai certi equilibri si fossero modificati profondamente anche sul piano sportivo. L’URSS infatti lasciò per sempre i tornei internazionali incassando, il 18 Giugno 1990, un pesante 4-0 dal Camerun, prima squadra africana a qualificarsi per gli ottavi di finale nella massima competizione calcistica mondiale.

JUGOSLAVIA

Affatto diversa la storia della nazionale jugoslava di calcio. Lo stato Jugoslavo, nato al temine del primo conflitto mondiale sulla base della dissoluzione dei grandi imperi austro – ungarico e ottomano, ebbe subito una fortissima squadra di calcio nella quale confluirono giocatori croati, serbi, bosniaci, montenegrini.

Una squadra tradizionalmente composta da giocatori molto tecnici, insuperabili nel dribbling ma incostanti e deboli nella fase difensiva al punto da meritare la denominazione di “Brasile dei Balcani”. In effetti l’assonanza dal punto di vista tecnico c’è sempre stata.

La Jugoslavia fu una delle poche nazioni europee a partecipare al primo campionato del Mondo (Coppa Rimet) giocato nel 1930 in Uruguay e vinto dai padroni di casa superando l’Argentina in finale con il punteggio di 4-2.

Con la Jugoslavia attraversarono l’Oceano soltanto il Belgio, la Francia e la Romania. L’esordio degli slavi fu davvero con il botto e merita un approfondimento particolare.

Ecco il tabellino della partita.

Montevideo 14 Luglio 1930

Jugoslavia – Brasile 2-1

Reti: Tirnacic 21’ (l’autore della prima rete della Jugoslavia ai mondiali poi, nel dopoguerra, avrebbe ricoperto a lungo l’incarico di c.t., Bek 31’, Nilo 62’.

Jugoslavia: Jaksic, Ikcovic, Mihailovic, Aresijevic, Stafanovic, Djokic, Tirnacic, Marjanovic (in Italia avrebbe allenato Torino, Lazio e Pescara), Bek, Vujadinovic, Sekulic.

Brasile: Joel, Briffiante, Italia, Hermanoges, Fausto, Fernando, Poly, Nilo, Arakem, Pregiunho, Teofilo.

Arbitro: Tejada (Uruguay).

La squadra jugoslava fu poi eliminata in semifinale dall’Uruguay con il pesante punteggio di 6-1.

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La Jugoslavia schierata ai mondiali 1930 in Uruguay

Nel frattempo erano già stati stabiliti contatti tra il calcio italiano e quello jugoslavo.

La prima partita Italia – Jugoslavia fu giocata a Padova (l’occasione della prima esibizione degli azzurri nella città veneta) il 4 Novembre 1925.

ITALIA – JUGOSLAVIA 2-1

RETI: Bencic (futuro allenatore del Bologna), Schiavio 2.

Italia: Combi (Juventus), Bellini (Inter), Allemandi (Juventus), Dugoni (Modena), Bernardini (Lazio), Gandini (Alessandria), Conti (Inter), Della Valle (Bologna), Schiavio (Bologna), Magnozzi (Livorno) Cevenini III (Inter).

Jugoslavia: Friederich, Urbanic, Pazur, Marianovic, Prelerl, Kriz II, Ardenic, Jovanovic, Bencic, Petkovic, Sekulic.

Arbitro: Braun (Austria).

La prima trasferta della nazionale italiana in terra jugoslava avvenne proprio alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale (l’Italia, appena confermatasi campione del mondo nel 1938 in Francia, stava svolgendo un giro di gare di fine stagione che avrebbe portato la squadra anche in Ungheria e Romania).

BELGRADO 4 Giugno 1939

Jugoslavia – Italia 1-2

Reti: Piola, Colaussi, Perlic.

Jugoslavia: Lovric, Pozzega, Dubac, Manola, Dragievic, Lehner, Glisovic, Vujadinovic, Petrovic, Matosic, Perlic.

Italia: Olivieri (Torino), Foni (Juventus), Rava (Juventus), Depetrini (Juventus), Andreolo (Bologna), Locatelli (Inter), Biavati (Bologna), Perazzolo (Genoa), Piola (Lazio) Meazza (Inter), Colaussi (Triestina).

Arbitro: Langenus (Belgio).

Nel dopoguerra le occasioni di confronto tra il calcio italiano e quello jugoslavo furono molteplici  e di grande importanza: la Jugoslavia eliminò in semifinale l’Italia alle Olimpiadi di Roma grazie al sorteggio per poi vincere il titolo, l’Italia – sempre nello scenario dell’Olimpico – sconfisse gli jugoslavi in una duplice finale nel campionato europeo 1968, tanti giocatori e tecnici jugoslavi hanno indossato la maglia di squadre italiane o le hanno dirette in panchina da Boskov a Vukas, da Mihailovic al “genio” Savicevic.

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Jugoslavia mondiali 1954: 1 Beara, 2 Stanković, 3 Crnković, 4 Čajkovski, 5 Horvat, 6 Boškov, 7 Ognjanov, 8 Mitić, 9 Vukas, 10 Bobek, 11 Zebec, 12 Kralj, 13 Zeković, 14 Mantula, 15 Spajić, 16 Milovanov, 17 Belin, 18 Milutinović, 19 Papec, 20 Dvornić, 21 Veselinović, 22 Petaković; c.t. Tirnanić 

Anche la Jugoslavia, per ironia della sorte, chiuse la propria vicenda come rappresentativa nazionale nel corso dei mondiali del 1990 giocati in Italia. Su quella drammatica esperienza è stato scritto un bellissimo libro “L’ultimo rigore di Faruk” del quale offriamo in questa sede un’immagine e una recensione.

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L’ultimo rigore di Faruk. Una storia di calcio e di guerra

  • «Sono quasi le 7,30 della sera a Firenze. Nessuna brezza è arrivata a dare un briciolo di refrigerio. Ai calci di rigore si consuma il destino di quella che sarà l’ultima Jugoslavia alla fase finale di una competizione mondiale». Una vicenda emblematica del rapporto perverso tra sport e politica.
  • Nella tragica e violentissima dissoluzione della Jugoslavia un calcio di rigore sembrò contrassegnare il destino di un popolo. Un penaltydivenne nei Balcani il simbolo dell’implosione di un intero Paese, e dei conflitti che sarebbero seguiti di lì a poco. Intuendo la complessità di un evento che sembrava soltanto sportivo, Gigi Riva racconta con attenzione da storico e sensibilità da narratore un tiro fatale, sbagliato il 30 giugno del 1990 a Firenze da Faruk Hadžibegić, capitano dell’ultima nazionale del Paese unito. La partita contro l’Argentina di Maradona nei quarti di finale del Mondiale italiano portò all’eliminazione di una squadra dotata di enorme talento ma dilaniata dai rinascenti odi etnici. Leggenda popolare vuole che una eventuale vittoria nella competizione avrebbe contribuito al ritorno di un nazionalismo jugoslavista e scongiurato il crollo che si sarebbe prodotto.
    Proprio per la sua popolarità il calcio è sempre servito al potere come strumento di propaganda. Basti pensare all’uso che Mussolini fece dei trionfi del 1934 e 1938, o a come i generali argentini sfruttarono il Mondiale in casa del 1978, durante la dittatura. Oppure, ai giorni nostri, a come lo Stato Islamico abbia deciso di colpire lo Stadio di Francia durante una partita per amplificare il suo messaggio di terrore. Ma si potrebbe sostenere che in nessun luogo come nella ex Jugoslavia il legame tra politica e sport sia stato così stretto e perverso. 
    Attraverso la vita del protagonista e dei suoi compagni (molti dei quali diventati poi famosi in Italia, da Boban a Mihajlović, da Savićević a Bokšić, da Jozić a Katanec), si scopre il travaglio di quella rappresentativa nazionale e del suo allenatore Ivica Osim, detto «il Professore», o «l’Orso». Nelle loro gesta si specchia la disgregazione della Jugoslavia e la spregiudicatezza dei suoi leader politici, che vollero utilizzare lo sport e i suoi eroi per costruire il consenso attorno alle idee separatiste. In questo senso il calcio è stato il prologo della guerra con altri mezzi, il rettangolo verde la prova generale di una battaglia. Non a caso si attribuisce agli scontri tra i tifosi della Dinamo Zagabria e della Stella Rossa di Belgrado il primato di aver messo in scena, in uno stadio, il primo vero episodio del conflitto. Ed è nelle curve che sono stati reclutati i miliziani poi diventati tristemente famosi per la ferocia della pulizia etnica a Vukovar come a Sarajevo.
  • Per il loro valore emblematico le vicende narrate, risalenti a un quarto di secolo fa, sono ancora tremendamente attuali. E non è così paradossale scoprire in esergo a queste pagine le parole beffarde che Diego Armando Maradona rivolse all’autore: «Occupati di politica internazionale, il calcio è una cosa troppo seria».

CECOSLOVACCHIA

Un altro stato sorto sulle ceneri dell’impero austro ungarico all’indomani della prima guerra mondiale.

Il calcio da quelle parti era già molto sviluppato, nel solco del valzer danubiano che accomunava con la Cecoslovacchia anche l’Austria e l’Ungheria quali espressioni più avanzate nella tecnica del gioco in campo continentale.

Le squadre italiane se ne erano già accorte nell’anteguerra: nel 1907 il Torino, nel corso della sua prima escursione all’estero, aveva incassato a Praga un pesante 8-1; a Budapest, nel 1910, prima trasferta della nazionale italiana  e incassato un secco 1-6, l’Austria dal canto suo appariva del tutto imbattibile. Non rappresentò una sorpresa, insomma, l’esito della prima trasferta dell’Italia a Praga.

27 Maggio 1923

Cecoslovacchia – Italia 5-1

Reti: Cisar, Janda, Sedlacek, Dvoracek, Moscardini, Kezeluch.

Cecoslovacchia: Pejr, Hojer, Seifert, Kolonaty, Kada, Cerveny, Sedlacek, Janda, Kezeluch, Dvoracek, Cisar.

Italia: Trivellini (Brescia), Caligaris (Casale), De Vecchi (Genoa), Brezzi (Alessandria), Burlando (Genoa), Aliberti (Torino), Migliavacca (Novara), Baloncieri (Alessandria), Moscardini (Lucchese), Perin (Bologna).

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Un’immagine delle sfide tra Italia e Cecoslovacchia negli anni’20 e ’30. Per l’Italia in azione Angelo Schiavio

La storia dei confronti calcistici tra Italia e Cecolosvacchia è però impreziosita da una vera e propria “perla”. 10 Giugno 1934, stadio Nazionale di Roma, si gioca la finale della Coppa del Mondo, di fronte si trovano proprio Italia e Cecoslovacchia. Il divario tecnico tra le due scuole calcistiche ormai si è colmato: l’Italia ha appena eliminato l’Austria in semifinale.

Una partita, quella di finale, aspra, tiratissima, di eccelso livello tecnico: alla fine ci vorranno i tempi supplementari per dare all’Italia il tanto agognato primo titolo mondiale.

ITALIA – CECOSLOVACCHIA 2-1

Reti: Puc, Orsi, Schiavio.

Italia: Combi (Juventus), Monzeglio (Bologna), Allemandi (Inter), Ferraris IV (Roma) Monti (Juventus) Bertolini (Juventus) Guaita (Roma) Meazza (Inter) Schiavio (Bologna) Ferrari (Juventus) Orsi (Juventus).

Cecolosvacchia: Planicka, Zenizsek, Cyrosky, Kostalek, Cambal, Krcil, Janek, Svoboda, Sobotka, Neiedly, Puc.

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Finale 1934: i due portieri, Combi e Planicka, capitani

Per la Cecoslovacchia non fu quella l’unica occasione nella storia per impadronirsi del titolo mondiale. Fu fatale un’altra finalissima, giocata a Santiago del Cile, avversario il “magno” Brasile  nel 1962. I verde oro si imposero, alla fine per 3-1 e alla Cecoslovacchia non fu sufficiente passare in vantaggio con un goal del grandissimo Josef Masopust.

Ci fu ancora il tempo per una grande impresa: quella del 1976, ai campionati europei, nella prima finale decisa dai “rigori” al termine dei tempi supplementari. Dagli undici metri Panenka condannò la Germania alla sconfitta esaltando la Cecoslovacchia campione d’Europa.

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  1. Rigore di Panenka. Per la prima volta il titolo europeo è assegnato con i tiri dal dischetto

L’addio della Cecoslovacchia alle competizioni internazionali si verificò con la fase di qualificazione agli Europei del 1992.

Alla vigilia della divisione tra Cechia e Slovacchia la squadra fu eliminata piazzandosi al secondo posto alle spalle della Francia e non partecipò così alla fase finale svoltasi in Svezia.

Si chiudeva in questo modo un altro importante capitolo nella storia del calcio europeo.

GERMANIA EST

La storia del calcio nella parte orientale della Germania non è stata di altissimo profilo come, invece, nelle altre nazioni delle quali ci siamo fin qui occupati. Una sola partecipazione alla fase finale dei mondiali: quella giocata proprio nella parte occidentale del territorio tedesco e conclusasi con la vittoria finale della Germania Ovest. Quella partecipazione però rimane assolutamente “storica”.

Il 22 Giugno 1974 nello stadio di Amburgo si disputò il derby tra BDR (Germania Federale) e DDR (Germania Democratica), denominazioni ufficiali di Germania Ovest e Germania Est.

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Il goal di Sparwasser che decide la sfida fra le due nazionali tedesche

Tabellino come di dovere.

GERMANIA EST – GERMANIA OVEST 1-0

Rete: 77’ Sparwasser.

Germania Est: Croy, Kische, Bransch, Weise, Watlich, Irmescher (Haman dal ’65), Lauck, Kreische, Kurbwleit, Sparwasser, Hoffman.

Germana Ovest: Maier, Vogts, Breitner, Schawarznbeck (Hottges dal 69’), Beckenbauer, Cullman, Grabowski, Honess, Muller, Overath (Netzer dal ’70) Flohe.

Arbitro: Barreto Ruiz (Uruguay).

Nel girone di semifinale la DDR terminò al terzo posto alla pari con l’Argentina scavalcata da Olanda e Brasile.

La nazionale italiana ebbe occasione di incontrare la Germania Est nella fase eliminatoria per i mondiali del ’70 disputati in Messico (quelli di Italia – Germania Ovest 4-3 e poi della finale perduta dagli azzurri con il  Brasile 1-4).

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La squadra italiana schierata allo stadio Walter Ulbricht di Berlino Est. Da sinistra in piedi: Salvadore, Facchetti, Prati, Zoff, Castano, Riva. Accosciati . Mazzola, Bertini, De Sisti, Burgnich, Rivera

Ecco, in conclusione, i tabellini delle due storiche partite.

Berlino Est 29 Marzo 1969

Germania Est – Italia 2-2

Reti: Vogel ’26, Riva 54’ (meraviglioso goal in tuffo di testa), Kreische 72’, Riva 82’.

Germania Est: Croy, Fraessdorf, Urbanczyk, Bransch, Seehaus, Korner, Lowe, Nolder (Stein dal ’76), Frenzel, Kreische, Vogel.

Italia: Zoff (Napoli), Burgnich (Inter), Facchetti (Inter), Bertini (Inter), Salvadore (Juventus), Castano (Juventus), Prati (Milan), Rivera (Milan), Mazzola (Inter), De Sisti (Fiorentina), Riva (Cagliari).

Arbitro: Bostrom (Svezia).

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Giacinto Facchetti in azione nella sfida di Napoli contro la Germania Est

Napoli 23 Novembre 1969

Italia – Germania Est 3-0

Reti: Mazzola 7’, Domenghini 35’, Riva 36’.

Italia: Zoff (Napoli), Burgnich (Inter), Facchetti (Inter), Cera (Cagliari), Puja (Torino), Salvadore (Juventus), Chiarugi (Fiorentina), Mazzola (Inter), Domenghini (Cagliari), De Sisti (Fiorentina), Riva (Cagliari).

 

CALCIO&CINEMA IN 15 FILM  DA ALBERTO SORDI A LINO BANFI  DA RAF VALLONE A STALLONE

 

a cura di FRANCO ASTENGO 

Abbiamo provato a raccontare il legame tra il calcio e il cinema attraverso 15 titoli di film di varie epoche, non tutti riusciti per la verità. C’è anche l’ormai dimenticato “5-0” di Bonnard con Angelo Musco dei primi anni ’30 e l’immaginifico “Il mundial dimenticato”, tratto dal romanzo “Il figlio di Butch Cassidy” di Osvaldo Soriano, oltre ai classici della comicità italiana come “L’allenatore nel pallone” e “Il presidente del Borgorosso Football Club”.

Una miscellanea di titoli per ricordare varie epoche e diverse situazioni. Sicuramente il più drammatico e coinvolgente è stato proprio “Fuga per la vittoria” con il quale comincia questa nostra particolare carellata.

1)    Fuga per la Vittoria. Diretto da John Huston, è senza dubbio uno dei film più famosi sul calcio, se non il più noto. La trama è liberamente ispirata a un fatto reale, la cosiddetta “partita della morte”. Racconta la storia dell’incontro di calcio tra una squadra di ufficiali detenuti in un campo di prigionia tedesco in Francia e una rappresentativa nazista. Nato con intento puramente sportivo, il match diventa ben presto una leva per la propaganda dell’esercito di Berlino, ma anche una rocambolesca occasione di fuga per i militari catturati.
A rendere la pellicola “epica” c’è un cast a dir poco stellare, con attori come Max von Sydow, Michael Cain e Sylvester Stallone a dividersi la scena con calciatori del calibro di Pelé, Bobby Moore (capitano della nazionale inglese campione del mondo nel 1966), Paul Van Himst (iconico centrocampista belga), Kazimierz Deyna (vincitore di un oro e di un argento olimpico con la Polonia), Osvaldo Ardiles (campione del mondo nel 1978 con l’Argentina) e molti altri. 

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Michel Caine, Silvester Stallone e Pelè in “Fuga per la Vittoria”

2)     Febbre a 90°. Film del 1997, regia di David Evans. Paul Ashworth è un professore di lettere della scuola superiore con una passione totalizzante: l’Arsenal. La sua intera esistenza ruota intorno ai “Gunners” e neppure l’amore per una collega, Sarah Hughes, sembra essere in grado di scuotere la sua quotidianità fatta di calcio. Tuttavia, la tragedia di Hillsborough e una notizia inaspettata lo porteranno a riflettere su che cosa sia davvero importante e cambiare. Forse.
Più che sul calcio (Evans si è limitato a qualche frammento di telecronache e a momenti di partitelle della squadra scolastica allenata da Paul-Fith, è un film sulla passione, sull’ossessione per il calcio. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby e vede nei panni del protagonista un giovanissimo Colin Firth.

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Colin Firth in una scena di Febbre a 90°

3)    L’allenatore nel pallone. Il film dell’84, con un sequel nel 2008, regia di Sergio Martino, è un vero e proprio cult per gli appassionati di calcio e – nonostante i toni goliardici e scollacciati – è uno spaccato incredibilmente realistico e (tristemente) attuale del mondo del pallone in Italia. La storia ruota intorno alla figura di Oronzo Canà, l’allenatore del titolo, che viene ingaggiato per guidare la neopromossa Longobarda durante il suo primo campionato in serie A. Nonostante le premesse, però, non è tutto oro quello che luccica e lo scalcinato mister dovrà vedersela con procuratori senza scrupoli, presidenti interessati più al proprio tornaconto economico che allo sport e ai tifosi e partite truccate. Oltre che con una squadra di brocchi e un campione con la “saudade”…
Il mattatore del film è Lino Banfi, affiancato da altri due “pesi massimi” della comicità casereccia italiana, Gigi Sammarchi e Andrea Roncato, e da numerosi veri protagonisti del calcio anni ’80, come Roberto Pruzzo, Carlo Ancelotti e Zico.

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Lino Banfi protagonista del film L’allenatore nel pallone

4)    Sognando Beckham. Jess è una ragazza indiana che vive a Londra e ama il calcio, sognando di diventare il corrispettivo femminile di David Beckham. La sua famiglia, invece, immagina per lei un futuro da donna in carriera. A decidere la sorte della giovane, però, è il caso. Un giorno, infatti, Jess viene notata mentre gioca in un parco cittadino da Jules, che la invita a entrare nella sua squadra. Le due diventano amiche e iniziano un percorso di crescita sportiva e personale che le porterà lontano… nonostante diversi contrattempi e qualche malinteso.
Il cast annovera tre attori molti noti al pubblico cinematografico e televisivo: Parminder Nagra (E.R. Medici in Prima Linea, The Blacklist), Keira Knightley (Pirati dei Caraibi, The Imitation Game) e Jonathan Rhys Meyers (Match Point, I Tudors).

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5)     Hooligans. Diretto da Lexi Alexander (anche regista di Punisher – Zona di Guerra), il film prova a raccontare le dinamiche del tifo organizzato inglese, nei suoi anni più bui e violenti. Per farlo, segue le vicende di Matt Buckner, un brillante studente di giornalismo di Harvard, espulso ingiustamente dalla prestigiosa università a causa del compagno di stanza. Il giovane torna in Inghilterra dalla sorella e qui diventa amico del fratello del cognato, Pete Dunham, leader degli hooligans del West Ham United, la Green Street Elite (GSE). Matt scopre un mondo di cui non sospettava neppure l’esistenza e inizia una sorta di percorso di formazione che lo cambierà per sempre.
Il film – che tra i protagonisti annovera Elijah Wood e Charlie Hunnam – non è il primo che cerca di rappresentare le “curve”. Precedenti sono infatti Ultrà, di Ricky Tognazzi (1991), e Hooligans – Teppisti, di Philip Davis (1995).

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6)    Best. Il film – uscito in Italia nel 2002 solo per il mercato dell’home video – racconta la parabola calcistica e umana del leggendario George Best, “il 5° Beatle”. Incredibilmente talentuoso in campo, quanto eccessivo e sregolato nella vita, Best nel 1968 ha vinto la Coppa dei Campioni e il Pallone D’Oro, ma la bravura e il successo non gli sono bastati e un’infezione al fegato, causata dalla dipendenza dall’alcool, nel 2005 ha scritto la parola fine alla sua storia.
A interpretare George Best è John Lynch (Sliding Doors, Le Avventure del Giovane Indiana Jones).

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7)     United. Tutti, anche chi non segue il calcio, conoscono la tragedia del Grande Torino. Meno noto è invece il cosiddetto “disastro aereo di Monaco di Baviera” del 1958, in cui perirono otto giocatori e tre membri dello staff del Manchester United. Anche in questo caso, si trattava di una squadra leggendaria, guidata dall’allenatore Matt Busby e composta da una vera e propria “covata” di talenti, che in virtù della giovane età erano chiamati “Busby Babes”. Il film racconta i successi e la drammatica fine di quel favoloso Manchester United, dal 1956 al 1958.

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8)     Maradona la mano de Dios. Diretto da Marco Risi, il film ripercorre la vita e la carriera di Diego Armando Maradona, dall’infanzia in Argentina fino all’età adulta e all’apotesi calcistica. Il talento dello sportivo e la sregolatezza dell’uomo prendono forma in un biopic che permette di (ri)vivere le gesta di uno dei più grandi calciatori della storia e il corollario di fatti e misfatti che le hanno accompagnate e che – in qualche modo – hanno contribuito alla nascita del mito.

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9)    Pelè. La sconfitta contro l’Uruguay, siglata dal futuro romanista Ghiggia, tra le mura amiche dello stadio Maracanã di Rio de Janeiro, nel 1950, costa al Brasile il titolo di Campione del Mondo e getta un’intera nazione nello sconforto. Ma è proprio la “saudade” negli occhi del padre che spinge il piccolo Edson Arantes do Nascimento, detto “Dico”, a impegnarsi per diventare un calciatore professionista e guidare il suo paese alla rivincita. Ed è quello che accade nel 1958, quando il giovanissimo Pelé (appena diciassettenne vinse il campionato del mondo in Svezia).

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10)  Gli eroi della Domenica. Film del 1952, regia di Mario Comencini,  con Raf Vallone, Marcello Mastroianni, Elena Varzi, Cosetta Greco, Franco Interlenghi, Paolo Stoppa, Franca Tamantini, Enrico Viarisio, Galeazzo Benti. Il film è un intrecciarsi di storie personali attorno ad un tentativo di corruzione del centravanti di una piccola squadra di calcio alla vigilia della partita decisiva con il Milan (nel film con la squadra dell’epoca). Dirigenti e tifosi confidano soprattutto nel centro-attacco Bardi (interpretato da Raf Vallone (ex calciatore del Torino e giornalista dell’Unità prima di diventare un grandissimo attore), campione di gran classe. Il giorno prima dell’incontro, Bardi riceve la visita della sua amante, Laura, che lo esorta a non impegnarsi a fondo lasciando che la sua squadra sia battuta. Se farà così, avrà una ricompensa di tre milioni che potranno godersi insieme. Indignato, scaccia Laura. Bardi, seppur sconsigliato dal medico, scende in campo ma con scarsi risultati. Il tempo finisce con il Milan avanti 3-0. Nell’intervallo incontra il ragazzetto e nei suoi occhi crede di vedere l’ombra di un dubbio. Benchè sofferente, raccoglie le energie e con eroico sforzo riesce ad assicurare la vittoria della sua squadra (4-3). Alla fine cade a terra sfinito: non giocherà più, ma si riavrà e troverà conforto nell’amore di una brava ragazza. Il film termina nel buio di San Siro: sulle tribune si distinguono tre figure: un venditore di bibite racconta la partita a due fratelli che hanno passato tutta la giornata da una zia ed hanno perso la partita. E alla fine dell’improvvisata cronaca esclamano: “Che partita! è il più bel giorno della nostra vita!”.

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Raf Vallone protagonista del film Gli eroi della Domenica

11) Il presidente del Borgo Rosso Football Club. Il film, del 1970, è firmato da Luigi Filippo D’Amico, con Alberto Sordi, Margarita Lozano, Carlo Taranto e Tina Lattanzi (icona del doppiaggio). Alla morte del padre, Benito (Alberto Sordi), impiegato del Vaticano, eredita la squadra di calcio del paese, il Borgorosso Football Club, e una redditizia azienda vinicola. Il calcio non è la sua passione, ma finisce poi con il dedicarvisi completamente con pessimi risultati: oltre a giocatori scarsi, ingaggia un allenatore italo-peruviano, che poi esonera, assumendo personalmente le redini del club come presidente-allenatore. Il Borgorosso risale in classifica fino a sfiorare la vetta. Tuttavia, in una partita interna con i rivali del Sangiovese, mentre la squadra sta perdendo su rigore provocato dal centravanti acquistato nel mercato estivo a caro prezzo, Benito entra in campo, litiga con l’arbitro e innesca un’invasione di campo dei tifosi con interruzione della partita, successiva penalizzazione della squadra e squalifica del campo. A causa della crisi della squadra, un gruppo di imprenditori locali a lui avversi riesce a costringerlo a dimettersi; ma Fornaciari, nella conferenza di addio presenta il suo ultimo ingaggio: nientemeno che Omar Sivori. Questo, se da un lato gli assicura il sostegno della tifoseria, per contrasto provoca il ritiro della cordata degli imprenditori, il fallimento e pignoramento di tutte le proprietà e perfino del pullman della squadra. Ma anche con la squadra in difficoltà economiche non diminuisce la sua popolarità. Ritornato presidente, parte assieme alla squadra, con i tifosi in festa, su un autocarro per il bestiame per raggiungere lo stadio in campo neutro.

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Alberto Sordi nel ruolo di presidente del Borgorosso osannato dai tifosi 

12) Il Mundial dimenticato – la vera incredibile storia dei Mondiali di Patagonia 1942 è un film falso documentario italiano-argentino del 2011, scritto e diretto da Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni. Il film è stato presentato al Festival di Venezia 2011 e in altri festival italiani e internazionali, alla Mostra Internacional de Cinema de Sao Paolo è stato premiato come miglior documentario internazionale. Il film ha ottenuto anche altri riconoscimenti: Bari International Film Festival, Bellaria Film Festival 2012, International Football Film Festival di Berlino, Incontri del Cinema italiano – Tolosa/Francia, Festival del Cinema dei Diritti Umani – Napoli, San Marino Film Festival, Trani Film Festival). È stato selezionato nella cinquina finalista ai Nastri d’Argento 2013, sezione documentari. Muovendosi in una zona d’ombra della storia del calcio e della storia del XX secolo, in bilico fra lo stile rigoroso del documentario e lo spirito del cinema, il film racconta le vicende del Campionato mondiale di calcio del 1942, mai riconosciuto dagli organi ufficiali dello sport, rimasto per decenni avvolto nella leggenda senza che se ne conoscesse il vincitore. Il ritrovamento di uno “scheletro con la macchina da presa”, in mezzo ai dinosauri fossili della Patagonia argentina, fornisce la tessera mancante per ricomporre finalmente il mosaico disperso del Mundial dimenticato. Il film è liberamente ispirato a “Il figlio di Butch Cassidy”, racconto di Osvaldo Soriano Come affermato dallo stesso Lorenzo Garzella, il film lascia allo spettatore il compito di stabilire dov’è il confine fra la memoria e la leggenda, fra la realtà e l’invenzione.

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13) Ultimo Minuto. Film del 1987, regia di Pupi Avati, con Ugo Tognazzi, Lino Capolicchio, Elena Sofia Ricci, Nik Novecento, Diego Abatantuono. Walter Ferroni (Ugo Tognazzi) è il direttore tecnico di una squadra di calcio che sopravvive nella bassa classifica della Serie A degli anni ’80 tra problemi finanziari, piccoli imbrogli e tanta passione. Dopo anni di difficoltà e di bilanci in rosso, Ferroni riesce a fare acquistare la squadra dal ricco industriale Di Carlo, credendo che questi si limiterà a finanziare la società lasciando a lui la gestione. Ma il nuovo presidente-padrone rampante lo rimuove dall’incarico e gestisce personalmente, inserendo nuovi manager accanto a quelli del vecchio staff di Ferroni prontamente passati al servizio del nuovo padrone. La nuova gestione parte con baldanza, ma senza l’esperienza e i contatti di Ferroni incontra subito notevoli difficoltà. Il nuovo presidente impara a proprie spese che gestire una società di calcio è diverso dal gestire un’azienda. La squadra passa da una sconfitta all’altra, sino a quando lo stesso Di Carlo viene pesantemente contestato e minacciato dai tifosi. Il presidente si trova costretto a richiamare Ferroni che, emarginando l’incapace allenatore, rende la squadra nuovamente competitiva, assumendone di fatto anche la guida tecnica.Tra le perplessità e l’ostilità di molti, dentro e fuori la società, vince la prima partita della sua nuova gestione con una mossa coraggiosa: sostituisce a pochi minuti dalla fine della gara con l’Avellino il vecchio e corrotto centravanti Boschi con il giovane diciassettenne Paolo Tassoni della squadra Primavera: proprio Tassoni realizza il gol decisivo all’ultimo minuto.

Nastro d’argento e David di Donatello alle musiche di Riz Ortolani (marito della cantante Katina Ranieri). David anche al suono di Raffaele De Luca.

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14)  Cinque a zero è un film italiano del 1932 diretto da Mario Bonnard, con Angelo Musco, l’attrice-cantante Mylli, Osva    lldo Valenti, Franco Coop, Maurizio D’Ancora. È ispirato alla partita di calcio Roma-Juventus, disputata il 15 marzo 1931 e terminata con la vittoria dei giallorossi per 5-0. Il presidente di una squadra di calcio ha due problemi: la moglie che non vuole saperne di pallone e il capitano della squadra (Oscar Valenti) che amoreggia con un’attrice di varietà. A complicare la situazione ci sono le proteste della moglie, decisamente insoddisfatta dal gioco della squadra. Il finale vedrà una generale riconciliazione e la conversione della presidentessa, che diventerà una delle maggiori tifose.

Nel film veri giocatori della Roma dell’epoca come Masetti, Ferrraris IV, Bernardini.

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15)  Il colore della vittoria è una miniserie televisiva italiana del 1990, diretta da Vittorio De Sisti. La miniserie racconta, in modo romanzato, la vicenda della nazionale italiana di calcio al campionato del mondo 1934 e segue, in particolare, la storia di Attilio Ferraris, calciatore che fu convocato dal commissario tecnico azzurro Vittorio Pozzo contro la volontà del regime fascista, e che lo ripagò con grandi prestazioni culminate nella vittoria della Coppa Rimet. Come già detto, i fatti sono raccontati in modo libero: questo è affermato all’inizio della prima puntata, in cui la voce narrante di un bambino dice esplicitamente che i ricordi e i sogni non sono corrispondenti del tutto alla realtà. Felice Borel – all’epoca della prima visione televisiva della miniserie, uno degli ultimi sopravvissuti della squadra italiana – dichiarò che la ricostruzione conteneva numerose inesattezze: le convocazioni avvenivano attraversotelegrammi, non ci fu nessun albergo di lusso e incontri con donne bensì una «mezza catapecchia» e la sola presenza degli elementi della comitiva, nessuna tuta, nessun allenamento duro. Il suo nome non compare, ma c’è un personaggio, Lino (interpretato daClaudio Mazzenga), che è evidentemente lui, ma che proviene da un retroterra familiare completamente diverso. Inoltre, Vittorio Pozzo non faceva cantare i giocatori prima della partita, ma si limitava, invece, a dare impulsi patriottici – come in occasione della partita contro l’Austria, ricordando che i loro genitori e fratelli avevano combattuto contro di essi nella Grande Guerra. Anche l’episodio del malore di Luigi Allemandi prima della finale, non avvenne mai nella realtà, così come non ci furono pressioni dirette delregime fascista, né tantomeno di Benito Mussolini in persona, nei confronti degli azzurri. Ciò nonostante il film ha una sua poesia intrinseca e ricostruisce bene un certo clima dell’epoca, meritando di essere citato.

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P.s: Agli appassionati di cinema non può sfuggire come il calcio non abbia trovato grandi riscontri nel mondo di Hollywood. Baseball, football americano e golf, al contrario, possono vantare una filmografia corposa con sceneggiature, registi e interpreti di grande spessore, pluri vincitori di premi Oscar, in molte occasioni ripercorrendo storie veramente accadute con personaggi entrati nella leggenda sportiva. E non poteva esaurirsi con il calcio la panoramica sugli sport più amati e frequentati dal cinema. Eccone una selezione del tutto personale tenendo conto della caratura di registi e interpreti.

Sono oltre 60 i film dedicati al baseball. Ricordiamo L’idolo delle folle con Gary Cooper, una leggenda del cinema; Il migliore con Robert Redford e una bellissima Kim Basinger; Ragazze vincenti del 1942, dedicato alle squadre di baseball femminile durante il periodo bellico; Il ritorno del campione con James Stewart e June Allyson, due mostri sacri del cinema americano, sulla storia vera di Monty Stratton, pincher dei Chicago White Sox, che perse una gamba in un incidente di caccia e, sostenuto dalla moglie, tornò a giocare con grandi risultati; L’uomo dei sogni con Kevin Costner; Il mito un thriller firmato da Tony Scott con Robert De Niro e Benicio del Toro.

Grandi storie e grandi film anche per il football americano. Citiamo Quella sporca ultima meta di Robert Aldrich con un indimenticabile Burt Reynolds; Ogni maledetta domenica, autentico capolavoro firmato da Oliver Stone con Al Pacino, Cameron Diaz, Dennis Quaid, James Woodss con un cammeo di Charlton Heston; Il sapore della vittoria, con l’interpretazione di Denze Washington, fino al recente Zona d’ombra con Will Smith che racconta la storia vera del dottor Omalu, scopritore dell’encefalopatia traumatica, malattia degenerativa che colpisce al cervello dei giocatori di football per i ripetuti colpi alla testa.

Non da meno la produzione cinematografica dedicata al golf, anche qui con le riproposizione di storie e personaggi della realtà. Ricordiamo tra i più significativi per interpreti e al botteghino:  Il più bel gioco della mia vita con Shia LaBeof, storia di un ragazzino diventato da caddy a campione di golf; Tin Cup con Kevin Costner; Il paradiso può attendere con Warren Beatty, una deliziosa Julie Christie e James Mason; Lui e lei con Katherin Hepburn e Spencer Tracy, coppia d’oro del cinema americano di sempre; La leggenda di Bagger Vance firmato da Rober Redford, ancora lui, con Matt Demon e una stupenda Charlize Theron.

 

LA CRISI DEL SAVONA FBC, LA RABBIA DEI TIFOSI E UN APPELLO FUORI LUOGO

di LUCIANO ANGELINI

 Non era mai capitato che i tifosi di una squadra, in un derby, se pur inedito per gerarchie e storia sportiva, invocassero l’avvento, diciamo così, del presidente della squadra avversaria. Come se, fatte le debite proporzioni e senza perdere di vista la realtà, non solo calcistica, i tifosi dell’Inter (nell’era Moratti) avessero invocato l’intervento salvifico del dirimpettaio milanista Berlusconi all’epoca carico di trofei, o che gli ultras della Roma volessero spalancare le porte al presidente Lotito, inossidabile quanto inviso patron della Lazio. Quasi una bestemmia, insomma.
Eppure al Savona Fbc, ormai da anni in preda a fallimenti sportivi e societari, infangato da condanne per partite vendute da dirigenti e giocatori, penalizzato per mancati pagamenti e versamenti di contributi previdenziali, fatture alberghiere e altre morosità, è accaduto anche questo: una pattuglia, assai sparuta ma per così dire rappresentativa di una tifoseria ormai dispersa con gli anni, le sconfitte, le delusioni e le promesse non mantenute, ha esibito in occasione del derby con l’Albissola, peraltro vinto 2-0 dai padroni di casa, una avvilente “lenzuolata” con l’appello al finanziatore dei “ceramisti”, l’imprenditore Colla, definito il “re dell’amianto” d’Oltralpe, a passare armi e bagagli (intesi come euro) alla guida della società biancoblu.

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Lo striscione con l’appello al patron albisolese Colla esposto al “Faraggiana” per il derby

 Al di là e al di sopra della poco commendevole situazione di classifica, e non solo, della squadra biancoblu, e degli evidenti quanto indifendibili errori del presidente Cavaliere e dei suoi più stretti collaboratori, primo fra tutti il plenipotenziario diesse Canepa, l’iniziativa appare davvero umiliante, per la storia del Savona Fbc, lunga come si sa 110 anni, per gli sportivi autentici nel senso della difesa dei propri colori, ma anche gratuita e insultante nei confronti dell’Albissola,  piccolo club dalle oneste tradizioni, e al suo primo sponsor, appunto Colla, con l’invito a passare dall’altra parte della barricata, quasi che quello sulle rive del Sansobbia sia solo un passaggio, un trampolino  verso altri lidi e altre ambizioni.

Una brutta pagina quella firmata da una tifoseria sfilacciata e inaridita, resa aspra e rancorosa oltre le pur legittime delusioni per l’orribile andamento del campionato. la conferma,  purtroppo, del solco profondo tra il Savona Fbc e la Città, uno scollamento (senza alcun gioco di parole e riferimento al facoltoso patron dei “ceramisti”) tra i più tristi e avvilenti della storia biancoblu.

           Il Savona Fbc ha attraversato numerose situazioni di crisi. Negli anni ’50 ha vissuto anni difficili,  anche per la crisi economica, e ha subito sconfitte anche umilianti: ricordiamo un 2-1 sul campo di Cogoleto contro il Colombo (campionato di Promozione, stagione 1954-55, concluso al sesto posto dietro Veloce, Alassio, Varazze, Albenga e Pegliese). Era un Savona con tanti savonesi in campo, da Moscino al maestro Sguerso, giocatori capaci di vestire con onore la maglia biancoblu. Fu un momento difficile ma l’appoggio degli sportivi, sempre presenti sulle gradinate di Corso Ricci, e sotto la guida del commendator Stefano Del Buono, si rimise in piedi e in quattro anni risalì fino alla Serie C. Ci preme ricordare con l’allenatore Felicno Pelizzari gli indimenticabili Bruno Ferrero, Persenda, Ballaucco, Mariani, Ciglieri, Nadali, Contin, Brocchi,                   Merighetto e Teneggi.

           Calma e gesso, era solito dire il capitano Persenda nei momenti più complicati del campionato. Ed è quello che ci vuole a partire da oggi. A cominciare dal presidente Cavaliere, travolto nelle sue certezze non si sa quanto ispirate e frutto di valutazioni proprie, per arrivare al nuovo allenatore e ai giocatori, per molti dei quali è legittimo chiedere di mostrarsi degni di una maglia che forse e purtroppo, visti i risultati, non sentono (ancora) loro per storia personale e cultura. Ma anche quel che resta della tifoseria è chiamato ad un sussulto d’orgoglio e ad uno sforzo di responsabile compattezza per mostrare al presidente Cavaliere che il Savona Fbc è anche o                      ancora loro e non lo lasceranno solo nella bufera. Non è con le “lenzuolate” che il Savona Fbc potrà ritrovarsi e rilanciarsi. Non è nemmeno con la politica dello struzzo che la dirigenza riuscirà scrollarsi di dosso il peso di errori, incomprensioni, fragili e ingenue imitazioni di manager e di club altolocati.

           Non siamo all’anno zero. Ma, come si diceva una volta: “animo biancoblu”.

STORIA DELL’US PRIAMAR CON FOTOGALLERY DEI FAVOLOSI ANNI ’60

 

di FRANCO ASTENGO

All’inizio dell’avventura di questo blog, circa un anno e mezzo fa, avevo scritto molto succintamente una storia dei primordi dell’Unione Sportiva Priamar: la squadra dell’Oratorio Sacro Cuore, nella quale siamo cresciuti in tanti in amicizia, sportività solidarietà e rispetto reciproco. Ripropongo quella storia accompagnandola con una galleria fotografica, nella considerazione che nella prima stesura non disponevo di un numero sufficiente di immagini.

Mi è parso quindi il caso di riprendere questo filone di ricordi facendo ben presente che le foto che si trovano in calce all’articolo sono comprese nel periodo 1960 – 1969: quel decennio anni ’60 che ha rappresentato davvero il momento culminante del calcio savonese.

E’ con una certa emozione che mi appresto a rievocare un piccolo pezzo di storia dell’Us Priamar,  la squadra dell’Oratorio Sacro Cuore che tanto ha rappresentato nella mia vita di ragazzo tra gli anni ’50 –‘60: il luogo dove mi sono formato accanto alla scuola ed al lavoro, ho trovato gli amici che ancora adesso sono i più cari, ho indossato la gloriosa maglia rossoblu (che, in quel tempo, è stata anche gialla, viola, verde).

L’Unione Sportiva Priamar ha 73 anni compiuti. Anche se gli almanacchi indicano la data del 1943, le nostre informazioni segnalano come fu nell’autunno del 1942 che don Vittorio Dietrich, nonostante l’infuriare della guerra decidesse di affiancare all’attività dell’oratorio della parrocchia del Sacro Cuore, quella di una società sportiva: per l’appunto la Priamar. Da allora, ininterrottamente, con una continuità paragonabile soltanto a quella del Savona Fbc e della Veloce (le altre squadre della nostra Città hanno avuto interruzioni, fusioni, mutamenti di nome), l’attività è andata avanti con grande impeto: dal campetto sassoso addossato tra il muro della Chiesa e Via Buscaglia, ai magnifici tornei degli anni ’70, dal campionato ragazzi del Csi, ai tanti campionati di Seconda, Prima o Terza Categoria, fino ad oggi con la possibilità di utilizzare il campo “sintetico” sorto sul tetto del disgraziatissimo parcheggio che, forse, non sarà mai utilizzato, è tutta una storia di pessima gestione della cosa pubblica, come tante purtroppo, che meriterebbe di essere raccontata, episodio per episodio, personaggio per personaggio.

La figura dominante della nostra piccola storia rimane, però, quella di don Vittorio Dietrich, figura davvero carismatica di prete tra la gente, capace di far riflettere e giocare, organizzatore di magnifiche partite che si giocavano tutti i pomeriggi tra tifosi di Coppi e tifosi di Bartali, “tintore” di maglie (ricordo quando, munito di pentolone ed “Iride” trasformò improbabili maglie rosastre arrivate chissà da dove in quelle maglie gialle con collo rosso che forse alcuni ricorderanno ancora), anima della nostra gioventù.

Don Vittorio, non ci stancheremo mai di ripeterlo, era cuore, anima, energia, forza morale, generosità, collante, esempio. Era l’Oratorio. Senza di lui quell’intera zona della Città da via XX Settrembre, via Orazio Grassi, via Belloro, corso Colombo, corso Vittorio Veneto con l’intero quartiere della Centrale, perché di quartiere si trattava, non avrebbe potuto dare risposte e sostegno, non solo morale, a centinaia di ragazzi usciti miracolosamente dalla guerra o, negli anni a seguire, cresciuti di pari passo con la ripresa della vita normale: il lavoro, la ricostruzione, la passione politica (sull’altro fronte c’erano i Pionieri del Pci mai andati oltre il pattinaggio e l’hockey su pista), la voglia di crescere, misurarsi, sfidarsi, competere.

Ecco, don Vittorio era il faro, la trave portante, lo scudo protettivo, ma anche il cane da guardia oltre che il consigliere e l’ultimo approdo per i ragazzi dell’Oratorio, severo e comprensivo all’occorrenza. Mai rassegnato. Un prete con degli attributi grandi così, se non può sembrare sopra le righe. Ma a lui non sarebbe dispiaciuto. Troppo sincero, troppo rigoroso prima con se stesso che con gli altri, per indulgere all’ipocrisia.

Accanto al ricordo commosso della figura di don Vittorio, l’altra storia da fare è quella del campo di Corso Colombo. Ho già accennato alle sfide quotidiane tra la squadra di Coppi (capitatanata da Renzo l’operatore del cinema “Lux”) e quella di Bartali (capitano lo stesso don Dietrich). Le partite iniziavano alle 14, il numero dei partecipanti era indefinito perché i giocatori si alternavano a seconda dello svolgimento dei compiti scolastici, si terminava al buio con punteggi clamorosi (32 a 33, 28 a 27, 36 a 31 e via enumerando…). Alla domenica, invece, si disputavano tornei più o meno regolari, fra squadre rappresentative di parrocchie e quartieri della Città. Con la Priamar, padrona di casa, ricordiamo Fraternitas, Tovini, Vittoria, Aquila, Torre, Rinascita, Folgore, Molese, Don Bosco, Zinolese, ecc.

Nel 1964 fu installato il primo impianto di illuminazione (di fortuna e abusivo), opera del duo Faggion-Bertana, autentici pirati dell’energia elettrica. L’allaccio era all’impianto della Chiesa e il parroco, il buon don Pescio, ingenuo ma non troppo, si limitò a lamentarsi molto per la bolletta. E si avviò così la stagione dei tornei notturni. La prima finale, in quell’anno, fu vinta dai Garden’s Boys, allenatore  il “Mago” Vadone, con i vari Merciai, Bertero, Chiappella, Dorindo, Dallaglio, Danello, un autentico dream team, impostitisi 2-1 sui rossoneri della Rinascita Fornaci (Triolo, Storti, Bonifacio, Chiesa, Turco, Ferretti, Mellano, Lagustena, Astengo).

L’anno seguente la Servettaz Basevi si trasferì (l’area oggi occupata dai giardini e dalla piscina “Zanelli”) in via Stalingrado, l’edificio della “zincatura” fu abbattuto, e il campo mutò di prospettiva, allargandosi e ponendosi frontalmente tra la ferrovia e Corso Colombo. Iniziò così l’escalation del calcio by night, con grandi squadre: il Circolo Biancoblu dei fratelli Persenda, Ciccio Varicelli, Mariani, Tonoli, Cucchi, Volpi, Teneggi, Falabella, Nacinovich, Piero Astengo; i “Magnifici 7” del “Pavone” Morando con Tobia, Pierucci, Monti, Borgo; il Bar Treviso di “Milio” Pacini con  Francese, Barbino, Siter, Guido Caviglia; la Zinolese di Angelini, Suraci, Scotto, Aschero, Prefumo; il Bar Moretto di Lavagnola con Ciglieri e Ronchetti e tante altre compagini di valore provenienti da tutta la provincia di Savona. E foltissimo pubblico (in certe serate degli anni ’70, c’era più gente di quella che seguiva normalmente il Savona in Serie C). Un vero spettacolo, che portò il “nostro” calcio al centro dell’attenzione generale.

Alla fine degli anni ’80 arrivò la svolta in negativo, con la scelta di costruire il parcheggio “fantasma”. Riprendiamo, allora, il filo della storia dell’Us Priamar che avevamo interrotto scrivendo della figura carismatica di don Vittorio.

Ci sarebbero da ricordare tante persone: Marietto Piccardo (comparso come giocatore nella primissima formazione), Tellini, Dogliotti, Livio Faggion, Granelli, Elvio Ghibaudo (sotto la cui presidenza arrivò la Prima Categoria); Gianni Maestrini, Carlo Cipollina, Momo Morasso (al quale vorrei dedicare un ricordo davvero commosso), fino a Roberto Poggi e agli allenatori Gino Ghersi, Pacini, Salamini, Morando, Castello, Rossi, Roero; l’ormai più che quarantennale presenza di Roberto Grasso, arrivato dalla Fraternitas nella stagione inaugurale della seconda categoria (1963-64 ) e trasformatosi, poi, nell’anima, cuore e bandiera della società.

E i giocatori? Tantissimi, un’enormità e far nomi provocherà qualche rammarico nei dimenticati. Dagli anni ’50, con le grandi firme del calcio e del giornalismo Marco Sabatelli e Luciano Angelini, Giuan Reggiori, Joe Longhi, “Ciatto” Basano, “Tapioca” Fiabane, “Zena” Vassallo, Ciappi, Bartolini, Soldi.

Per gli anni ’60 i miei archivi permettono di riservare quella che ritengo, per molti, una gradita sorpresa. L’elenco completo di giocatori, dirigenti, allenatori nelle stagioni della ripresa, con i tornei Csi e Figc dal 1960 al 1963 (non c’è Victor Panucci, già ceduto alla Villetta con la stagione ‘59-60). Il periodo in cui avevamo 3 squadre che gareggiavano ad 11 (sul campo “Don Aragno” di Legino e poi della Valletta): Priamar A, Priamar B, e Priamina: i ragazzi che all’epoca avevano tra i 10 ed i 12 anni e che seppero vincere, imbattuti, tre edizioni consecutive del campionato “Primavera” quando ancora non esistevano “Esordienti” e “Giovanissimi”.

Ecco l’elenco.
Presidente: Romano Ghiglia (il carissimo “ragioniere”).

Dirigenti: il dott. Magliano (che arrivò dall’Aquila portando in dote tre mute di maglie: rossoblu, viola e blucerchiate), Basso, Scerbo, Salvetto, Piccardo, Tiberti, Cerino.

Giocatori.

PRIAMAR A: Tarditi, De Crescenzo, Bianchi I, Ferracane, Verzello I , Pellegrini, Guido Caviglia, Godani, Nervi, Storti, Sibio, Bordegari, Ercolano, Bonifacio, Carletti, Pittatore, Gatti, Corso, Vasconi (permettetemi un appunto per il mio amico Nico: l’uomo di maggior classe della nostra generazione: un giocatore che meritava, davvero, di salire in alto), Caraccio (quasi come Vasconi…), Triolo, Stopiglia, Bresciani, Avellino, Imberti I, Rosso.

PRIAMAR B: Lacota I, Massone, Niello, Porta, Restagno, Belviso, Airaghi, Vacca, Dall’Acqua, Cipollina, Botto, Franco Astengo, Nofroni, Foschi, Alpa, Rovere, Amadini, Cattardico, Piero Siri, Bevanda, Frumento, Verzello II, Mangerini, Gaggero.

PRIAMINA: Piero Astengo, Farulla, Bortolot, Piperis, Giordanello, Marenco, Senesi, Bianchi II, Bizzo (futuro campione d’Italia dei 1500 metri), Vivarelli (anche per lui un ricordo commosso), Fratelli, Pellicciotta, Aonzo, Dinaro, Vallone, Lacota II, Cabiddu, Loffredo, Rodino, Procopio III, Bocca, Ronchi, Caviglia Pierino.

Dalla stagione 1963-64 si affrontò il campionato di Seconda Categoria (in quella stagione vinse la Spotornese) ed entrarono in scena protagonisti che caratterizzarono un’intera epoca: Dario Ricci, Bensi, Renato Siter, “Cicci” Barbino, “Camillino” Moras, Soletto, Mombrini.

Consentitemi ancora un ricordo personale, quello della squadra juniores alla fine degli anni ’60, che mi capitò di allenare. Non era  uno squadrone formidabile da punto di vista tecnico, ma composto da  ragazzi legatissimi alla maglia, che mi diedero la soddisfazione di un ottimo ricordo personale: Giordano, Di Tullio, Mazzanti, Saettone, Negro, Sasso, Lucia, Duga, Da Castelli, Zunino che si erano affiancati a Pellicciotta e Rodino, rimasti dalla “vecchia guardia” (si fa per dire!) dei campionati Primavera.

Concludo a volo d’uccello sugli anni ’70 con Paolo Ferro, Santini, Bosano e di nuovo Mauro Sasso e Gerry Lucia ed il decennio successivo quello della Prima Categoria, con protagonisti Piero Duce, Sergio Sarti, Ivo Torresan, Mordeglia che rappresentavano i “vecchi”, cui si erano affiancati i giovani virgulti come Beltrami, Guido Robaldo, Giacchino, Bertolotti, Orlando, Bertola, Bagatin, Tonoli, Musmeci, Pinto, Sergio Riva, Bersini.

La storia è proseguita e continuerà ancora. Ma passo ad altri il testimone. Com’è  giusto che sia.

Non vorrei apparire patetico. In fondo ho parlato della mia vita. E confesso che ogni volta che mi è capitato negli anni di passare davanti al campo del Csi, purtroppo cancellato dall’ignavia e dal cancro della speculazione cementizia di vario ordine e grado, in un intreccio tra pubblico e privato con odore di incenso, provo sempre la stessa emozione, di quando (era il 1960) giocai per la prima volta nella squadra titolare dell’amata Priamar. Ricordo l’emozione dell’appello effettuato dall’arbitro, l’ingresso in campo di corsa, la partita. Per la cronaca vincemmo 5-0, segnarono tre goal Bordegari e due Marcello Caraccio (entrambi su rigore), avversario l’Aquila. Dovrei ricordarmi tutta la formazione: De Crescenzo, Bianchi I, Verzello I, Stopiglia, Caviglia Guido, Nofroni, Franco Astengo, Vasconi, Beppe Tarditi, Bordegari, Marcello Caraccio.

Adesso è davvero tutto. O quasi. Forza Priamar.

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Priamar giovanissimi 1960. Tre edizioni consecutive (1962, 1963, 1964) vinte senza subire sconfitte nella Coppa Primavera organizzata dal CSI , primo campionato a 11 per i ragazzi dai 12 ai 14 anni disputato nella provincia di Savona. Da sinistra in piedi: l’allenatore Franco Astengo, Peo Astengo, Beppe Vivarelli, Vittorio Rodino, Roberto Farulla, Enzo Vallone, Franco Bianchi, Aldo Bocca, Eugenio Senesi, Franco Lacota. Nell’altra foto scattata sul campo dell’Oratorio nel 1961 che si trova in questa galleria fotografica si trovano gli altri titolari di quella meravigliosa squadra: meravigliosa per gioco, attaccamento e rispetto da parte dei ragazzi.

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Una formazione dell’US Priamar 1966-67, importante perché sono ritratti anche il direttore sportivo Livio Faggion e l’allenatore Emilio Pacini, due veri e propri trascinatori dell’attività: da sinistra, in piedi, il presidente Teresio Granelli, Porta, Farulla, Nofroni, Longhi, Siter, Bensi, Livio Faggion, Emilio Pacini; accosciati, Caviglia, Grossi, Imberti, Vivarelli, Tarditi, Bresciani

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Appendice: Al torneo dei bar che si giocava in estate alla Valletta San Michele (Trofeo ARCI – UISP organizzato dai dirigenti della Libertà e Lavoro Speranza e da Nanni De Marco, vero regista dell’operazione) il quartiere di competenza dell’US Priamar, quello della Centrale e di Corso Colombo, era rappresentato dal Bar Livio, situato proprio a fianco della Chiesa del Sacro Cuore e gestito da Livio Faggion, personaggio – chiave della nostra storia, e dalla sua famiglia.

Il Bar Livio non si limitò alla partecipazione al torneo della Valletta ma prese anche parte ai trofei ARCI – UISP organizzati da De Marco sullo stesso campo dell’Oratorio e a Zinola ( nel 1968 la squadra perse la semifinale con la Zinolese, 1-0 rigore di Suraci dopo aver vinto le eliminatorie segnando 34 goal in 4 partite. Un torneo sfuggito di mano per mera sfortuna) e ai tornei di Albisola e Varazze: quest’ultimo un “magico” torneo notturno che si disputava sul terreno dell’Oratorio Don Bosco con un pubblico che ogni sera ammotava a circa 1500 – 2000 persone e rappresentava un vero e proprio campionato regionale con squadre di tutte le delegazioni genovesi, di Cogoleto, Arenzano, fino alla Rivera di Ponente.

Ecco di seguito una piccola documentazione fotografica di quella parte di storia che deve essere considerata integrante di quella dell’US Priamar.

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Un ritaglio di Riviera Notte che celebra un’impresa del Bar Livio che ha battuto i “cugini” fornacini del Bar Riviera in un drammatico derby. In fondo si riconoscono, da sinistra  Dondo, “Ciatto” Bazzano, il simpaticissimo Gambetta un pietrese “importato”, Elvio Curti, franco Astengo, Gianni Maestrini e in alto Luciano Angelini. Seduti al tavolo:  a capotavola il “patron” Livio Faggion (quando si lamentò, nell’occasione di una sconfitta subita dai Portuali, della formazione mandata in campo dai supertecnici gli fu replicato seccamente “ Stai zitto tu che non distingui Pelè da Giorgio Vacca. Si vendicò, nell’occasione di una trasferta ad Albisola, convocando soltanto dieci giocatori – fra i quali due portieri – ed i sullodati supertecnici furono costretti a schierarlo all’ala destra. Per la cronaca la partita finì 2-2). Attorno al tavolo si riconoscono tra gli altri il camionista Tonino Cabella e gli indimenticabili Maxian Giordano e Ciappi (autore di un favoloso goal da metà campo alla Zinolese: dopo aver segnato girava per il campo gridando “U lea dexianni che nu fauvo in gol”). Dall’altra parte del tavolo si riconoscono “Tapioca” Fiabane (era lui l’ala tattica della famosa partita con i Portuali), il forte portiere Piotto, Pino Pellegrini,.

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Formazione del Bar Livio alla Valletta nel 1966. Facile individuare l’assonanza tra la Priamar e questa squadra. Ci sono infatti, provenienti dal vivaio dell’oratorio oltre ai due noti “tecnici”. Dario Rcci, “Camillino” Moras, Maxian Giordano, “Ciatto” Bazzano, “Detto” Storti”, “Tapioca” Fiabane, “Zena” Vassallo, Isetta. Nel corso del torneo furono schierati, sempre provenienti dalla squadra del quartiere: Ciappi, Gianni Maestrini, Elvio Curti. I portieri abbondavano così, a volte, Angelini e Curti si schieravano come giocatori di movimento lasciando la porta al notissimo Pinuccio D’Anna nazionale di lotta grecoromana.

TORNANO IN UN SOGNO LE MAGLIE ROSSOBLU DELLA CARA PRIAMAR 

Rielaborazione di Luciano Angelini

Ci sono ricordi che si nascondono per anni in qualche “cassetto” della memoria e che d’improvviso ritornano. Riaffiorano, ci riportano indietro al tempo dell’adolescenza. Si ritrovano amici, veri e sinceri compagni di giochi e di gioco, figure di gigantesca importanza per ruolo e per contributo alla nostra crescita, ambienti pieni di vita e di gioia pulita, serena. Spesso sono ricordi parziali, semplici flash, immagini sbiadite. Ma può capitare, ed è capitato d’improvviso, che un “cassetto” si spalanchi d’improvviso per regalarci un onirico viaggio in una storia di lontana cinquantasette anni fa.

Capita che una notte si possa (ri)vivere, naturalmente in sogno, una fortissima commozione (molto più di un’emozione). E di (ri)vedere chiaramente e lucidamente le vecchie maglie rossoblu a strisce con le quali alla “nostra” Priamar riprendemmo l’attività ufficiale dopo qualche anno di intervallo nella stagione 1960 –  61. Erano nuove come la prima volta che le indossammo (Priamar – Aquila 5-0) con i numeri attaccati a filo doppio dalle nostre mamme. Le ho riposte in una valigia, che non era però quella enorme di cartone a fiori bianchi e celesti  portata da Angelo Puppo che aveva quel compito specifico, per la quale litigammo con un’infinità di controllori della Sita e della Sati, le corriere sulle quali si viaggiava allora, perché, date le dimensioni, pretendevano di farci pagare il biglietto.

Davvero una commozione intensa: mai più avrei pensato di rivederle così nitidamente, mi sembrava di averle in mano come la prima volta che le ho messe a posto negli scaffali dell’ufficietto ex-direzione di Don Vittorio Dietrich (che si era trasferito nella ex-biglietteria del cinema Lux spostato da Corso Colombo a via Buscaglia).

Eseguii quell’operazione da solo, mi pareva un sogno disporre di maglie regolari con tanto di numero dall’ 1 all’11. Ebbene quella notte ha provato la stessa identica sensazione.

Franco

Di seguito tre immagini delle gloriose maglie rossoblu apparse in sogno. In ordine la formazione juniores stagione 1963 – 64. La formazione B juniores 1961 – 62 e quella schierata a Vicoforte il 27 maggio 1961, prima trasferta fuori regione nella storia della società, conclusasi con un grande vittoria per 4-1

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GLI AVVERSARI DEL SAVONA IN TUTTE LE REGIONI D’ITALIA: MANCA SOLTANTO IL MOLISE

 

di LUCIANO ANGELINI  e FRANCO ASTENGO

Nei suoi 110 anni di storia il Savona FBC ha militato nei più diversi livelli nei quali è stata via via suddivisa la struttura gerarchica del calcio italiano e, di conseguenza, inserito in gironi di varia composizione geografica. E’ così capitato agli striscioni biancoblu di incontrare compagini di tutte le Regioni, da Nord a Sud, eccetto le squadre molisane a cui mai è capitato di scendere al Bacigalupo o in Corso Ricci oppure di ospitare il Savona.

Abbiamo così pensato di registrare, regione per regione, l’esordio del Savona in trasferta e la prima occasione di disputa sotto la Torretta di una gara di campionato per le squadre di ogni diversa regione d’Italia. Prestando attenzione, in questa carrellata, a due elementi: il primo è quello – appunto – che sono state prese in considerazione partite ufficiali di campionato, la seconda che si è iniziato con la stagione 1913 – 14, la prima disputata dal Savona nella Divisione Nazionale: questo per stabilire un punto di partenza certo nelle statistiche ufficiali.

Ecco di seguito, quindi, regione per regione partendo dal Nord Ovest: partita disputata a Savona, partita disputata in trasferta con relativi tabellini.

PIEMONTE

Campionato Divisione Nazionale 1913 – 14

La prima trasferta in terra piemontese è subito con il “botto”. Il Savona va a Casale per il suo esordio nel campionato di Divisione Nazionale ad incontrare i nerostellati che alla fine della stagione si laureeranno Campioni d’Italia superando nella finale la Lazio. Anche la prima gara disputata da una compagine piemontese in Via Frugoni è fuori portata per gli striscioni. Arriva, infatti, la Pro Vercelli campione uscente con sette nazionali. Due nette sconfitte utili, come vedremo, per una proficua esperienza.

12 ottobre 1913

Casale – Savona 4-0

Casale: Gallina I, Maggiani, Scrivano, Parodi, Mattea, Rosa, Caire, Barbesino, Gallina II, Varese, Bertinotti.

Savona: Conti, Ghigliano, Capelli, Roggero, Becco, Sguerso, Belzuino, Noceti, Eula, Hurny, Saccarello.

Reti: Bertinotti 20’, Gallina II 55’, Varese 62’ e 85’.

Arbitro:  Laugeri di Torino.

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Ecco la cartolina – ricordo del Casale campione d’Italia 1913 – 14

19 ottobre 1913

Savona – Pro Vercelli 1-5

Savona: Conti, Ghigliano, Capelli, Roggero, Tornero, Sguerso, Roletti, Hurny, Eula, Poggi, Belzuino.

Pro Vercelli: Innocenti, Bodo, Valle, Ara, Milano I, Binaschi, Rampini, Tacchini, Ferraro, Silvestri, Corna (sette nazionali).

Reti: Corna 2’, Tacchini 33’, Ferraro 40’ 76’ 80’ Hurny 61’.

Arbitro:  Valvassori di Torino.

VALLE D’AOSTA

Il fato vuole che la prima esperienza di campionato contro una squadra della Val D’Aosta, proprio i rossoneri del capoluogo, coincida con una delle pagine più anomale e se vogliamo storiche nei 110 anni di storia biancoblu. La gara di ritorno, infatti, è quella del 10-0 incassato al “Puchoz” dai “Cicerin Boys”, la squadra allievi composta da quattordicenni mandati allo sbaraglio per sostituire i titolari scioperanti. Una storia bellissima che abbiamo già raccontato in altra sede recuperando i ricordi dell’indimenticabile Gino Gravano, che ricordiamo con affetto e commozione..

Campionato Serie C 1951 – 52

30 dicembre 1951

Savona – Aosta 2-1

Savona: Piani, Vignolo, Littarelli,Ronzon, Barbieri, Longoni, Mantero, Grammatica, Biglino, Cappelli, Cavagnero.

Aosta: Oldani, Dalmonte I, Padulazzi II, Segato, Roberto, Chiolo, Leone, Dalmonte II, Chiarle, Barenghi, Spadavecchia.

Reti: Mantero 18’, Chiarle 55’, Cavagnero 90’.

Arbitro:  Andreoni di Milano.

Domenica 4 maggio 1952

Aosta – Savona 10-0

Aosta: Oldani, Dalmonte I, Padulazzi II, Chiola, Blengini, Segato, Leone, Barbocchi, Pietta, Barenghi, Spadavecchia.

Savona: Rivoire, Spirito, Fortessi, Morasso, Galatolo, Marrone, Alluigi, Briano, Alienda, Gravano, Cinarelli.

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I mitici “Cicerin Boys”: in piedi, da sinistra, Dante (all.), Farfazi, Mario Vagnola, Roggero (dir.), Alluigi, Rivoire, Longoni (dir.); L. Vagnola (dir.), Speroni, Casagrande (dir.); in ginocchio: Rosso, Briano, Cinarelli, Gravano, Valeriotti, Marrone

LIGURIA

L’esordio in via Frugoni per una squadra ligure è davvero di lusso. Tocca infatti al Genoa che, a quel punto, ha già conquistato sei scudetti. Il Savona non sfigura affatto e conquista un ottimo pareggio. Nel finale di partita incidenti vari: si vocifera, addirittura, di un colpo di pistola partito verso la carrozza che portava alla stazione il “figlio di Dio” Renzo De Vecchi. Al ritorno, a Marassi, i rossoblu impongono i diritti dell’anzianità.

Campionato Divisione Nazionale 1913 – 14

14 dicembre 1913

Savona – Genoa 1-1

Savona: Conti, Ghigliano, Capelli, Roggero, Tornero, Sguerso, Roletti, Hurny, Eula, Poggi, Belzuino.

Genoa: Puppo, De Vecchi, Maineri, Pella, Magni, Leale, Mariani, Campidonico, Grant, Della Casa, Walshingam.

Reti: Hurny 41’, Grant 65’.

Arbitro:  Ambrosini di Torino.

4 Gennaio 1914

Genoa – Savona 3-1

Genoa: Puppo, De Vecchi, Casanova, Pella, Magni, Crocco I, Mariani, Walshingam, Grant, Capodonico, Crocco II.

Savona: Conti, Ghigliano, Capelli, Roggero, Tornero, Noceti, Roletti, Hurny, Eula, Poggi, Belzuino.

Reti: Hurny 18’, Campodonico 28’ e 57’, De Vecchi 80’.

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Un’immagine dello Stadio di Marassi all’epoca

LOMBARDIA

Il campionato è quello degli scissionisti della Confederazione Calcistica Italiana: le squadre “nobili” che si sono (provvisoriamente, il tutto tornerà a posto in fin di stagione) staccate dalla FIGC reclamando una maggiore selezione tra le diverse categorie con regolari meccanismi di promozione e retrocessione. In realtà, attraverso il progetto Pozzo, si punta già al girone unico di Serie A che sarà poi realizzato con il campionato 1929 – 30. Il Savona affronta così le squadre lombarde. Tra queste scende per prima in via Frugoni il Legnano, mentre i biancoblu saliranno a Milano per affrontare, sul terreno di via Bronzetti, l’Internazionale.

Campionato CCI 1921 – 22

23 ottobre 1921

Savona – Legnano 2-1

Savona: Falco, Saettone, Ciarlo, Perlo, Boglietti II, Chiabotto, Gaia, Cuttin, Poggi IV, Boglietti I, Roggero.

Legnano: Ghiringhelli, Mai, Colombo II, Colombo I, Rossi, Gerola, Sodano, Allemandi (futuro campione del mondo), Raso, Malaspina, Crespi.

Reti: 39’ Cuttin su rigore, 41’ Raso, 59’ Chiabotto.

Arbitro:  Crivelli di Milano.

6 novembre 1921

Internazionale – Savona 2-0

Internazionale: Campelli, Beltrami, Viganò, De Sacco, Martinella II, Milesi, Boselli, Scheidler, Peretti, Carozzo, Pietroboni.

Savona: Falco, Ciarlo, Saettone, Perlo, Boglietti II, Gaia, Roggero, Veglia, Cuttin, Chiabotto, Boglietti I.

Reti: 46’ Peretti, 89’ Carozzo.

Arbitro. Scamoni di Torino.

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L’Inter nella formazione con la quale affrontò il Savona

TRENTINO ALTO ADIGE

Il Savona è appena tornato in Serie C e sta giocando le sue prime partite nel nuovo stadio di Legino intitolato a Valerio Bacigalupo. Arriva il Bolzano, prima squadra altoatesina nella nostra storia. Gli striscioni poi, nel girone di ritorno, restituiranno la visita nello stadio “Druso” di Bolzano: celebre scenario d’arrivo per tante tappe dolomitiche del Giro d’Italia.

Campionato Serie C 1959 – 60

18 ottobre 1959

Savona – Bolzano 1-0

Savona: Ferrero, Valentino Persenda, Ballaucco, Caffaratti, Ciglieri, Contin, Serena, Bartolaccini, Teneggi, Merighetto, Turotti.

Bolzano: Sartin, Provezza, Giannesello, Benini, Bonometti, Ridolfi, Lorenzi, Bertolini, Begagno, Falsiroli, Bettoni.

Rete: Bartolaccini 24’.

Arbitro:  Rossini di Cremona.

6 Marzo 1960

Bolzano – Savona 0-0

Bolzano. Sartin, Provezza, Gianesello, Benini, Bonometti, Solivo, Milani, Stegagno, Perini, Falsiroli, Bettoni.

Savona: Ferrero, Valentino Persenda, Caffaratti, Ballaucco, Nadali, Contin, Brocchi, Bartolaccini, Teneggi, Turotti, Farinelli.

Arbitro:  Gandiolo di Alessandria.

VENETO

Torniamo al campionato delle “grandi” organizzato dalla CCI per raccontare la storia della “prima volta” di una squadra veneta ad affrontare il Savona. Si tratta del Padova che, in seguito, onorerà il calcio italiano con grandi campionati in Serie A con il “supercatenaccio” di Nereo Rocco ma che già all’epoca rappresentava una realtà molto consistente.

Campionato CCI 1921 – 22

30 ottobre 1921

Savona – Padova 2-0

Savona: Falco, Ciarlo, Saettone, Perlo, Boglietti II, Gaia, Roggero, Poggi IV, Cuttin, Chiabotto, Boglietti I.

Padova: Paglianti, Marino, Danieli, Fayenz (futuro nazionale), Fagioni, Ronconi, Stura, Barzan, Monti II, Monti III (ai fratelli Monti sarà intitolato a Padova un velodromo nel cui prato al centro muoverà i primi passi il Petrarca Rugby giocandovi le gare di campionato per molti anni), Modulo.

Reti: 85’ Cuttin, 87’ Chiabotto.

Arbitro:  Mason.

12 febbraio 1922

Padova – Savona 3-1

Padova: Paglianti, Modulo, Francesconi, Fayenz, Faggioli, Girani , Conti, Danieli, Barzan, Monti Ii, Monti III.

Savona: Falco, Ghigliano, Novarese, Perlo, Gaia, Chiabotto, Hibbly, Cuttin, Roggero, Veglia, Boglietti I.

Reti : 21’ Chiabotto, 59’ Conti rigore, 71’ e 87’ Monti II.

Arbitro: Ricci di Modena.

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Il Padova 1921-22: in piedi, da sin., Danieli, Fayenz, Zambotto II, Modulo, Paglianti, Marino I; accosciati, Turra II, Monti II, Busini I, Fagiuoli, Busini III.

FRIULI VENEZIA GIULIA

All’epoca non era sufficiente vincere il proprio girone di Serie C per salire direttamente il Serie B. Era necessario disputare le finali e fu in una di quelle occasioni che al Savona toccò incontrare la più blasonata delle squadre friulane: proprio l’Udinese che nel 1922 era già stata finalista della prima coppa Italia avversario il Vado capace di imporsi nell’occasione per 1-0 goal di Felice Levratto con il tiro che sfondò la rete entrando nella leggenda.

Ai biancoblu questa volta non riesce l’impresa e la sconfitta al Moretti chiude la strada verso la promozione: saranno proprio le “zebrette” assieme al Brescia a salire in cadetteria.

Finali Serie C 1938 – 39

4 giugno 1939

Udinese – Savona 2-1

Udinese: Gremese, Ciroi, Venier, Dianti, Gallo, Barbot, Marini, Faini, Zorzi, Tabanelli, Sdraulig.

Savona: Origone, Testa, Morchio, Sandroni, Nervi, Argenti, Allegri, Vanara, Calcagno, Caviglia, Borgo.

Reti: autorete di Testa al 28’, Allegri 55’, Faini 73’.

25 giugno 1939

Savona – Udinese 0-0

Savona: Origone, Testa, Morchio, Calcagno, Nervi, Argenti, Allegri, Vanara, Savio, Ricci, Caviglia.

Udinese: Gremese, Ciroi, Venier, Dianti, Gallo, Miani, Barbot, Faini, Zorzi, Tabanelli, Sdraulig.

Arbitro:  Salvadori di Roma.

EMILIA – ROMAGNA

Torniamo a raccontare del campionato d’élite della CCI 1921 – 22. C’è anche il Modena che rappresenta così la prima squadra emiliana nella storia degli striscioni. Il Modena sarà una delle squadre” fatali”: resterà imperitura la memoria della partita “venduta” (?) nella stagione 1940-41, decisiva per salire in Serie A; il 3-2 subito dal Savona nella gara più drammatica mai giocata al “Bacigalupo” di Legino (1960 – 61) e un clamoroso 5-1 inflitto ai “canarini” nel campionato di Serie B 1966- 67, con tripletta di Pierino Prati e grande gara di Beppe Furino capace di  annullare il cileno Iorge Toro già protagonista con la sua nazionale della partita-rissa con l’Italia ai mondiali 1962.

Campionato CCI 1921 – 22

27 Novembre 1921

Savona – Modena 2-0

Savona: Falco, Ciarlo, Novarese, Perlo, Gaia, Mazzotti, Roggero, Truffi, Veglia, Cuttin, Boglietti I.

Modena: Brancolini, Contini, Pedrazzi, Armari, Bonasotti, Maselli, Muratori, Agradi, Breviglieri, Manzotti, Forlivesi.

Reti: 50’ Truffi, 55’ Cuttin.

Arbitro:  Portigliotti.

12 marzo 1922

Modena – Savona 2-0

Modena: Brancolini, Boni, Contini, Pedrazzi, Amari, Benassati, Manzotti, Muratori, Agradi, Breviglieri, Forlivesi.

Savona: Falco, Saettone, Novarese, Roggero, Gaia, Scotto, Hibbly, Perlo, Cuttin, Chiabotto, Boglietti I.

Reti: 47’ e 89’ Manzotti.

Arbitro:  Zenaro di Genova.

TOSCANA

Di nuovo il campionato di lusso 1921 – 22, nel corso del quale si allargarono molto le relazioni calcistiche tra le varie regioni essendo organizzato uscendo fuori dal ristretto ambito dei gironi regionali. Al Savona tocca anche il Pisa, squadra in quel momento davvero molto quotata: tra i pali dei neroazzurri il “gatto magico” Gianni, futuro portiere del “Bologna che tremare il mondo fa” , il cannoniere Sbrana, il mediano Colombari poi passato al Torino e dai granata al Napoli per la cifra record dell’epoca di 250.000 lire.

Campionato CCI 1921 – 22

9 ottobre 1921

Savona – Pisa 3-1

Savona: Falco, Ghigliano, Ciarlo, Perlo, Boglietti II, Gaia, Roggero, Poggi IV, Cuttin, Chiabotto, Boglietti I.

Pisa: Gianni, Bartoletti, Giuntoli, Colombari, Viale, Boggetti, Ricci, Merciai, Corsetti, Sbrana, Favati.

Reti: Boglietti I 27’, Merciai 56’, Roggero 68’, Chiabotto 79’.

Arbitro: Fries di Milano.

22 gennaio 1922

Pisa – Savona 4-0

Pisa: Gianni, Bartoletti, Giuntoli, Nierucci, Tornabuoni, Giani, Merciai, Colombari, Corsetti, Sbrana, Favati.

Savona: Falco, Ghigliano, Novarese, Perlo, Gaia, Chiabotto, Boglietti I, Cuttin, Veglia, Saettone, Roggero.

Reti: 4’ Sbrana, 21’ Merciai, 50’ Corsetti, 68’ Colombari.

Arbitro:  Maiani di Torino.

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Pisa 1921: da sinistra, l’allenatore Ging, Giuntoli, Corsetti, Sbrana, Colombari, Bartoletti, Viale, Tornabuoni, Gianni, Merciai, Pera.

MARCHE

Siamo nella Serie B 1940 – 41: un grande Savona sfiora la Serie A e l’Anconitana, prima squadra marchigiana a incrociare il cammino dei biancoblu, retrocede. In Corso Ricci la squadra di Orth gioca una delle migliori partite della sua eccezionale stagione.

Campionato Serie B 1940 – 41

11 novembre 1940

Savona – Anconitana 4-0

Savona: Martini, Rosso, Bodini, Sandroni, Traversa, Puccini, Bolla, Tomasi, Vaschetto, Piana, Comini.

Anconitana: Busani, Pairani, Scaccini, Finotto, Varoli, Mazzoli, Bolli, Fiorini, Torti, Silvestrelli, Salata.

Reti. 10’ Bodini su rigore, 21’ Piana, 54’ Traversa, 83’ Vaschetto.

17 marzo 1941

Anconitana – Savona 0-0

Anconitana: Garbo, Pierani, Spanghero, Finotto, Brondi, Varoli, Fiorini, Lombardi, Torti, Silvestrelli, Molli.

UMBRIA

La prima assoluta di una squadra umbra al “Bacigalupo” coincide con un avvenimento da ricordare. E’ la prima giornata, avversari i biancorossi del Città di Castello (l’antico “Tifernum”) ed esordisce tra i pali del Savona nientemeno che Walter Zenga, il futuro “uomo ragno” dell’Inter e della Nazionale. Per di più segna una tripletta Pierino Prati tornato a Savona per i buoni uffici di Valentino Persenda e del presidente Michele Viano, per concludere una carriera costellata di scudetti, Coppe dei Campioni e Intercontinentali.

Campionato Serie C2 1979 – 80

30 settembre 1979

Savona – Città di Castello 4-1

Savona: Zenga, Serratore, Cavalli, Ratto, Scremin, Gola, Baesso, Cavaliere, Marcolini, Zunino, Prati.

Città di Castello: Cerini, Tosti, Luconi, Selvi, Moretti, Pinucci, Bistarelli, Catalucci, Baldacci, Donato, Valori.

Reti Prati 12’ 32’ 77’, Zunino 90’, Valori 27’.

3 febbraio 1980

Città di Castello – Savona 2-1

Città di Castello: Cerini, Baldacci, Selvi, Bistarelli, Mambrini, Luconi, Bernardini, Travani, Gustolisi, Valori, Zanchi.

Savona: Zappa, Serratore, Dainese ( Testa dal 58’), Ratto, Scremin, Gola, Marcolini, Zorzetto, Baesso, Zunino, Prati.

Reti: Travani 8’, Valori 9’, Zorzetto 62’.

Arbitro:  Renone di Nola.

LAZIO

Campionato Serie B 1942 – 43

Comincia il più duro campionato di guerra: per il Savona si tratterà di una vicenda travagliatissima. L’esordio però avviene in uno scenario eccezionale. Mater (terza squadra romana dell’epoca, espressione di una fabbrica di motori) contro Savona si gioca infatti allo Stadio Nazionale (per noi il futuro Flaminio) dove nel 1934 si è giocata la finale della Coppa del Mondo tra Italia e Cecoslovacchia. Non solo: esordio in biancoblu di Valerio Bacigalupo,  che chiuderà la sua esaltante carriera nell’immane, tragico, indimenticabile rogo di Superga. Nelle fila dei romani giostra nientemeno che Fuffo Bernardini, già centromediano di Lazio, Inter, Roma: l’uomo che Pozzo escluse dalla Nazionale “perché giocava in modo troppo intelligente”.

4 ottobre 1942

Mater Roma – Savona 1-1

Mater Roma: Vaccari, Sabbatini, Fusco, Colombo, Mattioni, Celestino, Pisano, Longobardi, Pieri III, Bernardini, Presti.

Savona: Bacigalupo, Rosso, De Boni, Reghellin, Zanni, Lugaro (partigiano fucilato dai tedeschi), Fumagalli, Paoletti, Dodi, Cortiana, Bardini.

Reti: 9’ Cortiana, 13’ Presti.

Arbitro:  Mazza.

31 gennaio 1943

Savona – Mater Roma 1-0

Savona: Bacigalupo, Rosso, Cattaneo, Reghellin, Paoletti, Zorzin, Dodi, Ceriani, Bandini, Cortiana, Ghiglione.

Mater Roma: Vaccari, Manfredini, Pieri II, Longobardi, Battioni, Celestini, Giovannini, Rossi, Pisano, Lombardi, Fiumini.

Rete: 36’ Ghiglione.

Arbitro:  Silvano di Torino.

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Un’immagine dell’esordio dell’indimenticabile Valerio Bacigalupo, in tuffo con il n.1 ben visibile allo stadio Nazionale di Roma

ABRUZZO

Il Savona si reca per la prima volta in Abruzzo proprio alla prima giornata di campionato. Un esordio sfortunato per un torneo contraddittorio, segnato dalla fuga improvvisa del grande allenatore Orth scappato in Messico temendo la situazione della moglie di origini ebraiche. A Pescara un arbitro eccezionale: Orlandini di  Roma, futuro “internazionale”.

Campionato Serie B 1941 – 42

26 ottobre 1941

Pescara – Savona 2-0

Pescara: Miglio, Romagnoli, Paduli, Ventura, De Angelis, Brandimarte, Di Santo, Paolini, Tontodonati (futuro centravanti della Roma), Matura, Creziato.

Savona: Caburi, Rosso, Morchio, Lami, Tommasi, Venturini, Fumagalli, Zandali, Bandini, Buscaglia, Gianesello.

Reti: 10’ Matura, 40’ Tontodonati.

Arbitro:  Orlandini di Roma.

1 marzo 1942

Savona – Pescara 2-2

Savona: Caburi, Rosso, Tomei, Puccini, Zandali, Morchio, Galbiati, Tomasi, Zanni, Buscaglia, Pinzi.

Pescara: Miglio, Romagnoli, Mincarelli, Ventura, De Angelis, Brandimarte, Lanciaprima, Paolini, Suozzi, Di Santo, Creziato.

Reti: 15’ Zandali, 30’ Tomasi, 48’ Paolino, 75’ Di Santo.

Arbitro:  Milanone.

CAMPANIA

Ancora il campionato di guerra per un confronto ai massimi livelli. E’ retrocesso in Serie B il Napoli che non vincerà il torneo, in Serie A vanno Modena e Brescia ma sarà tutto inutile perché annullato dal precipitare degli eventi bellici. La prima trasferta del Savona in Campania si svolgerà così in uno scenario eccezionale: quello dello stadio Ascarelli, poi distrutto dai bombardamenti, che sorgeva nello stesso luogo dove adesso si è eretto il San Paolo. Nel Napoli tanti giocatori illustri dal portiere Sentimenti II, epigono della grande dinastia, alla “stella del Sud” Verrina che nella stagione 1956 – 57 nel Savona svolgerà le funzioni di giocatore-allenatore.

Campionato Serie B 1942 – 43

20 dicembre 1942

Savona – Napoli 0-1

Savona: Caburi, Cattaneo, Morchio, Zorzin, Zanni, Paoletti, Fumagalli, Ceriani, Bandini, Tomasi, Ghiglione.

Napoli: Sentimenti II, Pretto, Berra, Milano, Fabbri, Gramaglia, Arcari, Busani, Vinicio Viani, Verrina, Cadregari.

Rete: 40’ Vinicio Viani.

Arbitro:  Canavesio di Torino.

19 aprile 1943

Napoli – Savona 2-0

Napoli: Sentimenti II, Manni, Pretto, Milano, Fabbri, Gramaglia, Busani, Cadregari, Vinicio Viani, Verrina, Venditto.

Savona: Caburi, Rosso, Cattaneo, Lamberto, Paoletti, Zorzin, Ferrero, Ghiglione, Bandini, Dodi, Doglio.

Arbitro:  Scotto.

BASILICATA

Unica doppia gioia nello sfortunato torneo di Serie B 1966 – 67. Vittoria sia a Savona sia a Potenza nella prima (e per ora unica) occasione di confronto con le squadre lucane.

Campionato Serie B 1966 – 67

9 ottobre 1966

Savona – Potenza 1-0

Savona: Ferrero, Verdi, Valentino Persenda, Zoppelletto, Pozzi, Natta, Benigni-Navarrini, Furino, Rollando, Fascetti, Recagni.

Potenza: Di Vincenzo (“Sarin” in piena tranche agonistica schiaffeggiò un raccattapalle che a suo dire ritardava a lanciargli al sfera finita in fallo di fondo), Ciardi, Zanon, Venturelli, Nesti, Meciani, Veneranda, Carrera, Piaceri, Carioli, Agroppi.

Rete: Benigni 39’

Arbitro:  Giunti di Arezzo.

5 marzo 1967

Potenza – Savona 0- 1

Potenza: Di Vincenzo, Ciardi, Marcolini, Venturelli, Nesti, Agroppi, Veneranda, Carrera, Carioli, Piaceri, Rosito.

Savona: Ferrero, Verdi, Ratti, Zoppelletto, Pozzi, Furino, Benigni-Navarrini, Gittone, Prati, Fascetti, Gilardoni.

Rete: Gilardoni 45’.

Arbitro:  Torelli di Milano.

9

Nella foto (dall’incommensurabile archivio di “Riviera Notte”) Urano Benigni-Navarrini scaglia nella rete del Potenza il goal della prima vittoria del Savona nel campionato di Serie B 66 – 67

PUGLIA

Finali trionfali per il Savona 1938 -39 con due splendide occasioni di vittoria contro la prima squadra pugliese incontrata nella storia: il Taranto. Alla fine per gli striscioni sarà Serie B.  E’ il centravanti Vaschetto il mattatore con 4 gol in due partite, ma Piana e Sandroni con due doppiette non sono da meno. Davvero un attacco atomico.

Finali Serie C 1939 – 40

2 giugno 1940 (tra otto giorni l’Italia entrerà in guerra)

Taranto – Savona 0-3

Taranto: Bolognini, Giradu, Tommaselli, Labate, Bacuno, Ferrara, Pensa, Pacciolutti, Molinari, Castellano, Silvestri.

Savona: Caburi, Cozzi, Villa, Sandroni, Gallino, Argenti, Pellegrino, Piana, Vaschetto, Borel I, Morchio.

Reti: 30’ e 84’ Vaschetto, 43’ Pellegrino.

24 giugno 1940

Savona – Taranto 8-0

Savona: Caburi, Cozzi, Villa, Sandroni, Gallino, Argenti, Piana, Buggi, Vaschetto, Borel I, Morchio.

Reti: 3’ e 60’ Piana, 12’ e 71’ Vaschetto, 57’ e 79’ Sandroni, 13’ Morchio, 65’ Buggi.

Arbitro:  Carpani di Milano.

CALABRIA
La stagione di serie B 166 – 67 propizia anche il primo incontro tra il Savona e le squadre calabresi. Tocca alla Reggina recarsi al “Bacigalupo”, mentre gli striscioni si recano a Catanzaro per una gara che mette in mostra la debolezza di quel Savona nel ruolo di portiere. Sul 3-0 l’allenatore Rabitti cercò tardivamente e inutilmente di correre ai ripari sostituendo il disastroso Ferrero con l’inesperto (per la categoria) ma incolpevole Sommariva. Una debolezza che, alla fine, determinerà la “fatal” Catania.

Campionato Serie B 1966 – 67

2 ottobre 1966

Savona – Reggina 0-0

Savona: Ferrero, Verdi, Fochesato, Pozzi, Valentino Persenda, Natta, Furino, Gittone, Rollando, Fascetti, Dalle Crode.

Reggina: Ferrari, Mupo, Barbetta, Baldini, Tomasini, Neri, Alaimo, Florio, Santonico, Camozzi, Rigotto.

Arbitro: Gioia di Pisa.

9 ottobre 1966

Catanzaro – Savona 3-0

Catanzaro: Cimpiel, Marini, Bertoletti, Sardei, Tonani, Farina, Rossetti, Orlandi, Bui,Gasparini, Vitali.

Savona: Ferrero (Sommariva dall’82’), Verdi, Valentino Persenda, Zoppelletto, Pozzi, Natta, Benigni, Furino, Fazzi, Fascetti, Rollando.

Reti. Bui 34’,  Rossetti 60’, Vitali 61’.

Arbitro: Orlando.

SICILIA

L’incontro/scontro tra il Savona e la Sicilia risale, invece, molto più indietro nel tempo. Addirittura alla stagione 1931 – 32. Non era ancora stato istituito il campionato di Serie C e il torneo di  Prima Divisione, quello immediatamente sottostante la Serie B, richiedeva – per stabilire le squadre promosse – la disputa di alcuni gironi finali. Al termine di quella stagione, aggiudicatosi il Savona la prima piazza nel torneo eliminatorio, gli striscioni furono posti a confronto con il Messina e la Spal. Furono i giallorossi peloritani ad imporsi nonostante in Corso Ricci il Savona si fosse imposto con il minimo scarto.

Finali Campionato I Divisione 1931 – 32

12 giugno 1932

Savona – Messina 1-0

Savona: Chiesa, De Valle, pantani, Negro, Grassi, Perlo, Bacigalupo I, Caviglione, Bacigalupo IV, Canepa, Borgo.

Messina: Staccione, Miltone, Bruni, Borgo I, Fidomanzo, Re, Cevenini III (il grande Zizì, uno dei primi divi del calcio italiano, già all’Inter e alla Juventus più volte nazionale, arrivato sullo stretto a chiudere la sua brillante carriera di cannoniere), Corallo, Borgo II, Ferretti.

Rete: 7’ Borgo.

Arbitro:  Caironi di Milano

Messina – Savona 3-0

Messina: Staccione, Mitone, Bruni, Latella, Borgo I, Fidomanzo, Re, Cevenini III, Corallo, Borgo II, Ferretti.

Savona: Chiesa, Pantani, De Valle, Grassi, Perlo, Negro, Bacigalupo I, Caviglione, Bacigalupo IV, Canepa, Borgo.

Reti: 13’ Re, 26’ Corallo, 88’ Fidomanzo.

Arbitro:  Benvignati di Roma.

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Ecco il Messina 1931 – 32 con il grande Cevenini III. In alto da sinistra: Staccione II, Bruni, Corallo, Borgo G., Cevenini III, Ferretti I, Martelli, Fidomanzo I, Borgo E., Miltone

SARDEGNA

Per arrivare ad incontrare squadre sarde si dovrà aspettare la stagione 1969 – 79 allorquando il Savona fu inserito nel girone B, quello dell’Italia centrale, nella Serie C. Ai biancoblu toccarono consecutivamente le due trasferte di Sassari e Olbia. Il trasferimento avvenne in aereo e la squadra (con i giornalisti al seguito) si fermò in Sardegna per l’intero periodo necessario a disputare le due partite. Una trasferta che sarebbe passata alla storia come “la settimana sarda”.

Campionato Serie C 1969 – 70

2 novembre 1969

Torres – Savona 0-0

Torres: Criscuolo, Morbidoni, Iseppon, Ferradina, Dettori, Codognato, Miani, Grilli (Rossi), Ventura, Morosi, Sasso.

Savona: Ghizzardi, Verdi, Canepa, Rumignani, Mialich, Paparelli, Vivarelli, Rossi, Barlassina, Mavero, Zucchini.

Arbitro:  Laurenti di Padova.

22 marzo 1970

Savona – Torres 1-1

Savona: Merciai, Verdi, Pozzi, Lippi, Anzuini, Paparelli, Vivarelli (Profumo dal 46’), Baveni, Barlassina, Rosso, Dalmonte.

Torres: Criscuolo, Morbidoni, Iseppon, Ferradi (Sassi dal 34’), Dettori, Mora, Grazioli, Miani, Ventura, Morosi, Grilli.

Reti: Rosso 42’, Sassi 45’.

Arbitro:  Lavetti di Bergamo.

Da ricordare infine gli incontri con due squadre che possono essere considerata “extra territoriali”. E’ capitato, infatti, che ci si confrontasse con squadre che per diversi motivi non hanno più fatto parte o non hanno mai fatto parte del territorio nazionale pur partecipando al campionato italiano. E’ stato il caso della Fiumana: la città di Fiume al termine della seconda guerra mondiale è passata alla Jugoslavia e successivamente alla Croazia, e di San Marino, squadra rappresentativa dell’antica e gloriosa repubblica del Titano.

CAMPIONATO DI SERIE B 1941 – 42

22 dicembre 1941

Savona – Fiumana 3-2

Savona: Caburi, Rosso, Morchio, Puccini, Tomasi, Zandali, Fumagalli, Bandini, Tomei, Buscaglia, Remigi.

Fiumana: Canz, Tiblaz, Rubinato, De Giovanni, Loich I (fratello maggiore di Ezio Loich, mezz’ala del grande Torino caduto a Superga), Lavarino, Tomasi, Paolini, Boliva, Caverlizza, Poggi

Reti: 20’ Buscaglia, 46’ 48’ Bandini,60’ 75’ Lavarino.

Arbitro:  Savio.

17 maggio 1942

Fiumana – Savona 0-2

Fiumana: Canz, Manfredda, Maras, Lavarino, Loich I, De Giovanni, Poggi, Biagi, Volk (il grande “Sciabbolone” negli anni ’30 cannoniere della Roma), Zambelli, Busidoni (in realtà si chiamava Busdon ma il fascismo lo aveva costretto a italianizzare il cognome).

Savona: Agostini, Rosso, Tomei, Zandali, Venturini, Teruzzi, Fumagalli, Belloni, Zanni, Tomasi, Galbiati.

Reti: 34’ Fumagalli, 85’ Zandali.

Arbitro: Limido.

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Ecco la Fiumana stagione 1941-42

CAMPIONATO DI SERIE C2 2002 – 2003

17 novembre 2002

San Marino – Savona 1-1

San Marino: Vecchini, Tarini, Battisti, Lauro, Macerata, De Feudis (74’ Grossi), Del Bianco, Coppola, Bracaletti (80’ Mauro), Rondina, Lugnan (61’ Maniero).

Savona: Ghizzardi, Rossi, Di Gioia, Barone, Peluffo, Perrella, Bracaloni, Cipolli, Giacchino (69’ Solari), Nappi, Girgenti (83’ Lamberti).

Reti: 15’ Rondina, 25’ Nappi.

Arbitro: Forconi di Aprilia.

6 aprile 2003

Savona – San Marino 0-0

Savona: Ghizzardi, Bellocchi, Damonte, De Lucis, Biffi, Di Gioia, Nappi (90’ Girgenti),  Bracaloni, Solari, Murgita (77’ Lamberti), Giacchino (87’ Lombardo),

Arbitro:  Nicoletti di Macerata,

 

LE SQUADRE AFRICANE: LE “PRIME VOLTE”  TRA MONDIALI E OLIMPIADI

di FRANCO ASTENGO

Lunghi decenni sono passati dall’avvio della diffusione globale del calcio, partito dalle Isole Britanniche e passato nell’Europa Continentale, negli Stati  Uniti e nel Messico e nell’America meridionale nel  giro di poco tempo. Asia ed Africa hanno rappresentato terreno di difficile conquista per quello che sicuramente è lo sport più popolare al mondo.

In questa occasione abbiamo così cercato di ricostruire il cammino delle squadre africane nelle grandi competizioni internazionali Olimpiadi e Mondiali individuando le”prime volte” delle compagini rappresentative delle nazioni di quello che comunemente è definito come “Continente Nero” (numero di nazioni che progressivamente è andato crescendo con il progredire del processo di decolonizzazione sviluppatosi in particolare negli anni centrali del XX secolo). Nel frattempo le squadre africane sono sicuramente cresciute per peso tecnico e atletico, è stata organizzata la Coppa d’Africa e giocatori di origine africana militano, in gradissimo numero, nei principali campionati con grandissimo successo.

In realtà la prima occasione di confronto per una squadra africana con il resto del mondo risale molto all’indietro nel tempo, addirittura alle Olimpiadi di Anversa del 1920. Fu l’Egitto infatti a partecipare al torneo di calcio e primo avversario della compagine rappresentativa della terra dei Faraoni fu proprio l’Italia. Ecco il dettaglio di quella storica partita.

Gand 28 Agosto 1920

Italia – Egitto 2-1

Reti: Baloncieri, Dak Osman, Brezzi.

Egitto: Kamel Taha, Mohamed El Sayed, Abdel Salam Handl, Riad Shawky, Aly Fahuny, El Hassani, Gamil Osman, Tewifk Abdullah, Aly Hassan, Hussein Hagazi, Sayed Abaza, Dak Osman.

Italia: Giacone, Bruna, De Vecchi, Reynaudi, Meneghetti, Lovati, Sardi, Baloncieri, Brezzi, Santamaria, Forlivesi

Arbitro: Putz (Belgio),

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Ecco l’Egitto schierato alle Olimpiadi di Anversa 1920, sconfitto dall’Italia 2-1 

Gli egiziani ripeterono l’impresa anche alle Olimpiadi di Parigi nel 1924 centrando la qualificazione ai quarti di finale grazie ad una sorprendente vittoria colta ai danni dell’Ungheria (3-0). Nel turno successivo però secca battuta d’arresto subita dalla Scozia con il rotondo punteggio di 5-0.

Eccezionale la partecipazione dell’Egitto nei successivi giochi olimpici svoltisi ad Amsterdam nel 1928. Eliminata la Turchia al primo turno (2-1), gli egiziani liquidarono nei quarti di finale anche il Portogallo con lo stesso punteggio approdando così alle semifinali. A quel punto però l’avversaria risultò assolutamente proibitiva: si trattava dell’Argentina (poi superata in finale dall’Uruguay), Argentina che liquidò gli egiziani con un secco 6-0.

Così come, per gli stessi egiziani, risultò del tutto improponibile la “finalina” valida per il terzo e quarto posto avversaria l’Italia che si impose con lo stratosferico punteggio di 11-3. Va ricordato che in maglia azzurro giocò il “nostro” Felice Levratto (28 presenze in Nazionale A). Levratto, nato a Carcare nel 1904, aveva esordito in nazionale il 25 maggio 1924 a soli vent’anni.

Questo il tabellino di quella storica gara (massimo di reti segnate dall’Italia in una sola partita).

Amsterdam 10 Giugno 1928

Italia – Egitto 11-3

Reti: Schiavio 3, Baloncieri 2, Banchero 3, Magnozzi 3, Riad 2, Hassan.

Egitto: Hamdl, Abaza, Schemles, El Souri, El Hassani, Hassan, Mohamed, Riad, Ismail, Hadan, Zubeir.

Italia: Combi, Bellini, Caligaris, Genovesi, Bernardini, Pitto, Baloncieri, Banchero, Schiavio, Magnozzi, Levratto.

Arbitro: Langenus (Belgio).

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Una fase di Italia-Egitto, terzo, quarto posto alle Olimpiadi di Amsterdam 1928. Nella mischia Schiavio colpisce di testa

Gli egiziani rappresentarono anche la sola nazionale a rappresentare l’Africa nella Coppa del Mondo intitolata a Jules Rimet.

Saltata l’edizione inaugurale svoltasi in Uruguay nel 1930 gli egiziani affrontarono le qualificazioni per la fase finale prevista in Italia nell’estate del 1934. Si registrò così la prima occasione davvero “storica” di una partita valida per le qualificazioni mondiali giocata in terra africana.

Venerdì 16 Marzo 1934, stadio Army Ground del Cairo, 13.000 spettatori : Egitto – Palestina (la Palestina in quel momento era uno stato sotto mandato inglese) 7-1.

La partita di ritorno fu disputata Venerdì 6 Aprile 1934 nello stadio Hapoel di Gerusalemme davanti a 5.000 spettatori e l’Egitto confermò la propria superiorità imponendosi ai palestinesi per 4-1 e approdando così alla fase finale.

In Italia l’Egitto fu eliminato al primo turno (si giocava ad eliminazione diretta) dall’Ungheria con il punteggio di 4-2. La gara si giocò allo stadio Ascarelli di Napoli (esattamente dove oggi sorge lo stadio San Paolo) davanti a 9.000 spettatori.

Gli egiziani tentarono nuovamente la sorte nelle qualificazioni per i mondiali del 1954 in Svizzera, ma trovarono sulla loro strada l’Italia che si impose per 2-1 (a fatica) al Cairo per poi dilagare nella partita di ritorno giocata il 6  gennaio 1954 a Milano con il punteggio di 5-1: nevicava e non si trattò delle condizioni ambientali più favorevoli per gli egiziani.

La seconda squadra ad affrontare le qualificazioni mondiali fu il Sudan iscritto nella lizza per i mondiali svedesi del 1958. Anche in quella occasione, però, non si disputò un confronto fra squadre africane. Il Sudan infatti fu opposto alla Siria: l’8  marzo 1957 nello stadio municipale di Karthoum Sudan-Siria 1-0 (il Sudan aveva appena ospitato la prima edizione della Coppa d’Africa).

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Una fase di Sudan-Egitto prima partita della neo nata Coppa d’Africa disputata a Kartoum nel 1957 e vinta dal Sudan

I sudanesi eliminarono la Siria pareggiando 1-1 il 24 maggio 1957 a Damasco ma poi rinunciarono alla finale del gruppo Asia-Africa che li avrebbe visti incontrare Israele che poi sarà eliminata dal Galles nel confronto fra la vincente Asia/Africa e la migliore seconda dei gruppi europei: 2-0 a Tel Aviv e stesso punteggio al Ninian Park di Glasgow.

Per arrivare ad una eliminatoria totalmente africana con  qualificazione diretta si dovette attendere l’edizione del 1970, fase finale in Messico (quella della storica semifinale Italia-Germania Ovest 4-3 e finale Brasile-Italia 4-1, ma anche della ridicola “staffetta” Mazozla-Rivera.)

Si disputarono due turni e un girone finale: al primo turno parteciparono Algeria, Tunisia, Marocco, Senegal, Libia, Etiopia, Zambia, Sudan, Nigeria e Camerun (come si può notare il movimento africano era estremamente cresciuto).

Classifica del girone finale: Marocco 5 punti, Nigeria 4, Sudan 3 punti. Marocco qualificato. Spettò così al Marocco rappresentare per la prima volta l’Africa nella fase finale dei Mondiali.

4

Il Marocco ai Mondiali del 1970: 1 Ben Kassou, 2 Lamrani, 3 Benkhrif, 4 Khanousi, 5 Slimani, 6 Mahroufi, 7 Ghandi, 8 Bamous, 9 Faras, 10 El Filali, 11 Ghazouani, 12 Hazzaz, 13 Fadili, 14 Houmane, 15 Dahane, 16 Choukri, 17 Alaoui, 18 El Khiati, 19 Ouaraghli; c.t. Vidinić (ex portiere della Jugoslavia medaglia d’oro nel torneo di Calcio delle Olimpiadi di Roma ’60)

La prima partita fu giocata il 3 giugno 1970 a Leon davanti a 9.000 spettatori e il Marocco giocò sorprendentemente alla pari con la Germania Ovest cedendo alla fine con il punteggio di 2-1. Il Marocco andò in vantaggio al 21’ con Human, i tedeschi pareggiarono al 56’ con Uve Seeler per poi segnare il goal della vittoria al 78’ con Gerd Muller.  La lettura della formazione della Gemania dà la misura della qualità dei giocatori, alcuni dei quali, per tutti il “kaiser” Beckenbauer, Vogts, Haller e Overath, sono rimasti a lungo alla ribalta del calcio internazionale.

Germania: Maier, Vogts, Hottges (Lohr dal 77’), Beckenbauer, Schulz, Fichtel, Seeler, Haller (Grabowski dal 46’), Muller, Overath, Held.

Marocco: Be Kassu, Lamrani, Bekriel, Kanussi, Silmani, Maarufi, Said, Banus (Faras dal 72’) Human, El Filali, Ghauzani (El Kati dal 55’).

Il Marocco disputò altre due partite cedendo al Perù per 3-0 e conquistando il primo punto in classifica pareggiando con la Bulgaria (1-1). La via alla partecipazione delle squadre africane alle grandi competizioni internazionali ormai era spianata.