STORIA DEGLI STRANIERI NEL CAMPIONATO ITALIANO DA LIBONATTI A OSIMEH

Victor Osimeh, ultimo epigono della lunga storia degli assi stranieri in Italia

Il foot-ball nasce in Italia come sport d’importazione e quindi agli albo gli stranieri, soprattutto britannici ma anche francesi e svizzeri, sono la maggioranza e sono gli italiani ad essere reclutati per far parte delle squadre.
La Pro Vercelli destinata a dominare tra il 1908 e il 1922 è la prima squadra con un nucleo tutto italiano, quella che possiamo definire come la prima vera espressione del calcio nostrano assieme alle sue consorelle del quadrilatero piemontese Casale, Alessandria e Novara
L’ascesa del regime fascista in Italia negli anni successivi porta ad una progressiva chiusura verso tutto quello che arriva dall’estero, compresi quindi i calciatori. Unica eccezione gli oriundi, che popolano anche la nazionale italiana. Sudamericani, argentini soprattutto, che contribuiscono ad innalzare il livello del nostro calcio.
Nomi come Julio Libonatti, ancora oggi secondo marcatore di tutti i tempi del Torino, ma anche Raimondo “Mumo” Orsi, il primo calciatore star dei rotocalchi, e Luisito Monti, il truce mediano che proprio assieme a Orsi e al romanista Guaita vincerà anche un titolo mondiale con la squadra azzurra di Vittorio Pozzo (nel 1938 in occasione del secondo titolo mondiale conseguito dall’Italia ci sarà soltanto Andreolo come rappresentante di quelli che allora erano considerati come “rimpatriati”)
La seconda ondata straniera nella serie A ha quindi sangue sudamericano, dopo la prima di schiatta britannica.
Uno dei motori del secondo dopoguerra è proprio il calcio, trainato dalle imprese del Grande Torino che creano quella base di tifosi che sarà decisiva nei decenni successivi. La squadra granata rappresenta il meglio del calcio italiano in un’epoca in cui molte formazioni guardano all’estero per migliorare la propria rosa.
Iniziano infatti le operazioni di calciomercato in maniera massiccia e per spendere meno i nostri dirigenti guardano a quei paesi dove il calcio è visto ancora come un passatempo non retribuito. Danesi e svedesi soprattutto iniziano a popolare il nostro torneo, molti dei quali di grande livello.
Ai mondiali del 1950 una nazionale ancora turbata dalla tragedia del Grande Torino si presenta in Brasile (in nave sic!) dove viene estromessa da un manipolo di dilettanti svedesi: molti di quei giocatori faranno poi tappa in Italia, come ad esempio Skoglund all’Inter, mentre erano già arrivati in Italia gli epigoni del trio Gre-No-Li protagonisti della vittoria olimpica della Svezia nel 1948 e i danesi John Hansen e Praest che con la Danimarca, nello stesso torneo, avevano contribuito ad eliminare l’Italia con un pesante 5-3.
Dal Nord Europa arrivò anche il celebre Arne Selmosson soprannominato “raggio di luna” rimasto per moltissimo tempo l’unico straniero ad aver segnato nel derby di Roma con entrambe le squadre (raggiunto poi da Kolarov in questo record solo nel 2018) e Hasse Jeppson primo giocatore della storia ad essere pagato più di 100 milioni di lire passando dall’Atalanta al Napoli del comandante Lauro.
Oltre agli scandinavi, gli anni ’50 sono ancora, come sempre sarà, meta per i calciatori sudamericani in Italia. Dopo i mondiali 1950, quelli del Maracanazo scoppia la moda degli uruguagi, con Ghiggia, realizzatore del gol che mise in ginocchio i verde oro, che si accasa alla Roma, e Schiaffino che approda al Milan, altro protagonista della finale vinta dall’Uruguay.
I sudamericani hanno anche la possibilità di giocare per la nostra nazionale, dato che i regolamenti dell’epoca non mettono un freno al numero di nazionali con cui si possono disputare partite ufficiali. Ghiggia e Schiaffino, assieme ad altri come Dino Da Costa e poi in seguito Angelillo, Sivori, Maschio e Altafini sono stati a più riprese chiamati in causa in maglia azzurra, senza grandi risultati per la verità.
Arriva però il fallimento del 1958 con quella che per molto tempo fu l’unica mancata qualificazione ad una fase finale di un mondiale (bissata 60 anni dopo e poi replicata ancora nel 2022). In quel momento inizia un dibattito acceso sull’utilizzo degli stranieri nel campionato italiano, cosa che continuerà ancora per quasi tutti gli anni ’60. Si trova un compromesso con la possibilità per le squadre di utilizzare al massimo due giocatori non italiani in campionato, tre quando si parla di coppe.
È l’epoca del primo Milan campione d’Europa dove gioca il brasiliano Dino Sani, dell’Inter di Herrera con Suarez e Jair in campo con lo straniero di coppa Peirò; della Juventus prima di Charles e Sivori poi di Cinesinho e Haller che aveva fatto in tempo a vincere uno scudetto con il Bologna assieme al danese Harald Nielsen. Ed ancora Kurt “uccellino” Hamrin a Firenze dopo le esperienze juventine e padovane e prima di quelle milaniste, Germano De Sales e Fustino Canè primi giocatori di colore a calcare i campi della serie A, dopo la fugace apparizione di La Paz nel Napoli a cavallo degli anni ’40.
La disfatta del mondiale 1966, quello del gol del nord-coreano Pak Doo-ik che ci caccia dal torneo, è la classica goccia che fa traboccare il vaso. I vertici federali decidono che i motivi delle continue disfatte della nazionale sia il mancato ricambio generazionale di qualità, puntando il dito verso gli stranieri.
Pertanto stop ai tesseramenti, le squadre potranno continuare ad utilizzare quelli già presenti nelle loro rose, e quindi per i giocatori stranieri solo trasferimenti interni. L’ultimo a resistere fu Sergio Clerici, brasiliano all’anagrafe, ma con il compito di «ultimo giapponese» di una colonia nutritissima. Il suo ultimo campionato fu nella stagione 77/78 con la maglia della Lazio. Da li in poi nessun straniero in serie A per qualche stagione…
Nel 1980, sulla scorta di una crisi di popolarità del calcio minato dallo scandalo del totonero , si decise di riaprire le frontiere. Quindi in vista della stagione 1980/81 tutte le squadre possono ingaggiare uno straniero: arrivano autentici campioni come Falcao alla Roma, Krol al Napoli e Brady alla Juventus. Ma con loro, nella sfrenata corsa all’asso straniero, arrivano anche Eneas de Camargo al Bologna e  Luis Silvio alla Pistoiese Insomma inizia un’epoca indimenticabile per il nostro calcio, tra campioni e bidoni.
Dalla stagione 1982/83 gli stranieri salgono a 2 e dalla stagione 87/88 passano a 3. È un epoca dove  si potrebbe riempire un’intera pagina con i nomi dei campioni che hanno calcato i campi di A.
Platini, Zico, Rumenigge, Maradona, Careca, il trio olandese del Milan e quello tedesco dell’Inter. Ma anche Briegel ed Elkjaer che portano il Verona allo scudetto, Voller alla Roma, Cerezo prima in giallorosso poi nella Samp scudettata di Boskov, Sosa alla Lazio e Dunga alla Fiorentina e un giovanissimo Diego Pablo Simeone al Pisa .
Nei primi anni ì ’90 la colonia si popola di campioni che segneranno un’epoca come un giovane Batistuta che arriva alla Fiorentina nel ’91, raggiunto qualche anno dopo da Rui CostaBergkamp, e Weah che è il primo giocatore africano a sfondare davvero nel nostro campionato.
Un’ondata che però è nulla in confronto a quello che accadrà dalla stagione 1996/97, la prima dopo la rivoluzione totale del calcio Europeo. Succede infatti che nell’estate del 1996 Jean Marc Bosman, oscuro giocatore di serie minori tra Belgio e Francia, ricorra direttamente al Tribunale europeo per il lavoro, per vedere riconosciuta la possibilità di giocare nel campionato francese anche se cittadino belga, in ossequio alle norme sulla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione Europea. Questo principio porta una vera rivoluzione nella gestione degli stranieri all’interno dei campionati nazionali, cosa che investe ovviamente anche la serie A: ai nastri di partenza del campionato 1996/97 avviene una vera invasione se pensiamo che nella stagione precedente gli stranieri erano 19,1% del totale per poi superare il 25% nel post-Bosman. Un processo che porterà al progressivo aumento fino al sorpasso della stagione 2012/2013 dove il 50,1% dei giocatori impiegati non sarà di nazionalità italiana.
Nel mezzo anche qualche piccolo intoppo nei regolamenti, con il caso della stagione 2000/2001, quella dello scudetto della Roma di Capello, dove sul finale di campionato si liberalizza anche lo schieramento di giocatori extra-comunitari cosa che permette proprio ai giallorossi di utilizzare Nakata, fin li sempre in ballottaggio con Assuncao.
L’apertura portata dalla sentenza Bosman fa arrivare in serie A giocatori di ogni parte mondo, con il calcio divenuto sempre più sport globale: dal primo giapponese Miura al Genoa (ancora in poca pre-Bosman) al primo cinese (tale Ma-Myngu al Perugia di Gaucci) al primo iraniano (Rezaei sempre al Perugia) al primo statunitense (l’indimenticato Alexi Lalas a Padova).
Ma arrivano anche i campioni quelli veri, da Zidane a Ronaldo, da Shevchenko a Kaka, fino all’epoca odierna con il passaggio da Cristiano Ronaldo Osimeh, stella del Napoli vincitore dello scudetto 2022-2023.
Oggi l’impiego di giocatori comunitari non ha limiti mentre per gli extracomunitari vale il principio di uno entra solo se uno esce (cosa che porta a giri di mercato talvolta imbarazzanti). Per la serie A e le coppe Europee ci sono liste che tutelano i settori giovanili, a prescindere dalle nazionalità dei giocatori e bisogna comunque avere un minimo di tesserati cresciuti nel club.
Insomma una vero fenomeno di globalizzazione che non sta però corrispondendo a una crescita dal punto di vista tecnico, in un calcio ormai completamente iper professionistico dominato dai procuratori e spettacolarizzato in modo tale da smarrire completamente gli autentici connotato sportivi.

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