SPORT E POLITICA: QUANDO TOGLIATTI IMPOSE ALL’UNITA’ L’EDIZIONE DEL LUNEDI’

di LUCIANO ANGELINI e FRANCO ASTENGO

Di seguito a questa introduzione le nostre lettrici / lettori troveranno un gustoso articolo tratto dal blog “La bottega del Barbieri” che tratta di un particolare momento di rapporto tra lo sport e la politica all’interno della redazione del “Guerin Sportivo” occupata per un giorno,nel lontano 1920, da due redattori “bolscevichi” poi immediatamente licenziati dal direttore Corradini.

Abbiamo pensato di utilizzare questa combinazione per una breve riflessione sul rapporto tra lo sport e la politica, e più in particolare tra il calcio, il potere e l’opposizione al potere.

Il calcio dimostratosi da subito, fin dal primo affermarsi tra le masse nella seconda metà dell’800, un veicolo formidabile di propaganda e addirittura di “distrazione di massa”. Non solo in Italia, naturalmente,anche se nel nostro Paese si sostiene che grazie allo sport e alla sua capacità – appunto – di distrazione di massa sia stata evitata addirittura una Rivoluzione allorquando, nell’estate 1948, nei giorni dei moti suscitati dall’attentato al segretario del Pci Palmiro Togliatti, si verificò la grande impresa di Gino Bartali capace di vincere il Tour. Quella coincidenza contribuì, secondo la vulgata corrente, a calmare gli animi e ad evitare il protrarsi di una pericolosa situazione (naturalmente la Rivoluzione non ci fu per varie cause e ragioni molto complesse, ma la voce popolare assegna all’impresa di Bartali un peso molto importante).

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Gino Bartali nel giorno della grande impresa sull’Izoard

Lo stesso segretario del Pci Togliatti, del resto, fu tra i politici quello che forse comprese meglio il valore e il peso dello sport nella società moderna che andava costruendosi all’indomani della seconda guerra mondiale, in previsione del boom economico e dell’avvento della società dei consumi: una intuizione che, nel panorama politico italiano, Togliatti condivise con Giulio Andreotti, democristiano, all’epoca a lungo sottosegretario alla presidenza del Consiglio con De Gasperi.

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La Prima pagina dell’Unità nel giorno dell’annuncio della tragedia del “Grande Torino”

Andreotti mantenne sempre la delega allo sport e fu il “deus ex machina” della promozione e dell’organizzazione delle Olimpiadi di Roma 1960: evento riuscitissimo e probabilmente da passare alla storia come l’ultima delle Olimpiadi a dimensione umana con le indimenticabili imprese di Livio Berruti, oro nei 200 metri, dell’etiope Abebe Bikila, scalzo vincitore nella maratona, e della velocista americana Wilma Rudolph, oro nei 100, 200 e nella staffetta 4×100.

Togliatti, invece dal canto suo, impose fortissimamente l’uscita dell’edizione del lunedì dell’Unità contenente un completo panorama della domenica sportiva (i resoconti del calcio arrivavano fino alle cronache  di Serie C) e soprattutto puntò sulla “qualità” degli articoli, facendo in modo che letterati e scrittori legati al Partito si cimentassero con le cronache sportive. Pier Paolo Pasolini per tutti.

Il suo obiettivo era quella di fare dell’Unità del Lunedì la migliore edizione in circolazione tra i quotidiani non specializzati, in diretta concorrenza con il “Corriere della Sera”.

E’ necessario, per ricostruire un minimo la storia del rapporto tra il calcio e la politica fare un passo indietro: non così lontano come quello necessario per ricordare come nell’antica Grecia lo svolgimento delle Olimpiadi coincidesse con la tregua per tutte le guerre in corso o come nell’antica Roma il motto “Panem et circenses” rappresentasse una delle regole auree per il governo dell’Impero.

Un passo indietro va comunque fatto, per ricordare come il fascismo avesse anch’esso intuito le grandi potenzialità dello sport nel rapporto di massa, curandone tutti gli aspetti e veicolando il nazionalismo attraverso la promozione di grandi avvenimenti e di grandi imprese sportive.

Fu così organizzata in Italia la seconda edizione dei mondiali di Calcio che gli azzurri si aggiudicarono (come del resto accadde nell’edizione successiva svoltasi in Francia) e furono promosse due partecipazioni della squadra italiana alle Olimpiadi di Los Angeles (1932) e Berlino (1936) di altissimo livello con successi in tutti gli sport: dall’atletica leggera, al ciclismo, al calcio, alla ginnastica.

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Un esempio della cura, anche propagandistica, con la quale i fascismo “occupava” anche lo sport

Anche l’altra sponda politica, quella opposta al fascismo, però non stava a guardare. Nel dopoguerra i paesi “a socialismo reale” guidati dall’Unione Sovietica fornirono la massima importanza alla partecipazione sportiva curandone tutti gli aspetti e privilegiando gli atleti impegnati nelle massime competizioni internazionali inquadrandoli nei ranghi maggiori dell’esercito, della polizia, dello Stato in modo da consentire loro di svolgere l’attività sportiva in maniera pressoché professionale in tempi nei quali la partecipazione olimpica era ancora regolate dalle norme decoubertiane riguardanti il dilettantismo.

Il calcio poi fornì occasione di propagandare le cause dei popoli in lotta per la liberazione coloniale oppure impegnati nella difesa della democrazia.

Abbiamo già raccontato dalle pagine del nostro blog le vicende della squadra rappresentativa dei Paesi Baschi durante la guerra civile spagnola e di quella del FLN dell’Algeria durante il conflitto per la sconfitta finale (come avvenne) del colonialismo francese.

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La squadra del Fronte di Liberazione Nazionale dell’Algeria

Esiste un film che raccoglie magnificamente questa idea del rapporto tra lo sport (in particolare il calcio) e la politica, ed è quel “Fuga per la Vittoria” con Sylvester Stallone, Michael Caine, Max Von Sydow, film che rimane emblematico anche del valore che il gioco e il risultato hanno rispetto allo spirito della competizione.

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Ecco la compagine dei calciatori prigionieri fuggitivi in “Fuga per la Vittoria”, al centro degli accosciati Pelè, aurtore di un favoloso gol in rovesciata; oltre all’asso brasiliano sono in squadra Ardiles, Deyna, Bobby Moore e Hallvar Thoresen; l’improbabile portiere è Rambo-Stallone che para anche un rigore

Ecco di seguito l’articolo tratto dal Blog “La Bottega del Barbieri” che tratta molto argutamente di politica ma anche, come si diceva una volta, di “varia umanità”.

il Guerin sportivo occupato per un giorno

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(Il 14 ottobre 1920 due redattori ribelli mandarono in stampa un numero “bolscevico” della rivista sportiva)

di David Lifodi

Il 14 ottobre 1920 le modalità di comunicare gli eventi sportivi cambiarono radicalmente, anche se per un solo giorno. Al linguaggio maschio e nazionalista che celebrava sui quotidiani le imprese pedatorie, ciclistiche e di altre discipline, si sostituirono le parole d’ordine della lotta di classe. Lo sport inteso in senso popolare, aperto e antirazzista, che oggi è sostenuto e propagato da una miriade di realtà sociali antagoniste al sistema, era ovviamente aldilà da venire. Fu l’austero Guerin sportivo a trasformarsi, seppure per un solo numero, in una rivista che assomigliava molto di più a Sport e proletariato, pubblicazione sorta nel 1923 e in grado, per un certo periodo, di fare concorrenza alla Gazzetta dello sport.

Quel 14 ottobre di 97 anni fa i lettori del Guerin sportivo si trovarono tra le mani un numero assai particolare. Già l’editoriale, Piazza pulita, caratterizzato da un Guerin con la falce e martello, faceva capire che i curatori della rivista avevano deciso di dare un taglio assai diverso a quello consuetudinario. Approfittando dell’assenza, per alcuni giorni, del fondatore e direttore della rivista, Giulio Corrado Corradini, due redattori rimasti senza nome, ma di certo di spirito sovversivo, ribaltarono completamente l’impostazione di quel giornale fondato nel 1912. Non che sul Guerino non si parlasse di sport, ma in quel numero i due redattori che presero le redini della rivista lo fecero in chiave proletaria e del resto basta leggere il libro di Pasquale Coccia, Storie di sport ribelle (manifestolibri 2016), o Sport e proletariato. Una storia di stampa sportiva, di atleti e di lotta di classe (Mursia, 2016) di Alberto Di Monte, per capire come già negli anni Venti fossero in molti ad agognare ad un’idea dello sport in chiave non mercantilistica ed elitaria.

Fatto sta che quell’edizione del Guerin sportivo del 14 ottobre 1920 fu definita come “bolscevica” e in effetti, da pagine di innegabile umorismo, come ad esempio quella dove al numero telefonico del giornale era stato sostituito quello della Camera del Lavoro, a pagine dove erano contenute riflessioni più serie, era evidente come il tentativo dei due coraggiosi redattori, poi licenziati, fosse quello di sensibilizzare le masse. Ad esempio, nell’editoriale che annuncia “lo sfratto al direttore Corradini”, si ragiona anche sullo “sport che anestetizza le menti”, sintomo del difficile rapporto che ha sempre caratterizzato i rapporti tra la sinistra e lo sport. Come ha evidenziato Pasquale Coccia, a cui va il merito di aver diffuso la storia del Guerin sportivo occupato, sui due redattori influirono molto gli ideali del biennio rosso, nonché i recenti fatti della rivoluzione russa, ma fin da allora iniziò a farsi strada un’altra idea di giornalismo, anche sul versante sportivo. Di fronte al fascismo che stava per arrivare e ai quotidiani sportivi sostenuti da quegli industriali che se ne servivano per arginare quell’idea di sport insofferente rispetto ai valori di allora, i due redattori ribelli erano riusciti a dar voce ad un modo assai diverso di intendere e percepire la’informazione, non solo a livello di pratica agonistica. A colpire, in particolar modo, fu il loro rifiuto ad accettare le pubblicità degli industriali, ben sintetizzata dall’annuncio che rifiutava “abbonamenti e inserzioni dei pescicani”. Quanti sono, ancora oggi, i quotidiani che per andare avanti sono costretti a ricorrere a pubblicità di questo tipo che poi ne condizionano anche la linea editoriale? La maggioranza.

Al suo ritorno, il direttore Corradini corse ai ripari e licenziò immediatamente i due redattori facendoli passare prima come “giovani russi venuti in Italia da pochi mesi” che avevano mandato in stampa quella versione del Guerin sportivo in seguito ad una solenne sbornia, e poi come “due emissari di Lenin”, venuti nel nostro paese per sondare lo stato d’animo della classe operaia e vedere se ci fossero stati i margini per fare la rivoluzione anche in Italia. Quell’esperienza del Guerin sportivo, divenuto strumento di propaganda dei lavoratori, rappresentò comunque un primo atto di ribellione, in ambito sportivo, a cui ne sarebbero seguiti molti altri, nonostante i tentativi posti in essere anche dall’incombente regime fascista di utilizzare lo sport come strumento di propaganda.

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